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Mercoledì, 13 Aprile 2022 09:01

CURCUMA: SOLO CURCUMINA?

La curcuma è conosciuta nella medicina tradizionale e popolare in tutto il mondo per le sue proprietà antinfiammatorie: infatti i componenti attivi quali alcaloidi, flavonoidi e terpenoidi sono in grado di frenare gli enzimi e le citochine pro-infiammatorie riducendo lo stress ossidativo.

L’infiammazione è un processo biologico che porta alla rottura dell’omeostasi (perdita equilibri interni) e può essere definita acuta o cronica a seconda della tipologia degli stimoli. La risposta che il nostro corpo mette in atto è quella di attivare il sistema immunitario per eliminare l’effetto dannoso indotto dall’infiammazione acuta;

Tuttavia, il fallimento di questa risposta può sfociare nell’infiammazione cronica con una vera e propria cascata infiammatoria che predispone allo sviluppo di diverse malattie tra cui l’asma cronica, la malattia infiammatoria intestinale, la psoriasi, l’artrite reumatoide ecc. Diversi dati epidemiologici e studi sperimentali confermano che l’infiammazione e le infezioni croniche rappresentano fattori di rischio significativi per svariate patologie.

I composti bioattivi della Curcuma sono stati ben documentati sia in studi clinici che preclinici per le loro attività antinfiammatorie. I curcuminoidi sono stati ampiamente studiati per le loro attività biologiche su ulcera, fibrosi, batteri, virus, protozoi, fertilità, diabete, tumore, colesterolo e pressione arteriosa. Il costo limitato e la tolleranza nell’uomo ha fatto di questi composti una parte integrante nella ricerca sul cancro.

La curcumina (curcuminoide) è uno dei composti più rilevanti della curcuma ed il suo potenziale è ben noto in numerose patologie. Infatti ha proprietà:

  • Antinfiammatorie: blocca il fattore di trascrizione NF-kB e le citochine proinfiammatorie quindi risulta utile nella prevenzione/trattamento di molte patologie su base infiammatoria come malattie neurodegenerative, autoimmuni, cardiovascolari, colite, pancreatite ecc.

Atoskar ha studiato l’impatto della curcumina dopo un’operazione per l’ernia inguinale o idrocele: per 6 giorni è stata somministrata una dose di 400mg di curcumina ed il punteggio di gravità sembrerebbe diminuito dell’84,2% con la riduzione di tutti i parametri dell’infiammazione.

  • Antiossidanti: alcune ricerche ci indicano che le sue proprietà antiossidanti sono addirittura superiori rispetto alla vitamina C e al beta-carotene (precursore della vitamina A). Infatti è in grado non solo di neutralizzare i radicali liberi già esistenti, ma anche di prevenirne la formazione. Questo sistema di difesa viene sfruttato in molte problematiche caratterizzate da stress ossidativo: invecchiamento, cancro, diabete. Uno studio del 2019 ha evidenziato che l’integrazione con la curcumina nei topi diabetici potrebbe indurre un miglioramento della sensibilità insulinica e una riduzione della glicemia.
  • Neuroprotettive: sempre nel 2019 è stato dimostrato che la curcumina assunta per via orale viene trasformata dai microbi intestinali in un metabolita molto più attivo della curcumina stessa avente un ruolo neuroprotettivo. Sembrerebbe infatti che è in grado di ridurre l’apoptosi (morte) dei neuroni, lo stress ossidativo, la neuroinfiammazione e la neurodegenerazione tipica nella malattia del Parkinson. Mantiene inoltre la funzione e struttura dei vasi cerebrali e delle sinapsi (connessione tra cellule nervose) quindi sembrerebbe avere un ruolo rilevante anche nell’Alzheimer.
  • Microbiota intestinale: una dose di 50mg/kg di curcumina è stata somministrata per 10 giorni a soggetti con la colite. È stato evidenziato un notevole miglioramento della diarrea, una riduzione del danno ai lipidi e della penetrazione dei neutrofili (fenomeno tipico dell’infiammazione). Ma non solo: la somministrazione di curcumina sembrerebbe indurre una variazione sostanziale della composizione del microbiota modificando considerevolmente il rapporto tra batteri benefici e patogeni.

Gli studi clinici hanno dimostrato che la curcumina è sicura nell’uomo, anche ad una dose di 12 g al giorno.

I primi ricercatori credevano fermamente che i curcuminoidi fossero componenti inimitalibi della curcuma per le attività antitumorali ma ad oggi sappiamo che esistono anche altre molecole bioattive nella curcuma avanti effetti sinergici equipotenti come i curcuminoidi, note come non curcuminiodi (privi di curcumina): lo studio di queste molecole ci ha permesso di scoprire le loro proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e antitumorali (incluse neoplasie complesse e resistenti ai farmaci).

Diversi ricercatori hanno accumulato dati sulle attività biologiche dei non curcuminoidi e hanno rivelato il loro potenziale dinamico simile ai curcuminoidi mostrandosi efficienti e non tossici a livello del fegato.  Sono stati riportati numerosi studi clinici sulla sicurezza e sull’efficacia terapeutica dei composti privi di curcumina tra cui possiamo citare:

  • Beta-elemene, ampiamente studiato e accreditato dal Ministero della Salute della Repubblica popolare cinese e dalla farmacia statale cinese come il composto più benefico per scopi medici, utile principalmente contro numerose forme di cancro al polmone, fegato, cervello, carcinoma esofageo. E’ stata osservata una miglior risposta del tumore al polmone nei pazienti trattati sia con il farmaco che con beta-elemene rispetto a pazienti trattati con il solo farmaco.

Molte ricerche evidenziano che l’elemene potrebbe inibire la crescita tumorale di varie cellule a livello della laringe, polmone, ovaio, mammella e cervello: essendo lipofilo e molto piccolo, è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica promuovendo l’apoptosi (morte) delle cellule tumorali nel carcinoma al cervello.

  • Turmeroni: proprietà immunomodulatorie e chemiopreventive con distinto meccanismo di azione per diverse linee cellulari. Alcuni esempi:

-  induce l’apoptosi (morte cellulare) nella leucemia mieloide cronica e nel linfoma istocitico

- sembra avere un potenziale promettente nelle cellule tumorali multiresistenti e nel cancro al colon-retto

- nel cancro al seno, le attività e la biodisponibilità della curcumina sono state potenziate dalla presenza tumeroni.

 

Uno studio recente ha dimostrato che l'utilizzo dell'intera spezia mostra un'efficacia superiore rispetto ai soli curcuminoidi, motivo per cui abbiamo volutamente inserito la curcuma all’interno del nostro Orac Spice (ogni dose contiene ben 3016 mg di curcuma!) il quale, oltre alla curcuma, contiene diverse spezie tra cui il pepe nero: quest’ultimo racchiude la piperina, un alcaloide che si oppone all’eliminazione della curcumina permettendole così di andare in circolo ad esplicare i suoi effetti (mediante il blocco della glucuronazione nel fegato e nell’intestino).

 

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Per approfondimenti:

Bibliografia

  1. Di Meo F., Margarucci S., Galderisi U., Crispi S., Peluso G. Curcumin, Gut Microbiota, and Neuroprotection. Nutrients. 2019 Oct; 11(10): 2426. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6835970/
  2. Rahaman Md., Rakib A., Mitra S. The Genus Curcuma and Inflammation: Overview of the Pharmacological Perspectives. Plants (Basel). 2021 Jan; 10(1): 63. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7824061/
  3. Nair A., Amalraj A., Jacob J. Non-Curcuminoids from Turmeric and Their Potential in Cancer Therapy and Anticancer Drug Delivery Formulations. Biomolecules. 2019 Jan; 9(1): 13. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6358877/

 

 

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Salame, speck, mortadella, würstel, prosciutto cotto, pancetta, bacon, insaccati e carni a lunga scadenza. Ma anche pesce marinato e prodotti caseari. Obiettivo: preservarne integrità e colore. L’aggiunta per aumentare e migliorare la conservazione di affettati e insaccati. Composti chimici nemici della salute poiché potrebbero favorire l’insorgenza di tumori. Difatti, nitriti e nitrati contengono composti potenzialmente cancerogini e sono nocivi per il nostro organismo. Sotto il profilo igienico-sanitario, questi conservanti agiscono come antisettici e antimicrobici, difendendo le carni dalla pericolo del botulino. Inoltre, aiutano a preservare gli aromi di questi prodotti, contrastando l’azione dei microorganismi, e quindi, la relativa alterazione. Una pratica antica anche se il loro utilizzo nella realizzazione di questi prodotti si è ridotta intorno agli anni Sessanta e Settanta. Storicamente, i salumi venivano realizzati con il solo impiego di sale e spezie che fungeva anche da “conservanti naturali”. Particolare attenzione, infatti, era data al luogo in cui questi alimenti venivano poi conservati: sulle pareti di queste cantine si formavano muffe cariche di salnitro, in grado di stagionare e conservare perfettamente i questi cibi. Poi con la logica industriale di lavorazione e conservazione, l’impiego di nitriti e nitrati è diventato quasi necessario per garantirne la conservazione da contaminazioni batteriche e stabilizzando aspetto e aromi. Tuttavia, fortunatamente, ancora oggi si possono trovare in commercio salumi e insaccati di qualità realizzati artigianalmente come da antica tradizione ovvero, senza l’aggiunta di conservanti.

