L'articolo è tratto dal mio nuovo libro, di prossima pubblicazione, "MANGIA GRASSO E VIVI BENE edizioni Junior". Il libro che demolisce la teoria "colesterolo e grassi saturi = infarto", dissipa le vostre paure nei riguardi dei grassi animali, riabilita alimenti come uova, burro e strutto e vi mette in guardia dai grassi che davvero sono nocivi per la vostra salute. La gran parte dei grassi vegetali, soprattutto di semi, non si presta molto ad essere utilizzata per i prodotti da forno. Infatti, se provate a fare un dolce o dei biscotti con l’olio vegetale vi accorgerete che il prodotto finale avrà un aspetto “unto” e non tiene bene la forma che gli avete dato. Invece, l’impiego di grassi più solidi come il burro, lo strutto e il lardo non pone questo problema. L’industria alimentare lo sa bene e sono ormai anni che fa largo uso di grassi parzialmente idrogenati. L’idrogenazione, infatti, è un processo chimico che trasforma un olio liquido in un grasso solido. Le lunghe catene di acidi grassi saturi naturali e le lunghe catene di acidi grassi così prodotte sono equivalenti per quanto riguarda le loro proprietà fisiche e quindi l’utilizzo industriale, ma non per quanto riguarda l’effetto sull’organismo. A partire da oli vegetali economici si possono ricavare surrogati del burro e strutto, che sono decisamente più cari. Veramente, si tratta di grassi “parzialmente idrogenati”. Grassi totalmente idrogenati sarebbero duri come la cera e non potrebbero essere utilizzati nell’alimentazione se non dopo ulteriori trattamenti. Comunque, nelle etichette degli alimenti le diciture “grassi parzialmente idrogenati” o “grassi idrogenati” si equivalgono. Breve storia della margarina Tra tutti i grassi idrogenati spicca la margarina, un vero “gioiello” della mistificazione alimentare. Nasce in Francia sotto il regno di Napoleone III L’imperatore era alla ricerca di una fonte di grasso a buon mercato, di facile conservazione da destinarsi ai meno abbienti: i militari, le classi lavoratrici e i poveri. Nel 1867 bandì una sorta di concorso invitando tutti gli inventori a proporre ricette e formule. Il professor Hippolite Mege-Mouris vinse la competizione, realizzando “l’oleomargarina”, una miscela fatta con grasso bovino e latte scremato. Nel 1871 vendette il procedimento ad alcuni grossi commercianti olandesi. Il prodotto ebbe un successone, tanto che presto furono costruiti degli stabilimenti in Belgio, in Germania e in Inghilterra. Nel 1895, la produzione di margarina raggiunse le 300.000 tonnellate, che a quei tempi corrispondeva ad un decimo di quella del burro. Rispetto a questo, costava decisamente meno. Tuttavia, non tutti furono subito convinti dal nuovo alimento. Infatti, ci volle un po’ per convincere molte casalinghe. All’inizio, il sapore non era dei migliori. I più diffidenti sospettavano addirittura che la margarina potesse far male alla salute. Da allora si è fatto di tutto per correggere il sapore di questo nuovo prodotto e modificare l’immagine di alimento per i poveri. Nel 1910 il processo d’idrogenazione fu brevettato. Questo avrebbe permesso l’uso di oli vegetali nella preparazione della margarina. Mentre nel 1899 i grassi animali costituivano il 70% degli ingredienti della margarina, già nel 1928 si erano ridotti al 6%. Gli oli fluidi idrogenati e la frazione solida degli oli densi passarono nello stesso tempo dal 23% all’89%. Infatti, dopo i grassi animali, vennero presi in considerazione anche gli oli di mais, di noccioline, di cotone e di cocco. Già nel 1940, le margarine in commercio erano al 90% di origine vegetale. Attualmente per la produzione di margarine si usano principalmente oli economici, come quello di cotone, soia e mais. Nel precedente capitolo ho descritto il procedimento di raffinazione di questi oli, ricavati dalle materie prime in seguito a