Non solo per le ossa. Tra le altre peculiarità quella di dimezzare il rischio di cancro al colon retto. Altra scoperta importante, tra le notevoli proprietà della vitamina D anche un valido supporto nella lotta contro il tumore. È la recente scoperta di un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell’Università di Harvard che incrociando i dati sull’assunzione di vitamina D, sviluppo di polipi intestinali e cancro al colon retto in 95mila donne ha dimostrato che l’assunzione di circa 300 UI al giorno di vitamina D è in grado abbattere di circa il 50% il rischio di sviluppare il cancro intestinale. Una riduzione significativa associata al consumo di vitamina D che diminuisce notevolmente le possibilità di sviluppare questa malattia soprattutto nelle persone con meno di 50 anni. Secondo il nuovo studio, nessun miracolo, ma solo un quantitativo giornaliero pari almeno a 7,5 milligrammi. Già in passato altre indadini di laboratorio avevano trovato un legame tra la patogenesi del diffuso cancro intestinale, uno dei principali “big killer” in Italia e nel mondo e la vitamina D, tuttavia, questa è la prima ricerca a trovare un'associazione così rilevante tra il rischio di sviluppare la neoplasia e l'assunzione della vitamina, in particolar modo da fonti alimentari.
Tutte le proprietà benefiche della VITAMINA D per stare bene
A condurre il nuovo studio un team di ricerca internazionale guidata da scienziati della prestigiosa Scuola di Salute Pubblica “T.H. Chan” dell'Università di Harvard in collaborazione con i colleghi del Dana-Faber Cancer Institute, del Dipartimento di Chirurgia dell'Università di Washington, della Clinical and Translational Epidemiology Unit del Massachusetts General Hospital, dello Yale Cancer Center e di altri istituti. I ricercatori, coordinati dal professor Edward L. Giovannucci, docente presso il Dipartimento di Epidemiologia dell'ateneo di Boston, sono giunti a queste conclusioni dopo aver messo a confronto il consumo di vitamina D, l'emersione di polipi precancerosi e del cancro al colon-retto in circa 95mila donne, con un'età compresa tra i 25 e i 42 anni. Durante il periodo oggetto dell’indagine ovvero, tra il 1991 e il 2015 l’équipe di ricercatori ha registrato 111 casi di cancro del colon-retto (tutti sotto i 50 anni) e 3.317 polipi del colon-retto (precursori della malattia maligna). Dallo studio è emerso che le donne che assumevano un maggiore quantitativo di vitamina D avevano un rischio sensibilmente ridotto di polipi e cancro al colon retto. L'assunzione totale di vitamina D è stata calcolata aggiungendo l'assunzione di vitamina D nella dieta e l'assunzione supplementare di vitamina D da integratori e multivitaminici specifici della vitamina D.
La vitamina D ha un'attività nota contro il cancro del colon-retto in studi di laboratorio. Poiché la carenza di vitamina D è aumentata costantemente negli ultimi anni, ci siamo chiesti se ciò potesse contribuire all'aumento dei tassi di cancro del colon-retto nei giovani individui - spiega in un comunicato stampa la professoressa Kimmie Ng, direttrice dello Young-Onset Colorectal Cancer Center del Dana-Farber Institute. - Abbiamo scoperto che l'assunzione totale di vitamina D di 300 UI al giorno o più, approssimativamente equivalente a tre bicchieri di latte, era associata a un rischio inferiore di circa il 50 percento di sviluppare il cancro del colon-retto a esordio giovanile. I nostri risultati supportano ulteriormente che la vitamina D può essere importante nei giovani adulti per la salute e possibilmente nella prevenzione del cancro del colon-retto.
Vitamina D, un prezioso alleato ricco di proprietà e benefici
L'incidenza del cancro del colon-retto tra gli adulti di età inferiore ai 50 anni è in aumento. Poiché l'eziologia del cancro del colon-retto ad esordio precoce rimane in gran parte sconosciuta, stabilire i suoi fattori di rischio è essenziale per guidare la prevenzione. Quindi, garantire un'adeguata assunzione di vitamina D potrebbe essere raccomandato come strategia per la potenziale prevenzione del cancro del colon-retto, soprattutto per i giovani adulti. Difati, si prevede che entro il 2030, quasi l'11% dei tumori del colon e il 23% dei tumori del retto si verificheranno tra gli adulti di età inferiore ai 50 anni. Rispetto al CRC diagnosticato dopo i 50 anni, il CRC a esordio precoce (definito come CRC diagnosticato prima dei 50 anni) viene tipicamente diagnosticato in uno stadio più avanzato, probabilmente a causa di ritardi nella diagnosi e un comportamento potenzialmente più aggressivo relativo alle diverse caratteristiche clinicopatologiche. Poiché una parte sostanziale dei pazienti con CRC ad esordio precoce non ha una storia familiare di CRC o sindrome ereditaria si ipotizza che i recenti cambiamenti nei fattori dello stile di vita e nei modelli dietetici scorretti contribuiscano alla crescente incidenza di CRC ad esordio precoce. Recentemente, i ricercatori hanno riscontrato anche un'associazione significativa con i comportamenti sedentari.
L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi
Fondamentale per rafforzare il sistema immunitario ed evitare sintomi di stanchezza o debolezza muscolare c’è la vitamina D. Aiuta a mantenere livelli ottimali di calcio nel sangue, fa bene ai reni e al sistema cardiovascolare. Il consiglio, soprattutto per affrontare l'autonno e preparsi all'arrivo mesi invernali, è quello di aumentare l’assunzione di alimenti che ne contengono grandi quantità come pesci grassi: salmone, acciughe e sgombro, ma anche uova, fegato e funghi.
La vitamina D, che sappiamo essere contenuta in pochi alimenti come latte, formaggi, tuorlo d’uovo, olio di fegato di merluzzo, pesci grassi (come sgombro, sardina, salmone) – spiega la nutrizionista nell’intervista alla Gazzetta Act!ve -, ma la abbiamo soprattutto esponendoci al sole, oppure attraverso integrazioni. Un livello di vitamina D basso porta anche ad una maggiore predisposizione ad alcune patologie come la dermatite atopica o il morbo di Crohn: alti livelli di vitamina D riducono le recidive e tengono sottotono la parte acuta di queste patologie. Questo nutriente è, infatti, indispensabile per rafforzare la risposta immunitaria contro gli attacchi esterni, ma anche per rendere più forti e sani sia i denti che le ossa. Inoltre favorisce la prevenzione di numerose malattie cronico-degenerative oltre al metabolismo del calcio. La vitamina D è quasi sempre insufficiente e spesso va integrata separatamente. Proprio per questo può essere assunta come alimento solo in minima parte, il resto è prodotto grazie all’esposizione alla radiazione solare, in particolare ai raggi UVB. Quindi, non dimentichiamo di stare al sole il più possibile per fare il pieno di questa preziosa vitamina.
Sintomi e cause di un’ipovitaminosi D, come riconoscerla.
La vitamina D in sé quando è carente non dà segnali evidenti. Ma dal momento che la sua azione principale è l’assorbimento del calcio, in caso di carenze gravi si possono avere i sintomi tipici di una ipocalcemia, come formicolii e parestesie alle mani e ai piedi. Anche una propensione alle fratture può essere un segnale in questo senso, come pure l’astenia, la debolezza muscolare e la conseguente facilità alle cadute, poiché la vitamina D ha funzioni extrascheletriche, sul muscolo». «Con un semplice esame del sangue che misuri i livelli di calcifediolo o 25 idrossivitamina D. Livelli inferiori ai 20 nanogrammi per millilitro indicano una carenza di vitamina D». «Le cause possono essere molteplici, ma quella principale è, appunto, la ridotta esposizione al sole. La gran parte della vitamina D che serve all’organismo viene prodotta dalla pelle sotto forma di vitamina D3 o colecalciferolo (la forma inattiva della vitamina D), in risposta alle radiazioni solari. Come abbiamo visto parlando del possibile legame tra deficit di vitamina D e Covid, lo stile di vita attuale, che ci vede sempre più in luoghi chiusi, è un fattore di rischio in questo senso. Per questo il consumo di cibi addizionati di vitamina D può essere risolutivo, soprattutto a livello di popolazione generale, come sanno i Paesi del Nord Europa, in cui questa è una consuetudine consolidata e il deficit di vitamina D è meno diffuso che nei Paesi del Mediterraneo.
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Per approfondimenti:
Gastroenterology "Total Vitamin D Intake and Risks of Early-Onset Colorectal Cancer and Precursors"
Fanpage "La vitamina D può dimezzare il rischio di cancro al colon retto in chi ha meno di 50 anni"
PubMed "Burning mouth syndrome: results of screening tests for vitamin and mineral deficiencies, thyroid hormone, and glucose levels-experience at Mayo Clinic over a decade"
Fanpage "Questo sintomo sulla lingua potrebbe suggerire una carenza di vitamina D"
Manuale MSD "Carenza di vitamina D"
La Repubblica "Glossolandia"
National Institutes of Health "Vitamin D"
The American Journal of Clinical Nutrition "Vitamin D and calcium supplementation reduces cancer risk: results of a randomized trial"
Asco Meeting Library "Clinically sufficient vitamin D levels at breast cancer diagnosis[...]"
Gazzetta Active "Carenza di vitamina D: ecco perché è facile averla. Come diagnosticarla ed evitarla?"
Il Giornale "Come fare il pieno di vitamina D in estate"
Fondazione Veronesi "Sette italiani su dieci sono sotto i livelli minimi di questo prezioso micronutriente con grave rischio di osteoporosi"
La Repubblica "Un mare di bellezza"
Il Giornale "Tintarella salvavita: da 15' di sole vitamina D come 100 uova"
Ansa "Salute: importante ruolo vitamina D in infartuati"
Meteo Web "Infarto, importante ruolo della vitamina D: una carenza può aumentare il rischio"
Fanpage "Cancro, vitamina D e Omega-3 riducono il rischio di morte e infarto"
Quotidiano di Ragusa "Carenza di vitamina D? A rischio infarto"
Meteo Web "La vitamina D può aiutare a prevenire l’insufficienza cardiaca dopo un infarto"
Onco News "Legame tra infarto miocardico e deficit di Vitamina-D"
Huffington Post "Bagni di sole e camminate nei boschi per difendervi dal virus. I consigli del Trinity College"
Vanity Fair "Mega-dosi di vitamina C contro il cancro: il nuovo studio"
La Stampa "Le “bombe” di vitamina C potenziano le difese e l’immunoterapia anti-cancro"
Giornale di Sicilia "Tumori, uno studio conferma: Mega dosi di vitamina C endovena aiutano a difendersi"
Di Lei "Uno studio dimostra che la Vitamina C è efficace contro il cancro. Ma solo ad alte dosi"
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La via del sole: la vitamina-ormone di cui non possiamo fare a meno
Bruciore, intorpidimento e formicolio di lingua e bocca. Sono questi i principali sintomi della sindrome della bocca urente molto frequente tra la popolazione. Una patologia che sembrerebbe correlata a una carenza importante. Difatti, una recente indagine condotta da un team di ricerca della Mayo Clin ha dimostrato, analizzando le analisi di circa 700 pazienti affetti da questo fastidioso disturbo che una delle condizioni più diffuse era proprio l’ipovitaminosi D ovvero, la carenza di vitamina D, un pro-ormone che si sintetizza principalmente attraverso l’esposizione solare, l’integrazione e, seppur in misura minore, con l’alimentazione. Associata soprattutto alle fratture, ma anche alla modulazione del sistema immunitario e all’aumento del rischio di infezioni. Insomma, avere livelli adeguati di vitamina D è sicuramente importante per la salute.
