Continua a far parlare di se. Non solo un ormone fondamentale per mantenere il nostro organismo in perfetta salute, ma anche una valida strategia di prevenzione dal Covid. Al centro dei riflettori c’è ancora la vitamina D. Ormai consolidato il suo ruolo nella protezione delle ossa e nel rinforzo fornito al sistema immunitario, questo nutriente è molto importante per le sue innumerevoli capacità. Tra queste, riduce il rischio di cancro, protegge dal diabete, dalle malattie cardiovascolari e quelle autoimmuni. Circa l’80% viene prodotta dalla nostra pelle grazie ai raggi UVB, mentre la parte residua viene introdotta con l’alimentazione. Tanto discussa, soprattutto negli ultimi mesi, a seguito dei recenti studi circa una sua correlazione ed eventuale efficacia nel contrasto dell’infezione da SARS-CoV-2. Primo tra tutti, lo studio condotto da due ricercatori dell’Università di Torino sulla necessità di adeguati livelli di questa vitamina, soprattutto negli anziani. Questo perché, nell’indagine condotta dagli esperti, ma non solo, la carenza di questa vitamina viene associata a un aumento delle infezioni, da qui le complicanze riscontrate nei soggetti positivi al coronavirus con un deficit di questo nutriente.
A far luce sulla vicenda, interviene il dottor Giuseppe Russo, medico di base presso l’ASL Napoli 1 che in un’intervista a Napoli Today spiega l’importanza della vitamina del “sole”.
«Quella che comunemente chiamiamo "vitamina D", in realtà appartiene ben poco al gruppo delle vitamine, bensì, per struttura chimica (steroidea) e per funzione, è un pro-ormone. I pro-ormoni non sono altro che dei precursori della sintesi degli ormoni». «1/3 del nostro fabbisogno giornaliero di vitamina D – continua l’esperto nell’intervista - proviene dagli alimenti (pesce azzurro, tuorlo d’uovo, latte e formaggio), la restante parte si forma nella pelle attraverso l’esposizione ai raggi solari, e viene immagazzinata nel fegato e nel tessuto adiposo. Gli effetti sono molteplici e svariati. Quelli più noti riguardano la crescita ossea, l’allattamento e la gravidanza. Tuttavia molti studi hanno evidenziato che una sua carenza è spesso associata a diversi tipi di malattie, quali diabete, infarto, morbo di Alzheimer, allergie, sclerosi multipla, obesità e riduzione del tono dell’umore». Poi, evidenzia ancora Russo, la sua possibile correlazione tra Covid.19 e ipovitaminosi D: «L’integrazione della vitamina D, anche in dosi generose, nel contagio da COVID 19, è giustificata dalla sua azione di modulazione del processo infiammatorio e di regolazione del sistema immunitario. Un suo uso preventivo, però, per essere efficace, non può prescindere da un corretto e puntuale dosaggio della sua concentrazione nel sangue».
Un dibattito che va avanti dall’inizio della pandemia e sembra essere in dirittura d’arrivo. Insomma, il rapporto tra Covid e vitamina D continua a far discutere gli esperti e nel frattempo aumentano le tesi a favore. «L’integrazione di questa vitamina, in presenza dell'infezione da SARS-CoV-2, è dovuta alla sua azione di modulazione del processo infiammatorio e di regolazione del sistema immunitario» precisa nell’intervista. E poi raccomanda: «Se vi è carenza, può essere integrata a qualsiasi età». Nel dubbio, il governo inglese ha deciso di seguire l’esempio della Scozia e somministrare la vitamina D alle fasce più rischio, nel rispetto delle linee guida stabilite dal National Institute for Health and Care Excellence e dalla Public Health. In attesa del vaccino, quindi, saranno così rafforzate le difese immunitarie di anziani e persone con gravi patologie che hanno manifestato questa carenza. Nel mare magnum di evidenze scientifiche che hanno conquistato le prime pagine di riviste e quotidiani c’è anche una testimonianza importante. Quella che Pier Luigi Rossi, specializzato in Scienza dell'Alimentazione, racconta in un’intervista al Corriere di Arezzo.