Ecco perché mangiare carne fa bene ed è fondamentale per la nostra salute

Inoltre, sulla nocività di questi composti chimici sono stati condotti numerosi studi scientifici. La stessa Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), che fa capo all’Organizzazione mondiale della Sanità, ha riconosciuto queste sostanze come probabilmente cancerogene. Presenti in natura, composte da azoto e ossigeno, utilizzate da tempo in forma sintetica. Le conseguenze negative sulla salute, tuttavia, è dovuto alle possibili trasformazioni chimiche che possono interessare soprattutto i nitriti, molto più pericolosi dei nitrati. I nitrati sono impiegati prevalentemente in agricoltura come fertilizzanti, ma vi si ricorre abbinandoli ai nitriti anche per conservare alcuni tipi di cibi a base di carne. Evidenze scientifiche dimostrano che, l’ingestione elevata o prolungata di nitriti e nitrati negli alimenti aumenta la probabilità di sviluppare tumori allo stomaco e all’esofago. Sconsigliate anche dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti che considera le nitrosammine come uno dei gruppi di sostanze cancerogene più potenti. La trasformazione in metaemoglobina, invece, è pericolosa in particolare per i più piccoli, poiché potrebbe provocare nei bambini scarsa ossigenazione e difficoltà respiratorie. Per contrastare l’azione nociva e le pericolose trasformazioni di nitriti e nitrati negli alimenti, fondamentalmente il contributo fornito dagli antiossidanti, tra cui, il più conosciuto e diffuso è sicuramente la vitamina C. Insomma, un inibitore delle nitrosammine per diminuirne la potenziale nocività. Oltre alla forte raccomandazione nella scelta di prodotti dove non sono presenti queste pericolose aggiunte.

Additivi e conservanti cancerogeni


Gli additivi e i conservanti alimentari aumentano il rischio di tumori. Gli additivi sono sostanze che vengono aggiunte agli alimenti, specialmente industriali, per preservarli da contaminazioni microbiche, irrancidimento e per migliorarne l'aspetto e la consistenza. I nitrati e i nitriti, utilizzati soprattutto nella conservazione della carne e degli insaccati, possono subire delle modificazioni chimiche che li trasformano in nitrosammine, molecole potenzialmente cancerogene. Un consumo eccessivo e prolungato di nitriti è associato ad aumento del rischio dei tumori dello stomaco e dell'esofago.

Sono dei composti chimici che vengono aggiunti principalmente ai salumi, dal prosciutto alla bresaola, dal salame al cotechino fino alla mortadella, con la funzione di conservanti e coloranti. In particolare, sono proprio nitriti e nitrati a conferire alla carne del salume il colore rosso vivo. Inoltre impediscono la crescita del botulino, che può provocare botulismo, molto pericoloso», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Alice Cancellato, biologa nutrizionista del Centro scienze della natalità e ginecologia oncologica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Ma perché questi composti sono considerati pericolosi per la salute? «I nitrati e, soprattutto, i nitriti vengono in parte convertiti in nitrosammine, composti con un potere cancerogeno soprattutto per i tumori allo stomaco e all’esofago. Va detto che non tutti vengono convertiti in nitrosammine, ma una parte sì. - Tuttavia, nitriti e nitrati non sono presenti in tutti i salumi - […] il prosciutto crudo di Parma e il San Daniele Dop non li contengono. Però questi prosciutti hanno un’elevatissima presenza di sale». Ma come riconoscerli? L’esperta poi suggerisce di prestare attenzione alle etichette. «C’è una dicitura: la E249, E250 per i nitriti, E251, E252 per i nitrati. Talvolta viene indicata solo la sigla, è bene controllare, perché possono essere aggiunti anche ad alcuni tipi di formaggi per evitare che si gonfino durante la fermentazione».

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Per approfondimenti:

Alimentazione Gazzetta "Nitriti e nitrati, il lato amaro dei salumi. “Contengono composti potenzialmente cancerogeni

AIRC "Gli additivi e i conservanti alimentari aumentano il rischio di tumori?"

Nature "Impact of meat and Lower Palaeolithic food processing techniques on chewing in humans"

La Stampa "La cottura (e la carne) ci ha resi intelligenti"

Il Giornale "La scienza sbugiarda i vegani: "La carne ci ha resi intelligenti"

Huffington Post "Mangiare carne ci ha resi quello che siamo oggi": una ricerca su "Nature" rivela il ruolo centrale nell'evoluzione dell'uomo"

Blitz Quotidiano "Carne, scienza rivela ruolo centrale nell’evoluzione uomo"

Meteo Web "Ci dispiace vegani, la carne ci ha resi intelligenti”: così il Time spiega uno studio pubblicato su Nature"

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Dal benessere mentale a quello intestinale. Quello che mangiamo influenza il nostro umore e la nostra salute. Ecco perché la scelta di determinati alimenti ci rende più calmi o nervosi. La strada per antonomasia verso la felicità passa indubbiamente per un cibo amato da grandi e piccini: il cioccolato! È buono e fa bene al nostro organismo. Una sostanza importante da consumare ovviamente con moderazione. Considerato da sempre l’alleato del buonumore, agisce su determinati recettori capaci di stimolare ormoni come la serotonina o altre endorfine che rilasciano una piacevole sensazione di benessere. Questa molecola agisce come neurotrasmettitore ed ormone ed è presente in molti tessuti sia a livello cerebrale che nel tratto gastro-intestinale, ma «viene sintetizzata per il 95% a livello gastrointestinale e per il 5% dai neuroni serotoninici cerebrali» spiega a Gazzetta Active la nutrizionista Giulia Temponi. Tuttavia, principale responsabile di questa piacevole sensazione non è la serotonina in sé bensì il triptofano. Presente, questo, in molti tessuti a livello cerebrale e nel tratto gastrointestinale. Sulle sue capacità di dare pace e sollievo interviene Temponi che spiega la fondamentale importanza di questa sostanza: «Il triptofano è un precursore della serotonina, dunque per ottenere un aumento della stessa a livello cerebrale bisogna consumare cibo ricco di triptofano, è quest’ultimo ad essere in grado di attraversare la barriera ematoencefalica».


Nettare degli dei dalle notevoli proprietà benefiche. Protegge dalla depressione, favorisce il recupero muscolare dopo l'attività fisica, riduce il colesterolo cattivo. Il cioccolato, o meglio, il cacao è un supporto prezioso per il corpo e per lo spirito. Dimostrata in numerosi studi scientifici la sua capacità di combattere depressione e invecchiamento cellulare. Difatti, tra le sostanze più importanti del cacao c'è proprio la fenilalanina, uno degli aminoacidi che formano le proteine dell'organismo umano ricco di proprietà antidepressive. Come avviene anche per il triptofano, che aiuta, tra le altre cose, a regolare i ritmi del sonno. Inoltre, grazie all’elevata presenza di antiossidanti, in particolare flavonoidi, il cioccolato viene ormai considerato come un alleato contro il processo di invecchiamento cellulare. Riduce notevolmente il rischio di depressione (come dimostrato da uno studio dello University College di Londra) e lo stress ossidativo oltre a favorire il recupero muscolare dopo l’attività sportiva (come riscontrato nell’indagine condotta da un team di ricercatori dell’Università La sapienza). Tuttavia, i benefici di questo alimento non finiscono qui. Infatti, secondo una ricerca dell’American Heart Association, il consumo combinato di cioccolato e mandorle protegge dalle patologie cardiovascolari. Già in passato, altre evidenze scientifiche hanno mostrato che il cioccolato fondente riduce i valori di colesterolo cattivo (LDL) nel sangue e, per contro, fa aumentare i livelli quello buono (HDL), altri ancora hanno sottolineato l'effetto protettivo nei confronti di patologie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer.

Protegge dal cuore alla testa


Sani e felici. Ormone della serenità indispensabile per il benessere fisico e fondamentale per una “buona dormita”.

La parola serotonina – spiega la nutrizionista - è una crasi di due parole: siero e tonico, quindi che dà energia. L’aumento della disponibilità cerebrale di serotonina riduce l’ansia aumenta, il buonumore e allieva il mal di testa. Per far questo dobbiamo seguire uno stile di vita sano e una dieta corretta. Ma non solo. L’aspetto a cui si dà meno importanza è l’importanza della serotonina per il benessere fisico e non solo quello mentale. La serotonina è fondamentale per la salute del nostro intestino. Dalla nostra alimentazione e dal cibo dipende la composizione del nostro microbiota intestinale. Come detto, la serotonina per il 95% viene prodotta dalla parete gastrointestinale; quindi, se l’intestino è in disbiosi e non eubiosi, ciò influenza la produzione di serotonina intestinale. Un’interazione del microbiota può compromettere il trasporto della serotonina nel cervello modificando umore e comportamento. Al contrario ci sono alcuni probiotici, i lactobacilli plactarium, che possono influenzare in modo positivo la funzione cerebrale di individui sani. Quindi è importante mantenere l’intestino in uno stato di benessere per mantenere un corretto livello di serotonina nel nostro organismo. La serotonina funge da precursore della melatonina, che è il regolatore del ritmo sonno e veglia. Seguendo una dieta con cibo ricco di triptofano migliorano le qualità e la quantità del sonno perché con alti livelli di triptofano e quindi di serotonina sei in grado di sintetizzare la melatonina che ti permette di riposare di più e in modo più tranquillo. Poi quello che dico sempre sul cioccolato è che non è fondamentale che sia sopra il 70% quello che conta è che il primo ingrediente che deve apparire sull’etichetta è il cacao. Anche quando è al 90% se il primo ingrediente è lo zucchero allora meglio prendere un 70% ma con cacao come primo ingrediente.