Glossodinia, nota anche con i nomi di sindrome della bocca urente o bruciante è una condizione patologica per la quale si riscontra un dolore intenso, percepita lungo i bordi o sulla punta della lingua, simile a quello provocato da un'ustione, a livello del cavo orale. Una sensazione anomala e spiacevole, dovuta all’azione di un agente che compromette l’integrità somatica o suscitata dallo stato di sofferenza anatomica o funzionale di un organo. Le parti colpite possono essere la lingua, le labbra, gengive, guancia, palato o l'intera bocca. Bersagliate da questa sindrome prevalentemente le donne in un'età compresa tra i 50 ed i 70 anni. La glossodinia può essere dovuta a una glossite o a un’irritazione della lingua causata da denti in cattivo stato o legata a un fattore psicologico. Inoltre, la sua forma “esfoliativa” è caratterizzata da lingua arrossata e dolente e si verifica in alcuni stati carenziali. Insomma, la sindrome della bocca ardente (BMS) è un disturbo le carenze di vitamine o minerali possono avere un ruolo nell’insorgenza di questo fastidio.
Generalmente, la carenza di vitamina D è causata dalla mancata esposizione alla luce solare. Tuttavia, anche alcuni disturbi possono causare la carenza. Tra le cause più comuni, oltre ad alcune malattie anche un’alimentazione poco bilanciata. Infatti, in condizioni di ipovitaminosi D, si manifestano in primis dolori osteo-muscolari, debolezza muscolare e fragilità ossea. Una condizione che non colpisce solo gli anziani poiché anche i neonati sviluppano il rachitismo: il cranio è molle, le ossa crescono in modo anomalo e hanno difficoltà a sedersi e a gattonare. Per scongiurare questi rischi sarebbe buona abitudine fin dalla nascita, somministrare integratori di vitamina D ai neonati. Due forme indispensabili per la buona salute: la vitamina D2, o ergocalciferolo, viene sintetizzata dalle piante e dai precursori del lievito, ed è anche la forma generalmente usata negli integratori ad alto dosaggio; mentre la vitamina D3, o colecalciferolo, è la forma più attiva di vitamina D e si origina nella pelle quando questa viene esposta alla luce diretta del sole. Le fonti alimentari più comuni sono l’olio di fegato di pesce e il pesce grasso. Le vitamine D2 e D3 non sono attive nell’organismo. Entrambe le forme devono essere elaborate (metabolizzate) nel fegato e nei reni in una forma attiva chiamata vitamina D attiva o calcitriolo. Questa forma attiva stimola l’assorbimento di calcio e fosforo nell’intestino. Il calcio e il fosforo, due minerali, vengono assorbiti nelle ossa per renderle resistenti e dense (danno origine a una processo chiamato mineralizzazione). Utilizzata per trattare psoriasi, iperparatiroidismo e osteodistrofia renale. Si è dimostrata poi un trattamento efficacie nella prevenzione di depressione o malattie cardiovascolari. Alcune evidenze scientifiche, tuttavia, indicano che l'assunzione combinata del fabbisogno giornaliero raccomandato di vitamina D e calcio riduce il rischio di fratture dell'anca nei soggetti che sono maggiormente a rischio.
Una vitamina liposolubile che si scioglie nel grasso ed è assorbita in modo ottimale se consumata con i grassi. Nella carenza di vitamina D, l’organismo assorbe una quantità inferiore di calcio e fosfato. Poiché calcio e fosfato non sono disponibili in quantità sufficienti per mantenere le ossa sane, la carenza di vitamina D può causare un disturbo osseo detto rachitismo nei bambini o osteomalacia negli adulti. Nell’osteomalacia, l’organismo non incorpora sufficiente calcio e altri minerali nelle ossa, causando debolezza ossea. La carenza di vitamina D in una donna in gravidanza causa la carenza nel feto e il neonato presenta un rischio elevato di sviluppare rachitismo. A volte, la carenza è tanto grave da causare osteomalacia nella donna. La carenza di vitamina D peggiora l’osteoporosi. E ancora, la carenza di vitamina D si traduce in un basso livello di calcio nel sangue. Per tentare di aumentare i livelli di calcio, l’organismo può produrre una maggiore quantità di ormone paratiroideo. Tuttavia, quando i livelli di ormone paratiroideo diventano alti (una condizione chiamata iperparatiroidismo), l’ormone induce la mobilizzazione del calcio dalle ossa per aumentare i livelli ematici di calcio. L’ormone paratiroideo causa anche l’eliminazione di più fosfato nelle urine. Sia il calcio sia il fosfato sono necessari per mantenere ossa sane. Di conseguenza, le ossa s’indeboliscono.
Gli anziani hanno maggiori probabilità di sviluppare una carenza di vitamina D per diversi motivi: il loro fabbisogno è maggiore rispetto a quello dei soggetti più giovani e tendono a trascorrere meno tempo all’aperto, quindi non sono esposti a una quantità sufficiente di luce solare. Insomma, questa carenza in genere si manifesta in soggetti che non si espongono al sole e che non consumano dosi sufficienti di vitamina D con la dieta. L’organismo potrebbe non essere in grado di assorbire una quantità sufficiente di vitamina D dal cibo. Ad esempio, nelle malattie da malassorbimento, i soggetti non sono in grado assorbire normalmente i grassi, né di assorbire la vitamina D, in quanto si tratta di una vitamina liposolubile che normalmente viene assorbita con i grassi nell’intestino tenue. Con l’avanzare dell’età, è possibile che nell’intestino venga assorbita una quantità inferiore di vitamina D. Dolori muscolari, debolezza e dolori ossei, ma non sono in età avanzata. Gli spasmi muscolari (tetania) possono essere il primo segno di rachitismo nei neonati. Sono causati da un basso livello ematico di calcio nei soggetti con grave carenza di vitamina D. Nei fanciulli e negli adolescenti camminare è indubbiamente più doloroso. Una grave carenza di vitamina D può causare varismo o valgismo delle ginocchia. Negli adulti, le ossa, soprattutto quelle della colonna, del bacino e delle gambe, diventano fragili. Le aree interessate possono essere dolenti al tatto e oggetto di fratture. Negli anziani, le fratture ossee, in particolare la frattura dell’anca , possono verificarsi semplicemente con un leggero sobbalzo o una caduta insignificante. Proprio per questo, gli integratori alimentari sono particolarmente importanti per i soggetti a rischio (come i soggetti anziani, costretti a casa o che vivono in strutture di lungodegenza).
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Il peggior nemico del cancro è la vitamina D! Tra i più importanti ricercatori al mondo su questa vitamina, Carole Baggerly, direttrice e fondatrice del Grassroots Health. La sua passione per questo nutriente fondamentale è nata da un’esperienza personale: sopravvissuta al cancro al seno proprio grazie al supporto della vitamina D. Ripetutamente dimostrata poi la sua efficacia su tante patologie, tra cui malattie cardiache e diabete oltre alla riduzione del dolore cronico. Inoltre, le diverse teorie che collegano l’ipovitaminosi D al cancro sono state testate e confermate in più di 200 studi epidemiologici e da oltre 2.500 studi di laboratorio. Secondo gli esperti negli Stati Uniti si registra, tra la popolazione, un elevato livello di carenza vitaminica, perché presente naturalmente solo pochi alimenti. Quindi, secondo quanto riportato da un nuovo studio evidenziato alla riunione annuale virtuale dell’American Society of Clinical Oncology 2021, avere livelli sufficienti di vitamina D al momento della diagnosi è associato, di conseguenza, a migliori esiti nel percorso di guarigione dal cancro al seno. I ricercatori hanno misurato i livelli di vitamina D al momento della diagnosi, e quindi i risultati di sopravvivenza 10 anni dopo in quasi 4.000 persone; si è poi notato che l’assunzione di integratori di vitamina D, l’indice di massa corporea e la razza/etnia sono tutti fattori che influiscono sui livelli di vitamina D presenti nel sangue.
Tra le categorie di persone che necessitano maggiormente di questo apporto sicuramente le donne in post-menopausa e durante l’allattamento, chi assume steroidi a lungo termine, gli anziani, le persone con malattia renale cronica, con malattia paratiroidea e chi soffre di patologie come obesità e sovrappeso. La maggior parte delle ricerche scientifiche sulla vitamina D si sono concentrate prevalentemente sui tumori del colon-retto e della mammella dimostrando che livelli ematici più elevati di vitamina D sono associati a un minor rischio di cancro del colon-retto e ha una maggiore possibilità di sopravvivere in caso di cancro al seno. Un’altra indagine particolarmente degna di nota è stata completata da Joan Lappe e Robert Heaney, nel 2007 dove ad un gruppo di donne in menopausa è stato somministrato un integratore di vitamina D per raggiungere i livelli ematici di 40 ng/ml. Per livelli ematici più elevati di vitamina D si intende qualsiasi livello che soddisfi o superi il cut-off clinico “sufficiente” (≥30 ng/ml). Secondo l’Office of Dietary Supplements del National Institutes of Health la carenza di vitamina D è inferiore a 20 ng/ml. I risultati hanno poi mostrato che queste donne hanno avuto una riduzione del 77% in termini di incidenza di tutti i tipi di tumori dopo soli quattro anni. Inoltre, 40 ng/ml di vitamina D è un livello relativamente medio, il livello ottimale di vitamina D è da 50 a 100 ng/ml. Ottenere tali risultati con soli 40 ng/ml sottolinea quanto sia potente e importante la vitamina D per il funzionamento ottimale del corpo.