trattamenti chimici meccanici e termici. E’ da questi oli così raffinati che parte il processo d’idrogenazione. La miscela di oli viene trattata con alte temperature, da 120° a 210°C, sottoposta ad una forte pressione e fatta reagire per 6-8 ore con gas idrogeno in presenza di un catalizzatore metallico. Normalmente, si tratta di nickel, ma si possono usare anche platino o rame. Nel caso del nickel, spesso ne viene usato un tipo (Nickel di Raney) composto dal 50% di nickel e dal 50% di alluminio. Residui di entrambi i metalli rimangono nel prodotto finale. Nella produzione di margarina, creme spalmabili e oli vegetali, più precisamente si parla di “idrogenazione parziale”. Le margarine in commercio contengono una quantità variabile di grassi idrogenati: in media il 15%, ma anche fino al 45%. Più recentemente, sono comparse in commercio margarine che dichiarano l’assenza, o la presenza minima, di questi pericolosi acidi grassi. Sono ottenute con la metodica del frazionamento (scomposizione dei diversi tipi di acidi grassi) e dell’esterificazione intermolecolare (modifica la struttura chimica degli acidi grassi senza idrogenarli), che minimizza o evita la formazione delle forme trans. Tuttavia, si tratta pur sempre di prodotti altamente manipolati, non naturali e comunque ricavati da oli a loro volta raffinati industrialmente. Comunque sia, la margarina è un non-cibo. Non va consumata in nessuna forma e non c’è davvero alcun motivo di preferirla al burro o ad altri grassi animali. All’industria alimentare piacciono i “trans”. La parziale idrogenazione aumenta in modo variabile il grado di saturazione del grasso. I polinsaturi possono essere fatti diventare meno insaturi, ma non solo. L’idrogenazione cambia anche la configurazione strutturale di alcuni legami. Si forma così una nuova classe di acidi grassi, gli acidi grassi “trans” (vedi il I capitolo). Questi hanno diversi legami insaturi, con la configurazione “trans”, che è artificiale, e non con quella “cis” che è naturale. La maggioranza dei grassi parzialmente idrogenati ha il 50% o più dei propri acidi grassi nella forma “trans”(2). Utilizzare questi grassi ha diversi vantaggi. Sono più economici dei grassi tradizionali, come il burro e lo strutto. Si possono produrre utilizzando oli anche scadenti o già rancidi. Sono ottimi per i prodotti da forno e da pasticceria: viene eliminato l’effetto “unto” e i prodotti hanno una forma più definita. Hanno un’ottima conservabilità e stabilità, superiori anche a quelle dei grassi saturi. Un prodotto commerciale, come un biscotto o una merendina, può avere una lunga data di scadenza e può essere tranquillamente trasportato in giro per il mondo senza che si deperisca facilmente. Molti oli per la frittura sono parzialmente idrogenati, quindi la frittura di pesce e le patatine fritte avranno un aspetto più “asciutto”. Per essere più precisi, gli acidi trans si trovano anche in natura. In quantità inferiori all’1% sono presenti in tutti i grassi dei ruminanti: antilope, bufalo, bovino, cervo, capra e pecora. Nulla in confronto ai valori decisamente superiori, fino al 60%, che si ritrovano nei grassi idrogenati commerciali. Peraltro, i trans dei ruminanti differiscono da quelli degli oli vegetali per il doppio legame in posizione diversa lungo la catena di carbonio e per il fatto di essere considerati innocui. I pericoli dei grassi idrogenati La nascita della teoria lipidica e la diffusione della “colesterolofobia”, rappresentarono una grande occasione per promuovere, oltre agli oli polinsaturi di semi, la margarina come alimento salutare e al passo coi tempi. La margarina non ha colesterolo ed è vegetale, due prerogative essenziali per un prodotto in sintonia con le nuove tendenze dietologiche. Inoltre, per lungo tempo si è giocato su un equivoco. I grassi idrogenati contengono