Riduce il rischio del 70%. La depressione colpisce più di 300 milioni di persone in tutto il mondo e, stando ai dati riportati dall'Organizzazione mondiale della sanità, è la principale causa globale di disabilità. Inoltre, influenza positivamente l'umore e allevia i sintomi depressivi, secondo un nuovo studio condotto dall'UCL che esamina l'associazione tra i diversi tipi di cioccolato ed i disturbi dell'umore. Lo studio, pubblicato su Depression and Anxiety, è il primo ad esaminare l'associazione con la depressione in base al tipo di cioccolato consumato. I ricercatori dell'UCL hanno lavorato in collaborazione con scienziati dell'Università di Calgary e dell'Alberta Health Services Canada e hanno valutato i dati di 13.626 adulti del National Health and Nutrition Examination Survey degli Stati Uniti ed hanno riscontrato che le persone che hanno riferito di aver mangiato cioccolato fondente in due periodi di 24 ore avevano il 70% in meno di probabilità di riportare sintomi depressivi clinicamente rilevanti rispetto a coloro che hanno riferito di non aver mangiato affatto cioccolato. Il 25% dei consumatori di cioccolato che ha mangiato più cioccolato (di qualsiasi tipo, non solo fondente) aveva anche meno probabilità di riportare sintomi depressivi rispetto a quelli che non mangiavano affatto cioccolato. Tuttavia, i ricercatori non hanno trovato alcun legame significativo tra il consumo di cioccolato non fondente e i sintomi depressivi clinicamente rilevanti. L'autrice principale, la dott.ssa Sarah Jackson dell'UCL Institute of Epidemiology & Health Care ha spiegato:

Questo studio fornisce alcune prove che il consumo di cioccolato, in particolare cioccolato fondente, può essere associato a ridotte probabilità di sintomi depressivi clinicamente rilevanti. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire la direzione della causalità: potrebbe essere il caso che la depressione faccia perdere alle persone il loro interesse nel mangiare cioccolato, o potrebbero esserci altri fattori che rendono le persone meno propense a mangiare cioccolato fondente e ad essere depresse. Se dovesse essere stabilita una relazione causale che dimostri un effetto protettivo del consumo di cioccolato sui sintomi depressivi, è necessario comprendere il meccanismo biologico per determinare il tipo e la quantità di consumo di cioccolato per la prevenzione e la gestione ottimale della depressione.

Infine, l'esercizio fisico intensivo può causare un aumento dello stress ossidativo e lesioni muscolari soprattutto negli atleti di calcio. Uno studio in vitro ha anche confermato che gli estratti di polifenoli hanno ridotto significativamente lo stress ossidativo. Questi risultati indicano che l'integrazione di nutrienti ricchi di polifenoli attraverso il consumo di cioccolato fondente modula positivamente lo stato redox e riduce i biomarcatori di lesioni muscolari indotte dall'esercizio negli atleti.

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Per approfondimenti: 

Journal of the American Heart Association "Effects of Dark Chocolate and Almonds on Cardiovascular Risk Factors in Overweight and Obese Individuals: A Randomized Controlled‐Feeding Trial"

Gazzetta Active "Cibo e umore: come il primo influenza il secondo attraverso la serotonina"

UCL News "People who eat dark chocolate less likely to be depressed"

Gazzetta Active "Cioccolato per i muscoli e per l’umore: tutte le proprietà del cibo degli dèi"

Hindawi "Dark Chocolate Intake Positively Modulates Redox Status and Markers of Muscular Damage in Elite Football Athletes: A Randomized Controlled Study"

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Stessa spiaggia, stesso mare per essere sani e abbronzati. In vacanza o in città, la parola d’ordine è benessere dentro e fuori. Dal rinforzo del sistema immunitario per fare il pieno di salute alle regole da seguire per una corretta esposizione solare. Al mare o in montagna è fondamentale preparare pelle e organismo alle vacanze. Alimentazione, integrazione, idratazione e protezione. È questa la formula magica prima di essere baciati dal sole. Una preparazione che oltre ad aiutarci nel percorso di preparazione della pelle al sole, facilita l’abbronzatura e ci protegge da fastidiose scottature. Dall’alimentazione ai cosmetici, gli amici di un colorito intenso e un incarnato luminoso che contrastano la comparsa di macchie, cheratosi e, nel peggiore dei casi, anche tumori. Con la loro preziosa azione anti-invecchiamento e di rinforzo cutaneo, proteggono dai danni dei raggi ultravioletti e si dimostrano indispensabili per un colorito più intenso e prolungato nel tempo. Al via con betacarotene e zinco, come anche le vitamine A e C. Consigliati anche tutti quei cibi che contribuiscono all’apporto di acqua e micronutrienti essenziali (come frutta e verdura), validi supporti sia per il nostro organismo che per la nostra pelle. Dunque, non solo per una tintarella senza scottature, ma anche per combattere stanchezza e affaticamento che nelle calde giornate estive la fanno da padrone è importante fare la scorta di queste sostante benefiche e seguire una dieta ricca di alimenti che li contengono. Non dimentichiamo poi che in aggiunta ad un’alimentazione bilanciata, l’integrazione fornisce l’apporto necessario e garantisce l’approvvigionamento quotidiano di questi nutrienti così da evitare fastidiose conseguenze dovute a queste carenze. In vacanza con gli amici del benessere di pelle e organismo!

Il sole svolge numerose azioni benefiche per la salute, ad esempio stimola la produzione di vitamina D, indispensabile per fissare il calcio nelle ossa e per un buon mantenimento della nostra muscolatura, ma anche di ormoni importanti per il benessere, sia fisico che psichico. Dall’altra parte però rappresenta anche uno stress per l’organismo, che si difende dai suoi raggi provocando l’abbronzatura. In effetti, per aumentare le difese nei confronti delle radiazioni, la pelle si abbronza grazie a un pigmento bruno, la melanina, prodotta dai melanociti, cellule presenti nel tessuto cutaneo - spiega Christian Orlando, biologo. - Non bisogna considerare solo il betacarotene che stimola la sintesi della vitamina A, ma soprattutto alimenti ricchi di antiossidanti, in grado di proteggere la pelle dai danni del sole. Perché un’abbronzatura luminosa passa innanzitutto da una cute sana e radiosa. Ad esempio la vitamina C che partecipa alla formazione del collagene, il tessuto di sostegno dell’epidermide, alla quale garantisce l’elasticità; ha un ruolo antiossidante combattendo la formazione di svariati tipi di radicali.

Tutti i miracoli della “C”


Potente antiossidante e alleato del sistema immunitario. Non dimentichiamo la vitamina C! Fondamentale anche d’estate e quindi, non solo d’inverno per tenere lontano il raffreddore. Importante alleato della pelle soprattutto nella prevenzione dell’invecchiamento, protegge l’epidermide stimolando le naturali difese della pelle. Per una cute bella, giovane e luminosa. Questa preziosa vitamina previene l’invecchiamento cellulare e le macchie cutanee (grazie alla sua notevole azione schiarente), favorisce la produzione naturale di collagene, riduce la stanchezza, protegge la pelle dai raggi UV e aumenta la melanina nella grana del derma. Insomma, rallenta i segni del tempo regalando alla pelle elasticità e tonicità. Protegge, inoltre, dai danni causati da fumo, raggi solari, inquinamento e stress ossidativo. «Si tratta di una vitamina idrosolubile, che quindi non può essere accumulata nel nostro organismo e deve essere assunta regolarmente attraverso l’alimentazione», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Le sue caratteristiche rendono la vitamina C utile nel contrasto ai radicali liberi in condizioni di stress ossidativo e nella lotta all’infiammazione.

VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici

Inoltre, l’acido ascorbico partecipa a moltissime reazioni metaboliche, come la sintesi di aminoacidi, degli ormoni e del collagene. Tuttavia, poiché il nostro organismo non è in grado di sintetizzarlo, questo prezioso nutriente deve essere assunto attraverso l'alimentazione e l’integrazione. «È un potente antiossidante in grado di combattere l'aging cutaneo e stimolare la sintesi del collagene», spiega a II Sole 24Ore Mariuccia Bucci, dermatologa a Sesto San Giovanni (Mi). «Non solo – aggiunge la biologa -, se la nostra pelle appare spenta, affaticata, macchiata, un'applicazione topica di vitamina C aiuta a ridurre tutti questi inestetismi». Perché questo nutriente è così importante per il nostro corpo? «La vitamina della bellezza rappresenta la principale difesa […]» spiega a Il Sole 24Ore Nicola Sorrentino, nutrizionista a Milano. «L'acido ascorbico – continua la dermatologa – è utile nel miglioramento della struttura della pelle assicurando un miglioramento delle concentrazioni di collagene ed elastina, pilastri del derma». «È anche utilizzato come schiarente, un suo derivato è efficace contro l'iperpigmentazione e nel ridurre le infiammazioni post trattamenti laser» conclude Mariuccia Bucci.

