L’estate sta arrivando e il Covid se ne va. Ci riscaldano, ci abbronzano e in poche decine di secondi uccidono persino il virus. Meno di un minuto per disattivare la carica virale emessa da una persona positiva. È quanto conferma una nuova ricerca sui raggi che arrivano sulla terra. «Abbiamo dimostrato che raggi Uva e Uvb del sole nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2» dimostra Mario Clerici, immunologo, docente di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore scientifico dell’Irccs di Milano Fondazione Don Gnocchi, autore, insieme al gruppo di ricerca dell’Istituto nazionale di astrofisica, di un nuovo studio tutto italiano. Numerose ricerche precedenti condotte nell’ultimo anno avevano già mostrato gli effetti benefici sia dei raggi solari che della vitamina D come scudo di difesa in questa pandemia. Secondo quando mostrato nell’ultima indagine, la luce ultravioletta a lunghezza d’onda corta o radiazione UV-C avrebbe un’ottima efficacia nel neutralizzare il coronavirus SARS-CoV-2. Confermata e ribadita più volte da recenti studi scientifici la relazione che associa la carenza di vitamina D alle forme più gravi di coronavirus. Insomma, che la carenza di vitamina D potrebbe diventare un fattore predisponente per ammalarsi di Covid e portare ad un esito severo o addirittura letale della malattia l’aveva già sostenuto a inizio pandemia, in una lettera al British Medical Journal, il professor Andrea Giustina primario di Endocrinologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente della European Society of Endocrinology. Nella lettera, il primario evidenziava come carenze di vitamina D aumentino la predisposizione ad infezioni sistemiche e abbassino la risposta immunitaria.
Insomma, la bella stagione il virus porta via. 10, 20 secondi al massimo e il sole inattiva il virus. Ormai noto da tempo il potere germicida della luce UV-C su batteri e virus, una proprietà dovuta alla sua capacità di rompere i legami molecolari di DNA e RNA che costituiscono questi microorganismi. Difatti, diversi sistemi vengono utilizzati per la disinfezione di ambienti e superfici come appunto ospedali e luoghi pubblici. In pratica, d’estate il virus è spacciato. Quindi, di conseguenza, la peggior letalità del SARS-CoV-2 scaturita dalla minore (o nulla) esposizione ai raggi solari, mezzo primario per sintetizzare la vitamina D. Per l’esperimento, i ricercatori hanno utilizzato cellule polmonari in piastra che sono state irrorate con le diverse quantità di SARS-CoV-2, dunque poste sotto lampade UV per calcolare i tempi di inattivazione delle diverse lunghezze d’onda sul patogeno umano. L’effetto germicida è stato verificato anche in risposta all’irraggiamento con gli UV-A e gli UV-B, indicando che la carica virale può essere completamente inattivata dalle lunghezze d’onda UV corrispondenti all’irradiazione solare UV-A e UV-B. «Abbiamo illuminato con luce UV soluzioni a diverse concentrazioni di virus e abbiamo trovato che è sufficiente una dose molto piccola, per inattivare e inibire la riproduzione del virus, indipendentemente dalla sua concentrazione» sottolinea Mara Biasin, docente di Biologia Applicata dell’Università Statale di Milano. «Con dosi così piccole è possibile attuare un’efficace strategia di disinfezione contro il coronavirus. Questo dato sarà utile [...] per sviluppare sistemi volti a contrastare lo sviluppo della pandemia», aggiunge Andrea Bianco, tecnologo INAF.
Una teoria confermata già nell’Ottocento quando, per contrastare la tubercolosi, le persone venivano esposte al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi erano maggiormente esposti ai raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di tubercolosi o guarivano più velocemente. La vitamina D, per l'appunto, svolge tra le altre funzioni anche un ruolo importante come ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. Nelle persone con deficit di vitamina D, la sua integrazione è in grado di ridurre il rischio di sviluppare diverse infezioni virali. Quindi, oltre all’esposizione solare, la supplementazione di questo nutriente è una raccomandazione utile e sicura.
Questo studio - spiega Clerici all’Adnkronos Salute - è essenzialmente il seguito di un precedente lavoro che avevamo fatto l’anno scorso quando avevamo visto che i raggi Uvc che sono una componente dei raggi solari che però non arriva sulla terra, uccidevano il Sars-Cov-2 dopo un’esposizione di pochi secondi. Però gli Uvc - ribadisce Clerici - non arrivano sulla terra, quindi quei dati erano importanti solo da un certo punto di vista. Adesso, abbiamo visto che anche gli Uva e Uvb che sono i raggi che arrivano sulla terra, ci abbronzano e ci riscaldano, nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2. Dunque abbiamo esattamente replicato i dati sugli Uvc però dimostrando questa volta che tutti i raggi solari distruggono il virus. E fra l’altro il tempo necessario, quando per esempio si è in spiaggia con il sole che viene amplificato dal riverbero sulla sabbia o sull’acqua, è ancora più breve. Quindi in spiaggia bastano veramente 10-20 secondi di Uva e Uvb per uccidere completamente il virus. La nostra idea è che questo, insieme alla percentuale sempre più alta di vaccinati, spieghi perché con la bella stagione stiamo superando la problematica. Innanzi tutto c’è da dire che il sole - sottolinea Clerici - non è il solo elemento che giustifichi tutto quello che osserviamo. In India hanno contribuito le feste religiose con i bagni nel Gange e poi c’erano i monsoni, quindi c’era tutta la velatura dei raggi solari dovuta alle nuvole. In Brasile sappiamo tutti quello che è successo purtroppo hanno pagato la gestione Bolsonaro, perché è vero che servono i raggi solari però servono anche le mascherine, i vaccini e tutto il resto.
Gli studiosi hanno confermato l’efficacia del sole contro il Covid-19 oltre a sterilizzare oggetti e ambienti dal virus.
Si vede proprio in una visualizzazione - spiega l’immunologo - l’effetto dei raggi solari sul virus: se non lo esponi ai raggi solari il virus infetta le cellule, se lo esponi ai raggi solari lo uccidi. I dati dell’anno scorso erano importanti perché hanno portato allo sviluppo di dispositivi che svolgevano proprio questa funzione ma i raggi Uvc - ricorda lo scienziato - sono pericolosi per la cute umana, quindi non si poteva stare nella stessa stanza dove venivano applicati. I raggi Uvb invece no, sono i raggi che ci toccano normalmente quando usciamo al sole, per cui questa scoperta ha un’importanza molto più alta. Gli astrofisici hanno collegato una macchinetta che produce i diversi raggi solari in maniera distinta, quindi solo gli Uva o gli Uvb o gli Uvc piuttosto che gli ultravioletti - spiega Clerici - poi abbiamo messo la macchinetta sotto una cappa, abbiamo preso le cellule polmonari e abbiamo buttato sopra il virus. E il virus che è stato esposto oppure no alle diverse componenti dei raggi solari. Dapprima - chiarisce l’immunologo - abbiamo usato una dose massimale di virus, quindi molto molto più alta di quella che si ha in un soggetto con Covid. E poi abbiamo usato la dose presente in un paziente con Covid severo, per vedere se poteva avere anche una potenziale importanza clinica. Ed effettivamente è così: si inattiva nel giro di pochi secondi la quantità di virus che è quella che nei pazienti provoca il Covid severo.
L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi
Numerosi i lavori condotti sia retrospettivamente (Meltzer D et al.), che con metanalisi (Pereira M et al.), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al.) e di una più elevata mortalità ad essa associata (De Smet D et al.): tutti questi dati forniscono interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana che, soprattutto in Italia, è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al.). In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici (Castillo ME et al.), la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva è stata del 2% se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% nei pazienti non trattati. Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione tra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli di questo nutriente (Kaufman HW et al.). In 77 soggetti anziani ospedalizzati per Covid (Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study), la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente oppure al momento della diagnosi. Nei pazienti positivi i livelli di vitamina D sono risultati significativamente inferiori rispetto a quelli dei pazienti negativi (D’Avolio et al.). E ancora in una sperimentazione clinica (Rastogi A. et al., SHADE Study) su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo contro il 20,8% dei pazienti del gruppo di controllo.
Vitamina D, un prezioso alleato ricco di proprietà e benefici
Dati poi confermati da altri lavori condotti dall’inizio della pandemia hanno evidenziato l’importanza di questa sostanza come strategia di prevenzione e trattamento:
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Per approfondimenti:
MedRxiv "UV-A e UV-B possono neutralizzare l'infettività SARS-CoV-2"
Adnkronos "Covid, studio italiano: così il sole distrugge il virus in pochi secondi"
Fanpage "I raggi solari uccidono il coronavirus in meno di un minuto"
HuffPost "I raggi del sole distruggono il virus in pochi secondi: i risultati di uno studio italiano"
Secolo d'Italia "Covid, i raggi solari distruggono il virus in pochi secondi. Lo dimostra uno studio italiano"
YouMedia "I raggi solari uccidono il coronavirus in meno di un minuto"
Respiratory Research "Circulating Vitamin D levels status and clinical prognostic indices in COVID-19 patients"
Agi "La carenza di vitamina D può aggravare la malattia"
Nurse Time "Coronavirus, carenza di vitamina D associata a stadi clinici più compromessi"
Comune di Torino "Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19: nuove evidenze"
Regione Piemonte "Covid, aggiornato il protocollo delle cure a casa"
Ansa "ANSA-IL-PUNTO/ COVID: PIEMONTE si attrezza contro varianti"
Nutrients "Effectiveness of In-Hospital Cholecalciferol Use on Clinical Outcomes in Comorbid COVID-19 Patients: A Hypothesis-Generating Study"
Jama Network "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"
Springer Link "Associations between hypovitaminosis D and COVID-19: a narrative review"
Il Messaggero "Covid, morti in calo con l'assunzione di vitamina D"
Ansa "Covid: calo morti con trattamento con vitamina D"
Il Resto del Carlino "Covid, con la vitamina D rischio di decesso e ricovero in Intensiva calato dell'80%"
La Nazione "Covid, calo di morti con la vitamina D"
La Gazzetta di Parma "Calo dei morti da Covid col trattamento con vitamina D: uno studio anche parmigiano"
Il Giornale "La Vitamina D ci salverà dal Covid?"
The Guardian "Add vitamin D to bread and milk to help fight Covid, urge scientists"
ANSA "Covid: carenza vitamina D per oltre 80% pazienti ricoverati"
Queen Mary University "Clinical trial to investigate whether vitamin D protects against COVID-19"
ISS "COVID-19: la vitamina D potrebbe cooperare con l’interferone nella risposta antivirale"
Today "Coronavirus e Vitamina D: la ricerca sull'olio di merluzzo e Covid-19"
Journal of American Medical Association Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19"
Università di Torino "Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19"
Leggo "Covid, 8 pazienti su 10 ricoverati in ospedale erano carenti di vitamina D"
Giornale di Brescia "Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti ricoverati"
Corriere del Ticino "Carenza di vitamina D nell’80% dei pazienti COVID"
Corriere della Sera "La carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo in Covid-19?"