La vitamina D (detta anche “calciferolo”) è una vitamina liposolubile naturalmente presente in alcuni alimenti, aggiunta ad altri e disponibile come integratore alimentare. Viene anche prodotto in modo endogeno quando i raggi ultravioletti (UV) della luce solare colpiscono la pelle e innescano la sintesi della vitamina D. La vitamina D favorisce l'assorbimento del calcio nell'intestino e mantiene adeguate concentrazioni sieriche di calcio e fosfato per consentire la normale mineralizzazione ossea e per prevenire la tetania ipocalcemica (contrazione involontaria dei muscoli, che porta a crampi e spasmi). È anche necessaria per la crescita ossea e il rimodellamento osseo da parte di osteoblasti e osteoclasti. Senza una quantità sufficiente di vitamina D, le ossa possono diventare sottili, fragili o deformate. La sufficienza di vitamina D previene poi il rachitismo nei bambini e l'osteomalacia negli adulti. Insieme al calcio, la vitamina D aiuta anche a proteggere gli anziani dall'osteoporosi. La vitamina D svolge altri ruoli importanti nel nostro corpo, inclusa la riduzione dell'infiammazione e la modulazione di processi come la crescita cellulare, la funzione neuromuscolare e immunitaria e il metabolismo del glucosio. Negli alimenti e negli integratori alimentari, la vitamina D ha due forme principali, D2 (ergocalciferolo) e D3 (colecalciferolo), che differiscono chimicamente solo nelle loro strutture a catena laterale. Entrambe le forme sono ben assorbite nell'intestino tenue. L'assorbimento avviene per semplice diffusione passiva e da un meccanismo che coinvolge le proteine di trasporto della membrana intestinale. La contemporanea presenza di grasso nell'intestino migliora l'assorbimento della vitamina D, ma parte della vitamina D viene assorbita anche senza grassi alimentari. Né l'invecchiamento né l'obesità alterano l'assorbimento della vitamina D dall'intestino. Pochi alimenti contengono naturalmente vitamina D tra cui la carne di pesce grasso (come trota, salmone, tonno e sgombro) anche se gli oli di fegato di pesce sono tra le migliori fonti. La dieta di un animale influisce sulla quantità di vitamina D nei suoi tessuti. Fegato di manzo, formaggio e tuorli contengono piccole quantità di vitamina D, principalmente sotto forma di vitamina D3.
Proprio in virtù dei suoi potenti effetti è stata descritta come una “sindrome da carenza da vitamina D”. Naturalmente, altri fattori nello stile di vita sono altrettanto importanti nella prevenzione del cancro: in primis l’alimentazione (come zuccheri e farine raffinate che aumentano il rischio di cancro al seno). Inoltre, dalle analisi di Carole Baggerly emerge che il 90% del cancro al seno ordinario è legato alla carenza di vitamina D, la quale è al 100% prevenibile! Il primo epidemiologo ad aver messo in relazione il binomio “carenza vitaminica-cancro al seno” è stato il dottor Cedric F. Garland della University of California di San Diego, secondo il quale in quasi tutte le forme di cancro al seno, la vitamina D influisce sulla struttura delle cellule epiteliali. Queste cellule sono tenute insieme da una sostanza simile a colla chiamata E-caderina, che fornisce la struttura alla cellula. L’E-caderina è costituita principalmente da vitamina D e calcio. Questo avviene perché in caso di deficit la struttura si sfascia e quelle cellule fanno ciò che sono programmate di fare per sopravvivere – vanno avanti e si moltiplicano. Quando questo processo di crescita (proliferazione cellulare) va fuori controllo, si trasforma in cancro. Tuttavia, anche se il cancro al seno è in corso, l’aggiunta di vitamina D può aiutare a far regredire le cellule tumorali agendo sull’E-caderina. Difatti, una volta rallentata la crescita del cancro, il sistema immunitario può cominciare a smaltire gli avanzi delle cellule tumorali.
Oltre a prevenire il cancro, l’ottimizzazione della vitamina D riduce il rischio di parto prematuro del 50%. Infatti, l’80% delle donne in gravidanza è alle prese con l’ipovitaminosi D. Carol Wagner e Bruce Hollis hanno studiato, con risultati inaspettati, anche gli effetti dei livelli di vitamina D sulle donne in gravidanza. Gli studiosi hanno dato 4.000 IU di vitamina D ad un gruppo di donne in stato di gravidanza, riducendo l’incidenza di parti prematuri del 50%. Inoltre, la vitamina D riduce anche una serie di rischi legati proprio alla gravidanza, tra cui la probabilità di avere un bambino sotto peso. Indubbiamente, il modo migliore per ottimizzare il livello di vitamina D è attraverso l’esposizione al sole. In linea di massima, è necessario esporre circa il 40% di tutto il corpo al sole per circa 20 minuti tra le ore 10 e le 14 del pomeriggio, quando il sole è allo zenit. Ovviamente, senza correre alcun pericolo con l'sposizione ai raggi ultravioletti. In assenza di tempo libero e di giornate soleggiate, una valida alternativa al sole e fonte di questo importante nutriente sono gli integratori alimentari. Una sana abitudine sostenuta e incoraggiata anche dall’Istituto di Medicina Conservativa poiché priva di particolari rischi. Numerose evidenze scientifiche dimostrano che la vitamina D svolge un ruolo fondamentale nella prevenzione delle malattie e nel mantenimento di una salute ottimale. Ci sono circa 30.000 geni nel nostro corpo, e la vitamina D ne influenza 3.000, così come i suoi recettori si trovano in tutto il corpo. Difatti, come dimostra una ricerca su larga scala, i livelli ottimali di vitamina D possono ridurre drasticamente il rischio di cancro. Mantenere i livelli ottimali può aiutare quindi a prevenire almeno 16 diversi tipi di cancro, tra cui pancreas, polmone, ovaie, prostata e tumori della pelle.
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L’estate sta arrivando e il Covid se ne va. Ci riscaldano, ci abbronzano e in poche decine di secondi uccidono persino il virus. Meno di un minuto per disattivare la carica virale emessa da una persona positiva. È quanto conferma una nuova ricerca sui raggi che arrivano sulla terra. «Abbiamo dimostrato che raggi Uva e Uvb del sole nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2» dimostra Mario Clerici, immunologo, docente di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore scientifico dell’Irccs di Milano Fondazione Don Gnocchi, autore, insieme al gruppo di ricerca dell’Istituto nazionale di astrofisica, di un nuovo studio tutto italiano. Numerose ricerche precedenti condotte nell’ultimo anno avevano già mostrato gli effetti benefici sia dei raggi solari che della vitamina D come scudo di difesa in questa pandemia. Secondo quando mostrato nell’ultima indagine, la luce ultravioletta a lunghezza d’onda corta o radiazione UV-C avrebbe un’ottima efficacia nel neutralizzare il coronavirus SARS-CoV-2. Confermata e ribadita più volte da recenti studi scientifici la relazione che associa la carenza di vitamina D alle forme più gravi di coronavirus. Insomma, che la carenza di vitamina D potrebbe diventare un fattore predisponente per ammalarsi di Covid e portare ad un esito severo o addirittura letale della malattia l’aveva già sostenuto a inizio pandemia, in una lettera al British Medical Journal, il professor Andrea Giustina primario di Endocrinologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente della European Society of Endocrinology. Nella lettera, il primario evidenziava come carenze di vitamina D aumentino la predisposizione ad infezioni sistemiche e abbassino la risposta immunitaria.
Insomma, la bella stagione il virus porta via. 10, 20 secondi al massimo e il sole inattiva il virus. Ormai noto da tempo il potere germicida della luce UV-C su batteri e virus, una proprietà dovuta alla sua capacità di rompere i legami molecolari di DNA e RNA che costituiscono questi microorganismi. Difatti, diversi sistemi vengono utilizzati per la disinfezione di ambienti e superfici come appunto ospedali e luoghi pubblici. In pratica, d’estate il virus è spacciato. Quindi, di conseguenza, la peggior letalità del SARS-CoV-2 scaturita dalla minore (o nulla) esposizione ai raggi solari, mezzo primario per sintetizzare la vitamina D. Per l’esperimento, i ricercatori hanno utilizzato cellule polmonari in piastra che sono state irrorate con le diverse quantità di SARS-CoV-2, dunque poste sotto lampade UV per calcolare i tempi di inattivazione delle diverse lunghezze d’onda sul patogeno umano. L’effetto germicida è stato verificato anche in risposta all’irraggiamento con gli UV-A e gli UV-B, indicando che la carica virale può essere completamente inattivata dalle lunghezze d’onda UV corrispondenti all’irradiazione solare UV-A e UV-B. «Abbiamo illuminato con luce UV soluzioni a diverse concentrazioni di virus e abbiamo trovato che è sufficiente una dose molto piccola, per inattivare e inibire la riproduzione del virus, indipendentemente dalla sua concentrazione» sottolinea Mara Biasin, docente di Biologia Applicata dell’Università Statale di Milano. «Con dosi così piccole è possibile attuare un’efficace strategia di disinfezione contro il coronavirus. Questo dato sarà utile [...] per sviluppare sistemi volti a contrastare lo sviluppo della pandemia», aggiunge Andrea Bianco, tecnologo INAF.
Una teoria confermata già nell’Ottocento quando, per contrastare la tubercolosi, le persone venivano esposte al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi erano maggiormente esposti ai raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di tubercolosi o guarivano più velocemente. La vitamina D, per l'appunto, svolge tra le altre funzioni anche un ruolo importante come ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. Nelle persone con deficit di vitamina D, la sua integrazione è in grado di ridurre il rischio di sviluppare diverse infezioni virali. Quindi, oltre all’esposizione solare, la supplementazione di questo nutriente è una raccomandazione utile e sicura.
Questo studio - spiega Clerici all’Adnkronos Salute - è essenzialmente il seguito di un precedente lavoro che avevamo fatto l’anno scorso quando avevamo visto che i raggi Uvc che sono una componente dei raggi solari che però non arriva sulla terra, uccidevano il Sars-Cov-2 dopo un’esposizione di pochi secondi. Però gli Uvc - ribadisce Clerici - non arrivano sulla terra, quindi quei dati erano importanti solo da un certo punto di vista. Adesso, abbiamo visto che anche gli Uva e Uvb che sono i raggi che arrivano sulla terra, ci abbronzano e ci riscaldano, nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2. Dunque abbiamo esattamente replicato i dati sugli Uvc però dimostrando questa volta che tutti i raggi solari distruggono il virus. E fra l’altro il tempo necessario, quando per esempio si è in spiaggia con il sole che viene amplificato dal riverbero sulla sabbia o sull’acqua, è ancora più breve. Quindi in spiaggia bastano veramente 10-20 secondi di Uva e Uvb per uccidere completamente il virus. La nostra idea è che questo, insieme alla percentuale sempre più alta di vaccinati, spieghi perché con la bella stagione stiamo superando la problematica. Innanzi tutto c’è da dire che il sole - sottolinea Clerici - non è il solo elemento che giustifichi tutto quello che osserviamo. In India hanno contribuito le feste religiose con i bagni nel Gange e poi c’erano i monsoni, quindi c’era tutta la velatura dei raggi solari dovuta alle nuvole. In Brasile sappiamo tutti quello che è successo purtroppo hanno pagato la gestione Bolsonaro, perché è vero che servono i raggi solari però servono anche le mascherine, i vaccini e tutto il resto.