il doppio di polinsaturi rispetto ai saturi e siccome il consumatore deve abbandonare i malvagi “saturi” a favore dei benefici “insaturi”, ecco bello e pronto un prodotto ad hoc. Anche per questo motivo, dal 1965 e fino agli anni ’80, l’Associazione Cardiologica Americana (AHA) ha incoraggiato il consumo di acidi grassi trans per prevenire le malattie cardiovascolari. Poi si è scoperto che forse sono proprio loro a determinarle. Oggi le margarine e i grassi idrogenati sono molto diffusi nei prodotti commerciali, anche se non sempre sappiamo esattamente in quale misura. Hanno ormai quasi completamente soppiantato l’uso del burro e dello strutto. Anche molti prodotti artigianali ne contengono, come gelati, biscotti, grissini, torte, pasticcini e certe specialità che vantano centinaia di anni di tradizione. Non si capisce come fa un prodotto ad essere “artigianale” e “tradizionale” quando si utilizza un ingrediente che è il risultato di un processo industriale e che ha poco più di 100 anni. Anche in molti ristoranti viene fatto largo uso di grassi e di oli idrogenati. Già negli anni ’60, alcuni ricercatori ed esperti alimentari hanno espresso seria preoccupazione per il diffondersi di questi grassi nell’alimentazione quotidiana. Da allora, sono stati condotti numerosi studi che hanno dimostrato senza ombra di dubbio la loro pericolosità. In America, il dibattito va avanti da parecchi anni e recentemente il governo ha emanato norme per regolarne l’uso. Dal gennaio 2006 negli USA è obbligatorio segnalare sulle etichette dei cibi il livello di acidi grassi trans. I grassi idrogenati, una volta nell’organismo, non sono riconosciuti come estranei. Se ne mangiamo troppi, come stiamo facendo adesso, una volta incorporati nei nostri tessuti al posto di quelli naturali possono causare disturbi del funzionamento cellulare. Alla fine, intossicano. Sono soprattutto le nuove generazioni, che consumano molti cibi processati dall’industria alimentare, che spesso contengono grassi trans, le più esposte a questo subdolo avvelenamento. Vediamo, in sintesi, quali sono gli effetti negativi dovuti al consumo dei grassi parzialmente idrogenati osservati sull’uomo e sugli animali: Alterano la funzione cellulare e condizionano il funzionamento di molti enzimi, come nel caso della delta-6 desaturasi che è necessaria per la conversione di entrambi gli omega 6 e omega 3 nelle forme allungate (EPA e DHA). Questo peggiora gli effetti da carenza d’acidi grassi essenziali. Causano una riduzione, dose-dipendente, della acuità visiva nei bambini che sono allattati con latte materno ricco di acidi trans. L’effeto si protrae per i primi 14 mesi di vita. Abbassano il colesterolo buono, l’ HDL. Aumentano i livelli sierici di LDL. Aumentano la lipoproteina aterogenica Lp(a) nell’uomo, mentre i grassi saturi la abbassano. Aumentano i livelli del colesterolo totale del 20-30%. Riducono la quantità di grasso nel latte nelle femmine che allattano in tutte le specie, incluso l’uomo, con grave danno al lattante. I grassi infatti servono soprattutto per lo sviluppo del sistema nervoso. Inoltre, il poppante che non riceve adeguate quantità di grasso con il latte materno non si sente sazio e quindi continuare a piangere. Nell’uomo, attraversano la barriera placentare e raggiungono il feto, con possibili effetti sulla crescita. Possono così provocare nascite sotto peso. Nei topi giovani riducono la crescita del 20-25%. Nell’uomo, aumentano i livelli d’insulina, dopo carico da glucosio, con aumento del rischio di diabete. Riducono la risposta dei globuli rossi all’insulina, creando effetti indesiderati nei diabetici. Influenzano la risposta immune, abbassando l’efficienza delle cellule B e aumentando la proliferazione dei linfociti T. Aumentano i livelli di testosterone, che negli animali maschi causa un più facilmente