Sono oltre mille al giorno i casi di tumore in Italia e il 40% può essere prevenuto con uno stile di vita corretto e diagnosticato tempestivamente, prima, cioè, che si manifesti a livello clinico. Questi sono i dati presentati dall'Associazione Italiana Registri Tumori (Airtum). Nel 2019, in Italia, i tumori gastrointestinali hanno colpito circa 89.400 persone di cui 49.000 colon-retto. La diminuzione maggiore, nello specifico, 2.800 negli ultimi 5 anni (2014-2019), rispetto agli anni precedenti, si registra soprattutto nel cancro del colon-retto grazie al fondamentale ruolo della prevenzione. Ancora dati alla mano, un'altra ricerca, riportata nel libro di Adriano Panzironi, Vivere 120 anni: le ricerche, dimostra che «il cancro colorettale è la terza causa principale di morte per cancro negli Stati Uniti, con circa 143.000 nuovi casi diagnosticati e 52.000 decessi registrati ogni anno. Sebbene l'eziologia del cancro al colon sporadico rimanga in gran parte indeterminata, la dieta e altri fattori di rischio modificabili giocano indubbiamente un ruolo significativo».
«Cerchiamo di chiarire ulteriormente la relazione tra carico glicemico (GL) e tumore del colon in uno studio caso-controllo incidentale basato sulla popolazione del Kentucky, caratterizzato da un'alta incidenza di cancro del colon-retto. L’elevato GL provoca un aumento dei livelli circolanti d’insulina e fattori di crescita simili all'insulina (IGF). È stata proposta l'ipotesi dell'iperinsulinemia-cancro del colon, che implica che una dieta ricca di energia e carboidrati porta all'insulino resistenza, promuovendo così la carcinogenesi del colon. Diversi studi caso-controllo hanno riportato un'associazione significativa tra aumento del rischio di tumore del colon-retto, alto indice glicemico (GI) e GL dietetico. Un'alta dieta GL è stata ipotizzata per aumentare il rischio di cancro al colon. In effetti,il nostro studio ha rivelato un aumento del 61% nel rischio di cancro al colon confrontando il più alto rispetto al quartile più basso di GL dietetico tra i partecipanti. Il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto aumenta con l'età, con gli uomini a più alto rischio rispetto alle donne. È interessante notare che abbiamo riscontrato un aumento duplice del rischio di cancro associato a una dieta GL elevata nei partecipanti più anziani, ma solo un aumento modesto e non significativo del rischio nei partecipanti più giovani» spiega la ricerca.
Tra i principali alleati in questa lotta, i flavonoidi. Infatti, mangiare frutta e verdura è fondamentale. Già dimostrato negli studi condotti nell'ultimo ventennio, i ricercatori hanno scoperto di recente, in che modo, questi composti naturali di frutta e verdura, intervengono nella prevenzione del cancro. Ed è proprio l’acido 2,4,6-triidrossibenzoico, uno dei composti prodotti quando il corpo metabolizza o scompone i flavonoidi, che inibisce la crescita delle cellule tumorali in condizioni specifiche. Quindi, per prevenirlo forse basterà ridurre drasticamente nella dieta i carboidrati, cioè zuccheri e amidi. Da non trascurare poi, il fattore ereditario. Sappiamo bene, infatti, che il tumore al colon può avere una predisposizione genetica: può insorgere con maggiore frequenza in chi ha consanguinei con lo stesso tumore. Ma perché il tumore insorge in alcuni soggetti geneticamente predisposti e non in altri? Qual è la concausa non genetica? Qui i ricercatori si dividono: alcuni davano la colpa al microbioma dell'intestino, cioè la popolazione di batteri che lo colonizza; altri allo stile di vita e, in particolare, all'alimentazione. Bene, hanno ragione entrambi, la continua interazione fra genetica e ambiente viene confermata da Alberto Martin, immunologo dell'Università di Toronto, in Canada, sulla rivista scientifica Cell.
Almeno, questo è ciò succede nei topi, mammiferi onnivori come l'uomo. E se gli studi di Martin saranno confermati nell'uomo, chi teme il tumore al colon avrà finalmente a disposizione non una, ma due strategie per prevenirlo: ridurre la quota di carboidrati nell'alimentazione (zucchero, amidi, eccetera...) e selezionare accuratamente i batteri che vivono nel suo intestino. È noto che il tumore del colon è spesso associato a due mutazioni: la mutazione del gene APC che, nella sua forma non mutata, agisce come freno allo sviluppo anomalo delle cellule; e la mutazione del gene MSH2, che invece è un manutentore, cioè ripara i danni al materiale genetico. Di solito, però, la mutazione di un gene riparatore predispone a un maggior rischio per tutti i tumori: in questo caso invece la mutazione predispone all'aumento del solo tumore del colon e questo a Martin sembrava incomprensibile.
