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Stessa spiaggia, stesso mare per essere sani e abbronzati. In vacanza o in città, la parola d’ordine è benessere dentro e fuori. Dal rinforzo del sistema immunitario per fare il pieno di salute alle regole da seguire per una corretta esposizione solare. Al mare o in montagna è fondamentale preparare pelle e organismo alle vacanze. Alimentazione, integrazione, idratazione e protezione. È questa la formula magica prima di essere baciati dal sole. Una preparazione che oltre ad aiutarci nel percorso di preparazione della pelle al sole, facilita l’abbronzatura e ci protegge da fastidiose scottature. Dall’alimentazione ai cosmetici, gli amici di un colorito intenso e un incarnato luminoso che contrastano la comparsa di macchie, cheratosi e, nel peggiore dei casi, anche tumori. Con la loro preziosa azione anti-invecchiamento e di rinforzo cutaneo, proteggono dai danni dei raggi ultravioletti e si dimostrano indispensabili per un colorito più intenso e prolungato nel tempo. Al via con betacarotene e zinco, come anche le vitamine A e C. Consigliati anche tutti quei cibi che contribuiscono all’apporto di acqua e micronutrienti essenziali (come frutta e verdura), validi supporti sia per il nostro organismo che per la nostra pelle. Dunque, non solo per una tintarella senza scottature, ma anche per combattere stanchezza e affaticamento che nelle calde giornate estive la fanno da padrone è importante fare la scorta di queste sostante benefiche e seguire una dieta ricca di alimenti che li contengono. Non dimentichiamo poi che in aggiunta ad un’alimentazione bilanciata, l’integrazione fornisce l’apporto necessario e garantisce l’approvvigionamento quotidiano di questi nutrienti così da evitare fastidiose conseguenze dovute a queste carenze. In vacanza con gli amici del benessere di pelle e organismo!

Il sole svolge numerose azioni benefiche per la salute, ad esempio stimola la produzione di vitamina D, indispensabile per fissare il calcio nelle ossa e per un buon mantenimento della nostra muscolatura, ma anche di ormoni importanti per il benessere, sia fisico che psichico. Dall’altra parte però rappresenta anche uno stress per l’organismo, che si difende dai suoi raggi provocando l’abbronzatura. In effetti, per aumentare le difese nei confronti delle radiazioni, la pelle si abbronza grazie a un pigmento bruno, la melanina, prodotta dai melanociti, cellule presenti nel tessuto cutaneo - spiega Christian Orlando, biologo. - Non bisogna considerare solo il betacarotene che stimola la sintesi della vitamina A, ma soprattutto alimenti ricchi di antiossidanti, in grado di proteggere la pelle dai danni del sole. Perché un’abbronzatura luminosa passa innanzitutto da una cute sana e radiosa. Ad esempio la vitamina C che partecipa alla formazione del collagene, il tessuto di sostegno dell’epidermide, alla quale garantisce l’elasticità; ha un ruolo antiossidante combattendo la formazione di svariati tipi di radicali.

Tutti i miracoli della “C”


Potente antiossidante e alleato del sistema immunitario. Non dimentichiamo la vitamina C! Fondamentale anche d’estate e quindi, non solo d’inverno per tenere lontano il raffreddore. Importante alleato della pelle soprattutto nella prevenzione dell’invecchiamento, protegge l’epidermide stimolando le naturali difese della pelle. Per una cute bella, giovane e luminosa. Questa preziosa vitamina previene l’invecchiamento cellulare e le macchie cutanee (grazie alla sua notevole azione schiarente), favorisce la produzione naturale di collagene, riduce la stanchezza, protegge la pelle dai raggi UV e aumenta la melanina nella grana del derma. Insomma, rallenta i segni del tempo regalando alla pelle elasticità e tonicità. Protegge, inoltre, dai danni causati da fumo, raggi solari, inquinamento e stress ossidativo. «Si tratta di una vitamina idrosolubile, che quindi non può essere accumulata nel nostro organismo e deve essere assunta regolarmente attraverso l’alimentazione», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Le sue caratteristiche rendono la vitamina C utile nel contrasto ai radicali liberi in condizioni di stress ossidativo e nella lotta all’infiammazione.

VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici

Inoltre, l’acido ascorbico partecipa a moltissime reazioni metaboliche, come la sintesi di aminoacidi, degli ormoni e del collagene. Tuttavia, poiché il nostro organismo non è in grado di sintetizzarlo, questo prezioso nutriente deve essere assunto attraverso l'alimentazione e l’integrazione. «È un potente antiossidante in grado di combattere l'aging cutaneo e stimolare la sintesi del collagene», spiega a II Sole 24Ore Mariuccia Bucci, dermatologa a Sesto San Giovanni (Mi). «Non solo – aggiunge la biologa -, se la nostra pelle appare spenta, affaticata, macchiata, un'applicazione topica di vitamina C aiuta a ridurre tutti questi inestetismi». Perché questo nutriente è così importante per il nostro corpo? «La vitamina della bellezza rappresenta la principale difesa […]» spiega a Il Sole 24Ore Nicola Sorrentino, nutrizionista a Milano. «L'acido ascorbico – continua la dermatologa – è utile nel miglioramento della struttura della pelle assicurando un miglioramento delle concentrazioni di collagene ed elastina, pilastri del derma». «È anche utilizzato come schiarente, un suo derivato è efficace contro l'iperpigmentazione e nel ridurre le infiammazioni post trattamenti laser» conclude Mariuccia Bucci.

Storia e segreti della VITAMINA C nella prevenzione di tante malattie

Tintarella consapevole


Il pieno in vacanza, la riserva per l’inverno. Con moderazione e fattore protettivo sono le uniche regole da rispettare. Difatti, la tintarella è il primo segnale da parte del nostro corpo della produzione di melanina e vitamina D. Premesso che le fonti naturali di approvvigionamento di vitamina D sono due, la luce del sole e gli alimenti. Il cibo è la seconda fonte di vitamina D: in cui, la quantità di questo nutriente è così scarsa che bisognerebbe mangiare questi alimenti in quantità troppo elevata. «La sintesi di essa da parte dell’organismo, attivata dall’esposizione alla luce solare, contribuisce all'80-90% dell'apporto di vitamina D. La sua assunzione con gli alimenti copre il 10–20 % del fabbisogno. Ne consegue che l’assunzione con la sola dieta non è generalmente sufficiente e che una moderata esposizione solare rimane sempre il metodo migliore per mantenere un giusto apporto di vitamina D» spiega Renato Masala, endocrinologo della piattaforma di esperti di Top Doctors. Inoltre, i bagni di sole fanno bene a tutti, ancora di più agli anziani e a chi soffre di problemi alle ossa.

L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi

Tra i principali segnali di una sua carenza eccessiva sudorazione, stanchezza, debolezza o depressione, problemi intestinali, pelle scura, età avanzata e sovrappeso. Fondamentale poi per il nostro sistema immunitario perché coordina l’attività di tutte le sue cellule: sia quelle coinvolte nell’immunità innata che quelle dell’immunità adattativa. Come già detto, a differenza di altre vitamine, la sua fonte principale non è il cibo, ma la luce solare. Nessun segnale evidente in caso di carenza. Tuttavia, considerato che la sua azione principale è l’assorbimento del calcio, in caso di carenze gravi si possono avere i sintomi tipici di una ipocalcemia, come formicolii e parestesie alle mani e ai piedi. Anche una propensione alle fratture può essere un segnale in questo senso, come pure l’astenia, la debolezza muscolare e la conseguente facilità alle cadute, poiché la vitamina D ha funzioni extrascheletriche, sul muscolo. Ricordiamo che (essendo la fonte principale di approvvigionamento), la scarsa esposizione solare comporta l’aumento del rischio di un deficit di questa vitamina, per questo è essenziale farne il pieno d’estate per avere le giuste scorte per affrontare in salute anche l’inverno. 

I radicali liberi non vanno in vacanza


Un must contro i killer del benessere psicofisico, colpevoli dell’accelerata dei processi degenerativi. Altro supporto necessario è quello contro lo stress ossidativo, i danni del tempo e l’invecchiamento. Dalle vitamine agli omega 3. Gli antiossidanti sono necessari perchè evitano danni irreparabili al nostro organismo. Gli antiossidanti sono quindi sostanze capaci, anche se presenti in piccola quantità, di ritardare o inibire i processi di ossidazione di materiali degradabili. Opponendosi all’azione dell’ossigeno, prevengono o quanto meno ritardano l’ossidazione di un’altra sostanza ossidabile. In sostanza, impediscono/inibiscono la formazione e l’azione degli agenti ossidanti e reagiscono direttamente con l’ossigeno.

L'importanza degli ANTIOSSIDANTI nel contrasto ai RADICALI LIBERI

Un potentissimo antiossidante è la vitamina E, che protegge la membrana cellulare, prevenendo la perossidazione lipidica, poi c’è il betacarotene, che protegge la pelle, quindi tutta la classe di flavonoidi, anche gli acidi grassi omega 3 hanno un’azione antiossidante e antinfiammatoria, nel rinforzo della barriera lipidica. Un altro antiossidante importante, la vitamina C che permette la sintesi del collagene e il recupero muscolare. Un processo naturale che porta alla progressiva diminuzione del collagene e dell'elastina prodotti dal derma, con conseguente cedimento dell'epidermide. Tra le prime cause dell’invecchiamento precoce e quindi, dell'assottigliamento e della perdita di elasticità della pelle. Gli effetti negativi dovuti ad una produzione interna di radicali liberi, hanno conseguenze rilevanti sulla nostra pelle tra cui proprio la comparsa di rughe evidenti seguite da una perdita di elasticità più profonda. Dalla pelle arrossata a quella infiammata, da quella irritata a quella disidratata. Uno squilibro devastante che potrebbe creare danni irreparabili se non contrastato in tempo e con i giusti mezzi.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Vitamina C, sistema immunitario e non solo: ecco a cosa serve e dove si trova"

Ansa "Estate, il sole e la pelle, come avere un'abbronzatura perfetta senza danni in 6 passi"

Gazzetta Active "Cibo e abbronzatura, verità e falsi miti: tutto quello che bisogna sapere"

Il Sole 24Ore "Una pelle nuova con la vitamina C"

Gazzetta dello Sport "Vitamina C, le spremute non bastano. Come fare il pieno anche d’estate?"

Donna Moderna "Vitamina C, l’antiossidante naturale che fa bene alla pelle"

Fanpage "Vitamina C per la pelle: perché fa bene e come usarla"

GQ Italia "La vitamina C è l'ingrediente che rende più bella la pelle questa estate"

NaturalmenteFarma "Vitamina D: sole e abbronzatura aiutano a sintetizzarla"

LEGGI ANCHE: Promemoria per l’estate: i segreti per una pelle sana e abbronzata

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Ci rende felici ed è un prezioso concentrato di sali minerali. Fresca, gustosa e dissetante. La bevanda dell’estate è una miniera di proprietà benefiche. Infatti, la birra viene da tempo associata per antonomasia al relax e al buonumore. Da soli o in compagnia, a casa o al mare, come premio alla fatica sostenuta o nelle serate spensierate con gli amici. Per un boccale della bionda schiumosa più amata di sempre ogni occasione è quella giusta. Adesso la scienza la annovera tra gli alleati del buonumore. Secondo uno studio condotto dall’Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga pubblicato su Scientific Reports, l’ordenina, una sostanza presente nell’orzo maltato, attiverebbe il recettore della dopamina D2 esclusivamente attraverso le proteine G, stimolando più a lungo il centro di ricompensa del cervello. Ma le scoperte non finiscono qui: alcuni ricercatori dell’Università di Oxford hanno individuato nella birra degli effetti positivi sul piano delle interazioni sociali e, di conseguenza, hanno sottolineato il ruolo fondamentale di locali ad hoc. A confermarlo un’indagine pubblicata su Cbs News, dalla quale risulta che un consumo, seppur moderato, di alcol renda le persone più socievoli, empatiche e disinibite, permettendo loro di individuare volti altrettanto allegri nel mare magnum di persone intorno più velocemente.

«Un moderato consumo della birra può dare notevoli benefici alla nostra salute» suggerisce Christian Orlando, biologo e nutrizionista. Simbolo per eccellenza di familiarità e condivisione, un posto e un momento, felice da ritagliarsi nel caos della quotidianità. «La birra – spiega in un’intervista a Gazzetta Active Ivan Magnus Tagliavia, direttore marketing di Doppio Malto – è da sempre sinonimo di convivialità e ha un grande potere evocativo: ridere insieme dei vecchi aneddoti in attesa di crearne di nuovi è un bel modo per celebrare la giornata dedicata alla felicità». Insomma, contrariamente al pensiero comune, la birra potrebbe avere una lunga serie di benefici per la nostra salute. Secondo alcuni studi pubblicati su Nbc News, il mix di vitamina B, fosforo, acido folico, niacina, proteine, fibre e silicio in essa contenuto può aiutare a impedire la formazione di batteri sui denti, avere un impatto positivo sui livelli di colesterolo e prevenire il rischio di diabete, attacchi di cuore, Alzheimer e osteoporosi. Oltre a essere un ottimo integratore di sali minerali dopo l’attività fisica. Anche il medico della Nazionale italiana di calcio e consigliere della Società italiana nutrizione sport e benessere Luca Gatteschi, in un’intervista aveva spiegato che «lontano dallo sforzo ha effetti positivi e grazie alla minore quantità di zuccheri, al maggior contributo di magnesio, fosforo, calcio e complesso B, se limitata a una piccola quantità, la birra è anche più valida di un qualsiasi altro integratore energetico perché più completo».