AGI "Le carenze di vitamina D potrebbero aumentare la vulnerabilità al Covid"
Fanpage "La vitamina D riduce il rischio di COVID-19, lo conferma un nuovo studio"
Huffington Post "Bagni di sole e camminate nei boschi per difendervi dal virus. I consigli del Trinity College"
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Acclarata già da tempo la relazione che associa la carenza di vitamina D alle forme più gravi di coronavirus, viene confermata ancora volta da un altro studio che dimostra i tanti benefici di questo ‘ormone del sole’ e gli eventuali rischi di un eventuale deficit. Questa volta lo sostiene una ricerca condotta all’Ospedale Sant’Andrea di Roma e pubblicata sulla rivista scientifica Respiratory Research. «Abbiamo osservato in particolare 52 pazienti ricoverati da noi con polmoniti da Covid durante la prima ondata, pazienti anziani con un’età media di 68 anni e mezzo, accomunati da livelli estremamente bassi di vitamina D, inferiori a 10 ng/ml. Tutti avevano quadri respiratori e immunologici particolarmente gravi», spiega in un’intervista a Gazzetta Active il professor Alberto Ricci, direttore dell’U.O.C. di Pneumologia dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma. Insomma, che la carenza di vitamina D potrebbe diventare un fattore predisponente per ammalarsi di Covid e portare ad un esito severo o addirittura letale della malattia l’aveva già sostenuto a inizio pandemia, in una lettera al British Medical Journal, il professor Andrea Giustina primario di Endocrinologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente della European Society of Endocrinology. Nella lettera, il primario evidenziava come carenze di vitamina D aumentino la predisposizione ad infezioni sistemiche e abbassino la risposta immunitaria, favorendo anche il rischio di malattie autoimmuni.
Uno scenario critico soprattutto in un momento storico in cui il Covid stava compiendo la sua prima strage, soprattutto di anziani, nel Nord Italia. Caratteristica che è rimasta poi invariata anche nella seconda ondata dove tra le regioni più colpite risultano sicuramente quelle settentrionali. Dal Veneto al Piemonte, dalle Valle D’Aosta alla Lombardia. E non dimentichiamo che sono stati proprio i dati di quella parte di Italia a far schizzare il bilancio dei contagi e delle vittime nel Paese, portandoci in vetta alle tristi classifiche mondiali sullo stato dell’infezione da Sars-CoV-2. Quindi, la peggior letalità del Sars-CoV-2 scaturita dalla minore (o nulla) esposizione ai raggi solari, mezzo primario per sintetizzare la vitamina D. Stando a quanto riportato in diversi studi, nella popolazione italiana si registrano, soprattutto negli ultimi anni, bassi livelli di vitamina D. Questo perché noi non addizioniamo il cibo come fanno, per esempio, i Paesi scandinavi. Inoltre, emerge da un’altra importante metanalisi pubblicata nel 2017 sul British Medical Journal che i pazienti particolarmente carenti di vitamina D, ai quali venivano somministrate integrazioni della stessa, avevano meno infezioni respiratorie. Altro importante collegamento è quello che emerge tra predisposizione alle fratture, bassi livelli di calcio e di vitamina D e vulnerabilità all’infezione da coronavirus e outcome peggiore dei malati. Tuttavia, questo ormone che è un composto naturale fisiologicamente già presente nell’organismo non può essere addizionato completamente mediante alimentazione poiché il cibo fornisce solo il 20% del fabbisogno giornaliero di questo prezioso nutriente.
L’indagine ha inoltre evidenziato i tanti effetti benefici della vitamina “del sole” oltre che sul sistema immunitario anche per il metabolismo delle ossa ed, in particolare, contro le infezioni.
Lungi dal considerare la vitamina D come un trattamento – sottolinea il professor Ricci – va però detto che rappresenta probabilmente, e non soltanto per il Covid-19, un elemento da valutare per le implicazioni legate ad una sua carenza. Non è solo di una vitamina necessaria per il metabolismo dell’osso, ma probabilmente svolge funzioni molto più complesse anche per quanto riguarda la parte immunologica, sia durante lo sviluppo del sistema immunitario sia nelle fasi successive di mantenimento e attività del sistema immunitario stesso - chiarisce Ricci. - Si tratta di un’osservazione interessante che potrebbe essere considerata anche in altri tipi di patologie infettive, non solo nel Covid.
Un nuovo studio che riporta sotto i riflettori un fenomeno di tutti quei Paesi del Nord Europa, quelli meno esposti al sole, il cosiddetto “paradosso scandinavo”: «C’è una campagna di implementazione di vitamina D importante che noi non facciamo, forse perché ci riteniamo naturalmente più protetti perché più esposti al sole. Ma certe popolazioni fragili come gli anziani stanno prevalentemente chiusi in casa o nelle Rsa e il sole non lo vedono. Proprio in questi casi, ma non solo, studiare i livelli plasmatici di vitamina D può essere molto importante per decidere eventuali integrazioni». Inoltre, a differenza degli italiani, gli scandinavi hanno sopperito a questa carenza, noi invece no, spiega l'autore dello studio.
I suoi importanti effetti a livello immunitario era confermati già nell’Ottocento quando, per contrastare la tubercolosi, le persone venivano esposte al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi erano maggiormente esposti ai raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di tubercolosi o guarivano più velocemente. Un paradosso, quello scandinavo, che permette di formulare un’ipotesi per l’Italia, colpita così duramente dalla pandemia, a causa degli scarsi, e quindi insufficienti, livelli di vitamina D registrati tra la popolazione. A questo scenario critico si lega l’importanza dell’integrazione che non prevede nessuna controindicazione. «La vitamina D non è un farmaco tossico, somministrarla a chi ha una carenza ne potenzia le risposte immunitarie. Dal lato opposto, chi ha livelli di vitamina D molto bassi è probabilmente molto più esposto alle infezioni in generale, respiratorie e non solo», conclude il professor Ricci.
Alimentazione Gazzetta "Vitamina D e Covid, un altro studio evidenzia carenze nei malati ospedalizzati"
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Il Piemonte rompe gli schemi: vitamina D introdotta nel protocollo contro il Covid
Uno studio siciliano riaccende i riflettori sui benefici degli integratori alimentari soprattutto nella prevenzione dell’infezione da coronavirus. Insomma, oltre ai tanti e già noti benefici per il nostro organismo, queste sostanze riducono il rischio di malattia grave e di sviluppare, in caso di contagio, pericolose complicanze. L’indagine, realizzata da un équipe di ricerca coordinato dal professore Salvatore Corrao, componente del comitato tecnico scientifico della Regione Siciliana e direttore del reparto Covid dell'Ospedale Civico di Palermo, ha indagato e dimostrato l'efficacia antinfiammatoria di integratori a base di vitamina C, D, melatonina e zinco nel trattamento del Covid-19. La ricerca è stata poi pubblicata sulla rivista internazionale Nutrients. Un complesso di sostanze capaci di favorire il benessere contrastando i processi degenerativi. «L’integrazione può essere un valido aiuto per migliorare il nostro sistema immunitario su diversi fronti anche per contrastare le malattie infettive» suggerisce Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. Premesso, questo è indiscutibile, che uno stato nutrizionale ottimale riduca efficacemente l'infiammazione e lo stress ossidativo, migliorando la regolazione del sistema immunitario. Inoltre, un'integrazione consapevole potrebbe essere efficace per migliorare lo stato di salute, non solo in generale, ma soprattutto quella dei pazienti considerati ad alto rischio di infezioni virali, ovvero di tutte quelle persone affette da patologie, e quindi, maggiormente esposte e suscettibili a una maggiore aggressività della malattia.
INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico
La risposta immunitaria è la nostra prima linea di difesa contro gli attacchi di agenti esterni. Questa, interviene in due modalità: tramite l’immunità innata e quella adattiva. Mentre la prima è presente sin dalla nascita e lavora per impedire agli agenti esterni di entrare nel nostro corpo, la seconda è acquisita a partire dal primo anno di vita e viene potenziata ed “educata” in risposta alle infezioni e agli agenti estranei in cui il corpo si imbatte ogni giorno. Infatti, il nostro corpo memorizza virus e batteri già incontrati così essere in grado di attuare le difese necessarie nel caso si ripresentassero. Quindi, è vero sì che le nostre difese immunitarie sono pronte a intervenire in caso di necessità, ma è necessario aiutarle e rafforzarle con uno stile di vita sano e un’alimentazione equilibrata grazie all’apporto di vitamine, minerali e sostanze nutritive. Gli integratori che non dobbiamo intendere come sostitutivi di una dieta varia, sana ed bilanciata, non sono scorciatoie a uno stile di vita equilibrato, ma hanno la funzione di “integrare” appunto eventuali carenze permettendo al nostro organismo di essere più forte in grado di difenderci dagli attacchi esterni, tra cui virus e influenze stagionali. senza contare poi che il valore ottimale di alcuni nutrienti, è fondamentale per la nostra salute.
Il gruppo di ricerca dell'Ospedale Civico di Palermo è coordinato dal professore Salvatore Corrao, Raffaella Mallaci Bocchio, nutrizionista, Marika Lo Monaco, infermiera, Giuseppe Natoli, biostatistico, Christiano Argano, internista e con la collaborazione di altri due medici: Attilio Cavezzi ed Emidio Troiani, rispettivamente dell'Eurocenter Venalinfa di San Benedetto del Tronto, e Cardiology Unit, State Hospital, Social Security Institute, Cailungo, di San Marino. Ecco cosa suggerisce lo studio palermitano per ridurre l’aggressività del Covid:
Ad oggi - spiega il ricercatore - è passato più di un anno da quando la malattia da Covid-19, dovuta alla sindrome respiratoria acuta grave (SARS) -CoV-2, è stata descritta per la prima volta a Wuhan (Cina), evolvendosi rapidamente in una pandemia. Questa malattia infettiva è diventata la principale sfida per la salute pubblica nel mondo. Purtroppo ad oggi non esistono antivirali specifici di provata efficacia per il Covid-19 e nonostante siano disponibili i vaccini, il tasso di mortalità non sta scendendo. Una delle strategie terapeutiche è stata focalizzata sulla prevenzione delle infezioni e sulle misure di controllo. A questo proposito, l'uso di supporti nutraceutici può giocare un ruolo per quanto riguarda alcuni aspetti dell'infezione, in particolare lo stato infiammatorio e la funzione del sistema immunitario dei pazienti, rappresentando così una strategia per controllare gli esiti peggiori di questa pandemia. Per questo motivo, abbiamo eseguito una ‘overview’ che include meta-analisi e revisioni sistematiche per valutare l’associazione tra melatonina, vitamina C, vitamina D, integrazione di zinco e marcatori infiammatori utilizzando 3 database come MEDLINE, PubMed Central e Cochrane Library of Systematic Reviews. Servono dosaggi terapeutici di melatonina, vitamina C, vitamina D, integrazione di zinco per ridurre non tanto l'impatto dell'infezione, ma di una malattia che potrebbe avere aspetti severi che sappiamo può portare alla morte. Possono essere presi singolarmente o alcuni combinati. I fatti ci dicono che prendendo singolarmente uno o due grammi di vitamina C al giorno, che 50 mila unità di vitamina D una volta al mese, che la melatonina intorno tra 6 e 25 milligrammi la sera, che 50 milligrammi di zinco base ogni giorno, si abbassa la proteina C reattiva che come tutti sanno è un indicatore di infiammazione. Tali sostanze possono ridurre anche le citochine infiammatorie tipiche del Covid. Non comprendiamo perché non sia stata fatta una campagna di popolazione dall'Oms e dagli enti governativi che potrebbe abbattere il Covid grave in soggetti come ad esempio i diabetici.