Gli studiosi hanno confermato l’efficacia del sole contro il Covid-19 oltre a sterilizzare oggetti e ambienti dal virus.
Si vede proprio in una visualizzazione - spiega l’immunologo - l’effetto dei raggi solari sul virus: se non lo esponi ai raggi solari il virus infetta le cellule, se lo esponi ai raggi solari lo uccidi. I dati dell’anno scorso erano importanti perché hanno portato allo sviluppo di dispositivi che svolgevano proprio questa funzione ma i raggi Uvc - ricorda lo scienziato - sono pericolosi per la cute umana, quindi non si poteva stare nella stessa stanza dove venivano applicati. I raggi Uvb invece no, sono i raggi che ci toccano normalmente quando usciamo al sole, per cui questa scoperta ha un’importanza molto più alta. Gli astrofisici hanno collegato una macchinetta che produce i diversi raggi solari in maniera distinta, quindi solo gli Uva o gli Uvb o gli Uvc piuttosto che gli ultravioletti - spiega Clerici - poi abbiamo messo la macchinetta sotto una cappa, abbiamo preso le cellule polmonari e abbiamo buttato sopra il virus. E il virus che è stato esposto oppure no alle diverse componenti dei raggi solari. Dapprima - chiarisce l’immunologo - abbiamo usato una dose massimale di virus, quindi molto molto più alta di quella che si ha in un soggetto con Covid. E poi abbiamo usato la dose presente in un paziente con Covid severo, per vedere se poteva avere anche una potenziale importanza clinica. Ed effettivamente è così: si inattiva nel giro di pochi secondi la quantità di virus che è quella che nei pazienti provoca il Covid severo.
Numerosi i lavori condotti sia retrospettivamente (Meltzer D et al.), che con metanalisi (Pereira M et al.), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al.) e di una più elevata mortalità ad essa associata (De Smet D et al.): tutti questi dati forniscono interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana che, soprattutto in Italia, è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al.). In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici (Castillo ME et al.), la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva è stata del 2% se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% nei pazienti non trattati. Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione tra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli di questo nutriente (Kaufman HW et al.). In 77 soggetti anziani ospedalizzati per Covid (Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study), la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente oppure al momento della diagnosi. Nei pazienti positivi i livelli di vitamina D sono risultati significativamente inferiori rispetto a quelli dei pazienti negativi (D’Avolio et al.). E ancora in una sperimentazione clinica (Rastogi A. et al., SHADE Study) su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo contro il 20,8% dei pazienti del gruppo di controllo.
Dati poi confermati da altri lavori condotti dall’inizio della pandemia hanno evidenziato l’importanza di questa sostanza come strategia di prevenzione e trattamento:
MedRxiv "UV-A e UV-B possono neutralizzare l'infettività SARS-CoV-2"
Adnkronos "Covid, studio italiano: così il sole distrugge il virus in pochi secondi"
Fanpage "I raggi solari uccidono il coronavirus in meno di un minuto"
HuffPost "I raggi del sole distruggono il virus in pochi secondi: i risultati di uno studio italiano"
Secolo d'Italia "Covid, i raggi solari distruggono il virus in pochi secondi. Lo dimostra uno studio italiano"
YouMedia "I raggi solari uccidono il coronavirus in meno di un minuto"
Respiratory Research "Circulating Vitamin D levels status and clinical prognostic indices in COVID-19 patients"
Agi "La carenza di vitamina D può aggravare la malattia"
Nurse Time "Coronavirus, carenza di vitamina D associata a stadi clinici più compromessi"
Comune di Torino "Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19: nuove evidenze"
Regione Piemonte "Covid, aggiornato il protocollo delle cure a casa"
Ansa "ANSA-IL-PUNTO/ COVID: PIEMONTE si attrezza contro varianti"
Nutrients "Effectiveness of In-Hospital Cholecalciferol Use on Clinical Outcomes in Comorbid COVID-19 Patients: A Hypothesis-Generating Study"
Jama Network "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"
Springer Link "Associations between hypovitaminosis D and COVID-19: a narrative review"
Il Messaggero "Covid, morti in calo con l'assunzione di vitamina D"
Ansa "Covid: calo morti con trattamento con vitamina D"
Il Resto del Carlino "Covid, con la vitamina D rischio di decesso e ricovero in Intensiva calato dell'80%"
La Nazione "Covid, calo di morti con la vitamina D"
La Gazzetta di Parma "Calo dei morti da Covid col trattamento con vitamina D: uno studio anche parmigiano"
Il Giornale "La Vitamina D ci salverà dal Covid?"
The Guardian "Add vitamin D to bread and milk to help fight Covid, urge scientists"
ANSA "Covid: carenza vitamina D per oltre 80% pazienti ricoverati"
Queen Mary University "Clinical trial to investigate whether vitamin D protects against COVID-19"
ISS "COVID-19: la vitamina D potrebbe cooperare con l’interferone nella risposta antivirale"
Today "Coronavirus e Vitamina D: la ricerca sull'olio di merluzzo e Covid-19"
Journal of American Medical Association Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19"
Università di Torino "Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19"
Leggo "Covid, 8 pazienti su 10 ricoverati in ospedale erano carenti di vitamina D"
Giornale di Brescia "Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti ricoverati"
Corriere del Ticino "Carenza di vitamina D nell’80% dei pazienti COVID"
Corriere della Sera "La carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo in Covid-19?"
AGI "Le carenze di vitamina D potrebbero aumentare la vulnerabilità al Covid"
Fanpage "La vitamina D riduce il rischio di COVID-19, lo conferma un nuovo studio"
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Più vitamina D significa meno cancro. Una sorta di terapia naturale che ci difende dal cancro, una vera e propria strategia di prevenzione. È la volta dei ricercatori tedeschi che in un lavoro segnalano il ruolo centrale della vitamina D, come alleato dei malati di tumore. A questa conclusione è giunta uno studio condotto dal Centro tedesco di ricerca sul cancro (DKFZ) di Heidelberg dove il team di ricercatori ha scoperto che l’integrazione della vitamina D potrebbe avere un impatto decisivo sulla riduzione della mortalità, nel contesto di un quadro patologico di cancro grave. Un decremento del 13% che potrebbe cambiare le sorti di un numero significativo di pazienti oncologici. Hermann Brenner, epidemiologo della DKFZ ha precisato che il tasso di mortalità per tumori legati all’età è diminuito negli ultimi anni in modo costante, tuttavia, in alcuni Paesi europei i numeri dei decessi rimangono ancora rilevanti. Sempre secondo Brenner, che ha messo a confronto le morti dei pazienti oncologici della Germania con quelle della Finlandia, di gran lunga inferiori, il motivo sarebbe da rintracciare nel stile alimentare adottato da ciascuno. Difatti, in Finlandia, molti alimenti sono stati rafforzati con l’aggiunta di vitamina D ormai da tempo. Sfortunatamente per tutti gli altri, solo un numero limitato di alimenti, come i pesci grassi salmone, tonno e sgombro, contengono notevoli quantità di vitamina D3. Questo rende l'integrazione una strategia alternativa per ottimizzare lo stato di questa preziosa sostanza.
Registrata in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, la carenza della vitamina D colpisce principalmente gli over 50. È quindi fondamentale integrare questa vitamina, per salvaguardare la salute, in quanto sostanza con un impatto decisivo sul sistema immunitario capace di favorire la prevenzione di diverse malattie. Recenti meta-studi hanno dimostrato che una dieta sana, caratterizzata da un livello equilibrato di questo ormone, potrebbe ridurre notevolmente i decessi causati dal cancro. La conferma arriva dallo studio firmato dal Centro tedesco di ricerca sul cancro (DKFZ). L’indagine pubblicata ha evidenziato che un’integrazione della vitamina in tutte le persone sopra i 50 anni potrebbe prevenire fino a 30.000 decessi per cancro ogni anno. In modo tale da attuare una forma di prevenzione importante, dal momento che un gran numero di persone soffre di un significativo deficit di vitamina D. Caduta di capelli, unghie fragili e mal di testa sono tra i principali sintomi di questa pericolosa condizione. Già 40 anni fa, uno studio epidemiologico suggeriva che la vitamina D potesse essere protettiva contro il cancro del colon-retto (CRC), poiché una maggiore esposizione al sole (UV-B) e una vita a latitudini più basse (che causano entrambi una maggiore formazione di vitamina D 3) porta a una minore incidenza per questo tipo di cancro.
Da quello del colon a quello del seno, da quelli del sangue a quello alla prostata. Una missione “salva-vite” quella della vitamina D che avrebbe dunque la capacità di sostenere l’arduo compito delle terapie contro il cancro. Hermann Brenner ha spiegato poi che l’integrazione di questo nutriente è fondamentale soprattutto per le persone sopra i 50 anni, per questo è bene consultare il proprio medico curante. Inoltre, è bene esporsi di più al sole, con le dovute cautele, per assimilarla dai raggi considerato che il nostro corpo non è capace di produrla. Un altro studio, quello condotto dall'Università della Finlandia orientale e dall'Università autonoma di Madrid e pubblicato sulla rivista scientifica Seminars in Cancer Biology a conferma della teoria dei colleghi tedeschi. Secondo questo precedente lavoro, le sue funzioni preventive sono molto più ampie e questa sostanza potrebbe essere un’arma vincente contro alcuni tumori, tra cui quelli del colon, del seno, della prostata e del sangue. L’indagine si basa sulla correlazione tra l’elevata reattività alla vitamina D alla riduzione del rischio di cancro. Gli autori hanno osservato che la vitamina D regola il sistema immunitario e che i suoi effetti anticancro vengono mediati principalmente dalle cellule immunitarie, come i monociti e le cellule T. Inoltre, questa sostanza applica i suoi effetti tramite il recettore della vitamina D (VDR). I suoi effetti sono particolarmente evidenti nella prevenzione del cancro del colon-retto e dei tumori del sangue, come leucemie e linfomi. Gli altri due tumori sensibili alla vitamina D sono il carcinoma mammario e prostatico. Anche in questo caso un basso livello di vitamina D è stato associato a una maggiore incidenza di cancro e una prognosi peggiore.