uno sperma anomalo e nelle femmine interferisce nella gestazione. In particolare nei ratti danneggiano i testicoli e causano sterilità. Causano alterazioni nell’attività dell’importante sistema enzimatico che metabolizza le sostanze cancerogene chimiche e le medicine (citocromo P-488/450). Alterano le proprietà fisiologiche delle membrane cellulari, compromettendo i processi di trasporto e di fluidità. Causano alterazioni nelle dimensioni e nel numero delle cellule adipose e nella composizione degli acidi grassi. Aumentano la carenza di acidi grassi essenziali. Scatenano attacchi di asma nei bambini. Potenziano la formazione di radicali liberi. Un resoconto della Comunità Europea riporta che le donne con tumore alla mammella hanno più alti livelli di acidi grassi trans nei loro tessuti rispetto alle altre. Questo dato suggerisce, ma non dimostra, che questi acidi grassi possano avere un qualche ruolo nel rischio di tumore mammario. Il consumo di grassi idrogenati è stato associato ad altre malattie degenerative, come il cancro, la sclerosi multipla, la diverticolite e le complicazioni del diabete. Per quanto riguarda il rischio cardiovascolare, due famosi precursori delle ricerche sugli effetti negativi dei grassi idrogenati, i dottori Fred Kummerov e George Mann (1) hanno affermato “….. gli acidi grassi trans non hanno nessun effetto benefico sulla salute e una notevole mole di dati suggerisce che contribuiscono decisamente al rischio cardiovascolare…”. brioches.jpg Come difendersi Negli USA, tra il 1970 e il 1990, sono state condotte diverse analisi per valutare la presenza di grassi idrogenati negli alimenti. Ad esempio, si è visto che negli oli di semi la percentuale può variare dal 10 al 50 %. In un normale sacchetto di patatine fritte commerciali in cui è stato usato olio di soia, ne sono stati trovati fino a 9 g. In media, un cucchiaino di margarina ne conteneva 4,6 g. Negli USA il consumo pro capite di grassi idrogenati è passato dai 12 g al giorno del periodo antecendente la Seconda Guerra Mondiale ai 38,7 g del 1985. Agli inizi degli anni ’80, in Inghilterra, una persona in media consumava con gli alimenti 12 g di acidi grassi idrogenati. Nello stesso periodo in Canada se ne consumavano 9,1 g, mentre in Germania, tra i 4.5 e i 6,5 g. Negli anni ’90, in Italia si calcolava che il consumo fosse in media di 1,3 g al giorno per persona, ma temo che se guardiamo a come mangiano le nuove generazioni, il dato sia oltremodo sottostimato se riferito alla situazione attuale. Nel nostro Paese non è obbligatorio segnalare la presenza di acidi grassi idrogenati. Pertanto nelle confezioni, non troviamo scritto “grassi idrogenati” o “parzialmente idrogenati”, ma più spesso troviamo solo la vaga dicitura “grassi o oli vegetali”, oppure “margarina” o “margarina vegetale”. Ci sono buone possibilità che questi non meglio specificati “oli o grassi vegetali” non siano proprio di qualità superiore e che una parte sia idrogenata. Non ci sono dubbi sulla pericolosità dei grassi idrogenati. Dovete ridurrne il consumo al minimo o eliminarli del tutto dalla vostra alimentazione, soprattutto quella dei vostri bambini. Inoltre, prestate attenzione nell’acquisto di cibi confezionati, in particolar modo quelli da forno, come grissini, biscotti, torte, crackers, merendine e pane per sandwich. Il problema tuttavia non riguarda solo gli alimenti di larga distribuzione, ma anche certi prodotti artigianali. Per esempio, gelaterie, pasticcerie e fornai, ormai fanno ampio uso di margarina per la preparazione di gelati, torte, pasticcini e biscotti. Non si è mai certi di che tipo di margarina si tratti e di quanti grassi idrogenati contenga. Quindi, preferite decisamente i prodotti preparati col burro, l’olio extravergine o lo strutto. Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi