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Russare fa male, ma quando il respiro si interrompe improvvisamente nel sonno è ancora peggio. E scatta l’SOS eventi vascolari causati da fattori come risvegli e sonnolenza diurna. Infatti, per chi, durante il sonno, va in apnea il pericolo di ictus aumenta di 4 volte mentre raddoppiano le probabilità di sviluppare ipertensione e di diventare diabetici. Stanchezza, affaticamento, emicrania, sonnolenza e scarsa concentrazione oltre a sonno disturbato e risvegli improvvisi. Sono tra i principali segnali di questa patologia. Nei bambini, invece, si riscontrano problemi neurocomportamentali, iperattività, difficoltà nell'apprendimento, riduzione dell'attenzione, irritabilità. Per comprendere il tasso probabilistico di sviluppare problemi cardiovascolari correlati a una sindrome da apnee ostruttive è stato messo a punto, da un gruppo di ricercatori canadesi, un indice pubblicato su Plos Medicine che tiene conto di diversi fattori. Le apnee colpiscono indistintamente uomini e donne, rispettivamente con il 13-14,3% contro il 5-6%. Negli adulti si supera il 15% fra gli over 70, con un valore che sale al 25% intorno agli 80 anni.

In Italia, 1.600.000 persone soffrono di apnee ostruttive. Il 70-80% delle persone con apnee sono in sovrappeso o obese. Per questi soggetti, il grasso assume un fattore incisivo: premendo sulle vie aeree, le comprime, impedendone il passaggio dell’aria. Altro fattore non trascurabile, i chili di troppo. Accrescono il rischi di una serie di patologie non trascurabili tra cui di ipertensione e sindrome metabolica. Inoltre, le apnee richiedono uno sforzo maggiore per respirare aumentando così la pressione nel circolo polmonare e sul cuore, dovuto allo sforzo necessario per sopperire alla riduzione dell’ossigeno in circolo. Anche se viene banalmente considerata come l’anticamera delle apnee, al contrario del semplice russare, dove si verifica un’ostruzione incompleta al passaggio dell’aria, con la sindrome delle apnee ostruttive del sonno (Osas) le prime vie aeree collassano, impedendo così, per qualche secondo, il transito dell’aria. Da non trascurare, poi, la breve tachicardia, alla fine di ogni apnea, per richiamare il sangue a cuore e coronarie, poiché arriva un flusso povero di ossigeno. Ad aggravare un quadro già critico, si aggiunge poi l’aumento della viscosità del sangue.

 I problemi per la salute

Lo studio condotto da Tetyana Kendzerska dell’University of Toronto ha indagato su oltre 10mila pazienti con apnee ostruttive sottoposti a polisonnografia, l’esame per la valutazione delle caratteristiche del sonno. Questi soggetti sono stati poi seguiti per oltre dieci anni. L’indagine ha dimostrato che nell’11,5% dei partecipanti è stato riscontrato un problema cardiovascolare. Così sono stati analizzati quali fattori vi si correlassero più spesso per costruire un indice di rischio. È emerso che la probabilità aumentava col passare del tempo che il paziente trascorreva con una scarsa dose di ossigeno nel sangue durante la notte, ovvero, con una saturazione dell’ossigeno inferiore al 90%. Inoltre sono stati analizzati anche l’aumentare dei movimenti delle gambe nel sonno, della frequenza cardiaca e della sonnolenza diurna. «Mettendo assieme questi dati sarà possibile creare un punteggio di rischio per gli eventi cardiovascolari in chi soffre di apnee ostruttive» spiega Kendzerska. «Dovremo convalidare il modello in una popolazione più ampia – continua la ricercatrice -, ma l’indice potrebbe rivelarsi molto utile perché utilizza in gran parte elementi registrabili a casa, senza polisonnografia, senza valutare la frequenza di apnee e ipopnee come si fa adesso per stimare il rischio cardiovascolare». «I nostri dati – conclude - dimostrano che le conseguenze fisiologiche della carenza di ossigeno, come la frammentazione o la deprivazione del sonno, sono altrettanto predittive del pericolo di infarti e ictus».

