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Un aiuto a prevenire allergie e malattie polmonari. Dal rafforzamento delle ossa alla prevenzione di malattie come il rachitismo e l'osteoporosi negli adulti, gli effetti benefici di questa vitamina vanno ben oltre. È la volta di una nuova indagine tedesca che enfatizza l’effetto positivo dell’ormone del sole per chi soffre di allergie. Secondo questo studio, la vitamina D potrebbe essere utilizzata in diversi modi, anche contro il raffreddore da fieno. Una vitamina che il nostro corpo è in grado di produrre grazie all’energia solare ci aiuta nella prevenzione di tante malattie autoimmuni e infettive. Tra le sue preziose funzioni, inoltre, quella di rinforzare il sistema immunitario e di ridurre le risposte infiammatorie. Tuttavia, le sue proprietà curative straordinarie non sono di certo una grande novità e ora, diverse pubblicazioni scientifiche mostrano anche un effetto positivo sulle reazioni allergiche. Senza trascurare poi che le varie allergie vanno sempre “a braccetto” e solitamente, come evidenziato da Deutsche Apotheker Zeitung, un’allergia è accompagnata quasi sempre da un’altra ad esempio come avviene con la febbre da fieno quando i sintomi si estendono fino alle basse vie respiratorie. E questa condizione, prima o dopo, porta inevitabilmente all’asma. Inoltre, questa sensibilità potrebbe poi favorire la neurodermite. Soprattutto in primavera poi, aumenta la cosiddetta rinite allergica, un’infiammazione della mucosa nasale, che sorge come reazione allergica da allergeni nell’aria. Questa è un’infiammazione della mucosa nasale, vale a dire una reazione allergica a un allergene nell’aria.

RINITE ALLERGICA, ecco come stare meglio cambiando stile di vita


Una scoperta scientifica che potrebbe dare sollievo nei casi di starnuti, lacrimazione degli occhi, problemi respiratori, tosse, prurito, eruzioni cutanee e persino disturbi gastrointestinali. Stop ai sintomi fastidiosi da imputare alla comune rinite allergica da pollinosi. Derivano tutti da un corto circuito del nostro sistema immunitario agli allergeni innocui. I dati registrati negli ultimi anni continuano ad aumentare. In Germania, come riportato dal Robert Koch Institute, oltre 3 milioni di persone soffrono di asma e più di 12 milioni di rinite allergica. Inoltre, dei dati Sulla salute degli adulti in Germania (DEGS1) mostra che l’asma è aumentata di circa il 51% negli ultimi anni. Inoltre, tra i più colpiti da questi fastidi anche il 50% dei bambini italiani. Ai quali gioverebbe sicuramente giocare qualche ora all’aperto, esposti alla lucere solare per contrastare l'ipovitamonosi D. Senza dimenticare poi che basse quantità di vitamina D sono correlate a patologie come l'obesità, il diabete, le malattie polmonari varie e altri problemi ossei. La conferma dei poteri benefici della vitamina D nella prevenzione dell'asma e delle infezioni respiratorie ricorrenti arriva anche dal Congresso nazionale Siaip (Società italiana di allergologia e immunologia pediatrica). 

 

vila velha pediatria pneumologia asma ilustracao 3

 


In età pediatrica la vitamina D serve per la crescita ed il benessere osseo, ma ha anche un effetto centrale nel modulare le funzioni del sistema immunitario - spiega Diego Peroni, ordinario di Pediatria Università di Pisa - Infatti, la vitamina D è in grado di interagire con diverse cellule del sistema immunitario, regolando la risposta agli agenti infettivi e modulando la risposta immunologica. Studi recenti hanno messo in luce che nei bambini asmatici la supplementazione con vitamina D riduce la frequenza degli episodi e favorisce un miglior controllo della patologia utilizzando naturalmente i farmaci di base antinfiammatori. Il deficit di vitamina D invece è spesso correlato ad un maggior numero di accessi ospedalieri per broncospasmo e a una maggiore necessità di terapia con corticosteroidi orali. Due importanti studi hanno ad esempio documentato che i neonati con bassi livelli di vitamina D nel sangue cordonale hanno maggiori rischi di sviluppare infezioni respiratorie e bronchiolite a tre mesi rispetto ai neonati senza deficit di vitamina D.