Storia e segreti della VITAMINA C nella prevenzione di tante malattie

Tintarella consapevole


Il pieno in vacanza, la riserva per l’inverno. Con moderazione e fattore protettivo sono le uniche regole da rispettare. Difatti, la tintarella è il primo segnale da parte del nostro corpo della produzione di melanina e vitamina D. Premesso che le fonti naturali di approvvigionamento di vitamina D sono due, la luce del sole e gli alimenti. Il cibo è la seconda fonte di vitamina D: in cui, la quantità di questo nutriente è così scarsa che bisognerebbe mangiare questi alimenti in quantità troppo elevata. «La sintesi di essa da parte dell’organismo, attivata dall’esposizione alla luce solare, contribuisce all'80-90% dell'apporto di vitamina D. La sua assunzione con gli alimenti copre il 10–20 % del fabbisogno. Ne consegue che l’assunzione con la sola dieta non è generalmente sufficiente e che una moderata esposizione solare rimane sempre il metodo migliore per mantenere un giusto apporto di vitamina D» spiega Renato Masala, endocrinologo della piattaforma di esperti di Top Doctors. Inoltre, i bagni di sole fanno bene a tutti, ancora di più agli anziani e a chi soffre di problemi alle ossa.

L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi

Tra i principali segnali di una sua carenza eccessiva sudorazione, stanchezza, debolezza o depressione, problemi intestinali, pelle scura, età avanzata e sovrappeso. Fondamentale poi per il nostro sistema immunitario perché coordina l’attività di tutte le sue cellule: sia quelle coinvolte nell’immunità innata che quelle dell’immunità adattativa. Come già detto, a differenza di altre vitamine, la sua fonte principale non è il cibo, ma la luce solare. Nessun segnale evidente in caso di carenza. Tuttavia, considerato che la sua azione principale è l’assorbimento del calcio, in caso di carenze gravi si possono avere i sintomi tipici di una ipocalcemia, come formicolii e parestesie alle mani e ai piedi. Anche una propensione alle fratture può essere un segnale in questo senso, come pure l’astenia, la debolezza muscolare e la conseguente facilità alle cadute, poiché la vitamina D ha funzioni extrascheletriche, sul muscolo. Ricordiamo che (essendo la fonte principale di approvvigionamento), la scarsa esposizione solare comporta l’aumento del rischio di un deficit di questa vitamina, per questo è essenziale farne il pieno d’estate per avere le giuste scorte per affrontare in salute anche l’inverno. 

I radicali liberi non vanno in vacanza


Un must contro i killer del benessere psicofisico, colpevoli dell’accelerata dei processi degenerativi. Altro supporto necessario è quello contro lo stress ossidativo, i danni del tempo e l’invecchiamento. Dalle vitamine agli omega 3. Gli antiossidanti sono necessari perchè evitano danni irreparabili al nostro organismo. Gli antiossidanti sono quindi sostanze capaci, anche se presenti in piccola quantità, di ritardare o inibire i processi di ossidazione di materiali degradabili. Opponendosi all’azione dell’ossigeno, prevengono o quanto meno ritardano l’ossidazione di un’altra sostanza ossidabile. In sostanza, impediscono/inibiscono la formazione e l’azione degli agenti ossidanti e reagiscono direttamente con l’ossigeno.

L'importanza degli ANTIOSSIDANTI nel contrasto ai RADICALI LIBERI

Un potentissimo antiossidante è la vitamina E, che protegge la membrana cellulare, prevenendo la perossidazione lipidica, poi c’è il betacarotene, che protegge la pelle, quindi tutta la classe di flavonoidi, anche gli acidi grassi omega 3 hanno un’azione antiossidante e antinfiammatoria, nel rinforzo della barriera lipidica. Un altro antiossidante importante, la vitamina C che permette la sintesi del collagene e il recupero muscolare. Un processo naturale che porta alla progressiva diminuzione del collagene e dell'elastina prodotti dal derma, con conseguente cedimento dell'epidermide. Tra le prime cause dell’invecchiamento precoce e quindi, dell'assottigliamento e della perdita di elasticità della pelle. Gli effetti negativi dovuti ad una produzione interna di radicali liberi, hanno conseguenze rilevanti sulla nostra pelle tra cui proprio la comparsa di rughe evidenti seguite da una perdita di elasticità più profonda. Dalla pelle arrossata a quella infiammata, da quella irritata a quella disidratata. Uno squilibro devastante che potrebbe creare danni irreparabili se non contrastato in tempo e con i giusti mezzi.

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Per approfondimenti:

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Il Sole 24Ore "Una pelle nuova con la vitamina C"

Gazzetta dello Sport "Vitamina C, le spremute non bastano. Come fare il pieno anche d’estate?"

Donna Moderna "Vitamina C, l’antiossidante naturale che fa bene alla pelle"

Fanpage "Vitamina C per la pelle: perché fa bene e come usarla"

GQ Italia "La vitamina C è l'ingrediente che rende più bella la pelle questa estate"

NaturalmenteFarma "Vitamina D: sole e abbronzatura aiutano a sintetizzarla"

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Il buono e il cattivo. Demonizzato da quelli che non sanno che è in realtà, il colesterolo, è un grasso essenziale per la nostra vita. Infatti, al di là delle convinzioni comuni «Noi ogni giorno abbiamo bisogno di molto colesterolo per il turn over delle membrane cellulari, costituite proprio da colesterolo. Inoltre questo lipide serve per la formazione degli ormoni a noi necessari, come gli ormoni steroidei e gli ormoni sessuali, sia maschili sia femminili. In altre parole, non possiamo prescindere dal colesterolo» spiega in un’intervista a Gazzetta Active il professor Carmine Gazzaruso, responsabile del Servizio di Diabetologia, Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Vascolari e del Centro di Ricerca Clinico (Ce.R.C.A.) dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano e docente di Endocrinologia all’Università degli Studi di Milano. In Europa, le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte, con una stima che si aggira intorno ai 4 milioni di decessi l’anno. In parte prodotto dall’intestino e in parte attraverso l’alimentazione. Presente nel sangue, il colesterolo è di fondamentale importanza per la salute dell’organismo e deputato allo svolgimento di diverse funzioni. Una molecola organica della famiglia degli steroli che favorisce la produzione di molti ormoni, contribuisce alla formazione delle membrane cellulari e al loro corretto funzionamento, favorisce la digestione e migliora la sintesi della vitamina D. Trasportato dal fegato ai tessuti attraverso le lipoproteine: HDL (colesterolo buono) e LDL (colesterolo cattivo). Quando questi ultimi superano i precedenti, si attaccano alle pareti delle arterie generando delle placche estremamente pericolose per la salute fino a impedire il passaggio del sangue e aumentare il rischio di patologie cardiovascolari.

Il COLESTEROLO ALTO è davvero pericoloso per la salute del cuore?

Ogni anno, in Italia, muoiono più 224.000 persone per malattie cardiovascolari: di queste, circa 47.000 sono imputabili al mancato controllo del colesterolo. Il colesterolo, infatti, rappresenta uno tra i più importanti fattori di rischio cardiovascolare. «Le malattie cardio e cerebrovascolari sono ancora oggi nel mondo la prima causa di morte e di disabilità. La pandemia Covid 19 ha peggiorato questa situazione, è ora di ripartire! Dobbiamo assolutamente agire contro i principali fattori di rischio cardiovascolari e tra questi sicuramente l’ipercolesterolemia è uno dei più importanti. Dobbiamo trattare al meglio i nostri pazienti, ridurre il colesterolo LDL a valori a target per i pazienti. Ora abbiano diverse opportunità per poterlo fare, fondamentale è instaurare un’alleanza tra specialisti, medici di famiglia e pazienti per raggiungere questo ambizioso obiettivo», dichiara all’Ansa Stefano Carugo, direttore UOC Cardiologia, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano. Le principali cause sono sicuramente da ricercare nella dieta e nello stile di vita. Inoltre, anche la presenza di precise patologie e la predisposizione genetica possono influenzare in maniera significativa l’ipercolesterolemia. Oltre a stress, il fumo, l’assenza di attività fisica, l’uso continuato ed eccessivo di farmaci immunosoppressori, contraccettivi orali, steroidi anabolizzanti, cortisonici e altri ancora. La raccomandazione di tante società scientifiche, compresa l'American Heart Association, è quella di ridurre al minimo il consumo di grassi saturi, ma non tutti gli esperti sono d'accordo. Cardiologi e dietologi della University of South Florida hanno messo in discussione questo suggerimento poiché, secondo il loro studio, pubblicato sulla rivista Bmj Evidence-Based Medicine, non ci sono prove sufficienti che dimostrino che una riduzione del consumo di grassi saturi possa abbassare il colesterolo nel sangue e ridurre il rischio per le persone con ipercolesterolemia di sviluppare malattie cardiache. «Negli ultimi 80 anni, alle persone con ipercolesterolemia familiare è stato raccomandato di abbassare il colesterolo con una dieta a basso contenuto di grassi saturi» - chiarisce l'autore dello studio David Diamond - «Il nostro studio suggerisce che una dieta più salutare per il cuore è povera di zuccheri, e non di grassi saturi».