Secondo Eric Rimm, ricercatore di Harvard, - spiega Orlando - può ridurre il rischio di attacco cardiaco del 30% e incrementare il colesterolo buono. Uno studio condotto in Finlandia ha indicato che la birra ha un impatto negativo inferiore sui reni rispetto alle altre bevande alcoliche. Consumare birra può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare calcoli ai reni fino al 40%. Bisogna comunque sempre fare attenzione a non bere alcolici in eccesso e a seguire una dieta sana e bilanciata. Uno studio pubblicato nel 2009 sulla rivista scientifica Diabetes Care ha rivelato che bere alcol con moderazione può contribuire nella prevenzione del diabete di tipo 2 sia negli uomini che nelle donne. Uno studio condotto di recente dall’Università di Cambridge ha rivelato che la birra sarebbe una fonte di acido ortosilicico, che incoraggia lo sviluppo delle ossa. Secondo uno studio condotto dall’Università di Harokopio, in Grecia, bere birra può fare bene al cuore e contribuire a migliorare la circolazione del sangue, in particolar modo rendendo più flessibili le arterie. Secondo i ricercatori greci, i benefici della birra sulla salute del cuore e sulla circolazione sarebbero da ricercare nel suo contenuto di antiossidanti. La birra contiene vitamine. È considerata una fonte di vitamina del gruppo B, in particolare di vitamina B6 e di vitamina B9, che sono importanti per proteggere il nostro organismo dalle malattie cardiovascolari. Un moderato consumo di birra, secondo uno studio olandese, può aiutare ad incrementare il contenuto di vitamina B6 nel sangue. Uno studio condotto di recente in Spagna suggerisce che il silicio contenuto nella birra potrebbe contribuire a proteggersi dagli eventuali effetti deterioranti dell’alluminio sul cervello, che da ricerche precedenti era stato correlato al rischio di Alzheimer. Gli esperti dell’Università di Alcala ricordano comunque che il consumo di bevande alcoliche deve essere mantenuto entro certi limiti, che possono variare a seconda del sesso e dell’età. Bere un bicchiere di birra prima di andare a dormire potrebbe essere d’aiuto a chi soffre di insonnia. La birra tende a generare torpore. Viene dunque indicata a chi fatica a prendere sonno come rimedio per cercare di contrastare l’insonnia. L’alcol contenuto nella birra svolgerebbe una blanda azione sedativa, mentre l’effetto soporifero della birra sarebbe dovuto al luppolo La birra può essere d’aiuto per chi soffre di ansia e stress? Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Montreal, in Canada, bere 2 bicchieri di birra al giorno può rappresentare un antidoto utile per ridurre l’ansia e lo stress, soprattutto se sono legati alla propria situazione lavorativa. Anche in questo caso, però, è importante non cadere vittime del consumo eccessivo di bevande alcoliche.

Un concentrato di potassio

I suoi innumerevoli benefeci passano anche per la salute della pelle. Come alleata nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e nella battaglia contro l’insonnia, ma anche per la bellezza di pelle, capelli e denti. Previene le malattie cardiovascolari: grazie alla concentrazione di potassio e di vitamine del gruppo B (soprattutto la B6) che neutralizzano gli effetti negativi dell’omocisteina, aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari. Inoltre, la birra, aumenta il livello di colesterolo HDL nel sangue, ossia il grasso buono, ovvero quello che riduce il rischio di malattie coronariche. Favorisce il buon riposo: nessun potere soporifero. La birra concilia il sonno grazie alla presenza di alcune sostanze: l’acido nicotinico e la lattoflavina, responsabili rispettivamente dell’effetto di torpore benefico che qualche birretta in più spesso apporta. Toccasana per le ossa: la presenza di flavonoidi stimola l'aumento della calcitonina, l’ormone che previene l’indebolimento delle ossa. Dunque si conferma un alleato nella prevenzione dell’osteoporosi, questo anche grazie al contenuto di silicio( una molecola organica fondamentale per la densità minerale dell’osso).


Un moderato consumo di birra può - dicono gli studiosi - aiutare a combattere l'osteoporosi, la malattia del sistema scheletrico sistemica dell'apparato scheletrico caratterizzata da una bassa densità minerale ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. Un valore questo che fa diventare la bevanda - affermano i ricercatori - una delle principali fonti del minerale nelle diete occidentali. Per quanto riguarda il malto - spiegano i ricercatori - che nella buccia dell'orzo risiede la maggiore concentrazione del minerale, parte che non viene influenzata nel corso della germinazione del cereale. E inoltre le analisi effettuate sul luppolo hanno rilevato livelli di silicio quattro volte superiori rispetto a quelli del malto. La birra contiene alti livelli di malto d'orzo e di luppolo che sono le più ricche fonti di silicio - commenta Charles Bamforth, autore principale dello studio - il grano contiene meno silicio rispetto all'orzo, perché è l'involucro dell'orzo ad essere ricco di questo elemento.

Utili agli sportivi: tra le notevoli capacità anche quella di reintegrare i sali minerali persi durante lo sforzo o in caso di eccessiva sudorazione. Elisir di giovinezza: “Mens sana ma anche in corpore”. Mantiene giovani nel corpo e nello spirito! Contiene due potenti anti age come malto e luppolo che la rendono una fonte importante di antiossidanti e, tra i nemici dei radicali liberi e di tutti quei processi che causano l’invecchiamento. Effetto drenante: favorisce la diuresi in presenza di magnesio e potassio poiché una un basso contenuto di sodio favorisce il normale funzionamento dei reni e previene persino la formazione di calcoli. Ricca di fibre: prodotta dall’orzo, sostanza ricchissima di fibre solubili, la birra ne mantiene l’alto tasso fibroso. Le fibre poi, sono fondamentali per il regolare funzionamento dell’intestino, il prolungato senso di sazietà e per la normale regolazione della glicemia. Tonico per pelle e capelli: nella vasca da bagno o da tamponare sul viso. Grazie al lievito il risultato sarà pelle morbida e idratata. Oppure come soluzione a base di acqua e birra da passare sui capelli prima dello shampoo e il risultato è garantito: una chioma morbida, setosa, voluminosi e brillanti.

Non fa ingrassare


E per mantenere la linea, precisa in un’intervista a Vanity Fair il dottor Daniele Basta, biologo nutrizionista:

La birra contiene acqua, vitamine del gruppo B, tracce di minerali come calcio, ferro, magnesio, fosforo, potassio, manganese e selenio, preziosi per l’organismo. Inoltre, è fonte di antiossidanti, in particolare di polifenoli. Per queste caratteristiche, come dimostrano diversi studi, un consumo moderato di questa bevanda è associato per esempio a un ridotto rischio cardiovascolare. Consigliabile abbinarla a alimenti ipocalorici come un secondo di carne o di pesce accompagnati da un contorno di verdure miste» suggerisce l’esperto nell’intervista. - Secondo diverse evidenze scientifiche un consumo lieve-moderato di birra può avere effetti benefici nei confronti della salute cardiovascolare. Il merito è della presenza di polifenoli che, come dimostrano diversi studi, hanno un’azione antinfiammatoria e antiossidante - precisa il nutrizionista. Inoltre, aiuta nel contrasto all’invecchiamento - Grazie alla presenza di composti antiossidanti, la birra consumata in quantità moderate, può contribuire a combattere lo stress ossidativo alla base dell’invecchiamento contrastando l’azione dannosa dei radicali liberi.

Promossa anche dai medici italiani, considerata genuina per 9 su 10. Che fa bene è vero, ma ricordiamo che non tutte le birre sono uguali. Difatti, quella buona e salutare è rigorosamente artigianale, biologica e low carb. Una bionda tutta da gustare, ancora meglio se non pastorizzata, priva di carboidrati e senza glutine. La birra non pastorizzata poi ha i maggiori vantaggi per la salute perché contiene grandi quantità di Vitamina B12 fondamentale per il sistema nervoso. Nata per caso, o meglio per errore dalla distrazione di una donna che dimenticò una ciotola di cereali fuori casa, quei semi, complice un temporale, si bagnarono al punto tale da trasformarsi nella prima versione di birra della storia. Prodotta intorno al 3500-3100 a.C. tra Egitto e Mesopotamia. Con i sumeri poi, nascono i primi birrai, professionisti del settore retribuiti, seppur in parte, con la birra stessa. La prima legge a regolamentarne la produzione, fu indubbiamente il codice Hammurabi (1728-1686 a. C.) che prevedeva la condanna a morte per chi non ne rispettava i criteri di produzione. La birra poi, assumeva anche una connotazione religiosa e veniva consumata durante le cerimonie funebri in onore del defunto. Inoltre, i sui notevoli benefici non finiscono qui. Secondo un’’indagine condotta dall’IRCCS MultiMedica di Milano, dall’Università di Pisa e dall’Università dell’Insubria di Varese lo xantumolo, un molecola contenuta nel luppolo della birra sarebbe in grado di inibire la proliferazione delle cellule tumorali, affamandole: ossia bloccando il meccanismo attraverso cui tali cellule si procurano l’ossigeno di cui hanno bisogno per diffondersi nell’organismo. In realtà i ricercatori si sono soffermati su due derivati dello xantumolo, i quali esplicherebbero, nello specifico, un’azione anti-angiogenica ancora più efficace rispetto al principio naturale.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Birra, quante proprietà! Rende felici, è un ottimo integratore di sali minerali e…"

Grazia "Bere birra fa bene alla salute (e fa anche diventare più belli)"

AGI "Con alcune birre beviamo anche il glifosato?"

Il Giornale "Una birra al giorno protegge dal diabete"

Today "I benefici della birra: 10 motivi per consumarla"

Libero Quotidiano "La birra previene l'osteoporosi"

Il Giornale "Birra, vino e cioccolato fanno vivere più a lungo"

ADNkronos "Birra: è provato, un litro al dì fa campare 100 anni"

Il Giornale "La birra: un potente antitumorale"

Libero Quotidiano "Bere birra fa bene alla salute. I sei motivi per farsi una bionda"

LEGGI ANCHE: Non tutte le "bionde" sono uguali. L'altra faccia della birra, quella salutare

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Fondamentali contro gravi malattie, nel contrastare danni al DNA e preziosi per il benessere quotidiano, soprattutto per quello degli sportivi. «L’attività fisica sottopone l’organismo ad uno stress ossidativo. Quindi integrare con degli omega 3 o degli antiossidanti in generale può essere particolarmente utile[...]. Lo sportivo brucia moltissimo ossigeno, per questo è fondamentale un’alimentazione ben bilanciata con una buona quota di frutta e verdura, ma anche con spezie e aromi» spiega in un'intervista a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Per definizione, qualunque sostanza capace di interferire con le reazioni chimiche di ossidazione che danno origine ai radicali liberi o di neutralizzare quelli già prodotti. Il processo di ossidazione, introduce danni e alterazioni strutturali in proteine, acidi grassi, colesterolo, DNA e altri composti organici che compromette irrimediabilmente il corretto funzionamento dell’organismo e facilitare lo sviluppo di malattie di vario tipo, in relazione alla funzione, al gruppo di cellule o al tessuto danneggiati dall’ossidazione. Infatti, in particolari circostanze, la produzione endogena di radicali liberi e lo stress ossidativo che ne deriva possono aumentare (come avviene ad esempio durante una malattia infettiva batterica o virale oppure durante una dieta ricca di zuccheri o a fronte di un consumo smodato di alcolici), incrementando di conseguenza anche il fabbisogno quotidiano di agenti antiossidanti in grado di contrastarli.

Scientificamente dimostrato poi che un eccesso di composti ossidanti (o “stress ossidativo”) è associato allo sviluppo e/o al peggioramento di patologie cardiovascolari (arteriosclerosi, infarto, sindromi coronariche ecc.), malattie metaboliche (diabete, sindrome metabolica e obesità), con dizioni infiammatorie, malattie degenerative neurologiche (declino cognitivo, demenza, perdita dell’udito ecc.), psicosi e altri disturbi psichiatrici. Numerose indagini scientifiche hanno fornito prove evidenti sugli effetti protettivi di specifici antiossidanti soprattutto nell’ambito della prevenzione oncologica e delle patologie cardiovascolari e metaboliche. Contro i tumori, ad esempio, gli antiossidanti si dimostrano efficaci perché favoriscono la riduzione della probabilità che i radicali liberi interagiscano con la doppia elica del DNA e, quindi, che si instaurino le alterazioni genetiche (mutazioni) alla base delle neoplasie. A livello cardiovascolare, l’effetto protettivo è legato alla capacità degli antiossidanti di combattere i radicali liberi in corrispondenza delle pareti delle arterie, dove questi composti dannosi accelerano e aggravano l’aterosclerosi favorendo lo sviluppo di patologie coronariche ed eventi acuti come l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale. E ancora, considerato che lo stress ossidativo è un risultato associato a un’accelerazione dei processi di invecchiamento dell’organismo a tutti i livelli, e quindi, non solo cutaneo, ma anche cardiovascolare e neurologico, uno stile alimentare ricco di antiossidanti potrebbe dimostrarsi un prezioso alleato per contenere il naturale declino fisico e intellettivo associato allo scorrere del tempo.