Secondo i ricercatori, ogni individuo ha una risposta molecolare e una sensibilità diversa alla vitamina D (e alla sua supplementazione). «La vitamina D contribuisce a mantenere e difendere la normale fisiologia dell'organismo contro l'apparizione e lo sviluppo delle neoplasie. L'identificazione dell'uso clinico ottimale del sistema vitaminico D è un compito che richiede sforzi continui» concludono gli autori. Dal punto di vista evolutivo, il ruolo principale della vitamina D è stato probabilmente il controllo del metabolismo energetico che successivamente si è spostato per modulare l'immunità innata e adattativa, nonché per regolare l'omeostasi del calcio e delle ossa. Poiché le cellule immunitarie e cancerose in rapida crescita utilizzano entrambe le stesse vie e geni per controllare la loro proliferazione, differenziazione e apoptosi, non sorprende che la segnalazione della vitamina D modifichi questi processi anche nelle cellule neoplastiche. Pertanto, gli effetti anti-cancro della vitamina D possono derivare dalla gestione della crescita e della differenziazione nell'immunità ovvero, gli effetti dell'1,25 (OH) 2 D 3 sull'epigenoma e sul trascrittoma e la sua relazione con la prevenzione e la terapia del cancro.
Nel 2018, in tutto il mondo, sono morte di tumore circa 10 milioni di persone. Il cancro è il termine generale che descrive una moltitudine di malattie molto eterogenee che hanno in comune la visualizzazione di una crescita eccessiva incontrollata di cellule in qualsiasi tessuto di un individuo. La base molecolare del cancro è l'accumulo di mutazioni puntiformi e variazioni del numero di copie, come amplificazioni e delezioni o grandi alterazioni cromosomiche come traslocazioni e aneuploidie, che aumentano l'attività degli oncogeni e diminuiscono quella dei geni oncosoppressori. Queste instabilità genomiche sono modulate da cambiamenti epigenetici attraverso azioni dirette degli enzimi che modificano la cromatina, nonché tramite effetti indiretti dei fattori di trascrizione. Sia i modificatori della cromatina che i fattori di trascrizione si trovano spesso al punto finale delle cascate di trasduzione del segnale che sono stimolate da vari segnali intra ed extracellulari. I cambiamenti dell'epigenoma sono innescati da segnali dell'ambiente cellulare, come nutrienti, tossine e citochine e chemochine correlate all'infiammazione. Pertanto, i cambiamenti epigenetici possono avere effetti sia dannosi che benefici sull'insorgenza e sulla progressione del cancro.
Vi è ampio consenso sul fatto che la modulazione del sistema immunitario sia la più importante funzione extra-scheletrica della vitamina D. La vitamina D stimola il sistema immunitario innato a combattere in modo più efficiente contro le infezioni batteriche, come la tubercolosi, mentre previene le reazioni eccessive del sistema immunitario adattativo che possono causare malattie autoimmuni, come la sclerosi multipla. In generale, la vitamina D agisce come un induttore dell'immunità innata, come attraverso la regolazione della catelicidina peptidica antimicrobica secreta o della glicoproteina CD14 ancorata alla membrana plasmatica. Pertanto, la risposta precoce dei monociti e dei macrofagi alla stimolazione della vitamina D è un'azione pro-infiammatoria. In una fase successiva, la vitamina D spesso sposta la polarizzazione dei macrofagi dallo stadio M1 pro-infiammatorio e antitumorale allo stadio M2 immunosoppressivo e pro-tumorale. La carenza di vitamina D è associata anche al morbo di Crohn e alla colite ulcerosa, che sono le due manifestazioni fisiopatologiche predominanti della malattia infiammatoria intestinale. I tassi di malattia infiammatoria intestinale sono probabilmente in aumento a causa dei moderni stili di vita che influenzano la funzione del microbioma intestinale attraverso alti livelli di grassi saturi e zuccheri nella dieta e l'uso di antibiotici. La vitamina D è importante per regolare l'immunità della mucosa intestinale attraverso la modulazione della funzione di barriera immunitaria innata, l'integrità dell'epitelio intestinale e lo sviluppo e la funzione delle cellule T. Pertanto, la vitamina D può prevenire l'insorgenza di malattie infiammatorie intestinali attraverso la stabilizzazione dell'omeostasi del microbiota e migliorare la progressione della malattia tramite risposte immunitarie antinfiammatorie.
Science Direct "An update on vitamin D signaling and cancer"
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Acclarata già da tempo la relazione che associa la carenza di vitamina D alle forme più gravi di coronavirus, viene confermata ancora volta da un altro studio che dimostra i tanti benefici di questo ‘ormone del sole’ e gli eventuali rischi di un eventuale deficit. Questa volta lo sostiene una ricerca condotta all’Ospedale Sant’Andrea di Roma e pubblicata sulla rivista scientifica Respiratory Research. «Abbiamo osservato in particolare 52 pazienti ricoverati da noi con polmoniti da Covid durante la prima ondata, pazienti anziani con un’età media di 68 anni e mezzo, accomunati da livelli estremamente bassi di vitamina D, inferiori a 10 ng/ml. Tutti avevano quadri respiratori e immunologici particolarmente gravi», spiega in un’intervista a Gazzetta Active il professor Alberto Ricci, direttore dell’U.O.C. di Pneumologia dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma. Insomma, che la carenza di vitamina D potrebbe diventare un fattore predisponente per ammalarsi di Covid e portare ad un esito severo o addirittura letale della malattia l’aveva già sostenuto a inizio pandemia, in una lettera al British Medical Journal, il professor Andrea Giustina primario di Endocrinologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente della European Society of Endocrinology. Nella lettera, il primario evidenziava come carenze di vitamina D aumentino la predisposizione ad infezioni sistemiche e abbassino la risposta immunitaria, favorendo anche il rischio di malattie autoimmuni.
Uno scenario critico soprattutto in un momento storico in cui il Covid stava compiendo la sua prima strage, soprattutto di anziani, nel Nord Italia. Caratteristica che è rimasta poi invariata anche nella seconda ondata dove tra le regioni più colpite risultano sicuramente quelle settentrionali. Dal Veneto al Piemonte, dalle Valle D’Aosta alla Lombardia. E non dimentichiamo che sono stati proprio i dati di quella parte di Italia a far schizzare il bilancio dei contagi e delle vittime nel Paese, portandoci in vetta alle tristi classifiche mondiali sullo stato dell’infezione da Sars-CoV-2. Quindi, la peggior letalità del Sars-CoV-2 scaturita dalla minore (o nulla) esposizione ai raggi solari, mezzo primario per sintetizzare la vitamina D. Stando a quanto riportato in diversi studi, nella popolazione italiana si registrano, soprattutto negli ultimi anni, bassi livelli di vitamina D. Questo perché noi non addizioniamo il cibo come fanno, per esempio, i Paesi scandinavi. Inoltre, emerge da un’altra importante metanalisi pubblicata nel 2017 sul British Medical Journal che i pazienti particolarmente carenti di vitamina D, ai quali venivano somministrate integrazioni della stessa, avevano meno infezioni respiratorie. Altro importante collegamento è quello che emerge tra predisposizione alle fratture, bassi livelli di calcio e di vitamina D e vulnerabilità all’infezione da coronavirus e outcome peggiore dei malati. Tuttavia, questo ormone che è un composto naturale fisiologicamente già presente nell’organismo non può essere addizionato completamente mediante alimentazione poiché il cibo fornisce solo il 20% del fabbisogno giornaliero di questo prezioso nutriente.
L’indagine ha inoltre evidenziato i tanti effetti benefici della vitamina “del sole” oltre che sul sistema immunitario anche per il metabolismo delle ossa ed, in particolare, contro le infezioni.
Lungi dal considerare la vitamina D come un trattamento – sottolinea il professor Ricci – va però detto che rappresenta probabilmente, e non soltanto per il Covid-19, un elemento da valutare per le implicazioni legate ad una sua carenza. Non è solo di una vitamina necessaria per il metabolismo dell’osso, ma probabilmente svolge funzioni molto più complesse anche per quanto riguarda la parte immunologica, sia durante lo sviluppo del sistema immunitario sia nelle fasi successive di mantenimento e attività del sistema immunitario stesso - chiarisce Ricci. - Si tratta di un’osservazione interessante che potrebbe essere considerata anche in altri tipi di patologie infettive, non solo nel Covid.
Un nuovo studio che riporta sotto i riflettori un fenomeno di tutti quei Paesi del Nord Europa, quelli meno esposti al sole, il cosiddetto “paradosso scandinavo”: «C’è una campagna di implementazione di vitamina D importante che noi non facciamo, forse perché ci riteniamo naturalmente più protetti perché più esposti al sole. Ma certe popolazioni fragili come gli anziani stanno prevalentemente chiusi in casa o nelle Rsa e il sole non lo vedono. Proprio in questi casi, ma non solo, studiare i livelli plasmatici di vitamina D può essere molto importante per decidere eventuali integrazioni». Inoltre, a differenza degli italiani, gli scandinavi hanno sopperito a questa carenza, noi invece no, spiega l'autore dello studio.
I suoi importanti effetti a livello immunitario era confermati già nell’Ottocento quando, per contrastare la tubercolosi, le persone venivano esposte al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi erano maggiormente esposti ai raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di tubercolosi o guarivano più velocemente. Un paradosso, quello scandinavo, che permette di formulare un’ipotesi per l’Italia, colpita così duramente dalla pandemia, a causa degli scarsi, e quindi insufficienti, livelli di vitamina D registrati tra la popolazione. A questo scenario critico si lega l’importanza dell’integrazione che non prevede nessuna controindicazione. «La vitamina D non è un farmaco tossico, somministrarla a chi ha una carenza ne potenzia le risposte immunitarie. Dal lato opposto, chi ha livelli di vitamina D molto bassi è probabilmente molto più esposto alle infezioni in generale, respiratorie e non solo», conclude il professor Ricci.
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Una relazione tanto discussa che torna, ancora una volta, alla ribalta della cronaca nazionale grazie a una nuova ricerca italiana sull’importanza dell’ormone del sole nella lotta contro l’infezione da SARS-CoV2. Dall’indagine emerge che una carenza di vitamina D sembrerebbe peggiorare le condizioni, con evidenti criticità riscontrate nel quadro clinico delle persone positive al Covid. I ricercatori parlano appunto di "stadi clinici di Covid-19 più compromessi" per indicare una malattia più grave. Allo studio retrospettivo, pubblicato sulla rivista Respiratory Research e condotto su 52 pazienti, hanno collaborato l'Istituto superiore di sanità (Iss), l'Ospedale Sant'Andrea di Roma e altre istituzioni. Tra ipovitaminosi D e malattie polmonari, l’ennesima indagine prova a far chiarezza una volta per tutta: «[...] I nostri dati sottolineano una relazione tra i livelli plasmatici di vitamina D e diversi marcatori di malattia». Nelle persone con deficit di vitamina D, la sua integrazione è in grado di ridurre il rischio di sviluppare diverse infezioni virali. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a maggior rischio di essere positivi per Covid-19 rispetto a quei soggetti con stato di vitamina D sufficiente. Oltre all’esposizione solare e all’alimentazione, la supplementazione di vitamina D è una raccomandazione utile e sicura.