 

Un filo rosso con le reazioni allergiche

Al via con una nuova forma di trattamento per chi soffre di allergie. L’indagine tedesca ha esaminato un’eventuale relazione tra la carenza di vitamina D e la gravità delle allergie. I ricercatori hanno confrontato 49 partecipanti di età compresa tra 18 e 55 anni. Gli scienziati hanno anche lavorato con un gruppo di controllo. Tutti i partecipanti avevano diversi livelli di vitamina D nel loro organismo. Il risultato ottenuto dalla ricerca dimostra che con un quantitativo rilevante di vitamina D il rischio di raffreddore da fieno o allergie era nettamente inferiore. «E’ importante sapere che gli esseri umani acquisiscono solo il 10% della vitamina D con l’alimentazione e il 90% per sintesi dopo l’esposizione alla luce solare» spiega Michele Miraglia del Giudice, vicepresidente Siaip e professore associato di Pediatria all’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Presente in elevate concentrazioni in diverse tipologie di pesce del Nord come salmone, aringa, sgombro e sardine. Il nutriente si trova anche in uova, funghi, burro e fegato suino. Tra tutti, però, è sicuramente l'olio di fegato di merluzzo l'alimento che contiene il maggiore quantitativo di questo prezioso nutriente. Gli esperti comunque sottolineano come la fonte primaria di vitamina D per l'uomo non sia il cibo ma il sole e per questo è importante farne la scorta necessaria, sicuramente cominciando dall'alimentazione, ma anche con la tradizionale esposizione ai raggi UV e il supporto dell'integrazione. In sintesi, il team di ricercatori ha dimostrato, dati alla mano, che il livello di vitamina D nel corpo è fortemente correlato alle reazioni allergiche.

 ALLERGIE e INTOLLERANZE ALIMENTARI: come influisce lo stile di vita


L’asma bronchiale è una condizione caratterizzata da difficoltà respiratoria e restringimento delle vie aeree che conducono ai polmoni (che comprendono il naso, i passaggi nasali, la bocca e la laringe). In presenza di asma allergica su soggetti che cioè soffrono di allergie, le vie respiratorie bloccate o infiammate che causano i sintomi di solito possono essere curate con l’aiuto di alcuni cambiamenti nello stile di vita e con il prezioso contributo di questa vitamina-ormone. Al contrario, invece, l’asma è un tipo di patologia polmonare ostruttiva cronica (BPCO) ed anche legata alle allergie, sia stagionali/ambientali, sia alimentari. Difatti, tra le varie cause anche le diete a basso contenuto di sostanze nutritive. Seguire quindi un'alimentazione sana, ricca di antiossidanti e nutrienti, preferibilmente con cibi costituiti da proprietà con la capacità di inibire una reazione infiammatoria. Rigorosamente banditi a tavola: zuccheri e carboidrati! Peculiarità di questa patologia, i sintomi che tendono a manifestarsi improvvisamente in risposta a stimoli che irritano il sistema immunitario e il passaggio di aria, stato conosciuto come attacco d’asma o dispnea. Dispnea o affanno, sintomo tipico di questa patologia è un fastidio caratterizzato da respiro sibilante oltre alla percezione di una costrizione toracica accompagnata da episodi di tosse. Più o meno frequenti e gravi, questi attacchi possono, nella peggiore delle ipotesi, portare a decesso per insufficienza respiratoria, ovvero mancanza di ossigeno.

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Immunity "Lipid-Droplet Formation Drives Pathogenic Group 2 Innate Lymphoid Cells in Airway Inflammation"

Universität Bonn "Researchers suggest a special diet against asthma"

Il Messaggero "Una dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"

Ansa "Dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"

Il Giornale "Asma, una dieta con pochi carboidrati potrebbe essere di aiuto"

Di Lei "Dieta con pochi carboidrati: dimagrisci e potresti proteggerti dall’asma"

Centro Meteo Italiano "Dieta chetogenica, può avere effetti benefici nelle persone che soffrono di asma"

Di Lei "Dieta chetogenica: a chi fa bene"

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Pubblicato in Informazione Salute