Amici fantastici e dove trovarli


Evitano danni irreparabili al nostro organismo. Gli antiossidanti, secondo la definizione universalmente riconosciuta, sono quindi sostanze capaci, anche se presenti in piccola quantità, di ritardare o inibire i processi di ossidazione di materiali degradabili. Opponendosi all’azione dell’ossigeno, prevengono o quanto meno ritardano l’ossidazione di un’altra sostanza ossidabile. In sostanza, impediscono/inibiscono la formazione e l’azione degli agenti ossidanti e reagiscono direttamente con l’ossigeno. Esistono due categorie di antiossidanti: quelli primari o preventivi (la cui funzione è quella di impedire o ritardare l’ossidazione tramite rimozione o inibire dell’agente ossidante) mentre quelli secondari (la cui funzione è di interrompere l’ossidazione, una volta iniziata). Inoltre, molte malattie degenerative, così come l’invecchiamento, riconoscono tra i meccanismi di base un aumentato stress ossidativo. L’organismo produce naturalmente una serie di antiossidanti definiti endogeni (glutatione, il coenzima Q e gli enzimi superossido dismutasi e catalasi). Gli altri vengono quotidianamente introdotti nell'organismo attraverso il cibo. Di qui l’importanza di una dieta sana ed equilibrata poiché, il perdurare di una condizione di stress ossidativo, potrebbe essere alla base dell’insorgenza di alcune importanti patologie.

Gli antiossidanti sono delle molecole che possiamo produrre direttamente nel nostro organismo, che li ha già dentro di sé, oppure assumere attraverso l’alimentazione - spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano - Nel nostro organismo è necessario un equilibrio in termini di antiossidanti e di radicali liberi, che produciamo costantemente. Questi ultimi in sé non fanno così male come si pensa: una quota di radicali liberi può essere funzionale per il nostro organismo, ma non troppi. Se non c’è equilibrio si va incontro ad uno stress ossidativo, quindi si possono avere danni cellulari e a livello dello stesso DNA. I radicali liberi infatti accelerano l’invecchiamento, attivano dei processi infiammatori e indeboliscono il sistema immunitario. L’azione degli antiossidanti è quella di rendere stabili le cellule e contrastare la formazione di più radicali liberi.

L'importanza degli ANTIOSSIDANTI nel contrasto ai RADICALI LIBERI

Uno squilibrio da non sottovalutare.

Si produce quando c’è uno squilibrio tra antiossidanti e radicali liberi, oppure quando la produzione di prostaglandine infiammatorie (citochine infiammatorie) è elevata. E’ tutto regolato dai lipidi, dai grassi, che formano la membrana cellulare. In generale una cellula sana vede un equilibrio tra la produzione di citochine pro-infiammatorie e citochine anti-infiammatorie. Anche quelle pro-infiammatorie hanno un’azione positiva per l’organismo, perché possono bloccare un’infezione, un patogeno. Sono un sistema di difesa della cellula. Quando questo equilibrio viene meno, magari perché si segue una dieta sbilanciata, si ha un’eccessiva produzione di citochine pro-infiammatorie. A questo punto si crea questa condizione di stress ossidativa che, se non trattato, può diventare cronico. Si tratta di un’infiammazione silente, priva di sintomi, ma se diventa cronica può dare luogo a tutte quelle patologie infiammatorie come obesità, diabete, malattie cardiovascolari, cancro.

Dalle vitamine agli omega 3, l'esercito nella prevenzione della perossidazione lipidica.


Un potentissimo antiossidante è la vitamina E, che protegge la membrana cellulare, prevenendo la perossidazione lipidica. Si trova nell’olio extravergine d’oliva e nell’avocado. Poi c’è il betacarotene, che si trova nella verdura gialla e arancione e protegge la pelle. Quindi tutta la classe di flavonoidi: i polifenoli, presenti nella verdura, soprattutto nelle crucifere, nella frutta e nel tè (soprattutto verde), nell’uva e nel vino rosso (qui sotto forma di resveratrolo). Un altro tipo di flavonoidi sono le antocianine, dei frutti rossi, veri e propri super food. Anche gli acidi grassi omega 3 hanno un’ azione antiossidante e antinfiammatoria, perché danno forza alla barriera lipidica, agendo a livello anche genico. Li troviamo soprattutto nella frutta secca, [...] nel salmone e nei pesci grassi, nell’avocado. E sono ottimi anche per gli sportivi, perché vanno a nutrire il muscolo. La vitamina C è un altro antiossidante importante, che permette la sintesi del collagene e il recupero muscolare. Si trova in molti ortaggi, anche di stagione come le fragole, e poi kiwi, peperoni, agrumi. Il licopene tra tutti gli antiossidanti è quello che si attiva con la cottura. E’ presente nei pomodori, e proprio in questo caso la cottura ne libera quantità maggiori.

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Per approfondimenti: 

Gazzetta Active "Antiossidanti, perché sono fondamentali per gli sportivi? Ecco dove trovarli"

Il Giornale "Pelle over 60, niente rughe con i cibi antiossidanti"

ISS "Antiossidanti"

Fondazione Veronesi "Antiossidanti: le sentinelle della nostra salute"

Treccani "Antiossidante"

Sapere Salute "Antiossidanti"

The Journal Of Neuroscience "Oxidative damage and antioxidant response in frontal cortex of demented and non-demented individuals with Alzheimer’s neuropathology"

Hypertension "Benefits in Cognitive Function, Blood Pressure, and Insulin Resistance Through Cocoa Flavanol Consumption in Elderly Subjects With Mild Cognitive Impairment"

LEGGI ANCHE: Nuovi studi sul cacao: una spolverata di benessere che previene e inibisce l’Alzheimer

Rivista Neurology: alti livelli di zucchero nel sangue sono legati alla demenza e Alzheimer

Università di Lille: il consumo di caffè previene il morbo di Alzheimer

Columbia University: ecco il perché gli omega 3 proteggono dall'Alzheimer

 

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Ingrediente importante nella prevenzione di alcune malattie legate all’invecchiamento cellulare e alla neurodegenerazione, come il morbo di Parkinson e l’Alzheimer. I ricercatori della Fondazione Mach, nei laboratori di metabolomica di San Michele all’Adige, hanno studiato i metaboliti della frutta nel loro percorso all’interno del corpo, soffermandosi in particolare sull’acido gallico, presente nel vino e nei piccoli frutti. I ricercatori hanno dimostrato come esso si depositi in quantità significative proprio nel cervello. I risultati del progetto di ricerca sono stati poi pubblicati sulla prestigiosa rivista dell’American Chemical Society, “ACS Chemical Neuroscience”. Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa progressiva caratterizzata da una perdita di neuroni dopaminergici, che porta a bradicinesia, rigidità, tremore a riposo e instabilità posturale, nonché sintomi non motori come compromissione olfattiva, dolore, disfunzione autonomica, sonno alterato, affaticamento e cambiamenti comportamentali. La patogenesi coinvolge lo stress ossidativo, la distruzione dei mitocondri, le alterazioni della proteina α-sinucleina e i processi neuroinfiammatori. Dall’altro lato, i polifenoli, metaboliti secondari delle piante, che hanno mostrato benefici in diversi modelli sperimentali di Parkinson. L'assunzione di polifenoli attraverso la dieta è anche associata a un minor rischio della patologia del Parkinson e, dai dati a supporto, anche della potenziale capacità neuroprotettiva dell'aumento dei polifenoli nella dieta. L'evidenza suggerisce che l'assunzione di polifenoli alimentari potrebbe addirittura inibire la neurodegenerazione e la progressione della patologia stessa.


I polifenoli, infatti, sembrano avere un effetto positivo sul microbiota intestinale, capaci quindi di ridurre l'infiammazione che contribuisce all’insorgenza della malattia. Pertanto, una dieta ricca di polifenoli potrebbe dunque diminuire i sintomi e aumentare la qualità della vita di tutte quelle persone costrette a convivere con questa patologia. Le malattie neurodegenerative (ND) sono caratterizzate da disturbi con progressivo deterioramento della struttura e/o della funzione dei neuroni. Le mutazioni genetiche possono portare a molte di queste. Tuttavia, la neurodegenerazione può anche avvenire a causa di diversi processi biologici. La patogenesi di diverse malattie neurodegenerative tra cui le malattie di Alzheimer (AD), Parkinson (PD) e Huntington (HD) è associata allo stress ossidativo (OS). Per mantenere le normali funzioni dei neuroni, sono importanti anche livelli più bassi di specie reattive dell'ossigeno (ROS) e specie reattive dell'azoto (RNS), poiché i loro livelli maggiori potrebbero causare la morte delle cellule neuronali. È stato scoperto, inoltre, che la neurodegenerazione mediata dal sistema operativo comporta una serie di eventi tra cui la disfunzione mitocondriale. Numerose evidenze scientifiche suggeriscono da anni il beneficio dell'utilizzo dei polifenoli per il trattamento dei disturbi neurodegenerativi. Nel complesso, i fitochimici polifenolici sono di natura più sicura. In particolare, sulla potenziale efficacia di polifenoli come epigallocatechina-3-gallato, curcumina, resveratrolo, quercetina e polifenoli metilati berberina contro i più comuni disturbi neurodegenerativi.

Un muro allo stress ossidativo


Una comune malattia neurodegenerativa, quella del Parkinson caratterizzata da deficit motori e gastrointestinali (GI). Studi recenti evidenziano il ruolo del microbiota intestinale nei disturbi neurologici. Considerata come la seconda malattia neurodegenerativa progressiva più diffusa caratterizzata dalla degenerazione dei neuroni dopaminergici nel mesencefalo umano. Vari studi di ricerca in corso concorrono per comprendere le cause di questa patologia e chiarire i meccanismi alla base della neurodegenerazione. Gli attuali trattamenti farmacologici si sono concentrati principalmente sul miglioramento del metabolismo della dopamina nei pazienti con Parkinson, nonostante gli effetti collaterali dell'uso a lungo termine. Negli ultimi anni, è stato riconosciuto che i percorsi mediati dallo stress ossidativo portano alla neurodegenerazione nel cervello, che è associata alla fisiopatologia del morbo di Parkinson. Inoltre, la funzione esercitata dal microbiota intestinale potrebbe essere influenzato da fattori che predispongono gli individui al morbo di Parkinson, come le tossine ambientali, l'invecchiamento e la genetica dell'ospite. È necessario evidenziare l'effetto del microbiota intestinale sui meccanismi implicati nella fisiopatologia del Parkinson, tra cui l'asse del cervello intestinale del microbiota interrotto, la disfunzione della barriera e la disfunzione immunitaria.

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Nella malattia di Parkinson – evidenzia Christian Orlando, biologo - l'importanza dell’alimentazione è ormai nota a tutti. In presenza di malattie croniche un’alimentazione corretta diventa condizione fondamentale per il benessere dell’individuo e influisce positivamente sull’efficacia della terapia farmacologica e sullo stato di salute generale». Inoltre, «un’alimentazione a basso contenuto di carboidrati insulinici ha un enorme potenziale nella prevenzione e nella gestione delle patologie neurodegenerative come il Parkinson. Gli studi clinici che esplorano l’effetto dei cambiamenti dietetici a livello neuronale sono pochi e lontani tra loro, ma esiste già un’enorme quantità di materiale scientifico che dettaglia come le diete ad alto contenuto di zucchero mettono a repentaglio la salute del cervello e quanto invece, al contrario, le diete a basso contenuto di carboidrati supportano la salute del cervello. Infatti nella patologia del Parkinson la funzione mitocondriale indebolita si suppone sia coinvolta nella morte dei neuroni che forniscono la dopamina. I ricercatori ipotizzano che i corpi chetonici, utilizzati come fonte energetica in caso di ridotto apporto di carboidrati, possono proteggere i mitocondri e sostenere la loro funzione» conclude l’esperto.