Quindi, stando al risultato dell'indagine, la “chimica” potrebbe non essere l’unica strada per combattere l’infezione da SARS-CoV2. Sulla base dei dati riportati dallo studio, il ricercatore suggerisce di considerare una possibile integrazione delle attuali misure preventive con il supporto di questi nutrienti su larga scala.
Dalle prove disponibili sulla vitamina D, l’assunzione di 50.000 UI (si parla di 50.000 UI in un’unica assunzione ogni 1-2 mesi o una volta la settimana per 2-3 mesi in caso di carenza), ha mostrato la riduzione in modo particolarmente efficace della produzione della Proteina C Reattiva (PCR) in diverse popolazioni di pazienti. – mentre - Uno o due grammi al giorno di vitamina C hanno dimostrato di essere efficaci sia sulla PCR che, stavolta, sulla funzione endoteliale. Un dosaggio di melatonina, invece, compreso tra 5 mg e 25 mg al giorno ha rilevato una buona evidenza di efficacia su PCR, TNF-alfa (fattore di necrosi tumorale) e IL-6 (un’interleuchina che agisce come citochina multifunzionale, sia pro-infiammatoria, sia anti-infiammatoria). Una dose invece di 50 mg al giorno di integrazione di zinco elementare ha mostrato risultati positivi sulla PCR.
Confermato e poi contestato il ruolo dell’acido ascorbico nella cura del coronavirus. Il trattamento della vitamina C è riconosciuto per il suo effetto benefico nel prevenire/neutralizzare la risposta infiammatoria, ridurre lo stress ossidativo e stimolare gli interferoni e altre citochine antivirali, peculiarità che rendono la vitamina C importante nella terapia di contrasto al virus. Inoltre, il ruolo benefico della vitamina C come antiossidante e antinfiammatorio ha portato l’intera comunità scientifica a indagare sull’efficacia e sugli effetti di alte dosi di vitamina C nel trattamento e nella riduzione delle complicanze relative a una serie di infezioni virali. Conosciuto anche come acido ascorbico, questo nutriente è noto per il suo effetto antiossidante e immunomodulante. Un concentrato di proprietà nutritive benefiche per il nostro organismo, non solo d’estate. Infatti, questo indispensabile nutriente rinforza le difese immunitarie, contrasta i radicali liberi e protegge dalle infezioni. Diversi ricercatori e medici hanno ipotizzato che l'uso di acido ascorbico potrebbe ridurre l'infezione da SARS-CoV-2 attraverso la capacità degli integratori di aumentare la risposta immunitaria insieme alla diminuzione della gravità della risposta infiammatoria mediata dal virus.
VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici
Numerosi studi supportano la teoria che una dose elevata di vitamina aiuta a rafforzare il sistema immunitario. La vitamina C, preziosa per il sistema immunitario, interviene nella formazione di ossa, pelle e denti, sostiene l’attività muscolare, partecipando alla produzione di energia a livello cellulare. Numerose ricerche indicano che la vitamina C si concentra nelle cellule del sistema immunitario e viene consumata velocemente durante un’infezione portando, infine, a sintomi più lievi e a una durata inferiore. La vitamina C è fondamentale per il mantenimento dell’integrità delle barriere mucosali, ad esempio nel tratto gastrointestinale e respiratorio supporta infatti la sintesi del collagene e protegge le membrane cellulari allo stress ossidativo. È coinvolta nella regolazione delle cellule immunitarie, potenzia l’azione dei linfociti natural killer e l’attività dei macrofagi, e promuove la sintesi di anticorpi. Le evidenze scientifiche secondo cui un apporto elevato di vitamina C potrebbe portare a una minore suscettibilità alle infezioni delle vie respiratorie ha origine dalle teorie di Linus Pauling pubblicate negli anni Settanta.
Tra le diverse patologie associate a una maggiore esposizione al Covid, viene allocata sin dall’esordio di questa pandemia, anche l’ipovitaminosi D. Inoltre, recenti evidenze scientifiche hanno confermato che il trattamento con vitamina D riduce l'incidenza di infezioni virali delle vie respiratorie, specialmente nei pazienti con carenza di vitamina D. Dalla capacità di modulare e influenzare meccanismi fisiologici dell’organismo al mantenimento di ossa e denti in salute, dal buon funzionamento dei muscoli al rinforzo del sistema immunitario. L’azione della vitamina D è ormai da anni oggetto di ricerca. Studi precedenti avevano già evidenziato un legame tra livelli più bassi di vitamina D e tassi più elevati di malattie respiratorie, come asma, tubercolosi o infezioni virali capaci di compromettere la regolare attività polmonare.
Secondo un recente studio statunitense, la melatonina potrebbe aiutare ad abbassare il rischio di contrarre l’infezione. Dopo le numerose indagini e delle evidenze scientifiche circa il rapporto tra vitamina D e SARS-CoV2, la scoperta dei ricercatori della Cleveland Clinic (Ohio) che identificando nell’ormone che regola il ciclo sonno-veglia, solitamente utilizzato come integratore alimentare per risolvere i problemi di insonnia una possibile opzione di trattamento per il Covid. Secondo gli studiosi, l’uso regolare di questo ormone che regola il ritmo circadiano, comunemente utilizzato come integratore contro l’insonnia, è associato a una probabilità ridotta di quasi il 30% di positività al test diagnostico per Sars-Cov-2. Insomma, considerate le alte prestazioni della melatonina, la sua prescrizione nella profilassi del COVID-19 è fortemente raccomandata.
Dalla MELATONINA alle teorie del dottor PIERPAOLI: tutte le verità
«Presente nel fegato, nella carne in generale e nei molluschi (soprattutto ostriche), riduce la replicazione dei coronavirus. Altro importante modulatore della risposta immunitaria è proprio lo zinco a cui si attribuisce la capacità di rimarginare rapidamente le ferite (comprese le ulcere e i danni alle arterie), di aiutare a prevenire i raffreddori (migliora la risposta immunitaria), di migliorare la vista, di migliorare l’odore corporeo, di combattere l’acne e l’ingrossamento prostatico» si legge nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti di Adriano Panzironi.
Ansa "Covid: studio, integratori riducono rischio malattia grave"
La Repubblica "Dalla vitamina D alla melatonina: ecco i nostri alleati contro Covid-19"
Gazzetta del Sud "Covid, studio siciliano: integratori riducono rischio malattia grave"
Sanità in Sicilia "Infiammazione e nutraceutica: una strategia per controllare il virus"
Blog Sicilia "Integratori per combattere il Covid, da Palermo uno studio pubblicato su Nutrients"
Vanity Fair "Gli integratori per rinforzare il sistema immunitario"
Storia della vitamina C: dalla prevenzione del raffreddore al trattamento del Covid
Melatonina e vitamina D: il connubio vincente contro il Covid
Nuova ricerca sulla vitamina C: un potenziale aiuto contro il Covid
Una relazione tanto discussa che torna, ancora una volta, alla ribalta della cronaca nazionale grazie a una nuova ricerca italiana sull’importanza dell’ormone del sole nella lotta contro l’infezione da SARS-CoV2. Dall’indagine emerge che una carenza di vitamina D sembrerebbe peggiorare le condizioni, con evidenti criticità riscontrate nel quadro clinico delle persone positive al Covid. I ricercatori parlano appunto di "stadi clinici di Covid-19 più compromessi" per indicare una malattia più grave. Allo studio retrospettivo, pubblicato sulla rivista Respiratory Research e condotto su 52 pazienti, hanno collaborato l'Istituto superiore di sanità (Iss), l'Ospedale Sant'Andrea di Roma e altre istituzioni. Tra ipovitaminosi D e malattie polmonari, l’ennesima indagine prova a far chiarezza una volta per tutta: «[...] I nostri dati sottolineano una relazione tra i livelli plasmatici di vitamina D e diversi marcatori di malattia». Nelle persone con deficit di vitamina D, la sua integrazione è in grado di ridurre il rischio di sviluppare diverse infezioni virali. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a maggior rischio di essere positivi per Covid-19 rispetto a quei soggetti con stato di vitamina D sufficiente. Oltre all’esposizione solare e all’alimentazione, la supplementazione di vitamina D è una raccomandazione utile e sicura.
Insomma, molto di più di un micronutriente coinvolto nel metabolismo del calcio e nella salute delle ossa. La vitamina D, per l'appunto, svolge tra le altre funzioni anche un ruolo importante come ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. Come noto, infatti, i suoi recettori sono ampiamente distribuiti in tutto l’organismo e in particolare nell’epitelio alveolare polmonare e nel sistema immunitario. Ad, oggi, l'infezione da Covid-19 è ancora una sfida aperta. Sebbene siano note le caratteristiche cliniche a seguito della penetrazione del virus nel nostro sistema respiratorio, la patobiologia ei meccanismi che regolano questo ingresso e le ragioni alla base dei molteplici quadri clinici osservati sono ancora sconosciuti. Sfortunatamente, circa il 20% dei pazienti contagiati ha sviluppato una grave malattia respiratoria caratterizzata da infiltrati polmonari diffusi e danno di pneumociti alveolari, che va incontro ad apoptosi e morte. Le unità alveolari coinvolte sembrano essere periferiche e subpleuriche. Inoltre, è stata segnalata un'iperinfiammazione virale. Una precoce sovrapproduzione di citochine pro-infiammatorie conosciuta come tempesta di citochine. Tra questi, i livelli plasmatici elevati sono stati inclusi come predittori di mortalità. L'insufficienza della vitamina D è stata correlata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all'esacerbazione nelle malattie polmonari ostruttive croniche e nell'asma.
Coinvolti nella ricerca 52 pazienti (con età media di 68 anni) affetti da coronavirus con coinvolgimento polmonare (27 femmine e 25 maschi, nella fascia di età compresa tra i 29 ed i 94 anni). I livelli di vitamina D erano carenti (con livelli plasmatici di vitamina D molto bassi, sotto 10 ng/ml) nell'80% dei pazienti, insufficienti nel 6,5% e normali nel 13,5%. Circa l'8% della coorte di studio aveva livelli plasmatici di vitamina D normali. I pazienti alle prese con la forma più aggressiva di coronavirus avevano livelli plasmatici di vitamina D più bassi indipendentemente dall'età. Francesco Facchiano, ricercatore dell'Iss, coautore dello studio spiega il metodo di ricerca utilizzato:
Nella nostra indagine abbiamo correlato, per la prima volta, i livelli plasmatici di vitamina D a quelli di diversi marcatori (di infiammazione, di danno cellulare e coagulazione) e ai risultati radiologici tramite Tac durante il ricovero per Covid-19 e abbiamo osservato che i pazienti con bassi livelli plasmatici di vitamina D, indipendentemente dall'età, mostravano una significativa compromissione di tali valori, vale a dire risposte infiammatorie alterate e un maggiore coinvolgimento polmonare. Anche se gli effetti in vivo della Vitamina D non sono completamente compresi – si legge nello studio – una serie di osservazioni sottolineano il ruolo della vitamina D nello sviluppo delle malattie polmonari. La sua insufficienza è stata collegata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all’esacerbazione delle malattie polmonari ostruttive croniche e dell’asma. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a un più alto rischio di essere positivi al Covid-19 rispetto ai soggetti con sufficiente stato di vitamina D.