L'importanza della vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi
«Con questa malattia non si dorme, si suda e si ha una sensazione di caldo continuo. Il virus entra con il respiro nei polmoni e poi tramite il sangue si diffonde in tutti gli organi, compreso il cervello dove attacca i neuroni provocando appunto insensibilità ai sapori e agli odori. Si localizza molto anche nell'intestino, provocando vari disturbi dalla diarrea alla stipsi. C'è un collegamento diretto tra il microbiota polmonare e quello intestinale. E mantenendo sano e attivo quello intestinale, rendiamo più reattivo anche quello polmonare, ovvero capace a reagire ai vari batteri e virus». Una battaglia contro il Covid che il dottor Rossi ha combattuto e vinto grazie anche a un corretto stile di vita e alimentare. «Io non ho fatto terapia farmacologica – spiega l’esperto - né terapia per controllare la febbre che per fortuna solo una volta mi è salita a 38. Ha applicato tutte le norme anti contagio e tanto riposo in casa. Ho fatto ossigeno terapia con semplici esercizi di inspirazione ed espirazione. Per fortuna ho un parco e mi sono esposto a lungo ai raggi del sole per aumentare la vitamina D, aiutata anche con l'inserimento di 8/10 gocce al giorno di questa vitamina. E poi ho praticato un'alimentazione studiata apposta per superare gli attacchi all'organismo da parte del Covid».
Dopo aver superato la malattia, poiché in ognuno di noi, non muta il virus, ma cambia la reazione nell’organismo in base alle difese immunitarie, consiglia a tutti di fare la massima attenzione senza abbassare mai la guardia! Difatti, le evidenze scientifiche relative alla correlazione tra vitamina D e Covid erano già emerse a inizio pandemia. Infatti, tra le sue principali capacità emerge proprio quella che contribuisce a rafforzare il sistema immunitario e a proteggere dalle infezioni respiratorie. Inoltre, l’ipovitaminosi D rimane tra i principali fattori che aumentano il rischio di contrarre di virus. A questo interessante dilemma, infatti, fanno eco altre indagini condotte in questi mesi, che hanno evidenziato l’importanza di questa sostanza.
Il mio medico - Tutti i benefici della vitamina D
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Per approfondimenti:
Napoli Today "Vitamina D e prevenzione del Covid-19, qual è la connessione: risponde l’esperto"
Corriere di Arezzo "Arezzo, il medico Pier Luigi Rossi guarito dal Covid: "Come l'ho preso e come mi sono difeso con vitamina D e dieta mirata"
Il Giornale "La Vitamina D ci salverà dal Covid?"
The Guardian "Add vitamin D to bread and milk to help fight Covid, urge scientists"
ANSA "Covid: carenza vitamina D per oltre 80% pazienti ricoverati"
Queen Mary University "Clinical trial to investigate whether vitamin D protects against COVID-19"
ISS "COVID-19: la vitamina D potrebbe cooperare con l’interferone nella risposta antivirale"
Today "Coronavirus e Vitamina D: la ricerca sull'olio di merluzzo e Covid-19"
Journal of American Medical Association Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19"
Università di Torino "Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19"
Leggo "Covid, 8 pazienti su 10 ricoverati in ospedale erano carenti di vitamina D"
Giornale di Brescia "Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti ricoverati"
Corriere del Ticino "Carenza di vitamina D nell’80% dei pazienti COVID"
JAMA Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"
Corriere della Sera "La carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo in Covid-19?"