E ancora, questa patologia è caratterizzata oltre alle alterazioni del microbiota intestinale anche da un elevato carico di comorbidità gastrointestinali, in particolare costipazione e riduzione del tempo di transito del colon. E i diversi metaboliti prodotti dal microbiota sono decisamente importanti per la salute dell'ospite. Gli obiettivi dello studio erano valutare le associazioni tra composizione del microbiota, consistenza delle feci, stitichezza e metaboliti microbici sistemici nella malattia di Parkinson per comprendere meglio come i microbi intestinali contribuiscono ai disturbi gastrointestinali comunemente osservati nei pazienti. In sintesi, le alterazioni compositive e metaboliche nel microbiota del Parkinson sono altamente associate alla funzione intestinale, suggerendo plausibili collegamenti meccanicistici tra metabolismo batterico alterato e ridotta salute intestinale in questa malattia. La rilevazione sistemica di elevati metaboliti microbici proteolitici deleteri nel siero di Parkinson suggerisce un meccanismo per cui la disbiosi del microbiota contribuisce all'eziologia e alla fisiopatologia della malattia. A tal proposito, i polifenoli del cacao riattivano i processi coinvolti nel metabolismo cerebrale, mantenendo un corretto afflusso cerebrale di sangue, migliorando la perfusione cerebrale; migliorano la sensibilità all’insulina, modulano l’attività neuroinfiammatoria e posseggono attività neuroprotettiva, bloccando la morte neuronale indotta dalle neurotossine.

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Per approfondimenti:

PubMed "Microbiota Composition and Metabolism Are Associated With Gut Function in Parkinson's Disease"

PubMed "Parkinson's disease: Are gut microbes involved?"

PubMed "The Pathology of Parkinson's Disease and Potential Benefit of Dietary Polyphenols"

JAMA Neurology "Association of Circadian Abnormalities in Older Adults With an Increased Risk of Developing Parkinson Disease"

PubMed "Plant Polyphenols as Neuroprotective Agents in Parkinson's Disease Targeting Oxidative Stress"

PubMed "Neuroprotective role of polyphenols against oxidative stress-mediated neurodegeneration"

MedicalFacts "Malattia di Parkinson: levatacce e ore piccole possono influire?"

PubMed "The Pathology of Parkinson's Disease and Potential Benefit of Dietary Polyphenols"

Il Messaggero "Il Covid può portare al Parkinson, studio australiano: Sarà la terza ondata della pandemia"

Libero "Coronavirus e Parkinson, la correlazione col morbo: "Questa sarà la vera terza ondata della pandemia"

Io Donna "Post lockdown: 6 bambini su 10 mostrano ansia, irritabilità e disturbi del sonno"

Il Giorno "Effetto Coronavirus: Aumentati i pazienti con disturbi del sonno"

Il Fatto Quitidiano "Parkinson, “un nesso tra infiammazione e la neurotossicità”. Lo studio dell’istituto Mario Negri"

Wired "A causa di Covid-19 potremmo vedere un'ondata di Parkinson"

PubMed "Peripheral inflammation exacerbates α-synuclein toxicity and neuropathology in Parkinson's models"

Biomedicalcue "Parkinson: scoperta la coppia molecolare che frena il morbo"

LEGGI ANCHE: Elimina i "rifiuti": il sonno rigenera il cervello e contrasta le malattie neurodegenerative

Insonnia e disturbi del sonno triplicano il rischio di sviluppo del Parkinson

Covid-19. Dalla terza ondata della pandemia al morbo di Parkinson

Rush University: la cannella per arrestare la progressione del morbo di Parkinson

Studi: la curcuma può curare Parkinson e Alzheimer ma la medicina non studia prodotti a basso costo...

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Dolorosa e invalidante. Acuta o cronica è senza dubbio, la più nota è quella reumatoide. Tra le patologie della mano più comuni e fastidiose c’è sicuramente l’artrite. Dalle dita rigonfie a quelle deformate cosiddette “a collo di cigno”. I tratti distintivi di questa malattia sono senza dubbio dolori localizzati tra al pollice, medio e anulare, formicolii, rigonfiamenti oltre al “dito a scatto”. Una patologia autoimmune sistemica in cui alcune cellule del sistema immunitario che mutano e attaccano il proprio organismo aggredendolo. Nello specifico, la membrana affetta da artrite crea il panno sinoviale che, espandendosi, intacca legamenti, tendini e cartilagini. Le articolazioni maggiormente bersagliate sono sicuramente polsi, gomiti, ginocchia, caviglie, piedi e mani. In pratica, nelle persone malate di artrite reumatoide, produce erroneamente anticorpi che attaccano il rivestimento delle articolazioni (membrana sinoviale), causando infiammazione e dolore. L’infiammazione, a sua volta, produce sostanze chimiche (citochine) che provocano l’ispessimento e l’aumento di volume della membrana sinoviale e danneggiano le ossa, le cartilagini, i tendini e i legamenti circostanti. In assenza di cure, le citochine possono causare la deformazione dell’articolazione e, da ultimo, distruggerla completamente. Le ipotesi più accreditate sostengono che la malattia si manifesti in individui geneticamente predisposti quando siano esposti ad un evento o ad un agente, scatenante (quale un virus o un batterio), non ancora individuato che innesca la reazione immunitaria. Colpisce dalle tre alle sette persone ogni mille, in prevalenza donne, con un picco di insorgenza in una fascia d’età compresa fra i 45 e i 65 anni. Dalla rigidità al movimento alla conseguente perdita della funzionalità delle articolazioni coinvolte. «L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica autoimmune che attacca i tessuti articolari di una persona il cui sistema immunitario, invece di proteggere l’organismo dagli agenti esterni come virus e batteri, si attiva in maniera anomala contro di esso» spiega al Corriere della Sera Roberto Gerli, presidente della Società Italiana di Reumatologia.

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In Italia, 400.000 persone soffrono di artrite reumatoide. L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce in maniera elettiva le articolazioni. La sua prevalenza ovvero il numero di casi di artrite reumatoide nella popolazione mondiale è di circa l’1%. In Italia la media è di un malato ogni 250 persone. Tra le malattie osteoarticolari, l’artrite reumatoide, rappresenta la malattia più grave in termini di danno strutturale delle articolazioni, di danno osseo secondario, di complicanze extra-articolari, di comorbidità associate e di rischio di mortalità. Come accade per altre malattie autoimmuni è lo stesso sistema immunitario (che di norma difende l’organismo dalle aggressioni esterne) ad attaccare i tessuti sani, non riconoscendoli come tali. Il “bersaglio” privilegiato degli anticorpi, in questo caso è la membrana sinoviale, che è il foglietto di rivestimento interno della capsula articolare e che si riflette ai margini di questa andando poi a tappezzare le superfici ossee articolari. Tale membrana reagisce all'infiammazione aumentando di volume e dando origine al panno sinoviale. Questo si espande fino a provocare la graduale distruzione della cartilagine, ma il processo proliferativo nei casi più gravi arriva a toccare le ossa e gli altri tessuti circostanti (osso subcondrale, capsule, tendini, legamenti). Tuttavia, l’infiammazione potrebbe coinvolgere i vasi sanguigni, le sierose, i muscoli, i polmoni, i reni, il cuore, il sistema nervoso centrale e periferico, l’apparato visivo, quello emopoietico. Tra le categorie più a rischio ci sono indubbiamente anche le persone obese o in sovrappeso, questo perché l’aumento di peso sovraccarica le articolazioni aumentando il rischio di infiammazione.

Non sottovalutare le conseguenze dell'artrite

Sotto il nome di artrite, che significa letteralmente “articolazione dolorante, rientrano più di cento condizioni diverse. Unico comune denominatore, la caratteristica di provocare un'infiammazione a livello articolare. Fino a poco tempo fa confusa o associata all’artrosi, malattia ben diversa che colpisce i condrociti, le cellule che costituiscono la cartilagine e che, nonostante abbia una componente infiammatoria non è una malattia infiammatoria. Tra i sintomi manifesti di questa infiammazione articolare dolore, gonfiore, rigidità al movimento e successiva perdita della funzionalità delle articolazioni coinvolte. La rigidità articolare, maggiormente intensa al risveglio, può durare per tutta la giornata. Si tratta di uno dei principali campanelli d’allarme dell’artrite reumatoide: in altre patologie articolari (come l’osteoartrosi) questo disturbo tende a svanire più rapidamente. Inizialmente, la perdita della funzionalità articolare può essere determinata dall’infiammazione della membrana sinoviale (o sinovite). Nella fase avanzata della malattia è più frequentemente associata alle deformità articolari e alle anchilosi. Di solito, l’artrite reumatoide colpisce in modo bilaterale e simmetrico. Tra le varie forme di artrite:


Osteoartrite: più comune soprattutto tra le persone anziane, è la causa principale di disabilità fisica, tra le donne dopo i 45 anni di età. Lesiona le cartilagini e conseguentemente comporta spesso un contatto diretto tra le ossa nelle articolazioni. Si manifesta su mani, collo, fondoschiena e sulle articolazioni su cui si scarica il peso del corpo, come le ginocchia, i fianchi e i piedi.

Artrite reumatoide: (come già detto) interessa le articolazioni, ma anche i tessuti epidermici, polmonari, oculari e i vasi sanguigni. Le persone colpite si sentono stanche e febbricitanti. Una malattia autoimmune che si manifesta solitamente in modo simmetrico nei vari organi (entrambe le mani o entrambe le ginocchia). Può comparire a qualunque età, ma colpisce perlopiù le persone nel loro periodo di maggior produttività. Le donne colpite sono circa due volte più numerose che gli uomini.

Gotta: si manifesta come dolore improvviso e molto intenso e infiammazione e ingrossamento delle articolazioni. Frequentemente gli attacchi sono notturni e possono essere conseguenti all’uso di alcol, droghe o altre malattie pre-esistenti. E’ dovuta all’accumulo di cristalli di acido urico nei tessuti connettivi che si trovano nelle articolazioni. E’ più frequente negli uomini tra i 40 e i 50 anni, mentre nelle donne compare solitamente solo in menopausa.

Artrite reumatoide giovanile: la forma più comune tra i bambini, che causa dolore, irrigidimento, gonfiore e perdita di funzione delle articolazioni. Può essere associata ad episodi di febbre e può colpire diverse parti del corpo.

Fibromialgia: una malattia cronica che causa dolori in tutti i tessuti che supportano ossa e articolazioni. I dolori e l’irrigidimento si manifestano nei muscoli e nei tendini, soprattutto sul collo, colonna vertebrale, spalle e fianchi.


Lupus sistemico eritematoso: malattia autoimmune che comporta infiammazione di articolazioni, pelle, reni, cuore, polmoni, vasi sanguigni e cervello.

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Oltre a queste, ci sono anche altre forme di artrite che colpiscono anche tessuti e organi interni: lo scleroderma (che colpisce soprattutto la pelle), la spondiloartropatie (un insieme di forme che interessano principalmente la colonna vertebrale), l’artrite infettiva (causata da un agente batterico o virale, come i gonococchi o i porvovirus), la polimialgia reumatica (colpisce tendini, muscoli, legamenti, e tessuti articolari), la polimiositi (genera infiammazione muscolare), l’artrite psoriasica (che si manifesta in persone già colpite da psoriasi, soprattutto sulle dita di mani e piedi), le borsiti (infiammazione delle bursae, che contengono liquidi atti a ridurre la frizione tra le ossa) e le tendiniti (comportano infiammazione dei tendini, sia per eccessivo e scorretto uso che per una pregressa condizione reumatica).

Dieta antinfiammatoria, una terapia naturale


Una dieta a ridotto contenuto infiammatorio è associata a una maggiore perdita di peso, riduzione dell’infiammazione, migliori prestazioni fisiche e minore dolore articolare. Difatti, uno stile alimentare “a basso contenuto infiammatorio” potrebbe portare persino alla riduzione del dolore e al miglioramento delle funzioni fisiche. Come suggerito dal dottor Gianfrancesco Cormaci, specialista in biochimica clinica «il regime alimentare previsto per alleviare questi sintomi è la dieta antinfiammatoria che si basa essenzialmente sui cibi ad alto contenuto di antiossidanti, polifenoli, carotenoidi, acidi grassi omega 3, cibi a basso indice glicemico». In questo regime alimentare viene favorito anche l’utilizzo dell’olio extravergine di oliva come principale fonte di grassi ed è altresì consigliata la riduzione o la minimizzazione di carboidrati, alcolici e zuccheri. Sono, invece, da prediligere tutti quegli alimenti che contengono grassi omega 3 la curcuma perché in grado di contrastare gli stati infiammatori, l’olio EVO perché è da considerarsi un farmaco naturale. Insomma, da evitare assolutamente, zuccheri, cereali e tutti i cibi OGM. Questi cibi se inseriti all’interno di un’alimentazione sana e bilanciata, possono offrire un valido aiuto per alleviare i fastidiosi sintomi dell’artrite.