Grassi, carboidrati e un mito da sfatare

Secondo quanto mostrano i dati raccolti nel corso dell’indagine, i pazienti che sviluppano malattie coronariche presentano fattori di rischio associati all'insulinoresistenza (o sindrome metabolica), come obesità, livelli elevati di trigliceridi nel sangue, ipertensione e diabete, per cui l'indicazione è quella di seguire una dieta a basso contenuto di carboidrati e povera di zuccheri. Inoltre «Gli effetti deleteri dell’ipercolesterolemia sul sistema cardiovascolare diventano più gravi quando è accompagnata da trigliceridi elevati, che potrebbero essere ridotti da una dieta povera di carboidrati» spiega Giaccari. In pratica, non solo non ci sono prove degli effetti dei grassi sull’ipercolestemia, ma una dieta a basso contenuto di carboidrati (LCD) migliora significativamente i biomarcatori delle malattie cardiovascolari, rispetto a una dieta a basso contenuto di grassi. Banditi quindi, oltre ai carboidrati anche in particolare gli zuccheri semplici e gli amidi con elevato indice glicemico (pane, pasta, legumi). E ancora una meta-analisi del 1992 e portata avanti da un team di esperti dell’Università di Maastricht. Gli esperti in questione hanno preso in esame i dati di 27 studi scientifici, scoprendo che gli acidi grassi hanno, rispetto ai carboidrati, effetti maggiormente positivi sui livelli di colesterolo buono HDL. Nel 2014 un’indagine sviluppata da ricercatori britannici (Università di Warwick) e svedesi (Università di Linköping), pubblicata su Nutrition & Diabetes, ha evidenziato che la glicazione (fenomeno dovuto a un eccesso individuale di glucosio, fruttosio o alcol) contribuisce alla trasformazione del colesterolo buono (HDL) in colesterolo cattivo (LDL) determinando cioè un aumento del rischio cardiovascolare. Ulteriore conferma arriva da un lavoro recente (2021) effettuato su soggetti diabetici e pubblicato su Biomedicines ha evidenziato che la lesione endoteliale (quella cioè che contribuisce all'infarto o all'occlusione delle coronarie) dipende dalla glicazione delle lipoproteine. In sostanza, residui di fruttosio e glucosio vanno a inserirsi su alcune proteine determinandone il malfunzionamento e facilitando la formazione della placca arteriosa che porta poi all'ischemia o all'infarto.

COLESTEROLO: tra approfondimenti ed evidenze scientifiche

Insomma, è necessario fare attenzione all’eccesso di colesterolo, o meglio, a quello di un particolare tipo.

L’eccesso di colesterolo – spiega Gazzaruso - può provocare dei danni dovuti al fatto che questo grasso tende ad accumularsi all’interno delle pareti dei vasi, in particolare dei grossi vasi, i vasi arteriosi, determinando aterosclerosi, patologia che ostruisce gradualmente le arterie. Se questo si verifica non arriva più sangue a sufficienza agli organi irrorati proprio da queste arterie e si possono verificare le tre patologie principe di tipo aterosclerotico: l’infarto, l’ictus e la arteriopatia degli arti inferiori. - Se infarto e ictus sono piuttosto noti, è bene chiarire di che cosa si parla quando si parla di arteriopatia degli arti inferiori - Si tratta di una patologia purtroppo poco cercata, diagnosticata e curata che è frequente in particolare nei grandi fumatori, oltre che nelle persone con diabete. La prognosi di sopravvivenza è peggiore rispetto a quella dei più comuni tumori maligni. Quando si avvertono i sintomi, ovvero dolori al polpaccio camminando, si ha già l’angina a livello di arti inferiori e a quel punto spesso è troppo tardi. Di fatto è dunque una aterosclerosi a livello di gambe. Ricordiamo infatti che l’aterosclerosi non colpisce mai un solo distretto, bensì è presente in tutte le arterie. Poi, a seconda del soggetto, si può manifestare in uno, due o più distretti. E il responsabile principale è il colesterolo che si accumula nelle arterie.

Il lato buono e cattivo del benessere

Ma qual è la differenza sostanziale tra HDL e LDL?

Essendo un grasso – chiarisce l’esperto -, per circolare nel sangue il grasso deve essere integrato in sistemi solubili nel plasma che si chiamano lipoproteine. Ma esistono diversi tipi di lipoproteine. I più noti sono le LDL (o lipoproteine a bassa densità) e le HDL (o lipoproteine ad alta densità). Le LDL trasportano prevalentemente colesterolo, in una percentuale di circa il 40% del totale, oltre a trigliceridi e altri grassi. Lo trasportano dal fegato, dove viene prodotto, alle periferie del corpo, andando ad integrare il colesterolo in tutto l’organismo. Se le LDL sono in eccesso, il colesterolo che arriva in periferia è superiore alla quantità che serve fisiologicamente, e quindi, tende ad accumularsi nelle arterie, con i danni di cui abbiamo detto. È qui che intervengono le lipoproteine HDL. Anch’esse sono deputate al trasporto del colesterolo, ma in un percorso inverso rispetto alle LDL, dalla periferia al centro. Di conseguenza una carenza di HDL determina una maggiore presenza di colesterolo a livello delle arterie. - Proprio per questo motivo il valore relativo al colesterolo totale conta poco - Ad essere importanti sono i valori relativi all’LDL e all’HDL. Ricordando che se l’HDL sale, l’LDL si riduce, come spiega la formula di Friedwald. Maggiore è la quantità di LDL, minore è la quantità di HDL. Ed è proprio ai livelli di LDL che dobbiamo prestare attenzione.

LDL e HDL, tutto quello che dobbiamo sapere sul COLESTEROLO

Secondo quanto scrive Adriano Panzironi, nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti:

La comunicazione semplicistica operata dalla stampa e dalla classe medica, ha reso ingiustizia al concreto ruolo esercitato dal colesterolo nei confronti del nostro metabolismo. Sappiamo che esiste un colesterolo buono e uno cattivo, ma a cosa veramente servano, quasi nessuno ne è a conoscenza. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Il colesterolo è un grasso usato principalmente per la costruzione, la manutenzione ed il buon funzionamento del nostro corpo. Approfondiamo le funzioni del colesterolo. Innanzitutto è essenziale per la membrana delle nostre cellule, in quanto si inserisce tra i due strati di fosfolipidi, aumentando la stabilità meccanica e la flessibilità della membrana. Inoltre regola lo scambio di sostanze messaggere tra l’esterno e l’interno della cellula. Le cellule neuronali (del cervello) sono più ricche di colesterolo. 1) La cellula, grazie al colesterolo riesce a staccare pezzi di membrana, al fine di creare degli organuli interni. Inoltre solo per la presenza di questo particolare grasso, la cellula può dividersi e crescere. 2) Senza colesterolo il fegato non potrebbe produrre la bile e quindi emulsionare i grassi, rendendoli assorbibili nell’intestino tenue. 3) Il colesterolo è alla base di moltissimi ormoni tra cui il cortisolo, l’aldosterone, il Gh, il testosterone, etc. 4) Questo grasso è necessario alla produzione endogena (autoproduzione) di vitamina D, essenziale per il nostro metabolismo. Parlare di colesterolo buono o cattivo non ha senso (vista la sua importanza). Per la precisione si dovrebbe parlare di quantità eccessiva di colesterolo nel sangue. Difatti non esistono riserve di tale grasso (come invece accade per i trigliceridi), essendo prodotto esclusivamente dal fegato in caso di esigenza da parte del corpo o assunto ingerendo alimenti che lo contengono. Il colesterolo ed i grassi non si trovano nel sangue allo stato libero, ma all’interno di alcune molecole chiamate lipoproteine.

Dal COLESTEROLO "CATTIVO" ai TRIGLICERIDI, le vere cause dell'aumento

Dati scientifici alla mano, la riduzione dei carboidrati aiuta a controllare alcuni valori fondamentali per la salute cardiovascolare. Ovvero, nel caso specifico, si verifica aumento dei livelli di colesterolo HDL (lipoproteine ad alta densità), il cosiddetto colesterolo buono che diventa superiore di quello LDL. Questi livelli vengono influenzati da precisi schemi alimentari a basso contenuto di carboidrati e contraddistinti dalla presenza di numerose fonti di acidi grassi essenziali (come gli omega 3), nutrienti essenziali per tenere sotto controllo il colesterolo cattivo.

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Per approfondimenti:

NCBI "Arginine-directed glycation and decreased HDL plasma concentration and functionality"

Ansa "Colesterolo perché si forma e come si può ridurre"

BMJ "Dietary Recommendations for Familial Hypercholesterolaemia: an Evidence-Free Zone"

Gazzetta Active "Colesterolo Ldl e Hdl: la differenza e i rischi di averlo alto"

PubMed "Effect of dietary fatty acids on serum lipids and lipoproteins. A meta-analysis of 27 trials"

Ansa "Ipercolesterolemia e rischio cardiovascolare: “La best practice della Regione Lombardia”"

NCBI "Endothelial Dysfunction in Diabetes Is Aggravated by Glycated Lipoproteins; Novel Molecular Therapies"

Eurosalus "Sale il colesterolo? Attenti a zuccheri e carboidrati"

DiLei "Dieta chetogenica: tieni a bada colesterolo e trigliceridi"

The Lancet "Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality [...]"

