Le arterie indurite potrebbero essere il campanello d'allarme per l'insorgenza della malattia di Alzheimer negli anziani senza sintomi di demenza. Ad affermarlo è una ricerca dell'Università di Pittsburgh pubblicata su Neurology. Secondo gli esiti dello studio, l'indurimento delle arterie aumenterebbe le probabilità di avere placche di beta-amiloide nei vasi arteriosi cerebrali, il tipico segno che preannuncia l'arrivo dell'Alzheimer.Il coordinatore della ricerca Timothy Hughes, che lavora presso l'Institute for Clinical Research Education dell'ateneo americano, spiega: “nella patogenesi dell’Alzheimer la deposizione di placche di beta-amiloide è una delle caratteristiche neuropatologiche più precoci, potendo comparire anche una o più decadi prima della diagnosi. Identificare quindi i principali fattori di rischio che favoriscono la formazione di questi depositi può fornire preziose fornire preziose informazioni sulla suscettibilità dei vari individui, specie i più anziani, a sviluppare l'Alzheimer, consentendo di sviluppare strategie preventive”. Tuttavia, la presenza delle placche aumenta anche il rischio di ipertensione, associata a sua volta a una maggiore rigidità arteriosa, verificata attraverso il metodo caviglia-braccio, noto anche come Ankle brachial index (Abi). “L’Abi misura in modo simultaneo la pressione sistolica a braccia e caviglie, e nei soggetti sani la seconda è maggiore della prima”, spiega il ricercatore. Gli scienziati hanno studiato il rapporto fra rigidità arteriosa e placche amiloidi nei vasi cerebrali di 91 soggetti con età media di 87 anni privi di segni sintomatici collegati alla demenza. Ne è scaturito che le persone con le arterie rigide avevano anche maggiori quantità di placche amiloidee. Per ogni aumento dell’Abi di una unità raddoppiava il rischio di placche amiloidee nelle arterie cerebrali, combinate a una iperintensità della sostanza bianca. “Queste due condizioni possono essere un doppio colpo che contribuisce al futuro sviluppo di demenza nei soggetti asintomatici”, conclude Hughes. A soffrire di demenza in Italia sono quasi otto milioni di persone, con un'incidenza ovviamente più alta fra gli over 85, sebbene siano in aumento i casi fra i più giovani. La buona notizia è che, oltre a sperimentare nuove modalità per la diagnosi precoce, i ricercatori stanno anche sperimentando nuovi possibili trattamenti preventivi. Un team della Saarland University di Homburg, in Germania, ha studiato in tal senso l'efficacia degli steroli vegetali: “gli steroli vegetali sono presenti in varie combinazioni in noci, semi e oli vegetali. Gli steroli vegetali sono gli equivalenti del colesterolo animale e intervengono nei principali processi metabolici in cui è coinvolto il colesterolo. Siccome abbassano i livelli di colesterolo, essi sono ampiamente utilizzati nel settore alimentare e come integratori alimentari”, spiega Marcus Grimm, Capo del Laboratorio di Neurologia Sperimentale presso la Saarland University. Nello specifico, i ricercatori hanno analizzato l'efficacia di un particolare tipo di sterolo denominato stigmasterolo, che parrebbe in grado di inibire la formazione delle proteine coinvolte nello sviluppo del morbo di Alzheimer, ma anche di ridurre l'attività enzimatica e alterare la struttura delle membrane cellulari. Questo complesso di azioni sarebbe alla base della capacità dello stigmasterolo di diminuire in maniera significativa la produzione delle beta-amiloidi. Fonte: Italia Salute