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Per approfondimenti:

Corriere della Sera "Artrite reumatoide, la remissione è possibile per metà dei malati (se la diagnosi è precoce)"

Istituto Superiore di Sanità "Artrite reumatoide"

SkyTg24 "Artrite reumatoide, i primi sintomi e come diagnosticarla"

Il Giornale "Artrite reumatoide: insorgenza, sintomi e rimedi"

EpiCentro "Artriti"

Che Donna "Soffri di artrite reumatoide? Ecco i cibi da evitare"

Affari Italiani "Artrite reumatoide, 7 sintomi iniziali da non sottovalutare"

Fondazione Veronesi "Artrite reumatoide"

Leggo "Lotta all'Artrite reumautoide"

Today "Medici: esperti Sir, 'remissione artrite reumatoide traguardo possibile'"

Corriere della Sera "Fratture da fragilità: quelle del femore sono le più temibili"

Ravenna Today "Artrite: è possibile alleviare i sintomi con una dieta mirata"

Today "Artrite, quali cibi mangiare e quali evitare"

Ministero della Salute "Osteoporosi"

Ministero della Salute "La probabilità di ammalarsi di osteoporosi aumenta con l’aumentare dell’età [...]"

Che Donna "Come prevenire l’osteoporosi | mettiamo più calcio e magnesio a tavola"

Ministero della Salute "Prevenzione delle fratture da fragilità"

PubMed "The Effect of Vitamin D Supplementation in Elite Adolescent Dancers on Muscle Function and Injury Incidence: A Randomised Double-Blind Study"

MDPI "Vitamin D and Sport Performance"

Gazzetta dello Sport "Vitamina D: preziosa per ossa, muscoli e prestazioni sportive"

LEGGI ANCHE: Artrosi, artrite, reumatismi e altri dolori d’inverno. A rischio centinaia di italiani

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Non toglie solo il medico, ma anche la cataratta. È la scoperta di un nuovo studio britannico che collega il consumo della tanto amata bevanda a un minor rischio di sviluppare un problema agli occhi. Vero e proprio deterrente per l’insorgenza di questa malattia invalidante, il vino rosso si dimostra ancora una volta grande alleato del benessere. Insomma, un bicchiere di vino al giorno toglie la cataratta di torno. Nessun miracolo, è tutto merito degli antiossidanti. Ebbene sì, secondo quando dimostrato dall’indagine, gli antiossidanti presenti nel vino potrebbero aiutare a spiegare perché i bevitori, ovviamente moderati, abbiano il 23% in meno di possibilità di dover subire un peggioramento delle condizioni, e quindi, anche un intervento alla vista, rispetto alle persone che non lo consumano. La cataratta, ovvero il processo di progressiva perdita di trasparenza del cristallino nell'occhio, è una tra le principali cause di problemi di vista e cecità, soprattutto nelle persone anziane. Dai notevoli benefici alla capacità di tenere alla larga non solo questa patologia, ma anche la possibilità di ricorrere, come spesso avviene, a un intervento chirurgico. Sono 650 mila le persone in Italia che per riacquistare la vista sono costrette a sottoporsi a questo intervento.

Rigorosamente moderato, il consumo di vino rosso aiuta la vista. Un bicchiere al giorno, riduce la probabilità di sviluppare la cataratta. I ricercatori dell'ospedale oculistico Moorfields di Londra e dell'istituto di oftalmologia dell'University College della capitale hanno analizzato il quadro clinico e lo stile di vita di circa 500 mila pazienti suddiviso poi in due studi, Epic-Norfolk e Uk Biobank. Gli esperti hanno scoperto che le persone che consumavano circa 14 unità di alcol a settimana avevano meno probabilità di subire un intervento di questo genere. Il rischio era inferiore soprattutto tra i bevitori di vino rispetto a quelli che consumavano birra o altri alcolici. Nello studio Epic-Norfolk coloro che bevevano vino almeno cinque volte a settimana avevano il 23% in meno di probabilità di avere un peggioramento della patologia rispetto ai non bevitori, mentre quelli dello studio UK Biobank avevano il 14% in meno di probabilità. «Lo sviluppo della cataratta può essere dovuto a un danno graduale dallo stress ossidativo durante l'invecchiamento. Il fatto che i nostri risultati siano stati particolarmente evidenti nei bevitori di vino può suggerire un ruolo protettivo degli antiossidanti polifenolici, che sono particolarmente abbondanti nel vino rosso», sottolinea il dottor Sharon Chua, autore dell’indagine. Gli scienziati hanno sottolineato anche una correlazione tra il consumo moderato e la (s)comparsa della cataratta.

Patologie oculari dell’invecchiamento


La salute degli occhi passa dagli antiossidanti. Circa il 30% degli ultracinquantenni è affetto da cataratta che influisce sulla vista in uno o in entrambi gli occhi. La funzione benefica sui nostri occhi deriva dal ruolo protettivo degli antiossidanti polifenolici. Molecole fondamentali perché, senza di esse, il nostro corpo subirebbe danni irreparabili ovvero, sono gli agenti che prevengono o rallentano il fenomeno dell'ossidazione. I polifenoli sono antiossidanti naturali presenti nelle piante e potrebbero risultare utili nella prevenzione dell'ossidazione e nell'eliminazione dei radicali liberi. Le notevoli proprietà del vino vengono poi, da sempre associate a un’ampia famiglia di composti polifenolici che comprendono i flavonoidi, le catechi-ne, i leucoantociani, gli antociani e gli stilbeni (tra cui i resveratrolo). Sono una sorta di fonti alimentari che si dimostrano potenti “spazzini di radicali liberi”. Lo stress ossidativo causato dai radicali liberi e dall’invecchiamento è responsabile di pericolose malattie dell’occhio e gli antiossidanti sono un aiuto prezioso per combatterlo.

CATARATTA, prevenzione e remissione con Life 120 


Cataratta, glaucoma e degenerazione maculare tra le patologie oculari oggi più diffuse. Tutti fastidi tipici dell’avanzare dell’età che dovrebbero essere correttamente prevenuti e trattati. Tra le altre, molto diffusa è anche la retinopatia diabetica, una grave complicanza del diabete che compromette la funzionalità della retina e che, costituisce la prima causa di ipovisione e cecità. Lo stress ossidativo degli occhi è naturalmente innescato dall’esposizione ripetuta alla luce, tuttavia è un fenomeno aggravato e accentuato anche dalla continua esposizione ai dispositivi elettronici come smartphone, computer, tablet e tv che sottopongono la retina a stress per diverse ore al giorno. I radicali liberi ROS (Reactive Oxigen Species), tra i più diffusi, tendono ad accumularsi a livello della retina e del cristallino. Per combatterli è fondamentale l’aiuto dei cosiddetti antiossidanti, cioè di sostanze capaci di proteggere l'organismo dalla loro azione negativa e dai danni provocati dall’invecchiamento precoce.


“In vino… salus”. Tra i segreti di lunga vita, il classico bicchiere di vino rosso a pasto rinforza il sistema immunitario. Dai polifenoli al resveratrolo, ritardano l’invecchiamento cellulare e prevengono tante malattie. Già gli antichi egizi, intorno al 3150 a.C., utilizzavano le proprietà benefiche del vino, impreziosito da erbe e resine di vario genere per ottenere una miriade di effetti salutari. È quanto si legge dallo studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) della Pennsylvania (Usa). Inoltre, gli effetti positivi del consumo moderato di vino sono stati confermati da numerose ricerche scientifiche. Tra le principali proprietà del resveratrolo vi è la sua funzione antiossidante, ovvero protegge dai danni causati dall’ossidazione. È, infatti, in grado di inibire la sintesi dei radicali liberi, molecole alla base dell’invecchiamento cellulare. Tale principio attivo si trova principalmente negli acini dell’uva rossa ed è trasferito nel vino rosso grazie alla fermentazione del mosto a contatto con le bucce dell’uva (il vino bianco prodotto senza questa tecnica non contiene il resveratrolo). «Tale principio attivo - spiega Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti - appartiene alla famiglia dei fenoli non flavonoidi e a seguito di tale ricerca sono stati realizzati altri studi in tutto il mondo, concentrati più specificatamente sulle capacità antinfiammatorie, fluidificanti, antitumorali, antitrombotiche, antiossidanti ed antidiabetiche del resveratrolo».

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Per approfondimenti:

Il Messaggero "Cataratta, chi beve moderatamente vino rosso corre meno rischi di un intervento"

Daily Mail "Drinking WINE five or more times a week can slash your risk of needing eye cataract surgery by up to 23%, study finds"

The Guardian "British study links alcohol with lower risk of developing cataracts"

FederSalus "Salute degli occhi: vitamine e antiossidanti che fanno bene alla vista"

Vicenza Today "Occhi e alimentazione: il cibo che fa bene alla vista"

Liguria Notizie "Una corretta alimentazione alleata della vista"

Agora News "Una corretta alimentazione alleata della vista"

LEGGI ANCHE: L'alimentazione, la grande alleata dei nostri occhi

Il vino e le notevoli proprietà benefiche: tutto merito del resveratrolo

Sulla salute vince il resveratrolo! Contro gli astemi le virtù di un calice di vino rosso

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Grande amico della buona cucina e della nostra salute, l’olio extravergine di oliva sta conquistando sempre più consumatori. Colonna portante della nostra alimentazione e pilastro fondamentale della tradizione italiana. Non solo condimento. Difatti, l’olio EVO è molto di più. Un concentrato di proprietà benefiche per il nostro organismo. Protegge il cuore e ringiovanisce il cervello. Le sue notevoli doti, conosciute sin dall’antichità, sono state confermate nel corso degli anni da una serie di evidenze scientifiche che ne mostrano tutte le peculiarità. Sposa perfettamente la filosofia di un’alimentazione ricca ed equilibrata è considerato anche tra i migliori ingredienti “anticancro”. Un potente alleato nella lotta ai tumori intestinali. È quanto mostrato da uno studio pubblicato dalla rivista Gastroenterology e ripreso in Italia in un dossier pubblicato dall’Associazione Italiana di Ricerca contro il Cancro (Airc). I ricercatori hanno riscontrato nell’olio la presenza di una sostanza utile nel contrasto ai tumori intestinali. Questo è dovuto all’acido oleico, spiegano gli scienziati, una sostanza in grado di regolare la proliferazione cellulare. Nelle cellule dei topi di laboratorio, i ricercatori hanno potuto simulare l’azione di alcuni geni alterati e di stati di infiammazione intestinale, dimostrando che la somministrazione di una dieta arricchita di acido oleico è in grado di garantire notevoli benefici per la salute. Il team di esperti ha dimostrato poi in laboratorio che questa sostanza riduce le infiammazioni intestinali e lo sviluppo dei tumori. Infatti, secondo l’Airc, il consumo quotidiano dell’olio di oliva extravergine contribuisce a prevenire e combattere le neoplasie tumorali. Ricco di acidi grassi essenziali, se consumato abitualmente, si trasforma in un elisir di lunga vita.

Toccasana per mente, cuore e intestino. Dalla raccolta delle olive alla conservazione, dall'estrazione alle tempistiche di lavorazione. Il comun denominatore è il parametro di acidità che dev'essere inferiore o uguale allo 0,8%. A lavorazione ultimata, il pH dell'olio extravergine di oliva rappresenta, assieme ad alcune proprietà organolettiche e gustative, il parametro fondamentale nella valutazione qualitativa del prodotto. Il made in Italy alla conquista del mondo. Come testimonia un recente report della Commissione Europea, in Europa ha registrato un incremento del 15,6% nelle esportazioni verso i paesi extraeuropei fra ottobre 2019 e settembre 2020. Relativamente all’Italia, fra ottobre 2019 e agosto 2020 le esportazioni intraeuropee sono aumentate del 24,7 %. E in Italia, considerato anche il lockdown dovuto al Covid-19 di bar e ristoranti, secondo Coldiretti, 9 famiglie su 10 consumano quotidianamente olio extravergine d’oliva. «Durante il lockdown le persone hanno avuto modo di fermarsi e riflettere sulla propria alimentazione e questo ha influito su ciò che cercano sugli scaffali dei supermercati: prediligono ingredienti di qualità, sani e preferibilmente nostrani», spiega Federica Bigiogera, marketing manager di Vitavigor. Ecco come l’olio extravergine contribuisce al nostro benessere. Un recente studio pubblicato da ABC News precisa che l’olio Evo, ricco di fenoli e grassi monoinsaturi, può diminuire il grado d’infiammazione e il livello di grassi nel sangue, e aumentando la quantità di HDL, il colesterolo "buono" che aiuta a ridurre il rischio di malattie cardiache. «Le proprietà benefiche dell’olio Evo sono legate principalmente alla sua composizione – evidenzia la biologa nutrizionista Alice Parisi –. L’alta concentrazione di polifenoli e tocoferoli, infatti, contrasta l’ossidazione delle macromolecole biologiche, ovvero Dna, proteine e lipidi, e aiuta a prevenire cancro, diabete e numerose malattie cronico-degenerative. Io ne raccomando il consumo a crudo, in quanto le alte temperature degradano i composti dell’olio». Consumare olio extravergine d’oliva è «la prima profilassi anti-cancro che possiamo fare», ha spiegato a Affari Italiani, la dottoressa Farnetti. Esso è infatti ricco di idrossitirosolo e tirosolo, sostanza dalle proprietà antitumorali. L’olio Evo rinforza anche il sistema immunitario e regola il microbiota intestinale, ossia l’insieme dei microrganismi che si formano nell’intestino.