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Non solo per insaporire. Oltre al contributo a tante opere culinarie, le spezie sono preziose anche per il nostro apparato digerente. Donano sapore al cibo e ci aiutano a metabolizzarlo. Tra quelle poi che facilitano la digestione sicuramente curcuma, zenzero, cumino, finocchio e menta. Concentrati di vitamine e minerali, con azione antiossidante e di contrasto ai radicali liberi. Le spezie sono gli alleati della nostra salute, a zero calorie. Utili per alleviare i sintomi di indigestione e gonfiore addominale. Riducono le contrazioni dell’apparato digerente rilassando i muscoli intestinali permettendo così al cibo, di passare più facilmente. Diverse indagini hanno poi dimostrato che le spezie aumentano notevolmente l’attività della lipasi intestinale, un enzima utilizzato nella digestione e alleviano le irritazioni gastrointestinali. Tra le loro funzioni fondamentali il contrasto alla sindrome dell'intestino irritabile, uno dei disturbi gastrointestinali più comuni caratterizzati da dolore addominale cronico, abitudini intestinali alterate o cambiamenti nella consistenza delle feci. Insomma, ricche di proprietà e indubbiamente diverse da tutti gli altri condimenti come evidenzia a Gazzetta Active la dottoressa Emanuela Russo, dietista INCO (Istituto Nazionale per la Cura dell’Obesità) dell’IRCCS Policlinico San Donato e del Marathon Center del Palazzo della Salute di Milano.


Sicuramente hanno tutte un potere antinfiammatorio e antiossidante e riducono la produzione di radicali liberi. Come sanno bene in Oriente, dove l’uso delle spezie è molto più diffuso, hanno delle proprietà quasi curative, tanto che spesso molti integratori contengono proprio i principi attivi di alcune spezie. Ricordiamo, però, che non sono farmaci, quindi vanno usate con costanza per ottenerne i benefici, e sono perfette proprio laddove non c’è una reale patologia ma una propensione a determinate patologie.

Spezie utili per la salute: curcuma, zenzero, cannella e peperoncino

La sindrome dell'intestino irritabile (IBS) è uno dei disturbi funzionali più comuni del tratto gastrointestinale (GI) e la sua presentazione clinica è un dolore addominale inferiore ricorrente progressivo accompagnato da cambiamenti dell'abitudine intestinale (in consistenza e frequenza). Di solito uno stress fisico o emotivo o una specifica abitudine nutrizionale innesca i sintomi. Anche la colite ulcerosa (CU) e il morbo di Crohn (MC) sono condizioni infiammatorie croniche del tratto intestinale: sono la conseguenza di influenze ambientali, disordini genetici, alterazioni del microbiota intestinale, che portano ad una risposta immunitaria anormale con relativa infiammazione. Sebbene l'infiammazione possa rimanere limitata a determinati segmenti gastrointestinali, la funzione dell'intero tratto è alterata. Sebbene l'IBS sia una malattia bio-psico-sociale complessa con un'eziologia multifattoriale, che coinvolge, tra gli altri, la dieta e lo stile di vita, la motilità intestinale alterata è una caratteristica comune, con conseguente disagio addominale cronico, dolore, associato a cambiamenti nelle abitudini intestinali che compromettono la qualità della vita. Come dimostra uno studio condotto da un team di ricercatori della Pennsylvania State University, grazie alla capacità di frenare l’infiammazione che è alla base di alcune patologie molto serie, le spezie proteggono l’organismo da tumori, diabete e malattie cardiovascolari. L’indagine di questi studiosi, con l’utilizzato di un composto di spezie, nasce con l’obiettivo di studiare l'effetto postprandiale di una miscela di spezie sulle risposte infiammatorie delle citochine. L'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di grassi saturi e alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Gli studiosi hanno dimostrato che l’aggiunta spezie riduceva sensibilmente questo rischio. Tuttavia, la ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica The Journal of Nutrition, ha mostrato la capacità di questi ingredienti di apportare benefici per la salute, riducendo l’infiammazione dell'organismo. Ovvero, i ricercatori hanno scoperto che quando i partecipanti allo studio consumavano un pasto con l’aggiunta di sei grammi di una mescolanza di spezie, questi manifestavano marcatori di infiammazione più bassi rispetto a un pasto privo di queste sostanze. Precedenti ricerche avevano già collegano le spezie alle notevoli proprietà antinfiammatorie. 

 

Curcuma


Utilizzata, oggi come nel passato, per il trattamento delle malattie infiammatorie intestinali. La Curcuma longa (curcuma) è un'erba perenne, coltivata nel sud-est asiatico. Nella medicina tradizionale è impiegata da secoli per le sue proprietà antitumorali, antimicrobiche, antinfiammatorie, antiossidanti e presenta attività inibitoria dell'acetilcolinesterasi (come riportato nello studio "Curcuma longa Extract Exerts a Myorelaxant Effect on the Ileum and Colon in a Mouse Experimental Colitis Model, Independent of the Anti-Inflammatory Effect". Il costituente principale responsabile del suo colore giallo è la curcumina, antiossidante e antinfiammatorio per antonomasia. L'attività antinfiammatoria della curcumina è stata studiata in varie ricerche in vitro e in vivo. Nell'animale da esperimento è stato dimostrato che un estratto di curcuma previene lo sviluppo della colite indotta dall'acido trinitrobenzene sulfonico (TNBS) attraverso l'inibizione delle vie di trasduzione del segnale critiche per le risposte infiammatorie. Inoltre, è stato dimostrato che previene l'infiammazione attraverso il blocco nella mucosa nella colite cronica indotta da Destrano Sodio Solfato (DSS) e inibisce le funzioni immunostimolatorie delle cellule dendritiche bloccandone l'attivazione. Inoltre, la curcuma, in uno studio randomizzato in doppio cieco e controllato con placebo, ha dimostrato di essere efficace e sicura nel mantenere, anche nel lungo periodo, la remissione della colite ulcerosa e di ridurre la produzione di specie di ossigeno attivo.

L'ampio uso clinico di Curcuma longa come agente antinfiammatorio e il suo uso empirico nella diarrea nei paesi orientali hanno spinto un‘indagine al fine di valutare se la curcuma eserciti qualche effetto miorilassante sulla motilità ileale intestinale e del colon in segmenti intestinali sani, sia questo effetto, se presente, oltre all’osservazione della colite sperimentale acuta e cronica e, infine, se questo effetto è indipendente dall'effetto antinfiammatorio (come descritto nell'indagine "Curcuma longa L. as a Therapeutic Agent in Intestinal Motility Disorders. 2: Safety Profile in Mouse"). Difatti, l'uso della curcuma come agente antinfiammatorio e quello empirico tradizionale come farmaco sintomatico antidiarroico nei disturbi funzionali del tratto gastrointestinale hanno suggerito un effetto anche sulla motilità intestinale. In conclusione, l'estratto di curcuma esercita un effetto miorilassante sull'ileo e sul colon indipendentemente dall'effetto antinfiammatorio. Il meccanismo d'azione è dovuto sia ad un effetto miorilassante diretto sugli strati muscolari intestinali sia ad una inibizione non competitiva e reversibile dell'agente colinergico. E ancora, questo studio fornisce il razionale per l'uso della curcuma nei disturbi della motilità e suggerisce una possibile applicazione ai disturbi motori funzionali del tratto gastrointestinale, dovuti all'effetto miorilassante sull'intestino normale, indipendente dall'attività antinfiammatoria.

Zenzero


I rizomi dello Zingiber officinale (zenzero) sono stati utilizzati fin dall'antichità come rimedio tradizionale per i disturbi gastrointestinali. Gli ingredienti più attivi dello zenzero sono i principi pungenti, in particolare gingeroli e shogaoli. Vari studi preclinici e clinici hanno valutato lo zenzero come un trattamento efficace e sicuro per la nausea e il vomito nel contesto della gravidanza e come trattamento adiuvante per la nausea e il vomito indotti dalla chemioterapia. Nello studio viene esaminato l'uso dello zenzero per la prevenzione di nausea e vomito, con particolare attenzione ai tipi e alle presentazioni di zenzero disponibili oltre anche alle proprietà farmacocinetiche dello zenzero. In relazione alle sue proprietà antiemetiche, lo zenzero (e i suoi costituenti) agisce perifericamente, all'interno del tratto gastrointestinale, aumentando il tono gastrico e la motilità grazie alle azioni anticolinenergiche e antiserotoninergiche. Lo zenzero è un'erba antica ampiamente utilizzata nella storia per le sue numerose proprietà medicinali naturali e in particolare come antiemetico. Valida difesa contro l’ulcera e ottimo supporto per alleviare i dolori mestruali. Ricco vitamina B6 e vitamina C e di minerali come potassio, rame, manganese, magnesio, niacina, fosforo e ferro.