Insomma, molto di più di un micronutriente coinvolto nel metabolismo del calcio e nella salute delle ossa. La vitamina D, per l'appunto, svolge tra le altre funzioni anche un ruolo importante come ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. Come noto, infatti, i suoi recettori sono ampiamente distribuiti in tutto l’organismo e in particolare nell’epitelio alveolare polmonare e nel sistema immunitario. Ad, oggi, l'infezione da Covid-19 è ancora una sfida aperta. Sebbene siano note le caratteristiche cliniche a seguito della penetrazione del virus nel nostro sistema respiratorio, la patobiologia ei meccanismi che regolano questo ingresso e le ragioni alla base dei molteplici quadri clinici osservati sono ancora sconosciuti. Sfortunatamente, circa il 20% dei pazienti contagiati ha sviluppato una grave malattia respiratoria caratterizzata da infiltrati polmonari diffusi e danno di pneumociti alveolari, che va incontro ad apoptosi e morte. Le unità alveolari coinvolte sembrano essere periferiche e subpleuriche. Inoltre, è stata segnalata un'iperinfiammazione virale. Una precoce sovrapproduzione di citochine pro-infiammatorie conosciuta come tempesta di citochine. Tra questi, i livelli plasmatici elevati sono stati inclusi come predittori di mortalità. L'insufficienza della vitamina D è stata correlata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all'esacerbazione nelle malattie polmonari ostruttive croniche e nell'asma.
Coinvolti nella ricerca 52 pazienti (con età media di 68 anni) affetti da coronavirus con coinvolgimento polmonare (27 femmine e 25 maschi, nella fascia di età compresa tra i 29 ed i 94 anni). I livelli di vitamina D erano carenti (con livelli plasmatici di vitamina D molto bassi, sotto 10 ng/ml) nell'80% dei pazienti, insufficienti nel 6,5% e normali nel 13,5%. Circa l'8% della coorte di studio aveva livelli plasmatici di vitamina D normali. I pazienti alle prese con la forma più aggressiva di coronavirus avevano livelli plasmatici di vitamina D più bassi indipendentemente dall'età. Francesco Facchiano, ricercatore dell'Iss, coautore dello studio spiega il metodo di ricerca utilizzato:
Nella nostra indagine abbiamo correlato, per la prima volta, i livelli plasmatici di vitamina D a quelli di diversi marcatori (di infiammazione, di danno cellulare e coagulazione) e ai risultati radiologici tramite Tac durante il ricovero per Covid-19 e abbiamo osservato che i pazienti con bassi livelli plasmatici di vitamina D, indipendentemente dall'età, mostravano una significativa compromissione di tali valori, vale a dire risposte infiammatorie alterate e un maggiore coinvolgimento polmonare. Anche se gli effetti in vivo della Vitamina D non sono completamente compresi – si legge nello studio – una serie di osservazioni sottolineano il ruolo della vitamina D nello sviluppo delle malattie polmonari. La sua insufficienza è stata collegata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all’esacerbazione delle malattie polmonari ostruttive croniche e dell’asma. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a un più alto rischio di essere positivi al Covid-19 rispetto ai soggetti con sufficiente stato di vitamina D.
Da un punto di vista generale, l'attività della vitamina D sembra essenziale anche nella regolazione dello stress ossidativo e dei meccanismi di sopravvivenza. L'epitelio alveolare respiratorio rappresenta la prima linea di difesa in grado di contrastare e impedire l'ingresso di agenti patogeni. Rappresenta uno dei principali attori dell'immunità innata compresi i macrofagi alveolari e le cellule dendritiche. Se stimolate, queste cellule attivano una varietà di vie di segnalazione intracellulare per specifiche difese antimicrobiche, rilascio di mediatori infiammatori e risposte immunitarie adattative. La risposta immunitaria adattativa è strettamente correlata alla capacità dei linfociti T e B di secernere citochine e produrre rispettivamente immunoglobuline. La carenza di vitamina D è stata correlata all'aumento dei livelli di IL-6, mentre l'integrazione di vitamina D riduce i livelli di IL-6 in diversi studi. L'IL-6 è elevata nei pazienti Covid-19 con malattia grave ed è anche considerata un marcatore prognostico rilevante. È stato riportato altresì che la mortalità è maggiore nei pazienti con livelli elevati di IL-6. Una conta dei neutrofili elevata predice l'infiammazione in corso e la diminuzione della conta dei linfociti è considerata un indicatore di prognosi infausta. Nel caso di infezione acuta, lo stato più grave è spesso associato a un aumento della conta delle cellule dei neutrofili e a una riduzione dei linfociti.
Colpo di scena della Regione Piemonte che introduce l’utilizzo della tanto discussa vitamina D nella lotta al coronavirus. Un trattamento alla portata di tutti. Nessun effetto collaterale, solo benefici per le persone positive al Covid. Una strategia anche in considerazione dell’attuale emergenza sanitaria con l’obiettivo di trattare la patologia fin dall’esordio ed evitare così eventuali complicanze. Una correlazione, quella tra Covid e vitamina D che torna ancora una volta alla ribalta, oggi a differenza di qualche mese fa, con 300 lavori all’attivo che ne dimostrano efficacia e benefici sia nella prevenzione sia nel trattamento.Hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid, soprattutto se in forma severa, e di una più elevata mortalità ad essa associata. Da qui il suggerimento di intervenire con la somministrazione della vitamina D, soprattutto nella popolazione anziana, che in Italia ne è in larga misura carente. Insomma, sullo stile di quanto fatto in precedenza dal premier inglese Boris Johnson. Una serie di evidenze scientifiche non trascurabili che portano a una raccomandazione da parte degli scienziati, soprattutto dove, in Paesi come in Italia, c'è un'alta prevalenza di ipovitaminosi D o carenza di vitamina D, i governi dovrebbero promuovere campagne di salute pubblica per aumentare il consumo di alimenti ricchi di vitamina D oltre a un'adeguata esposizione alla luce solare o, quando ciò non è possibile, la corretta integrazione. Lungo questa linea, la British Dietetic Association e il governo scozzese hanno pubblicato alcune raccomandazioni per garantire, soprattutto in un periodo critico come quello che tutti stiamo vivendo, livelli normali di vitamina D nella popolazione. Numerosi i lavori condotti sia retrospettivamente (Meltzer D et al.), che con metanalisi (Pereira M et al.), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da COVID-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al.) e di una più elevata mortalità ad essa associata (De Smet D et al.): tutti questi dati forniscono a nostro giudizio interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana, che in Italia è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al.).
Un improvviso cambio di rotta da cui sta prendendo piede anche uno studio importante. Come spiega l’Accademia di Medicina nel suo documento, in un’indagine osservazionale (Jain A et al.) di 6 settimane su 154 pazienti, la prevalenza di soggetti con scarsa vitamina D è risultata pari al 31,86% negli asintomatici e al 96,82% in quelli che sono stati poi ricoverati in terapia intensiva. In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici (Castillo ME et al.), la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva è stata del 2% se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% nei pazienti non trattati. Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione fra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli di questo nutriente (Kaufman HW et al.). In 77 soggetti anziani ospedalizzati per Covid (Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study), la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente alla dose di 50mila UI al mese, oppure di 80mila-100mila UI per 2-3 mesi, oppure ancora di 80mila UI al momento della diagnosi. Nei pazienti positivi i livelli di vitamina D sono risultati significativamente minori (p=0.004) rispetto a quelli dei pazienti negativi (D’Avolio et al.). Dato poi confermato da altri lavori in termini di maggiore velocità di clearance virale e guarigione per coloro che hanno livelli ematici più elevati di vitamina D. E ancora in una sperimentazione clinica (Rastogi A. et al., SHADE Study) su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo contro il 20,8% dei pazienti del gruppo di controllo. Così l’assessore regionale alla Sanità del Piemonte, Luigi Genesio Icardi, annuncia l’aggiornamento appena effettuato del protocollo per la presa in carico dei pazienti Covid a domicilio da parte delle Unità speciali di continuità assistenziale, dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta:
Diamo nuovi strumenti ai medici di famiglia e alle Unità speciali di continuità assistenziali (USCA) per combattere il Covid19 direttamente a casa dei pazienti. Con l’aggiornamento del protocollo delle cure domiciliari, introduciamo l’utilizzo dell’idrossiclorochina nella fase precoce della malattia, insieme a farmaci antinfiammatori non steroidei e vitamina D. In più, prevediamo la possibilità di attivare 'ambulatori USCA' per gli accertamenti diagnostici altrimenti non eseguibili o difficilmente eseguibili al domicilio, ottimizzando le risorse professionali e materiali disponibili. Siamo convinti, perché lo abbiamo riscontrato sul campo fin dalla prima ondata - osserva Icardi - che in molti casi il virus si possa combattere molto efficacemente curando i pazienti a casa. Non vuol dire limitarsi a prescrivere paracetamolo per telefono e restare in vigile attesa, ma prendere in carico i pazienti Covid a domicilio da parte delle unità speciali di continuità assistenziale, dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Siamo stati tra i primi, l’anno scorso, a siglare un protocollo condiviso con ASL, prefetture e organizzazioni di categoria dei medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. L’obiettivo è evitare che i ricoveri, così come le degenze prolungate oltre l’effettiva necessità clinica, delle persone che possono essere curate a domicilio, determinino una consistente occupazione di posti letto e l’impossibilità di erogare assistenza a chi versa in condizioni più gravi e con altre patologie di maggiore complessità.
Con l’intento di fornire contributo e supporto alle istituzioni per contrastare la pandemia, un altro lavoro scientifico, sull’utilizzo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del Covid-19 si era fatto strada nel mare magnum di indagini che sono state condotte negli ultimi mesi. Il gruppo di lavoro, istituito dall’Accademia di Medicina di Torino coordinato dal suo Presidente, Giancarlo Isaia, professore di Geriatria e da Antonio D’Avolio, professore di Farmacologia all’Università di Torino, e composto da 61 Medici di molte città italiane. Un documento che mostra le più recenti e convincenti evidenze scientifiche sugli effetti positivi della vitamina D nel contrasto all’infezione da SARS-CoV2. Nella ricerca di fattori che influenzano l'incidenza e la letalità dell'attuale pandemia, recenti studi di associazione hanno esplorato il possibile ruolo della carenza di vitamina D. Nel complesso, questi studi, nella maggior parte dei casi basati su analisi trasversali, non potevano ancora fornire una dimostrazione convincente di una relazione causa-effetto. In questo editoriale, gli autori descrivono le prove scientifiche alla base di un possibile ruolo della vitamina D nella prevenzione e nello sviluppo della pandemia, considerando il suo ruolo immunomodulatore e gli effetti antivirali.