Tutti pazzi per l’EVO


Fondamentale, non solo a tavola, ma anche nella prevenzione di malattie cronico degenerative. La sua utilità nel combattere lo stress ossidativo e la formazione di radicali liberi è ormai nota e consolidata. Da una recente ricerca condotta presso l'Università degli studi di Bari con la collaborazione dell'Airc (l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro) è emerso che l'olio d'oliva possiede la capacità di proteggere il nostro organismo dall'insorgenza del tumore all'intestino. Nel corso dell’indagine, i ricercatori, inattivando il gene che codifica per SCD1, hanno dimostrato che l'assenza dalla dieta di acido oleico (di cui è l'olio EVO è particolarmente ricco) e la ridotta produzione endogena ad opera di questo enzima, comporta in un primo momento uno stato di infiammazione. Lo stesso potrebbe poi evolvere in un cancro dell'intestino. Antonio Moschetta, coordinatore della ricerca e autore del libro "Il tuo metabolismo", spiega perché l’olio extravergine di oliva è così prezioso per la nostra salute:

L'olio extravergine di oliva è ricco di acido oleico, una sostanza in grado di regolare la proliferazione cellulare. In studi preclinici abbiamo potuto simulare geni alterati e stati di infiammazione intestinale, dimostrando che la somministrazione di una dieta arricchita di acido oleico è in grado di garantire notevoli benefici per la salute. Tali effetti positivi sembrano essere dovuti anche alla presenza dell'enzima SCD1 nell'epitelio intestinale che funziona quale principale regolatore della produzione di acido oleico nel nostro corpo.

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Insomma, un alimento che non dovrebbe mai mancare nelle nostre case. Consigliato nelle diete anche dai nutrizionisti per i benefici notevoli che fornisce. È un amico del benessere e fa bene all’apparato digerente, al cuore, al fegato e alle ossa. Dal valore nutrizionale eccellente al concentrato di vitamine, antiossidanti, fitosteroli e acidi grassi monoinsaturi. Insomma, l’olio d’oliva si presenta come una composizione nutrizionale che lo rende un alimento di grande importanza per il nostro organismo. Migliora la funzionalità del sistema cardiocircolatorio. L'olio d'oliva è stato anche correlato con una riduzione dei composti infiammatori che possono contribuire alla progressione della malattia cardiovascolare. Le olive contengono sostanze chimiche vegetali chiamate polifenoli che possono aiutare a ridurre l'infiammazione. Concentrato di proprietà importanti contiene antiossidanti, acidi grassi essenziali, polifenoli in grado di mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo nel sangue. In particolare, favorisce l’aumento del colesterolo buono (HDL) e diminuisce, per contro, quello cattivo (LDL). Favorisce poi la corretta funzionalità dell’apparato digerente facilitando il transito degli alimenti e aiutando l’intestino grazie al suo leggero effetto lassativo. Migliora, inoltre, l’assorbimento delle vitamine, in particolare A, E, D e K2. Contribuisce, dunque, alla salute della pelle, aiuta la memoria e rinforza le ossa. Consente infatti di assorbire più calcio e magnesio. In ultimo, ma non per importanza, il suo effetto anti-age. L’olio EVO favorisce anche la longevità con il suo potente effetto anti-invecchiamento.

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Per approfondimenti:

Il Giorno "L’olio extravergine è un concentrato di grassi anti-cancro"

Il Giornale "Cancro all'intestino: l'olio extravergine d'oliva lo previene"

Donna Moderna "Con l’olio extravergine d’oliva il cervello ringiovanisce"

La Repubblica "L'olio extravergine d'oliva conquista il mondo: nel 2026 mercato da 1,8 mld di dollari"

Harvard Medical School "Olive oil or coconut oil: Which is worthy of kitchen-staple status?"

Journal of the American College of Cardiology "Olive Oil Consumption and Cardiovascular Risk in U.S. Adults"

La Stampa "L’olio d’oliva vince su tutti gli altri: lo conferma ricerca di Harvard Medical School"

Il Secolo XIX "L’olio d’oliva vince su tutti gli altri: lo conferma ricerca di Harvard Medical School"

Consiglio Nazionale delle Ricerche "L'olio fa bene al cervello, soprattutto negli anziani"

LEGGI ANCHE: Al via con la sfida del più sano: conquista il podio l’olio d’oliva

SOS invecchiamento? Arriva l'olio EVO, potente alleato del cervello

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Ottenuta dalla fermentazione alcolica dell’uva la bevanda dalle antiche origini. Il vino, sinonimo di convivialità ci accompagna da sempre nei momenti importanti della nostra vita e nelle piacevoli serate in compagnia. Il vino piace a tutti, ma non tutti sono veri intenditori. Difatti, la composizione e il processo produttivo incidono non solo sulla qualità, ma anche sulla nostra salute. Quindi, nella scelta di una buona bottiglia di bianco o di rosso, attenzione soprattutto alla quantità dei solfiti contenuti. I solfiti, prima tra tutti l’anidride solforosa (SO2), utilizzati principalmente come additivi, sono una categoria di sostanze chimiche utilizzate nel settore agroalimentare con la funzione principale di conservanti, per contrastare l’ossidazione dei cibi, bloccare le fermentazioni indesiderate e prevenire lo sviluppo microbico tra cui microbi, muffe, lieviti e batteri. Importanti nella conservazione degli alimenti, ma potenzialmente pericolosi per la salute. Possono svolgere inoltre una funzione antiossidante, soprattutto in quelli bianchi, evitando che il mosto si trasformi in aceto. Concentrazione ridotta, invece, nei vini rossi poiché la funzione antiossidante viene svolta da polifenoli e tannini. Nella lista della spesa, quindi, da preferire la scelta delle produzioni di vini che puntano a ridurre il quantitativo di “solfiti aggiunti” o eliminarne completamente l’aggiunta. Ovviamente, la quantità presente è ridotta al minimo per i vini biologici (da 100 mg/l per i vini rossi e 150 mg/l per vini bianchi (Reg UE 203/2012), vini naturali (da 30 mg/l per i vini rossi a 50 mg/l per i vini bianchi) e vini biodinamici (da 70 mg/l per i vini rossi e 90 mg/l per vini bianchi).

Tossici oltre una certa soglia. Aggiunti nei vari momenti della vinificazione, superata questo limite, infatti, i conservanti rischiano di essere oltre che sostanze potenzialmente allergizzanti anche tossici per l’organismo. Con l’unico scopo di controllare l’evoluzione del vino. All’inizio, prima che parta la fermentazione, con lo scopo di selezionare i lieviti presenti, durante i travasi, per contrastare l’ossidazione oppure a vino finito, prima di imbottigliarlo. Sono interventi con scopi diversi: all’inizio agisce sulla fermentazione, alla fine è confinato alla conservazione. Presenti sia naturalmente che aggiunti con l’obiettivo di preservare nel tempo la qualità e salubrità. E se è vero che il vino buono si vede dalla vigna, è altrettanto vero che la cura del vigneto e delle materie prime, sono alla base per la riduzione al minimo di questi interventi. Insomma, i solfiti vengono aggiunti al vino per stabilizzarlo e disinfettarlo e, in qualche misura, possono essere considerati come un sottoprodotto del vino stesso, perché anche se non sono presenti nell’uva possono essere prodotti naturalmente da alcuni lieviti presenti nel mosto. «I solfiti possono provocare reazioni anche piuttosto intense che sono pseudo-allergie. Il tannino può dare luogo a intolleranze. Talvolta vengono aggiunti anche al vino rosso. Servono per bloccare la reazione dei batteri all’interno del vino», spiega a Gazzetta Active il professor Paolo Pigatto, allergologo e dermatologo, responsabile della Dermatologia dell’IRCCS Galeazzi.

I solfiti vengono aggiunti per impedire l’annerimento di frutta e verdura e per bloccare la reazione all’interno del vino, ma possono essere usati come conservanti anche nella birra, nelle salse, nei sughi, nei succhi di frutta, nella frutta secca, nei salumi. Alcuni alimenti li contengono per natura: asparagi, aglio, porri, cipolla, lattuga, amido di mais, soia. - Tra i principali effetti di un’allergia: - Gonfiori del viso, delle labbra, della lingua, problemi di affaticamento, arrossamenti cutanei, eruzioni, orticaria, ostruzione nasale, costrizione delle vie aeree, dispnea. Attenzione in particolare a chi soffre di asma: in questi casi si possono avere reazioni piuttosto importanti, perché l’asma aggrava la situazione. - Oltre all’intolleranza causata dal tannino: - In sé il tannino, che dà colore al vino rosso, non provoca allergia ma intolleranza, che può comunque dare luogo a sensazioni fastidiose come mal di testa, nausea, dolori crampiformi.

Danneggiano l'intestino e aumentano il rischio di malattie

Un recente studio condotta dalla Pusan National University in Corea ha rilevato come i solfiti siano in grado di danneggiare i batteri benefici presenti nell’intestino umano. Questi batteri sono importantissimi per i processi metabolici e la risposta immunitaria dell’organismo e quando loro “non sono in forma” ciò è l'anticamera dello sviluppo di diverse malattie. Difatti, nel corso dell’indagine è stato dimostrato che il consumo di farmaci battericidi e batteriostatici danneggia i batteri benefici nell'intestino umano e questo danno è stato associato a diverse malattie. Inoltre, gli effetti battericidi e batteriostatici di due comuni conservanti alimentari, il bisolfito di sodio e il solfito di sodio, sono stati testati su quattro specie batteriche benefiche note comuni come probiotici e membri del microbiota intestinale umano. Senza tralasciare poi la produzione di numerose vitamine B essenziali ad opera dei membri del microbiota intestinale e ai transitori presenti negli alimenti fermentati. Considerato che la carenza di tiamina è stata osservata in pazienti con obesità e diabete è stato stabilito che i solfiti scompongono la tiamina (B1). In sintesi, i solfiti presenti in alcuni alcolici e alimenti trasformati possono contribuire alla carenza di tiamina a causa della scomposizione della stessa e limitarne dunque la produzione da parte di alcuni batteri sensibili

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Poche raccomandazioni e tanti benefici per una bevanda che trova posto anche nella dieta degli sportivi, come spiega in un’intervista a Gazzetta Active dottoressa Emanuela Russo, dietista INCO (Istituto Nazionale per la Cura dell’Obesità) dell’IRCCS Policlinico San Donato di Milano:


Sicuramente chi fa sport può bere, meglio se vino rosso, che contiene polifenoli e meno solfiti. Non è infatti tanto un discorso calorico quanto nutrizionale. Non è comunque consigliabile bere il vino poco prima dell’attività sportiva, anche perché i processi digestivi del vino vanno a lavorare sul fegato, il tuo organismo si trova a dover gestire un catabolita, l’etanolo, visto quasi come un ‘veleno’, e si vanno a ridurre le prestazioni sportive. Si può bere ma dopo l’attività sportiva, per esempio a cena, oppure nel giorno di inattività. Sempre meglio in accompagnamento al pasto.

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Per approfondimenti: 

Plos "Sulfites inhibit the growth of four species of beneficial gut bacteria at concentrations regarded as safe for food"

Vice "Il problema dei solfiti nel vino non è legato solo al tuo mal di testa"

Gazzetta Active "Resveratrolo: ecco perché un calice di vino al giorno può far bene"

Huffington Post "Questo post (non) contiene solfiti"

Il Giornale "Dal resveratrolo un aiuto per rallentare l'invecchiamento"

La Repubblica "Resveratrolo e vitamina E per combattere i radicali liberi"

Il Messaggero "Due bicchieri di vino rosso al giorno: ecco perché fanno bene alla salute"

Corriere del Mezzogiorno "Due bicchieri al giorno tolgono il medico di torno. Quando l’alcol fa bene"

Agi "Resveratrolo aiuta a prevenire declino memoria"

Ansa "Nell'uva i segreti per combattere l'invecchiamento"

La Stampa "Un aiuto per la memoria? Arriva dal resveratrolo"

Agi "Salute: Cnr, resveratrolo rigenera i neuroni in sindrome di Down"

Ansa "Resveratrolo dell’ uva efficace contro l’acne"

Washington State University "WSU scientists turn white fat into obesity-fighting beige fat"

MSN Lifestyle "Resveratrolo benefici: efficace contro ipertensione e obesità"

La Stampa "Svelato il segreto del perché il resveratrolo fa bene alla salute"

LEGGI ANCHE: Sulla salute vince il resveratrolo! Contro gli astemi le virtù di un calice di vino rosso

Il vino e le notevoli proprietà benefiche: tutto merito del resveratrolo

Il resveratrolo efficace come anti-età e per dimagrire

Il resveratrolo dell'uva rossa, allunga la vita del 70%

Università della Florida: il potere antinfiammatorio dell'uva rossa, ecco come funziona

University of Missouri: Il Resveratrolo ottimo nella lotta contro il cancro alla prostata