Colpisce maggiormente chi ha il cuore malato. Quindi non solo i polmoni a differenza di quello che ci era stato detto fino a oggi. I dati sono riportati in uno studio condotto nel bresciano. Infatti, sono sempre più frequenti, nei soggetti positivi all’infezione da Sars-CoV-2, complicanze come infarti, embolie polmonari o, più in generale, di alterazioni di tipo trombo-embolico. Ad aggravare il quadro clinico già compromesso con il conseguente interessamento cardiaco sono i meccanismi legati alla tempesta infiammatoria e al rilascio di citochine, quindi, all'aumento della richiesta o al ridotto apporto di sangue al miocardio, a una diretta invasione miocardica del virus mediata dai recettori Ace2 o dall'ipercoagulabilità. In questi casi delicati, il coronavirus rischia di complicare un equilibrio circolatorio di per se instabile oppure innescare una vera e propria tempesta coinvolgendo la risposta infiammatoria e la coagulazione.

Questo è quanto emerge dalla ricerca condotta da Marco Metra, direttore dell'Unità di Cardiologia dell'ASST-Spedali Civili dell'Università di Brescia. L’indagine descrive per la prima volta il quadro clinico e la prognosi dei pazienti cardiopatici con infezione da Covid-19 e confronta i dati con quelli di altri pazienti senza patologia cardiaca. I risultati dello studio sono in pubblicazione sulla rivista scientifica European Heart Journal, la più accreditata a livello mondiale in ambito cardiologico. Ricordiamo che per cardiopatia si intende perqualsiasi malattia che interessa il cuore, strutturale (anatomico) o funzionale. Appartengono alla categoria delle cardiopatie per esempio le patologie che interessano le valvole del cuore (stenosi o prolasso), le malformazioni congenite e tutte quelle malattie che possono alterare il funzionamento della pompa cardiaca, compresi l’infarto miocardico e l’ischemia. Le cardiopatie si dividono in congenite, se presenti dalla nascita o acquisite, quando insorgono successivamente.

Fattori di rischio e patologie pregresse

Lo studia dimostra che «i soggetti con cardiopatia positivi al Covid-19 hanno una prognosi più critica di quella già grave dei non cardiopatici con polmonite da Covid-19. Tra le cause di mortalità sono state la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), eventi trombo-embolici, tra cui l'embolia polmonare, e lo shock settico» spiega Metra al Sole 24Ore. «Gli studi eseguiti su casistiche cinesi – continua l’esperto - avevano già suggerito la maggiore suscettibilità per polmonite da Covid-19 dei soggetti cardiopatici e la possibilità di un danno cardiaco in corso d'infezione». «In questo studio – evidenzia il direttore dell’Unità di Cardiologia dell’ASST -, per la prima volta, sono descritte sia le caratteristiche cliniche che i fattori di rischio per aumentata mortalità di questi pazienti: età, storia d'insufficienza cardiaca, storia d'insufficienza renale, diabete». «Viene anche confermato il significato prognostico di alcuni semplici parametri laboratoristici quali la creatininemia (parametro del sangue che indica la funzionalità renale), la troponina plasmatica (indice importante per la salute del cuore), la linfopenia (carenza di specifici globuli bianchi)» conclude il ricercatore.

Lo studio è stato condotto su 99 pazienti con polmonite da Covid-19, di cui 53 con problemi cardiaci e 46 senza patologie cardiache. Tra i pazienti cardiopatici coinvolti nell’indagine, il 40% aveva uno storico di insufficienza cardiaca, il 36%, una fibrillazione atriale e il 30% una cardiopatia ischemica. L’età media dei soggetti è 67 anni e l'81% di sesso maschile. Durante il ricovero, il tasso di mortalità è stato del 26%, mentre negli altri pazienti sono stati registrati eventi tromboembolici (il 15%), sindrome da distress respiratorio acuto (il 19%) e uno shock settico (il 6 %). Dal confronto tra pazienti cardiopatici e non è emersa la mortalità più alta dei primi, rispettivamente il 36% contro il 15%. E di conseguenza, anche un tasso di eventi tromboembolici e di shock settico più elevati: rispettivamente il 23 contro il 6% e il 11% contro lo 0%.