Da un punto di vista generale, l'attività della vitamina D sembra essenziale anche nella regolazione dello stress ossidativo e dei meccanismi di sopravvivenza. L'epitelio alveolare respiratorio rappresenta la prima linea di difesa in grado di contrastare e impedire l'ingresso di agenti patogeni. Rappresenta uno dei principali attori dell'immunità innata compresi i macrofagi alveolari e le cellule dendritiche. Se stimolate, queste cellule attivano una varietà di vie di segnalazione intracellulare per specifiche difese antimicrobiche, rilascio di mediatori infiammatori e risposte immunitarie adattative. La risposta immunitaria adattativa è strettamente correlata alla capacità dei linfociti T e B di secernere citochine e produrre rispettivamente immunoglobuline. La carenza di vitamina D è stata correlata all'aumento dei livelli di IL-6, mentre l'integrazione di vitamina D riduce i livelli di IL-6 in diversi studi. L'IL-6 è elevata nei pazienti Covid-19 con malattia grave ed è anche considerata un marcatore prognostico rilevante. È stato riportato altresì che la mortalità è maggiore nei pazienti con livelli elevati di IL-6. Una conta dei neutrofili elevata predice l'infiammazione in corso e la diminuzione della conta dei linfociti è considerata un indicatore di prognosi infausta. Nel caso di infezione acuta, lo stato più grave è spesso associato a un aumento della conta delle cellule dei neutrofili e a una riduzione dei linfociti.
“In vino… salus” o “vinum vita est”! La rivincita sugli astemi, al via con l’antiossidante del benessere. A piccole dosi, il vino rosso fa bene al cuore e contrasta diabete, calcoli renali e riduce il rischio di obesità. Dulcis in fundo, aiuta a prevenire l’Alzheimer! Insomma, le proprietà benefiche dell’uva sono molteplici e sorprendenti. Tutto merito del resveratrolo, potente antiossidante con importanti effetti neuroprotettivi. Inoltre, previene la demenza, l’osteoporosi e favorisce la digestione. Le sue origini risalgono al 3150 a.C., quando gli antichi egizi utilizzavano le proprietà benefiche del vino, impreziosito da erbe e resine di vario genere per ottenere una miriade di effetti salutari. Indagini scientifiche statunitensi hanno dimostrato che l’indice di mortalità degli uomini che bevono un calice di vino al giorno si abbassa di un 17% rispetto a chi non beve vino. Tuttavia, è importante restare all’interno della soglia del benessere poiché se si consuma una quantità superiore rispetto a quella consigliata, l’indice di mortalità aumenta proporzionalmente con gli stessi valori percentuali ma, naturalmente all’incontrario. Per sommi capi, quelli che bevono uno o due calici di vino al giorno hanno una vita più longeva rispetto agli astemi. Purtroppo questa teoria vale soprattutto per gli uomini poiché hanno un enzima che metabolizza l’alcol prima di farlo arrivare al fegato, le donne, al contrario, possono bere soltanto il 60% di quello che bevono gli uomini onde evitare danni al fegato. Vero e proprio toccasana che grazie al contenuto di polifenoli, provenienti dalla buccia e dai semi dell’uva, proteggono il cuore eliminando i radicali liberi. Seppur vietato a bambini, donne in gravidanza e persone con problemi al fegato rimane consigliato a tutti gli altri per le sue capacità di prevenire le malattie cardiovascolari. Insomma, un bicchiere di rosso al giorno toglie il medico di torno! Sempre nei limiti e senza lasciarsi andare a un consumo smodato. «Solo nel 1992 si è iniziato a parlare di resveratrolo come principio attivo di grande interesse per la salute umana, quando dei ricercatori hanno tentato di dare una risposta al paradosso francese» spiega Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. Da qui l’importanza di questo potente antiossidante a spiegare quello che viene definito come il “paradosso francesce” ovvero il fenomeno per il quale in Francia, nonostante l’alto consumo di alimenti ricchi di acidi grassi saturi, l’incidenza di mortalità per malattie cardiovascolari (ossia le malattie del cuore e dei vasi sanguigni) sia relativamente bassa.
Tra i peggiori nemici di pelle e salute, proprio loro, i radicali liberi. Questi, prendono di mira i grassi che formano le membrane cellulari (liperossidazione), zuccheri, proteine e Dna dove possono alterare il codice genetico portando persino all’insorgenza di gravi malattie. «Per arginare i radicali liberi sulla pelle possiamo farci aiutare dal resveratrolo, eletta dalla facoltà di Medicina di Harvard, miglior molecola antietà naturale», spiega a Repubblica Magda Belmontesi, dermatologa a Milano. «Oggi - aggiunge -, la strategia contro i radicali liberi diventa globale: di giorno, c'è la vitamina C, attiva , infrarossi contro i danni da raggi UV, infrarossi e smog. Di notte, quando il rinnovamento cellulare è più intenso - il picco si verifica tra l'una e le 4 del mattino - bisogna invece potenziare il sistema naturale di difesa antiossidante regolato dalla proteina NRF-2, presente nel mitocondrio. Il resveratrolo è la molecola giusta per stimolarlo. Quindi niente panico, l’arma giusta è a portata di mano». Ora però facciamo un passo indietro e scopriamo cosa sono queste preziose sostanze dagli effetti cardioprotettivi. I polifenoli sono un gruppo eterogeneo di sostanze naturali, note per le loro azioni positive sulla salute umana. In natura i polifenoli vengono prodotti dal metabolismo secondario delle piante ed hanno caratteristiche che ricoprono ruoli differenti come: la difesa degli animali erbivori impartendo dei sapori sgradevoli e dai patogeni, supporto meccanico e di barriera contro l'invasione microbica, attrazione per gli impollinatori e per dispersione del frutto. Dal punto di vista chimico, invece, i polifenoli sono molecole composte da più cicli fenolici condensati; essi possiedo uno o più gruppi ossidrilici -OH legati ad un anello aromatico. In base alla loro struttura possono essere suddivisi in tre classi: quella dei fenoli semplici, quella dei flavonoidi è quella dei tannini. Un esempio di polifenolo è il resveratrolo che inibisce l'ossidazione delle LDL la sovrapposizione delle piastrine proteggendo così l'organismo dalle malattie cardiovascolari (azione antitrombotica, antinfiammatoria, antiaterogena e vaso rilassante).
Dal rosso per il cuore alle virtù del resveratrolo.
«Questo antiossidante riduce il colesterolo “cattivo” e aiuta a prevenire le malattie cardiache e cardiovascolari» spiega in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno il professor Giuseppe Paolisso, rettore dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli ed esperto in malattie del metabolismo. E, secondo alcuni studi, aiuta anche a prevenire il cancro. Altri benefici, oltre all’effetto antinvecchiamento, sarebbero nell’azione benefica contro l’infiammazione organica e nel controllo del metabolismo. Il rettore però avverte: «Trattandosi di vino, e quindi di alcol che è tossico per il fegato, tutto dipende dalle dosi. La quantità massima è di due bicchieri al giorno, non più di tanto. Non si deve mai dimenticare che l’alcol ha di per se la capacità di distruggere le cellule, e in particolare interrompe il meccanismo che serve alla produzione di energia». «Questo antiossidante – evidenzia Paolisso - riduce il colesterolo “cattivo” e aiuta a prevenire le malattie cardiache e cardiovascolari».
E, secondo alcuni studi, contribuisce anche alla prevenzione del cancro. Altri benefici, oltre all’effetto antinvecchiamento, sarebbero nell’azione benefica contro l’infiammazione organica e nel controllo del metabolismo. Senza tralasciare poi il suo effetto protettivo contro lo stress. Indagato da un gruppo di ricercatori coordinati da Mathew Sajish dello Scripp Institute, in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature. La ricerca mostra che questo composto induce, infatti, una potente risposta contro lo stress nelle cellule umane, che ha radici molto antiche dal punto di vista dell'evoluzione. Antinfiammatorie, fluidificanti, antitumorali, antitrombotiche, antiossidanti e antidiabetiche.
«È stato riscontrato - spiega ancora il giornalista nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti - che esercita effetti protettivi nei confronti della pelle (derma) preservandola dall’invecchiamento. Il resveratrolo inibisce l’apoptosi delle cellule migliorando la disfunzione mitocondriale e bloccando le radiazioni. Inoltre il resveratrolo stimola la produzione di collagene oltre che inibire l’espressione delle proteasi, responsabili della degradazione della matrice collagenica. Migliora il microcircolo che nutre la cute, rigenerando l’elasticità dei vasi periferici, permettendo l’aumento dell’ossigenazione. La sua molecola è utilizzata nel trattamento delle dermatiti seborroiche ed irritative dell’eczema. - È stato provato da diversi studi clinici che il resveratrolo è un potente antiossidante, superiore alla vitamina C ed al Beta-carotene (vitamina A), perché sviluppa con esse un’azione sinergica. Agisce inoltre inibendo la perossidazione delle lipoproteine (Ldl). - È considerato un ottimo rimedio anti-età per la sua capacità di rallentare gli effetti dell’invecchiamento». All’Università di Maastricht hanno condotto uno studio somministrando il resveratrolo per un solo mese a persone obese, a rischio di diabete, ictus e con malattie cardiocircolatorie. I ricertatori hanno riscontrato una riduzione della pressione arteriosa, una diminuzione degli zuccheri nel sangue ed un miglioramento del metabolismo dei grassi. «Al resveratrolo - evindenzia Panzironi - è anche riconosciuta la capacità di vasodilatatore, d’inibire l’aggregazione piastrinica e come ottimo fluidificatore del sangue, capace di limitare l’insorgenza di placche trombotiche (vaso epitelio-protettivo)».
Anche lo studio presentato all’Ada nel 2010 dallo scienziato Jill P. Crandall, che ha sottoposto, per settimane, i pazienti anziani a un supplemento di resveratrolo, ottenendo così una riduzione del picco glicemico post pasto pari al 10% e dimostrando, di conseguenza, un miglioramento della sensibilità insulinica.
