Quando prendiamo un farmaco che abbassi la febbre pensiamo sempre a un ipotetico vantaggio personale, senza ragionare sugli effetti sociali di questo tipo di azione. Già dal 2001 sappiamo con certezza che abbassare la febbre per andare a lavorare in ufficio o per riuscire a mantenere un appuntamento è una scelta antifisiologica che allunga i tempi di guarigione, ma ora sappiamo anche che si tratta di una scelta che può diventare lesiva nei confronti degli altri che ci circondano, bambini o adulti che siano. La febbre è un meccanismo difensivo potente e nella guida alla prevenzione delle malattie invernali da sempre segnaliamo che la giusta prevenzione porta spesso a evitare di ammalarsi, oppure consente di affrontare in tempi brevi e con ottime capacità di risposta lievi forme influenzali, che obblighino magari a un paio di giornate di riposo prima di riprendere la propria attività. Questo tipo di incontro con il virus e il superamento dell'infezione aiutano a stimolare le cellule NK (particolari cellule del sistema immunitario) che svolgeranno nei mesi e anni successivi una migliore difesa antitumorale e antidegenerativa. Ammalarsi "gentilmente" può aiutare a prevenire malttie più gravi. Eppure ora sappiamo che chi si ammala con un deciso rialzo febbrile e cerca di abbassare la febbre allunga i tempi della sua guarigione, ma soprattutto mette a rischio la salute di chi gli sta intorno. Un recentissimo studio ha dato un valore numerico al rischio di diffusione della malattia dovuto all'uso dei farmaci antipiretici nel corso di una stagione influenzale. Il lavoro è stato effettuato da un gruppo di ricerca canadese composto da statistici, infettivologi, matematici e neurologi, che ha pubblicato su Proceedings Biological Sciences il risultato della analisi di quanti eventi mortali possano dipendere dall'uso di antipiretici (dal paracetamolo ai salicilati, comprendendo i moltissimi attualmente pubblicizzati su radio e televisione) (Earn DJ et al, Proc Biol Sci. 2014 Jan 22;281(1778):20132570. doi: 10.1098/rspb.2013.2570. Print 2014). Abbassando la febbre con un farmaco, anziché accompagnarla in modo fisiologico, si riduce l'azione difensiva messa in atto dall'organismo, concedendo così al virus la possibilità di proseguire nella sua opera di diffusione e di trasmissione agli altri esseri viventi. In pratica, durante una stagione influenzale, abbassando la febbre in modo chimico si facilita la progressione dell'epidemia. La valutazione fatta dai ricercatori canadesi è di forte impatto, perché a fronte di un'epidemia stagionale si ipotizza che il 5% dell'intera mortalità influenzale sia dovuto alla riduzione della febbre ottenuta per via farmacologica. Anche siti e riviste di divulgazione internazionale (come Science) si sono occupati della notizia, che riveste sicuramente un'importanza di carattere sociale. La febbre può essere accompagnata modificando le reazioni cellulari, con gli oli giusti (Olio di Perilla o Zerotox Ribilla), stimolando le difese immunitarie con una associazione di minerali come Oximix 1+, con betaglucani o con vitamina C (Ester-C Plus 500), o ancora con uno dei rimedi più validi di questa stagione, a base di estratto di broccolo, zinco, inositolo e betaglucani. L'uso di Zerotox Betamune, di cui suggeriamo l'assunzione di 1 tavoletta al giorno durante tutto il periodo invernale, può essere incrementato in qualsiasi forma acuta da raffreddamento a 2-4 tavolette al giorno per i 2-3 giorni in cui l'infezione possa essere controllata.In questo caso la scelta terapeutica (che porta anche all'abbassamento della febbre) origina da presupposti completamente diversi. Dove il farmaco blocca semplicemente un sintomo (la febbre) in modo chimico, i trattamenti indicati stimolano la risposta difensiva dell'organismo e lo portano a ridurre la febbre attraverso un percorso di graduale guarigione.Decisamente tutta un'altra storia... Fonte: Eurosalus