Vitamina C e risposta immunitaria nell'ARDS

Un lavoro che trova riscontro anche in un altro studio. L’autore, Alberto Boretti, esamina l’alta mortalità del Covid 19, la necessità di trovare misure efficienti e a basso costo per i pazienti in terapia intensiva e tutti quei meccanismi con cui il coronavirus arreca danno. E tra questi viene messa in evidenza anche la funzione virucida della tanto discussa vitamina C e l’azione immunomodulante e del completo controllo di quella che viene definita “tempesta di citochine” e dei vari indicatori di infiammazione. L’indagine di questo ricercatore italiano, infatti, esamina gli effetti della vitamina C per via endovenosa sulla risposta del sistema immunitario, le proprietà antivirali dell'IV Vit-C e infine le proprietà antiossidanti dell’acido ascorbico per affrontare in modo specifico le caratteristiche della tempesta di citochine della Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) che si verificano nel ciclo successivo della malattia infettiva SARS-CoV2. A Shanghai, il decremento del tasso di mortalità è stato ottenuto con la somministrazione di vitamina C per via endovenosa. Molti medici cinesi hanno confermato i risultati ottenuti dall’utilizzo della vitamina C contro il Covid-19. Pertanto, lo studio suggerisce di riesaminare urgentemente gli usi della vitamina C IV, pre e post infezione. Secondo gli esperti, infatti, l’acido ascorbico per via endovenosa aiuta a sviluppare una risposta del sistema immunitario più forte aumentando le attività antivirali.

COVID-19 e VITAMINA C: La resa dei conti

Secondo quanto riportato nella review “Intravenous vitamin C for reduction of cytokines storm in acute respiratory distress sindrome(Vitamina C endovena per la riduzione della tempesta di citochine nella sindrome da difficoltà respiratoria acuta) forse, «la riduzione della tempesta di citochine negli ultimi stadi dell'infezione da Covid-19 è l'applicazione più significativa di IV Vit-C». L’indagine evidenzia anche la complessità della polmonite da Covid-19 con il relativo tasso di morbilità e mortalità. Infatti, l’infezione provoca una grave lesione polmonare che sfocia poi nella Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), un disturbo polmonare potenzialmente letale. «Questo processo spiega Boretti nell’articolo - impedisce all'ossigeno necessario di entrare nei polmoni e alla fine provoca la morte». «I coronavirus – si legge nello studio - aumentano lo stress ossidativo che favorisce il malfunzionamento cellulare e alla fine provoca insufficienza d'organo».

Sicurezza ed efficacia del sovradosaggio di Vit-C IV

Questo processo che aiuta ad aumentare in modo considerevolmente lo stress ossidativo, a causa della generazione di radicali liberi e citochine porta, infine, a gravi lesioni cellulari e, nella peggiore delle ipotesi, anche alla morte. In base ai dati emersi fino ad ora, sembra evidente che la somministrazione di agenti antiossidanti insieme a terapie di supporto convenzionali collaudate svolga un ruolo importante nel controllo di un quadro clinico complesso come quello da SARS-CoV2. In ultimo, viene ribadita l’assenza di vaccini e farmaci antivirali adeguati per la pandemia e la conseguente importanza della vitamina C e altri antiossidanti, agenti estremamente utili nel trattamento clinico dell’ARDS. Lo studio conferma, infine, la sicurezza e l’efficacia di un sovradosaggio di vitamina C: «È importante sottolineare che la dose elevata di Vit-C IV è sicura ed efficace». «Qui esaminiamo – spiegano nel report - il principale meccanismo d'azione della Vit-C IV che aiuta a rafforzare il sistema immunitario, riduce la tempesta di citochine e inibisce i processi ossidativi, quindi, le proprietà antivirali saranno riviste, con particolare attenzione alla riduzione delle vie ossidative tipiche delle Covid19 ARDS».