In un precedente numero di Aging Clinical and Experimental Research, Ilie e colleghi riportano una correlazione in 20 paesi europei tra i livelli di vitamina D e l'incidenza di Covid-19 e i tassi di mortalità. Questo lavoro si aggiunge a un crescente corpo di prove circostanziali che collegano Covid-19 e lo stato della vitamina D, come ben riassunto da Fiona Mitchell in un recente editoriale. Gli studi di associazione rientrano in due categorie principali: confronto della variazione dei livelli di vitamina D stimati o storici e dell'incidenza o dei tassi di mortalità del Covid-19 tra i paesi. L'analisi, inoltre, può essere mondiale o all'interno di continenti o anche tra emisferi, considerando la latitudine e lo stato stagionale associato come indicatori indiretti dello stato della vitamina D; studi caso-controllo retrospettivi che confrontano i livelli individuali di vitamina D (effettivi o stimati) con l'incidenza di Covid-19, sia per la popolazione generale che per minoranze specifiche. In questo lavoro, D'Avolio e colleghi hanno trovato un livello di 25 (OH) D notevolmente inferiore nei pazienti Covid-19 rispetto ad altri pazienti ospedalizzati a Bellinzona, in Svizzera. Altro lavoro interessante, quello condotto da Meltzer e colleghi che hanno stimato la probabilità di carenza di vitamina D sulla base di misurazioni 25 (OH) D precedenti (fino a 1 anno) per 499 pazienti testati per Covid-19 e hanno scoperto che coloro che erano positivi aveva una probabilità significativamente maggiore di carenza vitaminica. L’indagine mirava a valutare, in questo caso, se una maggiore incidenza di Covid-19 nelle minoranze non bianche nel Regno Unito potesse essere associata a carenza di vitamina D. Inoltre, una metanalisi che ha coinvolto 25 studi interventistici randomizzati e più di 11.000 pazienti hanno dimostrato che l'integrazione di vitamina D riduce di 2/3 l'incidenza di infezioni respiratorie acute.
«La vitamina D è fondamentale per il nostro sistema immunitario perché coordina l’attività di tutte le sue cellule: sia quelle coinvolte nell’immunità innata che quelle dell’immunità adattativa» spiega Christian Orlando, biologo.
Il recettore per la Vitamina D – continua l’esperto - è particolarmente sviluppato nelle cellule del sistema immunitario. L’azione della Vitamina D è quella di modulare la risposta del nostro sistema immunitario ad esempio riduce il rischio di allergie, aumenta la protezione verso le infezioni ed ha anche un ruolo importante nella prevenzione delle patologie autoimmuni. - Inoltre, evidenzia Orlando - La letteratura scientifica, infatti, ha confermato la capacità della vitamina D di agire sulle cellule immuno-competenti, attivandole e studi recenti dimostrano come i livelli ematici di vitamina D influenzino la funzionalità dei macrofagi, cellule dell’immunità innata. A livello polmonare, in particolare, la presenza di un virus o batterio attiva i macrofagi, che inviano stimoli per promuovere l’attivazione della vitamina D e l’espressione dei suoi recettori VDR: in questo modo induce la produzione di citochine e varie molecole coinvolte nell’infiammazione, con lo scopo di eliminare il microrganismo invasore. Per quanto riguarda l’immunità adattativa, invece la vitamina D, accumulata nelle cellule del tessuto adiposo (gli adipociti), passa nel circolo linfatico e raggiunge i linfonodi. Qui lega i propri recettori VDR all’interno dei linfociti B, stimolando la produzione di anticorpi.
Tuttavia, esistono anche prove precliniche di un effetto protettivo della vitamina D sul danno polmonare. Esistono, quindi, prove consolidate sul ruolo immunomodulatore della vitamina D, sulle sue proprietà antivirali e su un possibile ruolo nella mitigazione della polmonite e dell'iperinfiammazione. Varie recensioni ha esaminato la relazione tra vitamina D e sistema immunitario, evidenziando un ruolo protettivo per molte malattie infettive, alla base dell'associazione tra ipovitaminosi D e molte infezioni del tratto respiratorio, enterico e urinario, vaginosi, sepsi, sindrome influenzale, dengue ed epatite. Queste proprietà della vitamina D sono state attribuite alla sua capacità di modulare l'espressione genica attivando il recettore della vitamina D in molte cellule bersaglio, comprese le cellule immunitarie, e promuovendo l'espressione di peptidi antimicrobici come catelicidine e beta-defensine, anch'esse dotate di antivirali e attività immunomodulatorie. Inoltre, la vitamina D supporta l'immunità innata, mantiene l'integrità delle giunzioni strette e della barriera polmonare, fornisce attività immunoregolatrice e modula il sistema renina-angiotensina, tutti fattori di potenziale rilevanza per la polmonite acuta e l'iperinfiammazione osservati in pazienti con Covid-19.
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Tutto merito della vitamina D. Riduce il rischio di decessi del 60%. È l'interessante scoperta di un team di ricercatori spagnoli. La ricerca ha indagato sull'efficacia del calcifediolo (la vitamina D3) su oltre 550 pazienti ricoverati nei reparti Covid dell'Hospital del Mar, a Barcellona, in Spagna. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale o come destinatari del trattamento con calcifediolo o come controlli ripetuti durante il periodo di ospedalizzazione. Quindi, dal momento del ricovero, prima di ricevere cinque dosi di vitamina a intervalli crescenti di due, quattro, otto e 15 giorni. Insomma, ulteriore conferma gli effetti positivi del trattamento con la vitamina D in pazienti con comorbilità incidendo notevolmente sulla riduzione dei decessi e le eventuali complicanze con i relativi trasferimenti in terapia intensiva. Lo studio, che evidenzia scientificamente l'effettivo ruolo della vitamina D sui malati di coronavirus, è stato coordinato dall'Università di Padova con il supporto delle Università di Parma, di Verona e gli Istituti di Ricerca CNR di Reggio Calabria e Pisa e pubblicato sulla rivista Nutrients. Tuttavia, questo non è certo un caso isolato. Altri lavori scientifici, infatti, avevano associato l'ipovitaminosi a un rischio maggiore di infezione e alle sue manifestazioni cliniche più aggressive. Tra questi, una recente indagine francese aveva suggerito che la terapia con colecalciferolo, assunta nei mesi precedenti il contagio, potesse favorire un decorso meno critico in pazienti anziani fragili affetti da Covid-19.
Lo studio mostra i potenziali effetti positivi della somministrazione di vitamina D sul decorso della malattia in persone con comorbilità affette da SARS-CoV2. «I pazienti della nostra indagine, di età media 74 anni - spiega il prof. Sandro Giannini dell'Università di Padova - erano stati trattati con le associazioni terapeutiche allora causate in questo contesto e, in 36 soggetti su 91 (39.6%), con una dose alta di vitamina D per 2 giorni consecutivi. I rimanenti 55 soggetti (60.4%) non erano stati trattati con vitamina D». L’indagine nasce con l'obiettivo di valutare se la proporzione di pazienti che andavano incontro al trasferimento in terapia intensiva e/o al decesso potesse essere condizionata dall'assunzione di vitamina D. Durante un periodo di follow-up di 14 giorni circa, 27 (29,7%) pazienti venivano trasferiti in terapia intensiva e 22 (24,2%) andavano inevitabilmente incontro al decesso. Nel complesso, 43 pazienti (47,3%) andavano incontro a decesso o trasferimento in terapia intensiva. L'analisi statistica rivelava che il peso delle comorbidità (rappresentate dalla storia di malattie cardiovascolari, broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza renale cronica, malattia neoplastica non in remissione, diabete mellito, malattie ematologiche e malattie endocrine) modificava in modo ampiamente significativo l'effetto protettivo della vitamina D sull'obiettivo dello studio, in modo tale che maggiore era il numero delle comorbidità presenti, più evidente era il beneficio indotto dalla vitamina D. «In particolare – evidenzia il ricercatore -, in coloro che avevano assunto il colecalciferolo, il rischio di andare incontro a "decesso/trasferimento in ICU" era ridotto dell'80% rispetto ai soggetti che non l'avevano assunto».
La vitamina-ormone preziosa non solo per rafforzare il nostro sistema immunitario e per il benessere di denti e ossa, ma fondamentale alleata in questa pandemia nella lotta contro un nemico comune. Tanto discussa e altrettanto fondamentale per la nostra salute. Riduce il rischio di cancro, protegge dal diabete, dalle malattie cardiovascolari e quelle autoimmuni. Il nostro organismo produce vitamina D tramite i raggi solari che irradiano la cute (circa l’80%). Una piccola parte poi, seppur insufficiente, può essere assunta con gli alimenti. Tuttavia, l’unica fonte quindi è il sole che una volta entrato tramite la pelle, viene accumulata nel nostro tessuto adiposo e poi viene immagazzinata e rilasciata lentamente durante l’anno, soprattutto in inverno. I suoi importanti effetti a livello immunitario era confermati già nell’Ottocento quando, per contrastare la tubercolosi, le persone venivano esposte al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi erano maggiormente esposti ai raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di tubercolosi o guarivano più velocemente. In un’intervista a Napoli Today il dottor Giuseppe Russo, medico di base presso l’ASL Napoli 1 spiega l’importanza della vitamina del “sole”:
Quella che comunemente chiamiamo "vitamina D", in realtà appartiene ben poco al gruppo delle vitamine, bensì, per struttura chimica (steroidea) e per funzione, è un pro-ormone. I pro-ormoni non sono altro che dei precursori della sintesi degli ormoni. 1/3 del nostro fabbisogno giornaliero di vitamina D – continua l’esperto nell’intervista - proviene dagli alimenti (pesce azzurro, tuorlo d’uovo, latte e formaggio), la restante parte si forma nella pelle attraverso l’esposizione ai raggi solari, e viene immagazzinata nel fegato e nel tessuto adiposo. Gli effetti sono molteplici e svariati. Quelli più noti riguardano la crescita ossea, l’allattamento e la gravidanza. Tuttavia molti studi hanno evidenziato che una sua carenza è spesso associata a diversi tipi di malattie, quali diabete, infarto, morbo di Alzheimer, allergie, sclerosi multipla, obesità e riduzione del tono dell’umore. - Poi, evidenzia ancora Russo, la sua possibile correlazione tra Covid.19 e ipovitaminosi D: - L’integrazione della vitamina D, anche in dosi generose, nel contagio da COVID 19, è giustificata dalla sua azione di modulazione del processo infiammatorio e di regolazione del sistema immunitario. Un suo uso preventivo, però, per essere efficace, non può prescindere da un corretto e puntuale dosaggio della sua concentrazione nel sangue.