Un fattore, invece, che favorisce l’insorgenza del cancro del colon-retto è dovuto allo squilibrio nel microbiota intestinale, meglio conosciuto come disbiosi. «Tra i fattori di rischio spiccano familiarità, età e alcune patologie infiammatorie intestinali croniche - spiega in un'intervista al Corriere della Sera, Armando Santoro, direttore dell’Humanitas Cancer Center di Milano e direttore scientifico dell’Accademia Nazionale di medicina -. La maggior parte dei tumori deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi intestinali. I polipi in genere non provocano nessun sintomo e rimangono per anni o decenni sulle pareti intestinali senza che ce ne si accorga. Talvolta possono dare perdite di sangue nelle feci che meritano un approfondimento diagnostico con la colonscopia. Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Lo sono solo quelli definiti adenomatosi . Sedentarietà, eccessivo consumo di grassi animali, sovrappeso e obesità, fumo e abuso di alcolici sono tutti fattori associati a un aumentato rischio di ammalarsi. La familiarità resta comunque un fattore importante che deve indurre a fare controlli endoscopici anche prima dei 45-50 anni».
Sempre nell'intervista, l'esperto fornisce alcuni suggerimenti per prevenirlo. «Le regole sono: aumentare frutta e verdura, ridurre pane e cereali raffinati, patate, carne rossa, dolci e zucchero. E poi attività fisica regolare e stop a sigarette e alcol. Fondamentale è lo screening. La ricerca di sangue occulto nelle feci è consigliata a tutti dopo i 45 anni. La positività al test non indica di per sé la presenza certa di un tumore, perché può anche essere spia di altri problemi (per esempio emorroidi), però è un segnale che va approfondito. La raccomandazione è ricorrere alla colonscopia, esame che permette sia di individuare e rimuovere eventuali lesioni pretumorali, sia di evidenziare lesioni tumorali che vengono diagnosticate in modo corretto attraverso la successiva biopsia. In alcuni casi si può ricorrere alla cosiddetta colonscopia virtuale, basata sull’utilizzo della Tac. Si tratta di una tecnica di studio non invasiva che però non consente la rimozione di eventuali lesioni durante la sua esecuzione».
È qui che entrano in gioco i batteri e i carboidrati. Per individuare le loro responsabilità Martin ha usato topi predisposti al tumore perchè portatori delle stesse mutazioni che affliggono l'uomo. Li ha prima trattati con alte dosi di un cocktail di antibiotici (ampicillina, metronidazolo, neomicina e vancomicina) fin dalla gravidanza, riducendo così di 10 mila volte i batteri presenti nel loro colon. E già con questo intervento il ricercatore aveva ottenuto due risultati: il numero dei polipi, che di solito precorrono l'insorgere del tumore, si era ridotto di 2-6 volte, e i polipi stessi, osservati al microscopio, erano più benigni del solito. Il metronidazolo in particolare era l'antibiotico che più influiva sul numero dei polipi senza alterare troppo l'abbondanza del microbiota, a riprova che non tutti i batteri contribuiscono in ugual misura allo sviluppo del tumore del colon. Ma altri ricercatori avevano notato che lo sviluppo dei polipi nei topi non avviene dalla nascita, ma tra la terza e la sesta settimana di vita, quando vengono svezzati e passano all'alimentazione adulta. Questi studi hanno consentito a Martin di concentrare l'attenzione sulla dieta. Altri studi avevano messo i carboidrati sul banco degli imputati: uno in particolare, pubblicato a novembre del 2012 da un altro giovane ricercatore, Jeffrey Meyerhardt del Dana Farber Cancer Institute di Boston, Massachusetts, aveva dimostrato che il consumo di carboidrati influenza il rischio di ricadute nei pazienti con tumore al colon avanzato.
Per verificare l'ipotesi, Martin ha diviso i topi in due gruppi: a uno ha dato la solita dieta nella quale il 58% delle calorie era fornito da carboidrati; nella dieta dell'altro gruppo la quota calorica fornita dai caroidrati non superava il 7% del totale. La dieta con pochi carboidrati ha ridotto il numero di polipi in modo analogo a quanto avevano fatto gli antibiotici, e anch'essa ha agito sul microbiota: pur non alterandone l'abbondanza, come gli antibiotici, ne ha cambiato la composizione riducendo la presenza dei batteri che metabolizzano i carboidrati e produttori di acido butirrico, come i Firmicutes e i Clostridia. E pare che il brutto ceffo di questa storia sia proprio lui, il butirrato: quando i ricercatori hanno somministrato questo acido grasso ai topi trattati con antibiotico, sono aumentati sia la proliferazione cellulare sia i tumori nel piccolo intestino. Lo studio sembra insomma dimostrare che il cancerogeno sia il butirrato, metabolita prodotto dai batteri nalla digestione dei carboidrati, e che proprio lui induca l'abnorme proliferazione delle cellule nei topi geneticamente predisposti al tumore del colon. Tanto che Martin conclude: «Il nostro studio suggerisce che sia riducendo i carboidrati della dieta, sia cambiando la composizione della comunità batterica intestinale si potrebbe ottenere una riduzione del rischio di tumore al colon in chi è ereditariamente predisposto a questo tumore».
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Fonte: Focus
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