Il resvetarolo protegge anche dalla sordità

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“Gli uomini preferiscono le bionde” capolavoro cinematografico e preludio di un amore millenario. Segni particolari: artigianale, biologica e low carb. Non tutte le birre sono uguali, ma soprattutto non tutte fanno bene alla nostra salute. Dalle grigliate alle feste popolari. Una scelta che dilaga anche tra le donne e valida alternativa al buon vino. Tra le bevande alcoliche più antiche e più amate al mondo. Anche se ne rivendicavano la paternità egizi e sumeri, la leggenda narra una storia tutta femminile. Nata per errore dalla distrazione di una donna che dimenticò una ciotola di cereali fuori casa, quei semi, complice un temporale, si bagnarono al punto tale da trasformarsi nella prima versione di birra della storia. Prodotta intorno al 3500-3100 a.C. tra Egitto e Mesopotamia. Con i sumeri poi, nascono i primi birrai, professionisti del settore retribuiti, seppur in parte, con la birra stessa. La prima legge a regolamentarne la produzione, fu indubbiamente il codice Hammurabi (1728-1686 a. C.) che prevedeva la condanna a morte per chi non ne rispettava i criteri di produzione. La birra poi, assumeva anche una connotazione religiosa e veniva consumata durante le cerimonie funebri in onore del defunto. Una delizia da gustare, ancora meglio se biologica, non pastorizzata, priva di carboidrati e senza glutine. Insomma, una bevanda buona e rinfrescante che se assunta con moderazione fa bene alla salute. Promossa anche dai medici italiani, considerata genuina per 9 su 10. Sali minerali, antiossidanti e vitamine sono le proprietà apprezzate. Il consumo eccessivo della birra industriale e di scarsa qualità che non rispetta precisi criteri di produzione potrebbe alterare il microbiota intestinale, infatti «La quantità eccessiva di zucchero, alcol e funghi capaci di alterare la nostra flora batterica la rendono un alimento poco salutare» spiega Adriano Panzironi. Tuttavia, se il malto è inserito nel mosto attraverso la fermentazione, trasformandosi poi in alcol, il problema è solo la qualità (e ovviamente, anche la quantità) oltre naturalmente al processo produttivo e agli ingredienti utilizzati. I cereali se, in piccole quantità e miscelati con altri elementi non sono nocivi perché in realtà, il carico glicemico che ne deriva non è dannoso per il nostro organismo.

Dalle proprietà digestive a quelle antiossidanti. Tra le numerose proprietà benefiche per l’organismo, secondo una ricerca italiana, va aggiunta anche la capacità di contrastare l’angiogenesi, ossia il meccanismo alla base della proliferazione dei tumori. L’indagine condotta dall’IRCCS MultiMedica di Milano, dall’Università di Pisa e dall’Università dell’Insubria di Varese si è focalizzata sullo xantumolo, molecola contenuta nel luppolo della birra che parrebbe in grado di inibire la proliferazione delle cellule tumorali, affamandole: ossia bloccando il meccanismo attraverso cui tali cellule si procurano l’ossigeno di cui hanno bisogno per diffondersi nell’organismo. In realtà i ricercatori si sono soffermati su due derivati dello xantumolo, i quali esplicherebbero un’azione anti-angiogenica ancora più efficace rispetto al principio naturale. Tra gli alimenti OGM Free, riduce del 24,7% il rischio di malattie coronariche e del 17% gli incidenti cardiovascolari. Le buone notizie per gli amanti del luppolo arrivano da uno studio svolto dal Department of Food Science and Technology presso l'Università della California, secondo i ricercatori la birra servirebbe a prevenire l'osteoporosi. Lo studio ha evidenziato che la birra è una ricca fonte di silicio organico, un ingrediente fondamentale per aumentare la densità minerale ossea. Un moderato consumo di birra può aiutare a combattere l'osteoporosi. Attenzione poi all’intruso. Ebbene sì, in alcune birre c’è un ingrediente non gradito: il glifosato, un pesticida comunissimo associato al cancro. È ciò che emerge da uno studio condotto dallaUS Public Interest Research Group secondo cui il 95% delle bottiglie esaminate è risultato positivo. Il glifosato è tra gli ingredienti principali contenuti nei diserbanti. E poi che chi beve birra campa cent’anni lo dice la scienza. A conferma della teoria, i risultati di una ricerca europea condotta dall'Istituto nazionale della Nutrizione insieme all'Istituto di Medicina interna dell'Università Cattolica di Roma e all'Istituto di industrie agrarie dell'università di Perugia, sugli effetti della somministrazione di birra nei topi e presentati al Cnr di Roma. «La birra come prodotto vegetale contiene micronutrienti, molecole antiossidanti in piccola quantità, ma molto potenti dal punto di vista fisiologico, medico, biochimico, nel neutralizzare i famosi radicali liberi, rallentando così gli effetti dell'invecchiamento» sottolinea il professor Giuseppe Rotilio presidente dell'Istituto nazionale della nutrizione. E per mantenere la linea, precisa in un’intervista a Vanity Fair il dottor Daniele Basta, biologo nutrizionista: 


La birra contiene acqua, vitamine del gruppo B, tracce di minerali come calcio, ferro, magnesio, fosforo, potassio, manganese e selenio, preziosi per l’organismo. Inoltre, è fonte di antiossidanti, in particolare di polifenoli. Per queste caratteristiche, come dimostrano diversi studi, un consumo moderato di questa bevanda è associato per esempio a un ridotto rischio cardiovascolare. Consigliabile abbinarla a alimenti ipocalorici come un secondo di carne o di pesce accompagnati da un contorno di verdure miste» suggerisce l’esperto nell’intervista. - Secondo diverse evidenze scientifiche un consumo lieve-moderato di birra può avere effetti benefici nei confronti della salute cardiovascolare. Il merito è della presenza di polifenoli che, come dimostrano diversi studi, hanno un’azione antinfiammatoria e antiossidante - precisa il nutrizionista. Inoltre, aiuta nel contrasto all’invecchiamento - Grazie alla presenza di composti antiossidanti, la birra consumata in quantità moderate, può contribuire a combattere lo stress ossidativo alla base dell’invecchiamento contrastando l’azione dannosa dei radicali liberi.

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L'analisi svolta ha infatti evidenziato che sia il luppolo che il malto, i due principali ingredienti da cui si produce la birra, contengono alti livelli di silicio. Il silicio organico è presente nella birra in forma solubile di acido orto silicico, con un tenore medio di 6,4-56,5 mg per litro.


Un moderato consumo di birra può - dicono gli studiosi - aiutare a combattere l'osteoporosi, la malattia del sistema scheletrico sistemica dell'apparato scheletrico caratterizzata da una bassa densità minerale ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. Un valore questo che fa diventare la bevanda - affermano i ricercatori - una delle principali fonti del minerale nelle diete occidentali. Per quanto riguarda il malto - spiegano i ricercatori - che nella buccia dell'orzo risiede la maggiore concentrazione del minerale, parte che non viene influenzata nel corso della germinazione del cereale. E inoltre le analisi effettuate sul luppolo hanno rilevato livelli di silicio quattro volte superiori rispetto a quelli del malto. La birra contiene alti livelli di malto d'orzo e di luppolo che sono le più ricche fonti di silicio - commenta Charles Bamforth, autore principale dello studio - il grano contiene meno silicio rispetto all'orzo, perché è l'involucro dell'orzo ad essere ricco di questo elemento.

Tanti buoni motivi per "farsi una bionda"

L’obiettivo dello studio, pubblicato sullo European Journal of Medicinal Chemistry e durato quattro anni, era invece quello di sperimentare sostanze analoghe allo xantumolo, che potessero essere utilizzate come chemiopreventivi efficaci, alternativi e a basso costo. Negli esami effettuati è stata evidenziata una capacità di riduzione dell’angiogenesi, da parte delle nuove sostanza sperimentate, addirittura dell’80%. I ricercatori sostengono che i derivati neo-sintetizzati analizzati sono risultati particolarmente efficaci nell’interferire con funzioni chiave della cellula endoteliale (lo scheletro che costituisce i vasi sanguigni tumorali) quali: la proliferazione, l’adesione, la migrazione, l’invasione e la formazione di strutture simil-capillari. Ecco tanti buoni motivi per “farsi una bionda”. In primis per l'elevato contenuto di vitamine e sali minerali (un bicchiere di birra contiene fosforo, iodio, magnesio, potassio e calcio) e il suo consumo, quindi, aiuta a proteggere la densità minerale delle ossa. La birra non pastorizzata poi ha i maggiori vantaggi per la salute perché contiene grandi quantità di Vitamina B12 fondamentale per il sistema nervoso. Altro ingrediente prezioso, gli antiossidanti naturali. Utile, come dimostrano numerose ricerche, nella prevenzione di malattie come il diabete e l'Alzheimer, patologia associata ad alti livelli di allumino che il silicio contenuto nella birra potrebbe compensare. Inoltre, fa bene al cuore perché migliora la flessibilità delle arterie. Amica delle donne, grazie ai fitoestrogeni del luppolo aiuta a ridurre i sintomi della menopausa come le vampate di calore e l'abbassamento della libido. Inoltre, riequilibra gli ormoni in caso di sindrome da ovaio policistico, endometriosi e perimenopausa. Importante per mantenere l'idratazione, grazie alle sue caratteristiche che la rendono una bevanda per reintegrare i liquidi e i sali minerali persi durante lo sforzo fisico: aminoacidi, minerali, vitamine del gruppo B e antiossidanti. 

«Un moderato consumo della birra può dare notevoli benefici alla nostra salute» suggerisce Christian Orlando, biologo e nutrizionista:


Secondo Eric Rimm, ricercatore di Harvard, può ridurre il rischio di attacco cardiaco del 30% e incrementare il colesterolo buono. Uno studio condotto in Finlandia ha indicato che la birra ha un impatto negativo inferiore sui reni rispetto alle altre bevande alcoliche. Consumare birra può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare calcoli ai reni fino al 40%. Bisogna comunque sempre fare attenzione a non bere alcolici in eccesso e a seguire una dieta sana e bilanciata. Uno studio pubblicato nel 2009 sulla rivista scientifica Diabetes Care ha rivelato che bere alcol con moderazione può contribuire nella prevenzione del diabete di tipo 2 sia negli uomini che nelle donne. Uno studio condotto di recente dall’Università di Cambridge ha rivelato che la birra sarebbe una fonte di acido ortosilicico, che incoraggia lo sviluppo delle ossa. Secondo uno studio condotto dall’Università di Harokopio, in Grecia, bere birra può fare bene al cuore e contribuire a migliorare la circolazione del sangue, in particolar modo rendendo più flessibili le arterie. Secondo i ricercatori greci, i benefici della birra sulla salute del cuore e sulla circolazione sarebbero da ricercare nel suo contenuto di antiossidanti. La birra contiene vitamine. È considerata una fonte di vitamina del gruppo B, in particolare di vitamina B6 e di vitamina B9, che sono importanti per proteggere il nostro organismo dalle malattie cardiovascolari. Un moderato consumo di birra, secondo uno studio olandese, può aiutare ad incrementare il contenuto di vitamina B6 nel sangue. Uno studio condotto di recente in Spagna suggerisce che il silicio contenuto nella birra potrebbe contribuire a proteggersi dagli eventuali effetti deterioranti dell’alluminio sul cervello, che da ricerche precedenti era stato correlato al rischio di Alzheimer. Gli esperti dell’Università di Alcala ricordano comunque che il consumo di bevande alcoliche deve essere mantenuto entro certi limiti, che possono variare a seconda del sesso e dell’età. Bere un bicchiere di birra prima di andare a dormire potrebbe essere d’aiuto a chi soffre di insonnia. La birra tende a generare torpore. Viene dunque indicata a chi fatica a prendere sonno come rimedio per cercare di contrastare l’insonnia. L’alcol contenuto nella birra svolgerebbe una blanda azione sedativa, mentre l’effetto soporifero della birra sarebbe dovuto al luppolo La birra può essere d’aiuto per chi soffre di ansia e stress? Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Montreal, in Canada, bere 2 bicchieri di birra al giorno può rappresentare un antidoto utile per ridurre l’ansia e lo stress, soprattutto se sono legati alla propria situazione lavorativa. Anche in questo caso, però, è importante non cadere vittime del consumo eccessivo di bevande alcoliche.