AGI "Le carenze di vitamina D potrebbero aumentare la vulnerabilità al Covid"
Fanpage "La vitamina D riduce il rischio di COVID-19, lo conferma un nuovo studio"
Dire "Il 60% dei bambini ha carenza di vitamina D"
Corriere Nazionale "Il 60% dei bambini soffre di carenza di vitamina D"
Huffington Post "Bagni di sole e camminate nei boschi per difendervi dal virus. I consigli del Trinity College"
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Mentre il Regno Unito ha disposto la distribuzione di vitamina D a tutta la popolazione, nel resto del mondo parallelamente, sono in corso una trentina di studi volti a indagare l’incidenza dell’ipovitaminosi D sul Covid e l’importanza di questo prezioso nutriente nel trattamento dell’infezione stessa. Per vitamina D si intende una sostanza che non può essere prodotta dall'organismo, e quindi, deve essere assunta dall'esterno e agisce a distanza sul piano metabolico. Ciononostante il nostro organismo produce vitamina D tramite i raggi solari che irradiano la cute. Una piccola parte poi, seppur insufficiente, può essere assunta con gli alimenti. Tuttavia, l’unica fonte quindi è il sole che una volta entrato tramite la pelle, viene accumulata nel nostro tessuto adiposo e poi viene immagazzinata e rilasciata lentamente durante l’anno, soprattutto in inverno. I suoi importanti effetti a livello immunitario era confermati già nell’Ottocento quando, per contrastare la tubercolosi, le persone venivano esposte al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi erano maggiormente esposti ai raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di tubercolosi o guarivano più velocemente. Dopo l’appello lanciato da un gruppo di scienziati inglesi al governo di Londra, riportato sul The Guardian anche nel nostro Paese è stata approfondita questa correlazione: Maria Cristina Gauzzi e Laura Fantuzzi del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto superiore di sanità hanno ribadito, in linea con gli altri colleghi, che adeguati livelli di vitamina D al momento dell'infezione da coronavirus potrebbero favorire l’azione protettiva dell’interferone di tipo I (uno tra i più potenti mediatori della risposta antivirale dell’organismo) e rinforzare l'immunità innata. Adesso, invece, nel Regno Unito è in corso una vasta sperimentazione clinica sul rapporto “Covid/vitamina D”, che coinvolge oltre 5 mila persone.
Sulla distribuzione del virus nelle regioni italiane emerge una nuova tesi. «Ho avuto l’intuizione di andare a vedere con qualche sistema possibile se le diverse regioni italiane differivano in quanto a radiazioni solari per poi quantificarle e correlare i dati clinici del Covid per trovare una corrispondenza» spiega in un’intervista a Il Giornale Giancarlo Isaia, autore di una recente indagine sugli effetti della vitamina D e su una sua correlazione con il Covid. nel maggio scorso, Isaia, insieme al collega Enzo Medico, docente dell’Università di Torino, avevano parlato dei notevoli benefici della vitamina D come alleata nel contrasto alla pandemia. Lo studio dei ricercatori mostrava come molti pazienti ricoverati per Covid presentavano gravi carenze di vitamina D. «Ho chiesto aiuto per farlo ai fisici dell’Arpa (l’Agenzia Regionale per la protezione Ambientale) – continua l’esperto - in particolare il dottor Henri Diémoz che ha estrapolato questi dati da alcuni di satelliti chiamati Themis che girano intorno alla terra mandando dati meteorologici. Per essere sicuri che fossero precisi, sono stati confrontati con quelli a terra per vedere se coincidevano ed è venuta fuori una correlazione perfetta. Confortati da questo, abbiamo preso tutti questi dati delle radiazioni ultraviolette e le abbiamo correlate con i morti, con il numero degli infetti e degli infetti per tampone. Il risultato è stata un correlazione molto alta, l’83% circa che ci confermava che dove i raggi ultravioletti erano più bassi, ad esempio Lombardia e Piemonte, c’era maggiore incidenza del virus e dei decessi». «Per questo, abbiamo realisticamente ipotizzato che quelli che sono stati più al sole e che quindi hanno accumulato più vitamina D da spendere nei mesi invernali, sono stati in qualche modo protetti» conclude Isaia. Ovviamente per uno studio più accurato sono state considerate anche tutta una serie di altre variabili come l’età media della popolazione coinvolta, l’incidenza di malattie cardiovascolari e di diabete, ma nonostante queste variabili fossero significative, il fattore predominante rimaneva sempre quello dei raggi ultravioletti che occupava circa l’80% della statistica di tutte le variabili. Questo spiegherebbe anche perché nella prima ondata della pandemia siano state, seppur in parte, “risparmiate” le zone del sud del mondo dove c’è stato un tasso di incidenza di scarso del coronavirus.