Esistono migliaia di studi sugli effetti protettivi del resveratrolo in diverse malattie, da quelle metaboliche e neurodegenerative a quelle dell'apparato cardio-vascolare e nell'invecchiamento, passando anche per la sindrome di Down. Tra le principali proprietà del resveratrolo vi è la sua funzione antiossidante, ovvero protegge dai danni causati dall’ossidazione. È infatti in grado di inibire la sintesi dei radicali liberi, molecole alla base dell’invecchiamento cellulare. Da non trascurare poi, le sue proprietà anticancerogene. Tra le modalità di intervento, la capacità di bloccare i processi alla base della genesi dei tumori e la relativa progressione. Potente antinfiammatorio e valida alternativa all’uso dei farmaci. Protegge il sistema cardiovascolare, limitando i danni che l’invecchiamento esercita sui vasi sanguigni. Ma non è tutto. Il resveratrolo è anche un potente alleato del sistema nervoso contro i danni delle malattie neurodegenerative. Altra capacità, la sua azione immunomodulante in grado di regolare il sistema immunitario e influenzare il funzionamento dei linfociti. Da non trascurare poi, la sua funzione antimicrobica. Una marcia in più per prevenire il declino della memoria causato dall’età. Efficace anche nel miglioramento delle performance del cervello. Gli studiosi hanno osservato che il resveratrolo ha effetti positivi sull'ippocampo, un'area del cervello che è fondamentale per la memoria, l'apprendimento e l'umore. L’indagine, condotta da un gruppo di ricercatori del TexasA&M Health Science Center College of Medicine è stata pubblicata su Scientific Reports. E poi è prozioso nel trattamento dell’acne. Come dimostra un esperimento fatto dai dermatologi della David Geffen School of Medicine della University of California, pubblicato su Dermatology and Therapy, dove hanno valutato hanno valutato gli effetti del resveratrolo facendo proliferare colonie di propionibacterium acnes, batteri responsabili dello sviluppo dell'acne, su cheratinociti di pelle umana.
«Questa piccola molecola si trova soprattutto in frutta e verdura dal colore violaceo e ha la funzione di proteggere i vegetali dagli stress esterni, rappresentandone di fatto una sorta di sistema immunitario. Ma la funzione protettiva vale anche per l’uomo», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Tra le sue principali funzioni benefiche: «Ha una azione antinfiammatoria – sottolinea la biologa -, di contrasto ai radicali liberi. Come tutti gli antiossidanti protegge i vasi sanguigni e stimola i processi della regolazione del ciclo cellulare, con una funzione antitumorale di contrasto all’invecchiamento cellulare». Non solo nel vino! Tra gli alimenti che lo contengono «Troviamo il resveratrolo nell’uva, nel cacao, nei frutti di bosco come more e mirtilli, nelle melanzane e in generale negli ortaggi di colore viola scuro». Quando un bicchiere di vino al giorno toglie il medico di torno. «Sì – continua la nutrizionista -, anche se va ricordato che si tratta di una bevanda alcolica e l’etanolo ha un effetto cancerogeno. Ma il vino ha anche proprietà benefiche, che si manifestano anche nel cosiddetto paradosso francese». «Si è osservato che in alcune zone della Francia in cui si consumano molti formaggi ma anche vino c’è una bassa incidenza di malattie cardiovascolari. Questo è dovuto proprio alla presenza di resveratrolo, che abbassa il rischio di patologie cardiovascolari, andando a proteggere i vasi sanguigni dai grassi saturi e dal colesterolo dei formaggi. Il trend del cosiddetto paradosso francese segue una curva a Y: i forti bevitori e gli astemi, i due estremi della curva, hanno lo stesso rischio di patologie cardiovascolari, mentre chi fa un consumo moderato di vino ha una minore incidenza» conclude l’esperta.
Gazzetta Active "Resveratrolo: ecco perché un calice di vino al giorno può far bene"
Il Giornale "Dal resveratrolo un aiuto per rallentare l'invecchiamento"
La Repubblica "Resveratrolo e vitamina E per combattere i radicali liberi"
Il Messaggero "Due bicchieri di vino rosso al giorno: ecco perché fanno bene alla salute"
Corriere del Mezzogiorno "Due bicchieri al giorno tolgono il medico di torno. Quando l’alcol fa bene"
Agi "Resveratrolo aiuta a prevenire declino memoria"
Ansa "Nell'uva i segreti per combattere l'invecchiamento"
La Stampa "Un aiuto per la memoria? Arriva dal resveratrolo"
Agi "Salute: Cnr, resveratrolo rigenera i neuroni in sindrome di Down"
Ansa "Resveratrolo dell’ uva efficace contro l’acne"
Washington State University "WSU scientists turn white fat into obesity-fighting beige fat"
MSN Lifestyle "Resveratrolo benefici: efficace contro ipertensione e obesità"
La Stampa "Svelato il segreto del perché il resveratrolo fa bene alla salute"
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Buono in cucina e vero e proprio toccasana per il nostro benessere e poi, sicuramente vittima di un retaggio culturale. Concentrato di vitamine e minerali, ma anche povero di lattosio. Valido ingrediente anche come spuntino prima di iniziare un allenamento. Da sempre contestato sia dai “fanatici” della linea sia da quelli che lo annoverano tra gli alimenti potenzialmente nocivi per la nostra salute, e quindi, da evitare. Demonizzato perché considerato un cibo non sano. A scanso di equivoci, uno studio della Friedman School of Nutrition Science della Tufts University sostiene che il burro non fa male al cuore e protegge dal diabete. L’acido butirrico, a cui sono stati attribuiti diversi ruoli fisiologici, è quello, tra gli acidi a catena corta, sui cui più si è concentrata la ricerca. «L'acido butirrico è un acido grasso saturo, non essenziale, che si trova principalmente nel latte dei ruminanti (2-4%), e solo in tracce in quello di donna» spiega Christian Orlando, biologo. Difatti, evidenze scientifiche hanno dimostrato che l’acido butirrico regola il trasporto di fluidi, protegge i colonociti dallo stress ossidativo, influenza la motilità lungo il tratto gastrointestinale, modula la proliferazione cellulare e il differenziamento cellulare, regola inoltre, l’espressione genica. La produzione di acido butirrico svolge dunque un ruolo cruciale per la nostra salute. Considerati i notevoli stimoli a cui è continuamente esposto il colon, infatti, dalla maggiore produzione di butirrato, potrebbe scaturire una resistenza più incisiva contro stimoli tossici migliorando così la funzione della barriera intestinale. Indagini recenti hanno evidenziato che gli acidi a corta catena dopo essere stati assorbiti a livello intestinale, influenzano anche fegato e tessuti extraeptici.
“Un alimento più salutare di zuccheri e amidi” è quanto sostengono i ricercatori della Tufts University. Insomma, nessuna controindicazione sull’aumento del rischio di patologie cardiovascolari. Al contrario, i grassi del latte sarebbero in grado di mantenere la glicemia sotto controllo. Secondo quando mostrato dall’indagine della Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts University, pubblicata sulla rivista specializzata Plos One, non esisterebbe alcuna prova scientifica secondo cui assumere burro possa aumentare i rischi per la salute dell'organismo, al contrario, avrebbe un effetto protettivo contro patologie come il diabete. Per giungere a questa conclusione, gli studiosi della Tufts University hanno imposto a 636 mila persone un cucchiaio di burro giornaliero, circa 14 grammi al giorno. Nel corso della sperimentazione si sono verificati circa 28 mila decessi, quasi 10 mila patologie cardiovascolari e sono stati diagnosticati qualcosa come 24 mila casi di diabete: ma in nessuno di questi casi i ricercatori hanno trovato un legame tra il consumo di burro e le cause di morte. Le indicazioni della correlazione tra l'alimento, la mortalità e le malattie citate in precedenza, al contrario, sarebbero minime o addirittura insignificanti: anzi, per quel che concerne il diabete sembra proprio che il burro rappresenti, contro ogni aspettativa, un aiuto per il nostro organismo. E poi, il burro è anche fonte di vitamina A, D, E e K indispensabili per il nostro organismo ed è anche una delle poche fonti di vitamina D, preziosa per la salute delle ossa e del nostro sistema immunitario. Fonte di minerali tra fui l’acido linoleico coniugato (CLA) e un acido grasso con funzioni benefiche e protettive (antitumorali, anti-aterosclerotiche, antiobesità e antinfiammatori).
Salutare e digeribile come l’olio. Il burro è un grasso animale ricco di colesterolo e acidi grassi a catena corta che forniscono energia immediata all’organismo. E proprio per questo è considerato l’alimento ideale soprattutto per gli sportivi. I motivi per mangiare burro? É ricco di antiossidanti, prezioso per l’intestino (il burro è ricco di glicosfingolipidi, acidi grassi che proteggono l’intestino da infezioni e problemi gastrointestinali), aiuta il sistema immunitario (grazie alla presenza di carotene fortifica l’organismo contro le infezioni), prezioso per il benessere della tiroide (grazie alla concentrazione di vitamina A), allevia l’artrite (aiuta il corpo a contrastare i problemi legati alle articolazioni), amico degli occhi (la vitamina A protegge gli occhi dall’insorgere della cataratta), amico del cuore (anche se i grassi saturi aumentano il colesterolo, quelli contenuti nel burro contribuiscono infatti, a innalzare quello buono), alleato delle ossa contrasta l’osteoporosi (grazie alla presenza di manganese, rame, zinco e selenio) e aiuta a dimagrire (aumentando il senso di sazietà).
BURRO, PANNA e GRASSI SATURI: amici della salute e del cuore
«L’acido butirrico sembra avere ottime proprietà antinfiammatorie grazie alla capacità di sopprimere l’attività di alcune proteine che scatenano l’infiammazione, in particolare aiuta a controllare la risposta immunitaria regolando l’attività dei linfociti T. Le cellule T, attraverso un complesso meccanismo che si avvale di marcatori chiamati MHC, sono in grado di riconoscere e distruggere le cellule patogene risparmiando quelle sane; se però non funzionano correttamente il sistema immunitario può arrivare ad attaccare organi come il pancreas (diabete di tipo 1) o la tiroide» spiega Christian Orlando, biologo. «Altri studi hanno evidenziato che l’acido butirrico - continua il biologo - aiuta a tenere sotto controllo il peso corporeo stimolando gli ormoni dell’intestino e aumentando la sintesi di leptina (importante nella regolazione dell’appetito). L’acido butirrico è risultato promettente anche nella lotta contro l’insulino-resistenza. In numerosi studi è stato riscontrato che il supplemento con butirrato migliora i livelli di glucosio, la sensibilità all’insulina e persino la funzione mitocondriale» conclude il nutrizionista.
Gli acidi grassi a catena corta prodotti dai batteri intestinali, in particolare l’acido butirrico, sono essenziali per mantenere l’intestino in salute, proteggendolo così da infiammazioni e prevenendo l’insorgenza persino dei tumori. Inoltre, il microbiota mantiene il sistema immunitario costantemente attivo. Questo avviene poiché, un microbiota ricco di batteri capaci di digerire e fermentare i flavonoidi contenuti nella frutta e nella verdura promuove la produzione di sostanze che hanno effetti protettivi sulla salute cardiovascolare. Difatti, alimenti ricchi di acidi grassi saturi e cibi eccessivamente calorici stimolano, invece, la proliferazione di ceppi di batteri che promuovono l’infiammazione. Inoltre, alcune sostanze prodotte dal microbiota intestinale sembrerebbero addirittura coinvolte nella regolazione non solo dell’appetito, ma anche dell’aumento di peso. Sull’importanza degli acidi grassi per il nostro organismo interviene la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano in un’intervista a Gazzetta Act!ve:
«Gli acidi grassi a catena corta, come quelli del burro appunto, forniscono energia alle cellule intestinali. Proprio a livello intestinale avviene l’assorbimento dei nutrienti. Le cellule che partecipano a questo processo di assorbimento hanno bisogno di energia per funzionare adeguatamente. Il burro, come gli altri grassi saturi, aiuta il buon funzionamento dell’intestino. Con questo, però, non bisogna certo esagerare. I grassi devono ricoprire solo il 30 per cento dell’apporto calorico giornaliero. Ed è importante scegliere acidi grassi monoinsaturi nella maggior parte di questa quota. Ma un 10 per cento di questa parte dovrebbe arrivare dai grassi saturi. Anche perché gli stessi grassi saturi sono indispensabili perché vanno a delimitare la guaina mielinica che ricopre i tessuti nervosi».