Alimentazione e salute: le virtù curative delle spezie


Lo zenzero (Zingiber officinale Roscoe) è un'erba perenne appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae, coltivata principalmente in Asia e nelle regioni tropicali, ed è una delle erbe più importanti e ampiamente consumate al mondo. Coltivato per il suo stelo commestibile sotterraneo (rizoma), lo zenzero è stato usato fin dall'antichità sia come spezia che come medicinale a base di erbe per trattare una varietà di disturbi principalmente gastrointestinali, come nausea, vomito (emesi), diarrea e dispepsia, e anche diversi disturbi, tra cui artrite, dolori muscolari e febbre. Questa lunga e consolidata storia di uso medicinale negli esseri umani ha stimolato studi clinici in corso per valutare scientificamente l'efficacia dello zenzero come terapia adiuvante o come medicina complementare e alternativa (CAM) in una serie di indicazioni relative a nausea e vomito. I più studiati di questi includono nausea e vomito in gravidanza (NVP), nausea e vomito indotti da chemioterapia (CINV), nausea e vomito postoperatori e, in misura minore, cinetosi. Infine, lo zenzero è considerato un'erba sicura per il consumo umano e compare nella Food and Drug Administration degli Stati Uniti generalmente riconosciuta come lista sicura oltre ad essere inclusa nelle farmacopee di molti paesi occidentali. Il British Herbal Compendiumelenca definisce lo zenzero come rimedio per il vomito durante la gravidanza.


Cumino


Stop a gonfiore, indigestione, flatulenza, diarrea e nausea! Riconoscibile dal gusto intenso. Il cumino (come riportato nella ricerca "Cumin Extract for Symptom Control in Patients with Irritable Bowel Syndrome") ha la capacità di aumentare il flusso biliare che accelera i processi digestivi del fegato. Ricco di fibre, calcio, fosforo, ferro e potassio. Ottimo digestivo e prezioso per curare l’intestino e rafforzarne le difese immunitarie, grazie alle sue proprietà antibatteriche e virali. Il C Aluminum Cyminum della famiglia "A Piaceae" conosciuta come cumino è una delle erbe più antiche coltivata in Iran. Il frutto del cumino ha un olio essenziale composto da trepenoidi ed è stato utilizzato come potenziatore energetico e immunitario, digestivo, diuretico, antiparassitario, anti-convulsivo e anti-flatulenza nella medicina tradizionale iraniana ed è utilizzato per la perdita di peso. Uno studio condotto in Germania nel 1996 ha dimostrato che l'olio essenziale di erbe contenente cumino può essere utile nel controllo del dolore addominale in pazienti con disturbi gastrointestinali non ulcerativi. Inoltre, uno studio condotto nel 2000 ha dimostrato che il cumino può alleviare il dolore nei pazienti con malattia gastrointestinale funzionale. L’indagine condotta da Fazel et al. ha anche dimostrato che il cumino può essere utile nella prevenzione delle complicazioni gastrointestinali dopo un taglio cesareo di emergenza riducendo la distensione intestinale, i dolori di coliche, il bruciore di stomaco e il passaggio di gas e la defecazione ritardata. Il cumino è stato anche efficace nel controllo del dolore neurogenico e infiammatorio. Inoltre, secondo evidenze scientifiche, incoraggia l’attività degli enzimi digestivi e diversi studi dimostrano che i pazienti con sindrome del colon irritabile notano una riduzione dei sintomi con un’assunzione regolare.


Finocchio


Allevia i problemi di stitichezza e protegge il colon. Stimola la produzione di succhi gastrici (come evidenzia lo studio "Foeniculum vulgare Mill: A Review of Its Botany, Phytochemistry, Pharmacology, Contemporary Application, and Toxicology") e in virtù di questo viene spesso utilizzato come aiutino digestivo dopo i pasti. Inoltre, contiene numerosi composti preziosi, come composti volatili, flavonoidi, composti fenolici, acidi grassi (circa ventuno) e amminoacidi, una varietà di antiossidanti, oltre alla quercetina che protegge dall’invecchiamento e contrasta le malattie. Foeniculum vulgare Mill comunemente chiamato finocchio è stato utilizzato nella medicina tradizionale per una vasta gamma di disturbi legati ai sistemi digestivo, endocrino, riproduttivo e respiratorio. Inoltre, è anche usato come agente galattagogo per l’allattamento. È un'erba tradizionale e popolare con una lunga storia di utilizzo come medicinale. Una serie di studi ha dimostrato che questa spezia controlla efficacemente numerose malattie infettive di origine batterica, fungina, virale, micobatterica e protozoica. Ha attività antiossidante, antitumorale, chemiopreventiva, citoprotettiva, epatoprotettiva, ipoglicemica ed estrogenica. Alcune delle pubblicazioni hanno affermato che il Foeniculum vulgare Mill ha un tipo speciale di effetto di potenziamento della memoria e può ridurre lo stress. È utilizzato in molte parti del mondo per il trattamento di una serie di malattie, ad esempio, dolori addominali, antiemetici, aperitivo, artrite, cancro, coliche nei bambini, congiuntivite, costipazione, depurativo, diarrea, dieresi, emmenagogo, febbre, flatulenza , gastralgia, gastrite, insonnia, colon irritabile, disturbi renali, lassativi, leucorrea, dolore al fegato, ulcera alla bocca e mal di stomaco.


Coriandolo


Dalle notevoli proprietà carminative, con la capacità di evitare la formazione e soprattutto il ristagno di gas a livello gastro-intestinale. È anche apprezzato per le sue proprietà antispasmodiche: allevia gli spasmi intestinali che possono portare a diarrea, quindi è utile per chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile. È anche ricco di sostanze fitochimiche e antiossidanti con notevoli benefici.


Menta


Facilita la digestione e sgonfia la pancia. Queste, le doti nascoste della menta che svolge un ruolo importante per il nostro apparato digerente. Insomma, un rimedio naturale per chi soffre di problemi digestivi. La menta, infatti, agisce aiutando il rilassamento della muscolatura liscia, diminuendo di conseguenza la sensibilità viscerale e agendo come antimicrobico e antimicotico. In una revisione di 9 studi su 926 persone con la sindrome dell’intestino irritabile, la menta è risultata significativamente superiore al placebo per il miglioramento globale di questi sintomi: con un miglioramento del dolore addominale per il 95% dei soggetti.

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Per approfondimenti:

PubMed "The efficacy of an herbal medicine, Carmint, [...] with irritable bowel syndrome"

Gazzetta Act!ve "5 spezie per digerire: dal cumino allo zenzero"

Plos One "Curcuma longa [...] of the Anti-Inflammatory Effect"

Middle East Journal "Cumin Extract for Symptom Control in Patients with Irritable Bowel Syndrome"

Plos One "Curcuma longa L. as a Therapeutic Agent in Intestinal Motility Disorders"

Gazzetta Act!ve "Spezie: concentrati di vitamine, minerali e antiossidanti a zero calorie"

Plos One "Foeniculum vulgare Mill: A Review of Its [...] Pharmacology, Contemporary Application è [...]"

PubMed "Peppermint oil for the treatment of irritable bowel syndrome"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"

MSN "I benefici delle spezie nell'alimentazione sana"

Letto Quotidiano "Spezie ed erbe aromatiche in cucina che hanno benefici sulla tua salute"

Proiezioni di Borsa "Lasciare nel cassetto le medicine e curarsi con le spezie"

LEGGI ANCHE: Spezie: concentrati di antiossidanti, vitamine e minerali. Tante virtù e zero calorie

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La dieta con le spezie, un sapore in più e tante proprietà salutari

 

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Contro il Covid? Mangiamo meno carboidrati! Un’alimentazione non solo efficace per una rapida riduzione della massa grassa e delle complicanze metaboliche dell'obesità, oltre a fornire un apporto nutrizionale adeguato potrebbe ridurre addirittura i rischi delle complicanze da Covid-19. È quanto mostra un recente studio del San Raffaele sul regime alimentare che riduce in modo drastico i carboidrati aumentando, per contro, le proteine e soprattutto i grassi. Lo scopo principale di questo stile alimentare è costringere l’organismo a utilizzare i grassi come fonte di energia primaria. Al contrario di quanto avviene in presenza di carboidrati, infatti, tutte le cellule ne utilizzano l’energia per svolgere le loro attività. Ma se questi vengono ridotti al minimo o eliminati completamente, cominciano a utilizzare i grassi. Si avvia quindi un processo chiamato chetosi, perché porta alla formazione di molecole chiamate corpi chetonici, questa volta utilizzabili dal cervello. In genere la chetosi si raggiunge dopo un paio di giorni con una quantità giornaliera di carboidrati di circa 20-50 grammi, ma queste quantità possono variare su base individuale. Oggi il successo di una dieta così strutturata, è legato soprattutto alla sua efficacia nel ridurre il peso, ma non si tratta di un regime alimentare semplice da seguire. Difatti, basta sgarrare anche di poco con i carboidrati per bloccare il processo di chetosi e, di conseguenza, indurre l’organismo a utilizzare nuovamente la sua fonte energetica preferita: gli zuccheri.  