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Per approfondimenti:

Il Sole 24Ore "Covid-19 e cardiopatia, uno studio italiano apre la strada alle future ricerche sull’infezione"

European Heart Journal "CAPACITY-COVID: a European registry to determine the role of cardiovascular disease in the COVID-19 pandemic"

European Heart Journal "Life-threatening cardiac tamponade complicating myo-pericarditis in COVID-19 "

Pharma Nutrition "Intravenous vitamin C for reduction of cytokines storm in acute respiratory distress syndrome"

U.S. National Library of Medicine "Use of Ascorbic Acid in Patients With COVID 19"

Treatment for severe acute respiratory distress syndrome from COVID-19

Medicine in Drug Discovery "Can early and high intravenous dose of vitamin C prevent and treat coronavirus disease 2019 (COVID-19)?"

New York Post "New York hospitals treating coronavirus patients with vitamin C"

Daily Mail "New York hospitals are treating coronavirus patients with high dosages of VITAMIN C after promising results from China"

National Cancer Institute  "High-Dose Vitamin C (PDQ®)–Health Professional Version"

Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936

Othomolecular "Shanghai Government Officially Recommends Vitamin C for COVID-19"

LEGGI ANCHE: Coronavirus, New York come Shanghai: somministrati alti dosaggi di vitamina C

Dopo New York, Palermo: al via con la sperimentazione di vitamina C ad alto dosaggio

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Una dieta chetogenica, a basso contenuto di carboidrati, potrebbe aiutare a lenire l'asma. Lo conferma uno studio dell'Università di Bonn pubblicato sulla rivista scientifica Immunity. Secondo la ricerca, condotta sulle cavie, che sono passate a questo tipo di regime alimentare, hanno registrato un’infiammazione notevolmente ridotta del tratto respiratorio. I pazienti asmatici, spiegano gli studiosi tedeschi, reagiscono con una grave infiammazione dei bronchi a basse concentrazioni di alcuni allergeni. Questo stato è anche accompagnato da una maggiore produzione di muco, che rende la respirazione ancora più difficile. Un ruolo centrale qui è svolto dalle cellule del sistema immunitario innato, linfoidi innate (ILC). Infatti, sono loro a svolgere un'importante funzione protettiva nei polmoni rigenerando le mucose danneggiate. Per questo producono messaggeri infiammatori dal gruppo di citochine, che stimolano la divisione cellulare della mucosa e che promuovono la produzione di muco.

Cellule linfoidi innate

"La prevalenza di asma è aumentata drammaticamente negli ultimi decenni forse, questo è anche correlato a una dieta sempre più comune ad alto contenuto di zuccheri e grassi", ipotizza Christoph Wilhelm, esperto di chimica e farmacologia clinica dell’Università di Bonn. I ricercatori hanno alimentato alcuni topi asmatici con una dieta a base di grassi e quasi priva di carboidrati o proteine. Con questo regime alimentare, noto anche come dieta chetogenica, il metabolismo cellulare cambia: le cellule ora ottengono l'energia di cui hanno bisogno per bruciare i grassi. Tuttavia, ciò significa che mancano di acidi grassi, di cui hanno bisogno per la formazione di nuove membrane durante la divisione cellulare. Secondo i risultati dell’indagine, una dieta chetogenica potrebbe prevenire l’infiammazione delle vie aeree, e quindi, attacchi di asma. Le cellule linfoidi innate (ILC) svolgono un ruolo importante nel controllo e nel mantenimento del sistema immunitario. Tuttavia, l'attivazione cronica di ILC si traduce in patologia immuno-mediata. Limitare il glucosio nella dieta alimentando i topi con una dieta chetogenica ha arrestato l'infiammazione delle vie aeree compromettendo il metabolismo degli acidi grassi e la formazione di goccioline lipidiche. Insieme, questi risultati rivelano che le risposte patogene di ILC2 richiedono il metabolismo lipidico e identificano la dieta chetogenica come una potente strategia di intervento per trattare l'infiammazione delle vie aeree.