Ma quali sono le vere caratteristiche del burro?
«Il burro – precisa la biologa - è un grasso saturo animale prodotto dal latte. Contiene però poco lattosio per via della sua preparazione, e di conseguenza è ben tollerato da chi soffre di intolleranza. E’ costituito per l’80 per cento da grasso. Il resto è acqua, un po’ di proteine e pochi zuccheri. Rispetto ad un olio, che è 100 per cento grasso, fornisce un po’ meno calorie: sono circa 750 kcal per 100 grammi. Contiene sali minerali come calcio, importante per le ossa, ma anche fosforo e potassio, quest’ultimo particolarmente utile per gli sportivi, visto il suo ruolo nel contrastare i crampi e nello stimolare la contrazione muscolare».
Inoltre, questo alimento è anche una fonte preziosa di vitamine fondamentali per il nostro benessere.
«Il burro è ricco di vitamina D – chiarisce la nutrizionista - , che migliora l’assorbimento del calcio sia per le ossa sia per la contrazione muscolare. Contiene anche vitamina A o retinolo, antiossidante molto importante per la vista oltre che per lo sviluppo di ossa e denti e per una buona risposta immunitaria, e vitamina E, che favorisce il rinnovo cellulare e combatte i radicali liberi». E poi, il burro è essenziale per tutti gli sportivi: «Di mangiarlo, ovviamente senza esagerare. Soprattutto nella stagione invernale un po’ di burro può aiutare in particolare chi fa sport outdoor di lunga durata» suggerisce Falcone.
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A confermare le recenti teorie sul rapporto tra coronavirus e la “vitamina del sole” questa volta è una ricerca tutta italiana. Studiata da un gruppo di ricercatori del Policlinico San Matteo la correlazione tra livelli di vitamina D e infezione da Covid 19. L’indagine condotta nel corso della prima ondata della pandemia su 129 pazienti ricoverati, di cui 34 hanno perso la vita durante la degenza ospedaliera, ha cercato di individuare la prevalenza dell’ipovitaminosi D, ponendola in correlazione con gli esiti clinici e i marker di gravità della malattia. E anche in questo studio, i ricercatori hanno riscontrato livelli molto bassi di vitamina D nelle persone ricoverate in gravi condizioni, anche se tali livelli non sono risultati associabili a variabili di esito, probabilmente anche in considerazione della criticità del quadro clinico di molti pazienti al momento dell’arrivo in ospedale. La ricerca, approvata dal Comitato etico, ha fotografato, al momento del ricovero, Un fattore, tra gli altri, non trascurabile ovvero la prevalenza della carenza vitaminica che, al di là dell’infezione da SARS-CoV-2 è fondamentale per il benessere del nostro organismo, e quindi, per la nostra salute. Inoltre, è stata anche riscontrata l’associazione tra lo stato della vitamina e gli esiti clinici come polmonite grave, ricovero in reparti di terapia intensiva, seguita poi dalle relative complicazione che hanno portato, in alcuni casi, persino alla morte, oltre a marcatori biochimici di gravità della malattia (come, ad esempio, conta dei linfociti, proteina C-reattiva).
L'importanza della vitamina D - intervista di Adriano Panzironi
Insomma, quello presentato da ricercatori italiani, e pubblicato sulla prestigiosa rivista "Clinical Nutrition", è un lavoro scrupoloso effettuato su un campione più ampio che porta la firma di Riccardo Caccialanza e del suo team. «I livelli sierici di vitamina D sono stati valutati a 48 ore dal ricovero ospedaliero e il 54,3% ne era gravemente carente» spiega in un'intervista al Giorno Riccardo Caccialanza, direttore dell'Unità operativa complessa di nutrizione clinica del San Matteo, che ha firmato il lavoro. «Tuttavia – precisa nell’intervista -, se l’adeguatezza della vitamina D possa prevenire l’infezione da Covid 19 o influenzare gli esiti clinici deve essere ancora valutato rispettivamente da studi di popolazione e studi di intervento dimensionati e progettati, che potrebbero essere molto rilevanti considerato l’andamento della pandemia a livello globale». Tuttavia, il ruolo della vitamina D nel rafforzare le difese immunitarie è assodato da tempo. Difatti «c’è un’importante metanalisi pubblicata sul British Medical Journal nel 2017 che sostiene che i pazienti particolarmente carenti di vitamina D ai quali venivano somministrate integrazioni della stessa avevano meno infezioni respiratorie» spiega a Gazzetta Act!ve Andrea Giustina, primario di Endocrinologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente dell'European Society of Endocrinology.
L’esperto, già lo scorso marzo, in una lettera al British Medical Journal aveva evidenziato come carenze di vitamina D aumentino la predisposizione ad infezioni sistemiche e abbassino la risposta immunitaria, favorendo anche il rischio di malattie autoimmuni. In quel periodo, era soprattutto il Nord Italia ad essere alle prese con la maggior parte di persone con il Covid e a far schizzare il bilancio dei contagi, catapultando il nostro Paese in cima alla classifica mondiale. Ma perché, nella prima come nella seconda ondata, sono le regioni settentrionali quelle con la peggiore letalità? Tra le varie ipotesi, ad oggi, l’unica confermata: soprattutto al Nord e nei mesi invernali, viene meno l’esposizione al sole, ovvero il mezzo primario per sintetizzare questa preziosa vitamina.
Il 20 marzo abbiamo pubblicato la lettera sul British Medical Journal – si legge nell’intervista a Gazzetta Act!ve - era allora il momento in cui l’Italia sembrava il Paese più colpito, cosa che si è rivelata vera anche nel prosieguo. Si era cercato di capire perché da noi la situazione fosse così drammatica soprattutto dal punto di vista della mortalità. In realtà ancora oggi non abbiamo una spiegazione del tutto convincente. Ma da studi epidemiologici emerge che nella popolazione italiana si hanno bassi livelli di vitamina D. Questo perché noi non addizioniamo il cibo come fanno, per esempio, i Paesi scandinavi, tanto che questa situazione è nota come paradosso scandinavo: quei Paesi che non conoscono una grande esposizione alla luce solare, fonte principale di vitamina D, la addizionano ai cibi. E così i loro livelli sono in media il doppio di quelli degli abitanti di Paesi del Sud Europa come Spagna, Grecia e, appunto, Italia.
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Inoltre, è scientificamente dimostrato che gli italiani hanno livelli di vitamina D più bassi di quelli degli scandinavi: «Loro hanno sopperito alla mancanza del sole con integrazioni, noi no» evidenzia presidente della Società Europea di Endocrinologia. La spiegazione è nel cambiamento delle abitudini degli italiani. Al contrario di quanto accadeva circa mezzo secolo fa, la persone trascorrono un tempo irrisorio all’aria aperta. Poi, l’arrivo del lockdown a dare il colpo di grazia a questo stile di vita che prevedeva sporadiche esposizioni ai raggi UV. In pratica, la carenza di questo nutriente sembrerebbe proprio un fattore predisponente per ammalarsi di Covid. Numerose evidenze scientifiche suggeriscono che i pazienti con Covid-19 hanno livelli di vitamina D più bassi rispetto alla popolazione generale. L’esperto, in un recente studio dell’Ospedale San Raffaele, ha evidenziato che nei pazienti ospedalizzati per Covid-19 con fratture vertebrali sembrerebbero aumentare il rischio di complicanze. Fondamentale per l’assorbimento del calcio, appare evidente il collegamento tra predisposizione alle fratture, bassi livelli di calcio, e quindi, di vitamina D e Covid-19. «Ritengo che ci sia un nesso tra vitamina D, calcio, fragilità ossea, vulnerabilità all’infezione da coronavirus e outcome peggiore dei malati. Queste fratture indicano una fragilità sistemica dell’organismo. Già nella precedente infezione da Sars era emersa una elevata prevalenza di ipocalcemia. Al San Raffaele abbiamo visto come moltissimi malati ricoverati con il Covid abbiano valori di calcio molto bassi. E il calcio basso aumenta la percentuale di rischio di ricovero per Covid» conclude Giustina. E poi consiglia a tutta di esporsi al sole, almeno mezzora al giorno e di fornire al nostro organismo, con l’alimentazione e l’integrazione, la quantità necessaria di vitamina D per stare bene.
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Quercetina, esperidina, eugenolo e butirrati. Non sono gli ingredienti di una pozione magica, ma potenti alleati in questa grande battaglia contro il coronavirus. Contro il Covid, l'azione delle molecole bioattive. «Quercetina, ma anche esperidina, eugenolo e butirrati: sono solo alcune delle molecole bioattive che sfruttano un meccanismo d'azione identificato grazie al nostro studio per contrastare il coronavirus Sars-Cov-2» spiega in un’intervista all'Adnkronos Salute Laura Teodori, del Laboratorio Diagnostiche e Metrologia Enea, autore di uno studio realizzato in collaborazione con le Università di Urbino e Singapore, che ha portato all’individuazione, in alcuni composti, proprietà che contrastano i meccanismi cellulari e molecolari dell'infezione da virus Sars-CoV-2 e la relativa progressione del Covid. «La nostra ricerca è stata realizzata grazie ai Big Data – precisa l’esperta -, ovvero a una serie di piattaforme che raccolgono una grande mole di informazioni». L’indagine è stata pubblicata sulla piattaforma Research Square e a breve apparirà anche sulla rivista internazionale peer-reviewed Frontiers in Pharmacology.
«Abbiamo indagato sul meccanismo molecolare usato dal virus per entrare nelle cellule evidenzia Teodori -, in particolare sulla via metabolica. Così abbiamo identificato la proteina Hdac (istone deacetilasi), una tra le più importanti molecole che regola l’espressione dei nostri geni, come utile bersaglio terapeutico per contrastare il virus. I risultati, validati dal confronto con i dati clinici di uno studio cinese su 1096 pazienti di Covid-19, aprono la strada a nuovi studi nel settore del drugrepurposing e drug-discovery». «Successivamente – precisa la ricercatrice - anche altri gruppi di ricerca hanno evidenziato l’Hdac come utile bersaglio per contrastare il virus Sars-CoV-2. Si tratta di un risultato di notevole impatto clinico, in quanto esiste già un discreto numero di farmaci e anche composti bioattivi di origine naturale come la quercitina, un flavonoide presente in alcuni alimenti, con comprovata attività Hdac inibitrice, attualmente utilizzati per altre patologie che potrebbero essere reclutati per contrastare la malattia Covid-19». La conferma arriva anche da altri studi recenti, secondo i quali gli alimenti che contengono quercetina sarebbero in grado di contrastare il Covid-19. Questa sostanza - si legge in un articolo pubblicato sulla rivista International journal of biological macromolecules - sarebbe in grado di destabilizzare la proteina (3CLpro) del virus che incide sul suo sviluppo.