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«La sindrome delle apnee istruttive del sonno è una condizione morbosa caratterizzata da ripetute interruzioni temporanee della respirazione durante il sonno (apnee) o rallentamenti del flusso aereo nelle alte vie respiratorie di almeno il 30% (ipoapnee)» spiega Rosario Cerruto, esperto di disturbi ostruttivi del sonno e responsabile del Servizio di Otorinolaringoiatria del Gruppo Ini-Istituto Neurotraumatologico Italiano. «Negli adulti – sottolinea l’esperto - si parla di Osas quando la frequenza delle apnee/ipoapnee è uguale o superiore a 5 ogni ora e ciascun evento ha una durata maggiore a 10 secondi. Nel bambino si ha positività per la patologia già anche con un episodio ogni ora». «Le apnee e ipoapnee sono causate da ostruzioni complete o parziali delle prime vie aeree durante il sonno, con conseguente ipossia, ipercapnia e frammentazione del sonno» prosegue Cerruto. «Questi fattori possono a loro volta determinare l'aumento della coagulabilità del sangue con aumento del rischio di trombosi, l'attivazione del sistema nervoso periferico con una maggiore produzione di adrenalina, l'alterazione della circolazione del sangue, aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Si innescano dunque una serie di meccanismi in grado di generare complicanze anche gravi: alterazioni endoteliali, della coagulazione, cardio-cerebrovascolari come ipertensione arteriosa, aritmie, ictus, ischemie» conclude lo specialista.

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Per approfondimenti:

Corriere della Sera "Apnee nel sonno, ecco i fattori che predicono il rischio di infarti e ictus"

Il Messaggero "Apnea notturna, cuore a rischio: questi i primi segnali di allarme"

Corriere della Sera "I principali disturbi del sonno"

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Pubblicato in Informazione Salute

Oltre a un'azione diretta sulle cellule endoteliali, il Covid-19, induce una risposta infiammatoria scatenata dall'infezione, con aumento del pericolo di trombosi ed embolie, sia a carico delle arterie che delle vene. «Se è vero che i dati provenienti da tutto il mondo, a partire dalla Cina per giungere fino alle osservazioni dell'Istituto Superiore di Sanità sui decessi in Italia, indicano come la presenza di comorbilità cardiovascolari (ipertensione o cardiopatia ischemica in testa) rappresentano fattori di rischio specifici in termini di mortalità per i pazienti ricoverati per Covid-19, è altrettanto innegabile che l'infezione induce direttamente una serie di alterazioni nella coagulazione del sangue» spiega Claudio Cuccia, direttore del dipartimento Cardiovascolare della Fondazione Poliambulanza di Brescia.

«Nel nostro ospedale – continua Cuccia -, che vista l'elevatissima richiesta è particolarmente impegnato nel trattamento dei pazienti che hanno sviluppato l'infezione, stiamo appunto vedendo come proprio le problematiche cardiovascolari, anche in soggetti più “giovani”, sia spesso alla base di complicazioni al decorso del quadro, anche indipendentemente dalla situazione respiratoria. Non per nulla i dati dell'Istituto superiore di sanità sui decessi in Italia dicono proprio che nell'11,6% dei pazienti deceduti si è osservato un danno miocardico acuto, a riprova dell'interessamento cardiovascolare l'infezione». Insomma, il virus Sars-Cov-2-, porterebbe a uno squilibrio nelle vie della coagulazione, sia con una probabile azione diretta sconosciuta del virus sia attraverso l'infiammazione.