Il segreto di una bevanda tra prevenzione e longevità


Inoltre riduce la formazione di sostanze nocive (idrocarburi policiclici aromatici) previa cottura alla griglia di carne o pesce, come già detto è utile a prevenire l’osteoporosi, (fonte di silicio, molecola organica fondamentale per la densità minerale dell’osso), dopo l’attività fisica aiuta a reintegrare i liquidi e i sali minerali persi durante lo sforzo, riduce il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson, previene la formazione dei calcoli renali e favorisce la diuresi per la presenza di magnesio e potassio e, grazie al ridotto contenuto di sodio, facilita il normale funzionamento dei reni. Migliorare il metabolismo della glicemia e tiene a bada il diabete. È quanto dimostra un recente studio, presentato all'incontro annuale dell'Associazione Europea per lo Studio del Diabete a Barcellona, che ha messo in relazione il consumo di birra (ma anche di vino) con il diabete. Difatti, bere una birra (o un bicchiere di vino) al giorno può proteggere dal diabete e, in particolare da quello di tipo 2. Dove i soggetti che ne soffrono hanno una ridotta capacità di scomporre il glucosio, con conseguente alterazione dei livelli di glicemia, resistenza all'insulina e un aumento del peso. I ricercatori della Southeast University hanno osservato come una quantità moderata di alcol possa migliorare la regolazione della glicemia. Senza trascurare però i pericolosi cambiamenti nei livelli di zucchero nel sangue causati dal consumo frequente di alcolici causa, peraltro di obesità, fattore importante per l'insorgenza del diabete di tipo 2. Altro dato importante riscontrato nel corso dell’indagine riguarda il collegamento tra consumo di alcolici e livelli più bassi di trigliceridi. Raccomanda in un'intervista a Today la dottoressa Daniela Vitiello:


«Prima di tutto c’è differenza di composizione soprattutto in base al tipo di cereale usato per la produzione della birra. Ogni cereale ha proprietà specifiche. Le birre industriali, a differenza di quelle artigianali, sono sempre filtrate, pastorizzate e addizionate di additivi. Nonostante così si migliori la conservazione, la fermentazione viene bloccata, privando la birra della sua peculiarità. Inoltre parte delle vitamine e dei minerali vengono perse durante la pastorizzazione, poiché sono sensibili al trattamento termico. Quindi direi che le migliori sono decisamente quelle artigianali».

Quando il consumo moderato si trasforma nell’elisir di lunga vita. Altra scoperta interessante è quella fatta da un team di scienziati dell'Università di Scienze della Vita di Varsavia secondo i quali l'assunzione moderata di birra (insieme a vino e cioccolato) potrebbe aiutare a vivere più a lungo. «[…] la birra è ricca di antiossidanti. L'aderenza a una dieta con un alto potenziale antinfiammatorio può ridurre la mortalità per tutte le cause, cardiovascolare e tumorale, e prolungare il tempo di sopravvivenza. La nostra analisi della dose-risposta ha mostrato che anche l'adesione parziale alla dieta antinfiammatoria può fornire un beneficio per la salute» spiega a Il Giornale la professoressa Joanna Kaluza dell'Università di Scienze della Vita di Varsavia (WULS), autrice della ricerca. La raccomandazione è quella di scegliere birre artigianali di alta qualità, meglio se provenienti da produzione biologica, non pastorizzate, a ridotto contenuto di carboidrati e di additivi, per godere dei benefici senza avere brutte soprese sulla salute.

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Per approfondimenti:

AGI "Con alcune birre beviamo anche il glifosato?"

Il Giornale "Una birra al giorno protegge dal diabete"

Today "I benefici della birra: 10 motivi per consumarla"

Libero Quotidiano "La birra previene l'osteoporosi"

Il Giornale "Birra, vino e cioccolato fanno vivere più a lungo"

ADNkronos "Birra: è provato, un litro al dì fa campare 100 anni"

Il Giornale "La birra: un potente antitumorale"

Libero Quotidiano "Bere birra fa bene alla salute. I sei motivi per farsi una bionda"

LEGGI ANCHE: Sulla salute vince il resveratrolo! Contro gli astemi le virtù di un calice di vino rosso

Il vino e le notevoli proprietà benefiche: tutto merito del resveratrolo

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In cucina come in un quadro di Van Gogh. Punto di fumo, temperatura e acidi grassi sono i tre pilastri fondamentali dell’olio di girasole alto oleico per il rispetto della salute. Sicuramente meno noto dell’EVO, ma altrettanto ricco di nutrienti. Tre concetti imprescindibili per una frittura sana. Dall’acido grasso monoinsaturo alla concentrazione di benefici e antiossidanti. La sua stabilità sino ai 230 gradi lo rendono ottimo per friggere. E questo non è un dettaglio trascurabile perché, quando l’olio comincia a fumare si forma una sostanza tossica, l’acroleina. Tutti ne parlano, ma pochi lo conoscono realmente. Insomma, un simil olio extravergine non solo con le medesime proprietà nutrizionali e salutistiche, ma persino con una marcia in più. Difatti, il suo valore aggiunto è proprio l’elevato punto di fumo che garantisce fritture leggere e gustose. E poi, proprio come l’olio extravergine di oliva, riduce i livelli di colesterolo nel sangue. Un prodotto sano che compare la prima volta in Russia nel 1976 con la sua prima variante: il Pervenets. Paese che ancora oggi, insieme all’Ucraina, detiene il primato della produzione mondiale di semi di girasole (circa l’80%). L’alta percentuale di acido oleico (letteralmente “di acido grasso insaturo, diffuso in natura come componente della maggior parte dei grassi animali e vegetali, dai quali viene estratto per la fabbricazione di sapone, lubrificanti e resine”) rende quest’olio di girasole maggiormente stabile alle alte temperature oltre che all’ossidazione e alla degradazione a cui gli acidi grassi vanno incontro non solo durante la cottura, ma anche durante la conservazione. Estratto naturalmente dai semi di girasole si presenta con un colore dorato e un gusto sottile, privo di grassi saturi e colesterolo (poiché i grassi insaturi che contiene sono ben metabolizzati nel fegato). Al contrario, aumenta anche i livelli di HDL (colesterolo buono), riducendo così il rischio di malattie cardiovascolari. Inoltre, l'American Heart Association, l'associazione dei cardiologi americani, lo indica tra gli oli più efficaci per la prevenzione del colesterolo.


Tra cucina e cosmetica, utilizzato per le molteplici proprietà, quest’olio vanta numerose applicazioni. Grazie alla sua consistenza leggera e non grassa, agisce come ottimo idratante naturale, viene usato anche per rigenerare le cellule della pelle danneggiate e tenere alla larga i batteri che causano l’acne. Inoltre, si rivela come un rimedio efficace per ammorbidire capelli secchi o crespi. Ricco di vitamina E, preziosa per il corretto funzionamento di muscoli e per il supporto fornito al sistema immunitario. Una buona dose di acido ascorbico, contenuta in esso, ne aumenta il potere antiossidante. Fonte anche di vitamina B3 (niancina o PP), B5 (acido pantotenico), B6 e di folati, indispensabili per la corretta attività del sistema nervoso e per la creazione dei tessuti del sistema digestivo. Inoltre, è un concentrato di minerali (tra cui ferro, rame, zinco, fosforo, magnesio e manganese). Queste sostanze lo rendono un alleato fondamentale per rinforzare tessuti, ossa, oltre al circolo sanguigno e alla produzione di ormoni. Secondo quanto spiega su Alimenti e Sicurezza Sabina Rubini, biologa ed esperta in sicurezza degli alimenti, la progressiva alterazione dell'olio e dei grassi, durante il processo di frittura, si evidenzia attraverso una serie di cambiamenti fisico-chimici: Intensificazione del colore o imbrunimento, aumento della viscosità, maggiore schiumosità, riduzione del punto di fumo. Quest’ultimo di caratterizza nella fase di ossidazione dell’olio, per contatto con l’aria, dovuto all’alta temperatura sfociando, infine, in una colonna di fumo. Il suggerimento, in generale, è quello di non friggere a una temperatura inferiore a 160 e superiore a 180 gradi. Difatti, è proprio in questo intervallo che, con un tempo adeguato, si ottiene la migliore cottura senza la liberazione di sostanze tossiche. 100% italiano e con oltre l’80% di acido oleico. Al via con il meglio del girasole!

Le virtù dell'acido grasso monoinsaturo


Straordinario non solo per le caratteristiche chimiche, ma anche organolettiche. Con alcuni grassi si arriva a tavola a cuor leggero e sono fortemente consigliati nella dieta di chi soffre di diabete. In primis, gli acidi grassi monoinsaturi, soprattutto l’acido oleico, si associano a una riduzione del rischio di diabete, migliorano il profilo lipidico, la pressione arteriosa e il controllo glicemico. Inoltre, le basse concentrazioni di acido linoleico (rispetto all’olio di girasole classico) conferiscono un’altra caratteristica positiva: un minore potere infiammatorio. La presenza di acido oleico rispetto a quello linoleico riduce la produzione di prostaglandine. Contribuisce quindi a limitare l’ondata infiammatoria e favorisce la prevenzione e il trattamento di alcune patologie. Un altro vantaggio è quello di regolare le lipoproteine plasmatiche. L’acido oleico, infatti, aumenta la produzione di HDL (il colesterolo buono), migliorando il profilo lipidico del sangue e la protezione cardiovascolare. Dall’extravergine al girasole alto oleico. Via libera quindi all’olio del benessere.


E' una delle grandi novità nel panorama agroalimentare - spiega il presidente del Gruppo oli da semi di Assitol, Carlo Tampieri - il consumatore ne sa ancora poco, ma ci chiede produzioni sostenibili e italiane e l'altoleico va proprio in questa direzione». Si tratta di una varietà con un alto contenuto di acido oleico, grasso monoinsaturo presente anche nell'olio di oliva, ma non nel girasole convenzionale, consigliato per le sue qualità salutistiche e per la resistenza alle alte temperature. Non è un Ogm, spiegano dall'associazione, ma è una diversa varietà dell'originale ottenuta attraverso incroci di diversi ibridi; a vederli sono identici quello che cambia è la loro composizione. Oggi il 90% del girasole coltivato in Italia è di questa varietà per una produzione di semi di 270 mila tonnellate, insufficiente a coprire la domanda interna ed estera.

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Ma cos’è l’acido oleico? Un acido grasso monoinsaturo maggiormente presente nell’olio d’oliva. Tuttavia, a differenza del classico olio di girasole, dove l’acido grasso in maggiore quantità è quello linoleico (polinsaturo) che possiede due doppi legami l’olio alto oleico, si differenzia dalla sua versione classica per la natura dei grassi in esso contenuti o meglio, la prevalenza di grassi insaturi, per la precisione, quelli polinsaturi, a differenza degli altri oli di semi che in genere contengono prevalentemente grassi polinsaturi, ovvero i grassi facilmente deperibili che vanno per lo più in contro a ossidazione e irrancidimento. Insomma, un surrogato con tutte le carte in regola. Dunque, poiché è un acido grasso monoinsaturo, l’olio girasole ad alto oleico assomiglia più all’olio d’oliva per composizione di acidi grassi che non al tradizionale olio di girasole.

La sua qualità più importante è sicuramente l'elevato contenuto di vitamina E - sottolinea Christian Orlando, biologo e nutrizionista -, quantità talmente elevata da superare ampiamente altri oli vegetali come l'olio di mandorle dolci o burri cosmetici come quello di karité. L'olio di girasole è inoltre ricco di vitamine A, C e D, che hanno tutte ottime qualità protettive. La vitamina E in esso contenuta è stata individuata come un elemento in grado di proteggere i polmoni dallo stress ossidativo, e inoltre sembra che contribuisca ad alleviare i dolori causati dall’artrite. L’olio di girasole ad alto oleico deriva da varietà ad elevata concentrazione di acido oleico. La particolare presenza dell’acido oleico rende l’olio di girasole più stabile alle alte temperature rispetto a quello ordinario, più resistente all’ossidazione e alla degradazione a cui gli acidi grassi vanno incontro soprattutto durante la cottura o durante la conservazione. Oltre all’impiego diretto come condimento, il basso valore di acidi grassi insaturi e l’elevato punto di fumo (220-230°C), fanno sì che questo olio sia particolarmente indicato nelle fritture. L'acido oleico rappresenta il più noto ed apprezzato acido grasso della serie omega-nove. L'acido oleico è un omega-9 contenuto soprattutto nell'olio di oliva (60-80%) che però presenta un punto di fumo (210°C) più basso di quello di girasole. Oltre all’impiego diretto come condimento, il basso valore di acidi grassi insaturi e l’elevato punto di fumo (220-230°C), fanno sì che questo olio sia particolarmente indicato nelle fritture. L’olio di girasole ad alto oleico risulta essere povero in acidi grassi essenziali quali l’acido linoleico e l’acido alfa-linolenico. Come tutti gli oli vegetali è ricco in fitosteroli, in particolar modo in beta-sitosterolo che rappresenta il 52% circa.

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Per approfondimenti:

Ansa "Girasole, olio semi più amato dagli italiani"

Marie Claire "Cos'è l'olio di girasole alto oleico e perché potrebbe sostituire l'extra vergine di oliva"

Il fatto alimentare "Arriva nei supermercati l’olio di semi di girasole alto oleico..."

Ansa "Girasole 'buono' e green scala il mercato degli oli di semi"

Trieste Prima "Olio di girasole, proprietà e benefici per la pelle"

Harvard Medical School "Olive oil or coconut oil: Which is worthy of kitchen-staple status?"

Journal of the American College of Cardiology "Olive Oil Consumption and Cardiovascular Risk in U.S. Adults"

La Stampa "L’olio d’oliva vince su tutti gli altri: lo conferma ricerca di Harvard Medical School"

Consiglio Nazionale delle Ricerche "L'olio fa bene al cervello, soprattutto negli anziani"

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