Direttamente dalla famiglia dei flavonoidi, la quercetina è presente in tantissimi alimenti tra cui frutta, verdure. Assunta regolarmente gioca un ruolo importante per la salute perché aiuta a contrastare i danni prodotti dai radicali liberi, ma anche l’insorgenza di una molteplicità di malattie croniche. Rinomata anche per le notevoli proprietà antiossidanti, questa preziosa sostanza è indispensabile per ridurre infiammazioni, allergie e per regolarizzare la pressione sanguigna. Un pigmento che apporta molteplici benefici per la nostra salute e che può essere assunto tramite un regime alimentare vario ed equilibrato, ma anche ricorrendo a degli integratori mirati. Inoltre, la quercetina, aiuta nella prevenzione dell’invecchiamento cutaneo e contrasta gli effetti negativi delle radiazioni solari. Ma non è tutto, oltre a essere un miracoloso toccasana per il nostro benessere, contribuisce a rallentare l’insorgenza di varie patologie come malattie cardiovascolari, aterosclerosi, psoriasi, artrite, lupus, disturbi cerebrali cronici, allergie e problemi cutanei oltre a regolare la pressione arteriosa. Utile anche in caso di emorroidi, fragilità capillare, pesantezza e gonfiore alle gambe. E poi un giusto apporto di questo flavonoide permette di rinforzare la risposta immunitaria, combattere infiammazioni, allergie e, infine, migliorare le prestazioni fisiche e mentali.
Fra questi appunto i butirrati, sostanze che derivano dalla fermentazione nell'intestino delle fibre alimentari. L'acido butirrico è già studiato per contrastare le malattie degenerative» sottolinea l’esperta. Tra gli acidi a catena corta quello su cui più si è concentrata la ricerca è senza dubbio l’acido butirrico, a cui sono stati attribuiti diversi ruoli fisiologici. Questi studi hanno dimostrato che l’acido butirrico regola il trasporto di fluidi, protegge i colonociti dallo stress ossidativo, influenza la motilità lungo il tratto gastrointestinale, modula la proliferazione cellulare e il differenziamento cellulare, regola inoltre, l’espressione genica. La produzione di acido butirrico svolge un ruolo importante. Considerati i notevoli stimoli a cui è continuamente esposto il colon, infatti, dalla maggiore produzione di butirrato, potrebbe scaturire una resistenza più incisiva contro stimoli tossici migliorando così la funzione della barriera intestinale. Ma c’è dell’altro! Indagini recenti hanno evidenziato che gli acidi a corta catena dopo essere stati assorbiti a livello intestinale, influenzano anche fegato e tessuti extraeptici. «L’acido butirrico – precisa Christian Orlando, biologo e nutrizionista - sembra avere ottime proprietà anti-infiammatorie grazie alla capacità di sopprimere l’attività di alcune proteine che scatenano l’infiammazione, in particolare aiuta a controllare la risposta immunitaria regolando l’attività dei linfociti T. Le cellule T, attraverso un complesso meccanismo che si avvale di marcatori chiamati MHC, sono in grado di riconoscere e distruggere le cellule patogene risparmiando quelle sane; se però non funzionano correttamente il sistema immunitario può arrivare ad attaccare organi come il pancreas (diabete di tipo 1) o la tiroide.
Ricavata, in larga parte, dagli agrumi, l’esperidina è una molecola naturale preziosa per migliorare circolazione e resistenza dei capillari. Appartiene alla famiglia dei glucosidi e, sintetizzata da particolari specie di piante, si ottiene dall’unione di due composti: flavonoide e rutinosio. Come già detto, si trova principalmente negli agrumi, soprattutto nell’albedo, la parte bianca della scorza. Presente anche in alcune verdure ed erbe a foglie verdi come la menta. Le tante proprietà benefiche sono legate soprattutto al rinforzo dei vasi sanguigni, al miglioramento della circolazione, inoltre riduce dell’infiammazione, riduce il colesterolo cattivo (LDL), abbassa la glicemia, efficace contro le allergie, contrasta il diabete e migliora l’attività cardiaca esercitando una funzione cardioprotettiva. Interviene poi anche nel contrasto di altre problematiche quali problemi circolatori, vene varicose, emorroidi e capillari. Ma anche «l'esperidina, presente nella parte bianca degli agrumi, o l'eugenolo presente nei chiodi di garofano. Le ricerche sulle potenzialità di queste sostanze - assicura Teodori - vanno avanti in tutto il mondo. Ma voglio sottolineare l'importanza di non assumerle sotto forma di integratori alimentari: gli integratori infatti non vanno mai presi senza una indicazione del medico. Piuttosto, si può prediligere un'alimentazione a base di cibi naturalmente ricchi di questi principi attivi, che può essere utile all'organismo» conclude Teodori.
Estratto da alcuni oli essenziali, in particolare da cannella e chiodi di garofano, l’eugenolo dalle note proprietà antisettiche e anestetiche, viene usato anche come rimedio naturale contro il mal di denti. Un olio essenziale antivirale ad ampio spettro che agisce diminuendo la capacità di replicazione dei virus all’interno delle cellule.
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Dalle cellule della mucosa a quelle del sistema immunitario, dai neuroni alla microflora batterica che contiene circa 400-500 specie batteriche, fino ai nutrienti ingeriti con gli alimenti. L’ecosistema intestinale è essenziale per regolare gran parte delle funzioni gastrointestinali. Funzione fondamentale poiché le alterazioni delle relazioni tra i vari componenti dell’ecosistema favoriscono l’insorgenza di alcune patologie umane. Tra le molecole degne di interesse nutrizionale sicuramente le fibre vegetali, preziose nell’alimentazione umana e nella prevenzione delle patologie cronico-degenerative. Dalla fermentazione poi, messa in atto grazie agli enzimi batterici, si originano tre tipologie di acidi carbossilici a catena corta (short chain fatty acids): l’acido propionico (C3), il butirrico (C4), il valerato (C5) e il gas (anidride carbonica, metano, idrogeno).
Tra gli acidi a catena corta quello su cui più si è concentrata la ricerca è senza dubbio l’acido butirrico, a cui sono stati attribuiti diversi ruoli fisiologici. Questi studi hanno dimostrato che l’acido butirrico regola il trasporto di fluidi, protegge i colonociti dallo stress ossidativo, influenza la motilità lungo il tratto gastrointestinale, modula la proliferazione cellulare e il differenziamento cellulare, regola inoltre, l’espressione genica. La produzione di acido butirrico svolge un ruolo importante. Considerati i notevoli stimoli a cui è continuamente esposto il colon, infatti, dalla maggiore produzione di butirrato, potrebbe scaturire una resistenza più incisiva contro stimoli tossici migliorando così la funzione della barriera intestinale. Ma c’è dell’altro! Indagini recenti hanno evidenziato che gli acidi a corta catena dopo essere stati assorbiti a livello intestinale, influenzano anche fegato e tessuti extraeptici.
«L'acido butirrico è un acido grasso saturo, non essenziale, che si trova principalmente nel latte dei ruminanti (2-4%), e solo in tracce in quello di donna» spiega Christian Orlando, biologo. Gli acidi grassi a catena corta prodotti dai batteri intestinali, in particolare l’acido butirrico, sono essenziali per mantenere l’intestino in salute, proteggendolo così da infiammazioni e prevenendo l’insorgenza di tumori. Inoltre, il microbiota mantiene il sistema immunitario costantemente attivo. Questo avviene poiché, un microbiota ricco di batteri capaci di digerire e fermentare i flavonoidi contenuti nella frutta e nella verdura promuove la produzione di sostanze che hanno effetti protettivi sulla salute cardiovascolare. Difatti, alimenti ricchi di acidi grassi saturi e cibi eccessivamente calorici stimolano, invece, la proliferazione di ceppi di batteri che promuovono l’infiammazione. Inoltre, alcune sostanze prodotte dal microbiota intestinale sembrerebbero addirittura coinvolte nella regolazione non solo dell’appetito, ma anche dell’aumento di peso.
«A livello intestinale – evidenzia l’esperto - l'acido butirrico presenta infatti un effetto paradosso. Se da un lato, insieme alla glutammina, rappresenta una fonte energetica importantissima per le cellule della mucosa intestinale, promuovendone la replicazione, dall'altro inibisce la proliferazione delle cellule cancerose, con possibile effetto protettivo nei confronti del cancro al colon. La mucosa intestinale, rinnovando di continuo le sue cellule (gli enterociti vivono solo pochi giorni), ha esigenze nutrizionali imponenti e la sua funzionalità risulta essenziale per l'assorbimento selettivo ed adeguato dei nutrienti utili all'organismo, nonché per la protezione da svariate malattie. Un giusto quantitativo di acido butirrico è quindi necessario per la salute metabolica della mucosa del colon e più in generale dell'intero organismo. L’acido butirrico è anche prodotto dai batteri dell’intestino quando vengono consumati determinate fibre».
«L’acido butirrico – precisa il nutrizionista - sembra avere ottime proprietà anti-infiammatorie grazie alla capacità di sopprimere l’attività di alcune proteine che scatenano l’infiammazione, in particolare aiuta a controllare la risposta immunitaria regolando l’attività dei linfociti T. Le cellule T, attraverso un complesso meccanismo che si avvale di marcatori chiamati MHC, sono in grado di riconoscere e distruggere le cellule patogene risparmiando quelle sane; se però non funzionano correttamente il sistema immunitario può arrivare ad attaccare organi come il pancreas (diabete di tipo 1) o la tiroide». «Altri studi hanno evidenziato che l’acido butirrico aiuta a tenere sotto controllo il peso corporeo stimolando gli ormoni dell’intestino e aumentando la sintesi di leptina (importante nella regolazione dell’appetito). L’acido butirrico è risultato promettente anche nella lotta contro l’insulino-resistenza. In numerosi studi è stato riscontrato che il supplemento con butirrato migliora i livelli di glucosio, la sensibilità all’insulina e persino la funzione mitocondriale» conclude il nutrizionista.
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Non fa ingrassare, se assunto con moderazione. A sfatare un mito legato al consumo di vino, due recenti studi, l’uno condotto dai ricercatori del Washington State University e l’altro da scienziati della Harvard Medical School, il resveratrolo, un polifenolo presente nel vino rosso aiuterebbe a perdere peso. Il resveratrolo è un tipo di antiossidante presente nella maggior parte dei frutti. Questo polifenolo, che si trova in soprattutto nell’uva, consentirebbe di trasformare il grasso bianco, correlato al diabete e all’obesità, in grasso beige che brucia calorie invece di memorizzarle e permettere di perdere peso con maggiore facilità. Lo studio del Washington State University condotto sui topi, ha dimostrato come questi hanno registrato un miglioramento aggiungendo una modesta quantità di resveratrolo nella loro dieta, riducendo il rischio di sviluppare obesità del 40%. I ricercatori hanno scoperto che il resveratrolo ha sviluppato una quantità maggiore di grasso beige nelle cavie.