Negli ultimi mesi, diverse evidenze scientifiche oltre alla sperimentazione nel Regno Unito, hanno confermato la correlazione tra l’ipovitaminosi D e il maggior rischio di esposizione al Covid e di successive complicanze. Prima tra tutte, l’indagine condotta da due ricercatori dell’Università di Torino sulla necessità di adeguati livelli di questa vitamina, soprattutto negli anziani. Questo perché, nell’indagine condotta dagli esperti, ma non solo, la carenza di questa vitamina viene associata a un aumento delle infezioni, da qui le complicanze riscontrate nei soggetti positivi al coronavirus con un deficit di questo nutriente. Già nel maggio scorso, Giancarlo Isaia, autore di una recente indagine sugli effetti della vitamina D e su una sua correlazione con il Covid, insieme al collega Enzo Medico, docente dell’Università di Torino, avevano parlato dei notevoli benefici della vitamina D come alleata nel contrasto alla pandemia. Lo studio dei ricercatori mostrava come molti pazienti ricoverati per Covid presentavano gravi carenze di vitamina D. Anche la review pubblicata qualche mese fa su Nutriens, evidenziava la capacità dell’integrazione della vitamina D di incidere sul rischio di sviluppare infezioni da COVID-19. Seguita poi dallo studio norvegese condotto a marzo su 15 mila persone, ha mostrato laddove vi era un consumo abituale dell'olio di fegato di merluzzo, fonte di vitamina D, c’erano anche i meno esposti al virus e coloro che l'avevano contratto avevano sviluppato una forma più lieve della malattia. Sulla stessa linea anche una recente indagine condotta dall’Università della Cantabria a Santander in Spagna ha sottolineato un’interessante correlazione tra le persone positive al coronavirus, ricoverate in ospedale, con una carenza di vitamina D.
E ancora un altro studio spagnolo, prima di questo, ha evidenziato la carenza di vitamina D come fattore di rischio del Covid, mostrando come oltre l’80% dei pazienti ricoverati per il virus presentasse una carenza di vitamina D. La ricerca condotta dall'équipe di scienziati guidati da José Hernàndez e pubblicata recentemente sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, ha sottolineato che nell’82,2% dei pazienti ricoverati in un ospedale spagnolo sono stati riscontrati scarsi livelli di vitamina D. Altra indagine degna di nota che era arrivata a conclusioni simili è quella condotta dall’Università di Chicago e pubblicata sul Journal of American Medical Association Network Open dove le persone con scarsi livelli di vitamina D potrebbero avere fino al 60% di probabilità in più di contrarre il coronavirus. Ultima tra le più rilevanti, ma non per importanza, una teoria comune proposta anche in studi meno recenti. Un team di ricerca britannico composto da scienziati del The Queen Elizabeth Hospital Foundation Trust e dell’Università dell’East Anglia avevano trovato un’associazione tra tasso di decessi superiore per COVID-19 e popolazioni con vitamina D carente. Tirando le somme, una dieta ricca di vitamina D è risultata in grado di attenuare i sintomi della polmonite interstiziale in modelli murini e una sua carenza è stata correlata con la severità della polmonite interstiziale sperimentalmente indotta. Non dimentichiamo poi che l’Italia – soprattutto le donne con il 76% - è tra i Paesi europei (insieme a Spagna e Grecia) con maggiore prevalenza di ipovitaminosi D.
Gazzetta del Sud "Studio sul Covid: la vitamina D riduce le morti del 60%. Ricerca analoga al Cnr di Reggio"
JAMA Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"
Non solo un ormone fondamentale per mantenere il nostro organismo in perfetta salute. «La vitamina D è fondamentale per il corpo umano ed è disponibile in due tipi: vitamina D2 e D3», spiega Gabriele Stangl della Martin Luther University. Quindi di fondamentale importanza per fissare il calcio nelle ossa. Previene, inoltre, sia lo sviluppo del rachitismo nei bambini, che dell’osteoporosi negli anziani. Agisce come un ormone, controllando vari organi e sistemi e ha un'azione regolante nei confronti dell’infiammazione e del sistema immunitario. La sua carenza potrebbe, infine, essere associata a diverse patologie, quali il diabete, l’Alzheimer, l’asma e la sclerosi multipla. Circa l’80% viene prodotta dalla nostra pelle grazie ai raggi UVB, mentre la parte residua viene introdotta con l’alimentazione. Dalla capacità di modulare e influenzare meccanismi fisiologici dell’organismo al mantenimento di ossa e denti in salute, dal buon funzionamento dei muscoli al rinforzo del sistema immunitario. L’azione della vitamina D è ormai da anni oggetto di ricerca. La vitamina D3 è prodotta dalla pelle attraverso l'esposizione al sole. «Gli esseri umani - prosegue l'esperto - ottengono il 90% del loro fabbisogno di vitamina D in questo modo. Il resto viene consumato attraverso il cibo, come il pesce grasso o le uova di gallina. La vitamina D2 si trova invece nei funghi: le fave di cacao sono sensibili alla contaminazione da funghi e spesso contengono quantità considerevoli di ergosterolo, il precursore della vitamina D2, proprio per questo motivo». Tanto discussa, soprattutto nei mesi scorsi, a seguito dei recenti studi circa una sua correlazione ed eventuale efficacia nel contrasto dell’infezione da Covid. Diversi studi avevano, infatti, evidenziato la necessità di adeguati livelli di questa vitamina, soprattutto negli anziani. Questo perché, nelle indagini condotte dai diversi esperti, la carenza di questa vitamina viene associata a un aumento delle infezioni, da qui le complicanze riscontrate nei soggetti positivi al coronavirus con un deficit di questo nutriente. «La vitamina D è fondamentale per il nostro sistema immunitario perché coordina l’attività di tutte le sue cellule: sia quelle coinvolte nell’immunità innata che quelle dell’immunità adattativa» spiega Christian Orlando, biologo e nutrizionista.
Il recettore per la vitamina D – continua il biologo - è particolarmente sviluppato nelle cellule del sistema immunitario. L’azione della vitamina D è quella di modulare la risposta del nostro sistema immunitario ad esempio riduce il rischio di allergie, aumenta la protezione verso le infezioni ed ha anche un ruolo importante nella prevenzione delle patologie autoimmuni. - Inoltre, evidenzia Orlando - La letteratura scientifica, infatti, ha confermato la capacità della vitamina D di agire sulle cellule immuno-competenti, attivandole e studi recenti dimostrano come i livelli ematici di vitamina D influenzino la funzionalità dei macrofagi, cellule dell’immunità innata. A livello polmonare, in particolare, la presenza di un virus o batterio attiva i macrofagi, che inviano stimoli per promuovere l’attivazione della vitamina D e l’espressione dei suoi recettori VDR: in questo modo induce la produzione di citochine e varie molecole coinvolte nell’infiammazione, con lo scopo di eliminare il microrganismo invasore. Per quanto riguarda l’immunità adattativa, invece la vitamina D, accumulata nelle cellule del tessuto adiposo (gli adipociti), passa nel circolo linfatico e raggiunge i linfonodi. Qui lega i propri recettori VDR all’interno dei linfociti B, stimolando la produzione di anticorpi conclude il biologo.
«Io preferisco definirla un ormone», chiarisce in un’intervista a Gazzetta Active il professor Andrea Giustina, primario di Endocrinologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente della European Society of Endocrinology.
A differenza delle altre vitamine – continua l’endocrinologo - la fonte principale non è il cibo, bensì la luce solare. E infatti lo stile di vita attuale, che ci vede trascorrere sempre più tempo in luoghi chiusi, può portare a deficit di vitamina D che una alimentazione anche ricca di quelle che sono le fonti alimentari di questa vitamina non è in grado di sopperire. - Cibi addizionali o integratori alimentari? - Quello dei cibi addizionati è un aspetto utile dal punto di vista della popolazione. A livello di singolo, i supplementi di vitamina D sono sicuramente più indicati, anche perché dosaggio e somministrazione possono essere modulati. - Quanto sole prendere per sopperire a un’eventuale carenza di vitamina D? - Bisognerebbe esporsi ogni giorno almeno per mezz’ora, lasciando scoperti non solo il viso e le mani, ma anche le braccia o le gambe, almeno. E purtroppo sì, un fattore protettivo elevato blocca la produzione di vitamina D. - Le fonti principali per fare il pieno di vitamina D - : Le uova, i pesci grassi come il salmone o lo sgombro, i crostacei, i funghi. Ma se manca il sole è facile avere carenze.
Tra i numerosi fattori che aumentano il rischio di un deficit di vitamina D anche i farmaci:
Oltre alla scarsa esposizione solare abbiamo problemi specifici, come quello legato all’età. Negli anziani, infatti, la pelle è meno capace di produrre colecalciferolo (la vitamina D inattiva, che poi il nostro organismo metabolizza a forma attiva) dopo l’irradiazione della luce solare, e quindi c’è una cute meno efficiente. Questo è un elemento che predispone l’anziano ad avere livelli di vitamina D più bassi rispetto ai giovani, che hanno una pelle più efficiente nel produrre la vitamina D. Poi ci sono anche problematiche legate a situazioni patologiche: per esempio ci sono malattie gastrointestinali, i cosiddetti malassorbimenti come la celiachia, in cui anche quel poco di vitamina D presente nei cibi non viene correttamente assorbito. E questo aggrava ulteriormente il problema, localizzandolo anche in fasce di popolazione più giovani. Anche l’ipoparatiroidismo è una patologia che tipicamente nell’uomo provoca una carenza di vitamina D. Quando le paratiroidi, piccole ghiandole dietro la tiroide, vengono asportate o lesionate generalmente a seguito dell’asportazione della tiroide, viene meno anche l’ormone che queste ghiandole producono, e che è fondamentale per attivare la vitamina D. Come conseguenza si ha anche una grave carenza di calcio, dal momento che la vitamina D è fondamentale per assorbirlo». E poi «il cortisone riduce la produzione e la conversione della vitamina D da colecalciferolo (inattiva) a calcifediolo e calcitriolo (attiva). Anche gli antiepilettici agiscono a livello epatico e ne riducono la conversione.