Un piano dietetico-terapeutico

Lo studio condotto in Germania dimostra il successo di una cosiddetta dieta chetogenica. Quindi, una dieta ‘speciale’ potrebbe aiutare in alcuni casi di asma. I pazienti asmatici reagiscono anche a basse concentrazioni di allergeni con grave infiammazione dei bronchi. Questo è anche accompagnato da una maggiore produzione di muco, che rende la respirazione ancora più difficile. Un ruolo centrale qui è svolto soprattutto dalle cellule del sistema immunitario innato, di recente scoperta, le cellule linfoidi innate (ILC). Svolgono un'importante funzione protettiva nei polmoni rigenerando le mucose danneggiate. A tal fine producono messaggeri infiammatori dal gruppo di citochine, che stimolano la divisione delle cellule della mucosa e promuovono la produzione di muco. Questo meccanismo consente al corpo di riparare rapidamente ai danni causati da agenti patogeni o dalle sostanze nocive.  «Con l’asma, tuttavia, la reazione infiammatoria è molto più forte e più lunga del normale» spiega il professor Christoph Wilhelm, Institute for Clinical Chemistry and Clinical Pharmacology e membro del Cluster of Excellence ImmunoSensation dell’Università di Bonn, Germania. Lo studio si è focalizzato «sui processi metabolici attivi negli ILC quando passano alla modalità di riproduzione» sottolinea Fotios Karagiannis, altro autore dello studio. «Abbiamo cercato di bloccare queste vie metaboliche – aggiunge il collega di Wilhelm) - e, quindi, ridurre la velocità con cui le cellule si dividono». Vedi il grafico: L'immagine mostra due cellule linfoidi (ILC; i nuclei contrassegnati in blu), che hanno immagazzinato acidi grassi esterni in piccole goccioline di grasso (goccioline lipidiche, verde).

linfoidi e asma

La linea sottile tra asma e alimentazione

Con il termine asma si indica una patologia infiammatoria cronica delle vie aeree che si caratterizza per l'ostruzione, generalmente reversibile, dei bronchi. Come conseguenza del processo infiammatorio, essi si contraggono, si riempiono di liquido e producono un eccesso di muco, riducendo così nel complesso gli spazi disponibili per la libera circolazione dell'aria. Si spiegano, dunque, in questo modo manifestazioni quali mancanza o difficoltà di respirazione, tosse, senso di oppressione al torace e respiro fischiante o sibilante. In Italia, ne soffre il 5% degli adulti e circa il 10% dei bambini. A questi dati andrebbero poi aggiunti tutti quei casi in cui il soggetto non è consapevole di essere affetto da questa patologia. Ad oggi, non è ancora possibile definirne con certezza la causa. Tuttavia, esistono una serie di fattori di rischio che ne predispongono la comparsa. Studi dimostrano che la componente ereditaria incide per il 30-60%. Senza dimenticare poi, l'ipersensibilità a particolari sostanze, ma non solo, come polline, acari, inquinamento, fumo, betabloccanti e batteri. Questi, provocano un'infiammazione delle vie respiratorie e sono in grado di scatenare vere e proprie crisi asmatiche.

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È chiaro che una dieta chetogenica può essere una terapia efficace per alcune malattie. Ad esempio, i pazienti con determinate forme di epilessia sono trattati con questo metodo. E si dice anche che il cambiamento nella dieta sia anche d’aiuto con alcuni tumori. Lo dimostra lo studio "Ketogenic diets for drug-resistant epilepsy", presentato in occasione del Convegno “Dieta Chetogenica. In questo regime dietetico il 90% della razione alimentare è composta da lipidi, il 7% da proteine e solo il 2-3% da glucidi. All'opposto di quella mediterranea che prevede, in linea di massima, il 10% di proteine, il 65% di carboidrati e 25% di lipidi. La dieta chetogenica è una dieta che induce nell’organismo la formazione di sostanze acide definite "corpi chetonici" come il beta-idrossibutirrato, l’acido acetacetico e l’acetone. La produzione di corpi chetonici avviene quando si assume una quantità molto bassa o nulla di zuccheri ad esempio in caso di digiuno o di dieta molto ricca di grassi. In questo caso l’organismo e il cervello, in particolare, utilizzano i corpi chetonici come fonte di energia. La dimostrazione, già negli anni ’20 del Novecento, che il digiuno poteva sedare le crisi epilettiche ha portato alla messa a punto di un tipo particolare di dieta chetogenica che viene utilizzata nell’epilessia. Oggi, la dieta chetogenica è l’unico trattamento conosciuto per la sindrome da deficienza del Glut 1.

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Universität Bonn "Researchers suggest a special diet against asthma"

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