Min Du, professore di scienze animali e lo scienziato Songbo Wang i due scienziati della Washington State University hanno dimostrato che bacche, uva e altri frutti convertono il grasso bianco in eccesso in grasso beige, attivo a combustione energetica, che brucia calorie, fornendo nuove strategie per la prevenzione e il trattamento dell'obesità. Precedenti studi hanno suggerito che il resveratrolo può aiutare a prevenire l'obesità, ma non è chiaro come sia stato. Gran parte della ricerca, compresi studi altamente pubblicizzati sul vino, ha utilizzato concentrazioni molto elevate di resveratrolo - molto più di quanto un essere umano potrebbe consumare in una dieta normale. Un altro studio, è stato condotto ad Harvard su 20.000 donne. Ha dimostrato che le donne che consumavano vino avevano un probabilità ridotta del 70% di sviluppare l’obesità. Gli studiosi hanno scoperto che bere vino rallentava l’aumento di peso nelle donne. Tra le tante proprietà del resveratrolo quella rallentare l'invecchiamento e combattere il cancro, le malattie cardiache, il morbo di Alzheimer, l'obesità e il diabete.
Da anni oggetto di studio, in virtù delle notevoli proprietà benefiche per la salute oltre alla facile reperibilità in natura. Tra le principali proprietà del resveratrolo vi è la sua funzione antiossidante, ovvero protegge dai danni causati dall’ossidazione. È infatti in grado di inibire la sintesi dei radicali liberi, molecole alla base dell’invecchiamento cellulare. Da non trascurare poi, le sue proprietà anti-cancerogene. Tra le modalità di intervento, la capacità di bloccare i processi alla base della genesi dei tumori e la relativa progressione. Potente antinfiammatorio e valida alternativa all’uso dei farmaci. Protegge il sistema cardiovascolare, limitando i danni che l’invecchiamento esercita sui vasi sanguigni. Ma non è tutto. Il resveratrolo è anche un potente alleato del sistema nervoso contro i danni delle malattie neurodegenerative. Altra capacità, la sua azione immunomodulante in grado di regolare il sistema immunitario e influenzare il funzionamento dei linfociti. Da non trascurare poi, la sua funzione antimicrobica.
«Solo nel 1992 si è iniziato a parlare di resveratrolo come principio attivo di grande interesse per la salute umana, quando dei ricercatori hanno tentato di dare una risposta al paradosso francese» spiega Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. «Difatti nella comunità medica non si riusciva a comprendere come fosse compatibile una bassa mortalità da infarto coronarico in Francia (a confronto di altri paesi) valutando gli alti livelli di consumo di grassi saturi e nicotina (in linea con gli altri paesi occidentali)». Tale controtendenza, spiega Panzironi nel libro, fu attribuita al consumo di vino rosso, dimostrando che il resveratrolo protegge le persone dalle malattie cardiovascolari, nonostante un’alimentazione ricca di grassi ed un uso elevato di nicotina. Tale principio attivo si trova infatti principalmente negli acini dell’uva rossa ed è trasferito nel vino rosso grazie alla fermentazione del mosto a contatto con le bucce dell’uva (il vino bianco prodotto senza questa tecnica non contiene il resveratrolo). «Tale principio attivo - si legge nel libro - appartiene alla famiglia dei fenoli non flavonoidi e a seguito di tale ricerca sono stati realizzati altri studi in tutto il mondo, concentrati più specificatamente sulle capacità antinfiammatorie, fluidificanti, antitumorali, antitrombotiche, antiossidanti ed antidiabetiche del resveratrolo».
«È stato riscontrato - spiega ancora nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti - che esercita effetti protettivi nei confronti della pelle (derma) preservandola dall’invecchiamento. Il resveratrolo inibisce l’apoptosi delle cellule migliorando la disfunzione mitocondriale e bloccando le radiazioni. Inoltre il resveratrolo stimola la produzione di collagene oltre che inibire l’espressione delle proteasi, responsabili della degradazione della matrice collagenica. Migliora il microcircolo che nutre la cute, rigenerando l’elasticità dei vasi periferici, permettendo l’aumento dell’ossigenazione. La sua molecola è utilizzata nel trattamento delle dermatiti seborroiche ed irritative dell’eczema. - È stato provato da diversi studi clinici che il resveratrolo è un potente antiossidante, superiore alla vitamina C ed al Beta-carotene (vitamina A), perché sviluppa con esse un’azione sinergica. Agisce inoltre inibendo la perossidazione delle lipoproteine (Ldl). - È considerato un ottimo rimedio anti-età per la sua capacità di rallentare gli effetti dell’invecchiamento». All’Università di Maastricht hanno condotto uno studio somministrando il resveratrolo per un solo mese a persone obese, a rischio di diabete, ictus e con malattie cardiocircolatorie. I ricertatori hanno riscontrato una riduzione della pressione arteriosa, una diminuzione degli zuccheri nel sangue ed un miglioramento del metabolismo dei grassi. «Al resveratrolo - evindenzia ancora Panzironi nel libero - è anche riconosciuta la capacità di vasodilatatore, d’inibire l’aggregazione piastrinica e come ottimo fluidificatore del sangue, capace di limitare l’insorgenza di placche trombotiche (vaso epitelio-protettivo)». Anche lo studio presentato all’Ada nel 2010 dallo scienziato Jill P. Crandall, che ha sottoposto, per settimane, i pazienti anziani a un supplemento di resveratrolo, ottenendo così una riduzione del picco glicemico post-pasto pari al 10% e dimostrando, di conseguenza, un miglioramento della sensibilità insulinica. È stato inoltre dimostrato come l’azione antiossidante del resveratrolo abbia un effetto protettivo contro le malattie neurodegenerative (Alzheimer) e ne contrasto delle infezioni virali e fungine. Per quanto riguarda i tumori, infine, il resveratrolo impedisce la trasformazione di alcune sostanze in sostanze cancerogene. Inoltre, la somministrazione di resveratrolo, inibisce lo sviluppo di varie forme tumorali.
«I polifenoli nella frutta, incluso il resveratrolo, aumentano l'espressione genica che migliora l'ossidazione dei grassi alimentari in modo che il corpo non venga sovraccaricato», spiega Du. «Trasformano il grasso bianco in grasso beige – continua l’esperto - che brucia i lipidi come calore, aiutando a mantenere il corpo in equilibrio e prevenire l'obesità e le disfunzioni metaboliche». I due ricercatori hanno anche dimostrato che questa transizione del grasso bianco in grasso beige sarebbe stimolata stato recentemente pubblicato sull'International Journal of Obesity è stato finanziato dal National Institutes of Health, dalla National Natural Science Foundation of China e da una borsa di studio interna sulla ricerca emergente del WSU College of Agriculture, Human and Resource Sciences. Uno studio recente dell’Università di Maastricht in Olanda ha indagato gli effetti positivi che deriverebbero dall’assunzione del resveratrolo. Dallo studio emergerebbe l’abbassamento dei livelli di grassi e zuccheri nel sangue e della pressione sanguigna.
Al via con l’elisir dell'eterna giovinezza. Tra i segreti di lunga vita, il classico bicchiere di vino rosso a pasto rinforza il sistema immunitario, Dai polifenoli al resveratrolo, ritardano l’invecchiamento cellulare e prevengono le malattie cardiovascolari. Già gli antichi egizi, intorno al 3150 a.C., utilizzavano le proprietà benefiche del vino, impreziosito da erbe e resine di vario genere per ottenere una miriade di effetti salutari. È quanto si legge dallo studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) della Pennsylvania (Usa). Inoltre, gli effetti positivi del consumo moderato di vino sono stati confermati da numerose ricerche scientifiche.
Sul vino, e ancor più, sul resveratrolo, come importante antiossidante con effetti benefici sull'apparato cardiovascolare interviene anche la Coldiretti: «E' soprattutto questa sostanza, presente in particolare nel vino rosso, ad avere un'influenza positiva sulla salute, dimostrata dal cosiddetto paradosso francese: oltralpe, infatti, si soffre meno di disturbi cardiovascolari nonostante il consumo di cibi grassi, perché si beve molto vino rosso. «Recenti studi medici – continua la nota della Coldiretti -, hanno poi stabilito che il consumo prolungato di vino determina modificazioni strutturali a carico di componenti del sangue: i globuli rossi, le piastrine e altri fattori della coagulazione provenienti dal sangue di persone considerate 'bevitori abituali', hanno una resistenza superiore nei confronti di stimoli ossidativi rispetto alle cellule sanguigne degli astemi». «Altri filoni di ricerca sono quelli sulle proprietà anti-invecchiamento delle cellule, sulla cosmesi, sulla chirurgia plastica, sulla prevenzione dei tumori e dello stress e sugli allergeni» conclude il comunicato.
I notevoli benefici del resveratrolo nel vino sono già stati dimostrati 20 anni fa con una ricerca pubblicata sulla rivista medica The Lancet. Quindi, non solo non influisce sull’aumento di peso, ma non fa male. Bere vino rosso fa bene alla salute. Ampiamente dimostrato negli ultimi anni con una serie di ricerche che bere vino con moderazione potrebbe aiutare a ridurre i rischi di alcune patologie cardiache. Secondo una serie di studi, il vino aiuterebbe a ridurre anche il rischio di ictus e questo perché trattiene il colesterolo buono HDL nel sangue. Dimostrata anche la sua capacità di limitare il rischio di alcuni tipi di sviluppare il diabete di tipo 2, di cancro, di demenza e morbo di Alzheimer. Oltre a una diminuzione di probabilità di diventare depressi. Ancora più iportante, il contenuto polifenolico presente in tutti i frutti, anche se i più ricchi sono ricchi di mirtilli, fragole, lamponi, uva e mele.
I ricercatori hanno sempre ipotizzato che esistessero solo due tipi di grassi, ha affermato il grasso bianco, in cui i lipidi sono immagazzinati come energia e il grasso bruno che brucia i lipidi per produrre calore. Diversi anni fa, è stato scoperto il grasso beige, che si trova tra il grasso bianco e quello marrone. Il ricercatore sostiene che il grasso beige sia generato dal grasso bianco in un processo chiamato "doratura". «Il resveratrolo – evidenzia Du - può migliorare questa conversione del grasso bianco in grasso beige e, quando si hanno alti tassi di doratura, può parzialmente prevenire l'obesità». Du sostiene che il grasso bianco sia protettivo quando sano. Tuttavia, una quantità elevata comporterebbe squilibri e malattie. «La teoria attuale – continua lo studioso - è che quando mangiamo eccessivamente, i lipidi extra vengono immagazzinati nel grasso bianco. Con l'obesità, le cellule adipose si allargano a un punto in cui sono sature e non riescono ad assorbire lipidi». L’esperto spiega che man mano che le cellule adipose si sovraccaricano e muoiono, rilasciano tossine e causano infiammazioni che portano a problemi di salute come l'insulino-resistenza e il diabete. «I polifenoli come il resveratrolo sono buoni in quanto migliorano l'ossidazione del grasso in modo che non venga sovraccaricato. L'eccesso viene bruciato come calore », conclude il ricercatore. Tuttavia, ricordiamo che per chi ha problemi di obesità o è alle prese con una dieta dimagrante, sarebbe opportuno evitare il consumo di bevande alcoliche. In particolare, dovrebbero astenersi dal bere alcolici le donne in gravidanza e in allattamento, i bambini e gli adolescenti.
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