Problemi cardiovascolari, alterazioni e altri fattori

«Il nostro processo di coagulazione del sangue – precisa Cuccia - si svolge fondamentalmente attraverso due diverse vie: la prima, quella della fibrinolisi spontanea, porta al dissolvimento di possibili coaguli, l'altro termina invece con la formazione di fibrina, che è la costituente di base di un trombo». «L'infiammazione indotta dal virus – aggiunge il professore - e probabilmente un'azione non ancora compresa, ma legata alla presenza del Sars-Cov-2 , portano a uno squilibrio nella regolazione di questi sistemi, che nel soggetto normale operano in equilibrio». «A questa alterazione si aggiunge anche l'azione diretta del virus sull'endotelio delle arterie e il risultato finale del processo è un eccesso di coagulazione che si ripercuote in un incremento del rischio di formazione di trombosi arteriose e di tromboembolie venose. Sul piano clinico questo si può tradurre nel maggior rischio di comparsa di infarti del miocardio, anche in soggetti più giovani, e di embolie polmonari» conclude l’esperto.

A sostegno di tale ipotesi, la ricerca condotta dall'equipe di Ning Tang del Laboratorio del Tongji Hospital di Wuhan, su 183 pazienti con Sars-Cov2-19 in Cina, pubblicato su Journal of Thrombosis and Haemostasis. L’indagine dimostra come nell'11,5% dei soggetti deceduti è stato rilevato un aumento di un particolare parametro, il D-Dimero, rispetto a quelli che sono sopravvissuti. «Questo è un prodotto di degradazione della fibrina – sottolinea Claudio Cuccia - e quanto più è elevato, tanto più il sangue tende a coagulare all'interno dei vasi. Per questo, come accade per altre patologie, nella valutazione del paziente con Covid-19 e individuarne il rischio sotto questo aspetto, occorre prendere in considerazione uno score clinico definito Sofa che si basa sostanzialmente su quattro elementi: il valore del D-dimero, lo stato mentale alterato, la frequenza respiratoria (il cut off è fissato a partire dai 22 atti respiratori al minuto) e il livello della pressione arteriosa sistolica, cioè la massima, inferiore a 100 millimetri di mercurio».

Dall'infiammazione all'infarto miocardico

Tuttavia, oltre a queste alterazioni dell’apparato cardiovascolare, entrano in gioco anche altri fattori. «Covid-19 non ha le stesse conseguenze dell'influenza stagionale sul cuore» sostiene Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia (Sic) -. Infatti, secondo il presidente del Sic, il «Covid-19 può interessare il cuore con due diverse presentazioni: la prima con una predominate interessamento respiratorio con aumento dei marcatori di miocardionecrosi (cioè di morte delle cellule del miocardio, simili a quello che si osserva dopo un infarto) associato a un aumento degli indici di infiammazione sistemica. La seconda è, invece, un predominante interessamento cardiaco con anomalie all'elettrocardiogramma, dolore toracico tipico e/o ipotensione causata da una miocardite, cardiomiopatia da stress o un vero e proprio infarto miocardico». «Il rischio cardiovascolare è più alto dopo alcuni giorni dall'inizio dei sintomi di Covid-19» precisa Indolfi. In ultimo, ma non meno importante, soprattutto in questo periodo alle prese con pandemia e quarantena, la lotta a stress, ansia e depressione. Questi, sono tra i fattori di rischio cardiovascolare. Un studio pubblicato su The Lancet individua per la prima volta un collegamento diretto tra stress cerebrale e problemi cardiocircolatori: a fare da 'ponte', il sistema immunitario.

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Per approfondimenti:

Il Sole 24Ore "Covid-19, perché è pericoloso per la coagulazione e per il cuore"

Cronaca Torino "Coronavirus, da Fondazione Poliambulanza arriva il decalogo per i cardiopatici"

Corriere Nazionale "Coronavirus: dieci regole per i cardiopatici"

LEGGI ANCHE:

Coronavirus: stress, ansia e depressione. I 7 consigli anti-panico

 

 

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