Gli effetti della vitamina D sono noti da tempo, per questo, nel Regno Unito è partita la somministrazione ad ampio raggio come trattamento e come forma di prevenzione al Covid. «L’enorme letteratura scientifica sui benefici del sole – evidenzia l’esperto nell’intervista a Il Giornale - , ha inciso in termini culturali da sempre sui paesi del nord, che hanno visto delle vere e proprio migrazioni di massa verso l’Italia o in Spagna. Forti di questo retaggio da sempre hanno ritenuto opportuno, e maggiormente ora, fornire la vitamina D a tutta la popolazione». Giancarlo Isaia poi spiega l’influenza del sole, e quindi, dei raggi ultravioletti sul Covid: «Esiste uno studio che dice che il virus viene inattivato dai raggi ultravioletti. Quindi fa bene alla pandemia per due motivi: il primo perché inattiva il virus direttamente sulle superfici, quindi questo può spiegare il fatto che durante l’estate c’è stato il crollo della mortalità, il secondo è l’aspetto della vitamina D. La nostra ipotesi è questa: durante l’inverno nella prima ondata gennaio/maggio, si sono protetti di più quelli che avevano preso e immagazzinato nel semestre precedente più sole e quindi vitamina D, mentre invece in estate ne hanno beneficiato un po’ tutti perché chi più chi meno sono andati al mare o sono stati all’aria aperta. Dopo le vacanze i morti sono ricominciati a salire, un po’ meno rispetto a gennaio perché abbiamo ancora vitamina D immagazzinata nella cute, però se non facciamo niente i morti continueranno ad aumentare e questo voglio dirlo forte e molto chiaramente». L’esperto suggerisce, inoltre, di promuovere la somministrazione di vitamina D a tutti i pazienti più a rischio e di prendere anche in considerazione il valido supporto fornito dagli integratori alimentari che sono consigliati anche ai bambini: «Assolutamente sì – raccomanda Isaia -, anche se dovremo maggiormente pensare alla fascia di popolazione anziana perché è in quella che si concentrano di più i morti. Se guardiamo le tabelle del Ministero della Sanità possiamo vedere che nella fascia 70/90 anni, l’incidenza è dell’85%. Secondo me se anche in Italia si distribuisse, soprattutto agli anziani sarebbe una cosa molto importante».
AL'importanza della vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi
«La vitamina D è fondamentale per il nostro sistema immunitario perché coordina l’attività di tutte le sue cellule: sia quelle coinvolte nell’immunità innata che quelle dell’immunità adattativa» spiega Christian Orlando, biologo. «Il recettore per la Vitamina D – continua l’esperto - è particolarmente sviluppato nelle cellule del sistema immunitario. L’azione della Vitamina D è quella di modulare la risposta del nostro sistema immunitario ad esempio riduce il rischio di allergie, aumenta la protezione verso le infezioni ed ha anche un ruolo importante nella prevenzione delle patologie autoimmuni». Inoltre, evidenzia Orlando: «La letteratura scientifica, infatti, ha confermato la capacità della vitamina D di agire sulle cellule immuno-competenti, attivandole e studi recenti dimostrano come i livelli ematici di vitamina D influenzino la funzionalità dei macrofagi, cellule dell’immunità innata. A livello polmonare, in particolare, la presenza di un virus o batterio attiva i macrofagi, che inviano stimoli per promuovere l’attivazione della vitamina D e l’espressione dei suoi recettori VDR: in questo modo induce la produzione di citochine e varie molecole coinvolte nell’infiammazione, con lo scopo di eliminare il microrganismo invasore». «Per quanto riguarda l’immunità adattativa, invece la vitamina D, accumulata nelle cellule del tessuto adiposo (gli adipociti), passa nel circolo linfatico e raggiunge i linfonodi. Qui lega i propri recettori VDR all’interno dei linfociti B, stimolando la produzione di anticorpi» conclude il biologo.
Le evidenze scientifiche relative alla correlazione tra vitamina D e Covid erano già emerse a inizio pandemia. Infatti, tra le sue principali capacità: rafforza il sistema immunitario e protegge dalle infezioni respiratorie. Inoltre, l’ipovitaminosi D rimane tra i principali fattori che aumentano il rischio di contrarre di virus. A questo interessante dilemma fanno eco altre indagini condotte in questi mesi, che hanno evidenziato l’importanza di questa sostanza:
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