La continua lotta al coronavirus sta ponendo una seria sfida ai sistemi sanitari di tutto il mondo, con un enorme impatto sulle condizioni di salute e sulla perdita di vite umane. In particolare, l'obesità e le relative comorbidità sono strettamente correlate ai peggiori esiti clinici del Covid. Nonostante l'attuale tasso di mortalità sia del 7,6%, l'emergere di un gran numero di pazienti contagiati in un breve periodo di tempo ha determinato rilevanti difficoltà. Tra i fattori di maggior rischio SARS-CoV-2, numerosi studi, nel corso di questi mesi, hanno identificato una specifica associazione di mortalità con età avanzata e presenza di comorbidità. Alcune di queste patologie sono legate al comportamento dello stile di vita, quindi dovrebbe essere raccomandato di intervenire su questi fattori di rischio per migliorare i risultati in caso di contagio e ridurre l'impatto sulla salute di possibili nuovi focolai futuri. Da qui, la notevole importanza di queste diete per una rapida riduzione di diversi fattori di rischio critici tra cui l'obesità, il diabete di tipo 2 e l'ipertensione, sulla base dei noti effetti dei corpi chetonici su infiammazione, immunità, profilo metabolico, malattia renale cronica e funzione cardiovascolare. Il suggerimento nutrizionale che fornisce questa indagine è quello di ridurre il consumo di cibo spazzatura e preferire alimenti con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, meglio se con il potenziale di influenzare positivamente il sistema immunitario. Quindi, diciamo “addio” alle abitudini alimentari malsane, ricche di carboidrati.

Il lato oscuro dei carboidrati

Ecco il perché della decisione di limitare l’apporto di glucosio nella dieta dei pazienti: «Abbiamo potuto osservare che questo tipo di dieta non è solo accessoria, ma assume una valenza antinfiammatoria quasi simile a quella dei farmaci anti-citochine», spiega a Gazzetta Active il dottor Samir Giuseppe Sukkar, primario di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova.


Nel mese di marzo mi sono concentrato su un eventuale supporto nutrizionale dal punto di vista immunomodulatore. In particolare ho considerato una possibile ipotesi di trattamento e mi sono accorto che all’epoca stavano emergendo dati sul fatto che la sindrome da Covid che portava alla morte e al ricovero era la tempesta o sindrome citochinica. Questa evidenza era emersa in uno studio pubblicato su Lancet alla fine di febbraio. Ho così voluto vedere che cosa scateni la tempesta citochinica. A provocarla è l’iperattivazione dei macrofagi M1, cellule infiammatorie che si trovano nell’alveolo polmonare allo stato di quiescenza e che si attivano nel momento in cui arriva un virus. Questo stato di attivazione porta ad una cascata di citochine. La cosa interessante è che andando a verificare dal punto di vista metabolico perché accade questo si nota l’effetto Warburg, una caratteristica di determinate cellule il cui metabolismo è quasi esclusivamente glicolitico: utilizzano esclusivamente lo zucchero. Sì. La tempesta citochinica porta all’attivazione di macrofagi M1 il cui metabolismo è esclusivamente glicolitico: utilizzano solo il glucosio per produrre energia. Quindi se si riduce il glucosio come fonte energetica primaria del paziente riduciamo anche il nutrimento per gli M1. Di conseguenza una dieta chetogenica, apportando una quantità di glucosio inferiore a 30 grammi al giorno, porta ad una minore disponibilità di nutrienti per i macrofagi M1, li affama. In questo modo si ferma l’iperattivazione dei macrofagi. Non solo. Fornire una quantità elevata di grassi rispetto agli zuccheri facilita anche il processo di guarigione. Questo perché i macrofagi M2, macrofagi spazzini, sono cellule voraci di grassi, che utilizzano come fonte energetica. Quindi con la chetogenica da un lato affamiamo i macrofagi M1 e dall’altro favoriamo l’azione positiva degli M2. Se poi la dieta chetogenica è ricca anche di acidi grassi omega 3 è ancora meglio perché questi riducono l’infiammazione, spegnendo il processo infiammatorio. Di fatto questa dieta è fortemente coadiuvante della guarigione del Covid-19 e ha avuto un effetto su 38 pazienti comparati a 76 pazienti che non avevano seguito questo regime alimentare. Abbiamo avuto una riduzione significativa della mortalità per Covid e del numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva. Tutto questo ha un grande rilievo dal punto di vista terapeutico perché la dieta così non è più solo accessoria, ma assume una valenza antinfiammatoria quasi simile a quella dei farmaci anti-citochine. Quindi non è solo una terapia di supporto come l’assunzione di vitamina D o vitamina C.

I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?

L'obesità rappresenta uno dei fattori prognostici riconosciuti per la necessità di terapia intensiva e ad alto rischio di morte durante l'infezione da SARS-CoV-2. Nello specifico, lo stato di obesità limita la ventilazione interrompendo l'escursione del diaframma, altera le risposte immunitarie all'infezione virale, determina un'infiammazione cronica di basso grado e peggiora la tolleranza al glucosio e lo stress ossidativo con effetti negativi sulla funzione cardiovascolare. È importante, quindi, sottolineare che i pazienti obesi sperimentano una sindrome Covid-19 più grave, poiché l'obesità è caratterizzata da un equilibrio emostatico alterato con aumento della coagulazione e fibrinolisi difettosa che si traduce in uno stato pro-trombotico. Inoltre, la coesistenza di obesità e steatosi epatica metabolica (MAFLD) determina un aumento del rischio di circa 6 volte di un quadro clinico negativo. In particolare, un recente rapporto ha mostrato che il tessuto adiposo esprime livelli molto elevati di trascrizioni per ACE2, un enzima attaccato alla superficie esterna dei pneumociti, che viene utilizzato dai coronavirus per entrare e infettare le cellule, sollevando la questione se il tessuto adiposo possa rappresentare un serbatoio di SARS-CoV-2 e un sito strategico per amplificare la cascata di citochine innescata dall'infezione virale. I pericoli di questa correlazione vengono messi in evidenza dal professor Massimiliano Caprio, responsabile dell’Unità Endocrinologia cardiovascolare dell’IRRCS San Raffaelec di Roma, coautore di un articolo pubblicato dalla rivista Journal of Translational Medicine:

L'obesità e le sue comorbidità sono strettamente legate alla prognosi più grave del Covid-19, e un aspetto poco considerato nell’affrontare l’emergenza è che una corretta consulenza nutrizionale costituisce una priorità per affrontare la pandemia di Covid-19, al fine di ridurre il rischio di infezione e le relative complicanze. Possono avere un ruolo importante nella modulazione dell'immunità innata e di quella adattativa, determinando effetti benefici sull'infiammazione cronica di basso grado, potendo prevenire il rischio di tempesta citochinica del Covid-19. Inoltre – prosegue il prof. Caprio - le diete […] potrebbero essere protettive durante l'infezione da Sars-COV2 grazie agli effetti antinfiammatori e immunomodulanti dei corpi chetonici.

Ecco come la PASTA potrebbe influenzare la nostra salute

È ben noto che il rilascio aberrante di citochine e chemochine pro-infiammatorie, indotto dall'infezione da SARS-CoV-2, è centrale per gli esiti fatali della sindrome Covid-19. Una grave progressione del Covid è determinata da una risposta tardiva all'interferone gamma con uno stato infiammatorio prolungato e una conta delle cellule Treg, NK e CD4 + e CD8 + più bassa. È ampiamente documentato, inoltre, che l'iperglicemia può peggiorare la risposta infiammatoria. Livelli elevati di glucosio amplificano la produzione di citochine nei monociti attraverso un aumento dei ROS mitocondriali. È quindi probabile che le popolazioni di cellule immunitarie disregolate rappresenti un importante fattore di rischio e determini il peggioramento della risposta infiammatoria durante l'infezione da SARS-CoV2. Quella avvallata nella ricerca è una terapia adiuvante per affrontare l'infezione mediante un cambiamento nello stato metabolico dell'ospite da un glicolitico dipendente dai carboidrati a un dipendente dai grassi stato chetogenico, mirato ad alterare la replicazione virale. Tale spostamento metabolico provoca una maggiore resistenza allo stress mitocondriale, un miglioramento delle difese antiossidanti, un aumento dell'autofagia e della riparazione del DNA e una diminuzione della secrezione di insulina. Insomma, un approccio funzionale che rimanda a uno stile di vita salutare e importante per tenere alla larga una lunga serie di malattie, tra queste anche il Covid poiché valida nel migliorare la risposta immunologica dell’infezione da SARS-CoV2.

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Per approfondimenti:

Journal of Translational Medicine "The dark side of the spoon - glucose, ketones and COVID-19: a possible role for ketogenic diet?"

AGI "La dieta chetogenica può ridurre i rischi di complicanze nel Covid-19"

Gazzetta Active "La dieta chetogenica è un’arma contro il Covid? Uno studio sostiene che può ridurre la mortalità"

San Raffaele "Obesità-COVID-19: la dieta chetogenica aiuta a ridurre i rischi da Sars-Covid2"

The Lancet "Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality [...]"

Medical Xpress "Ketogenic diets alter gut microbiome in humans, mice"

LEGGI ANCHE: Grassi contro zuccheri, rush finale: per stare bene meglio una dieta senza carboidrati

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Una dieta vegana (che non prevede alcun alimento di origine animale) o vegetariana (che include derivati animali come latticini e uova), ma anche pescetariana (una dieta vegetariana che permette il pescato) aumenta il pericolo di fatture. Infatti, secondo quanto dimostra uno studio delle Università di Oxford e Bristol e pubblicato sulla rivista Open Access BMC Medicine, eliminare la carne dalla propria alimentazione aumenterebbe del 43% il rischio di fratture ossee e in particolare quelle di braccia, polsi, gambe, caviglie, clavicole, costole e vertebre. La causa dimostrata dall’indagine, ipotizzano gli autori dello studio, sarebbe da ricercare nel ridotto apporto di proteine nobili e di calcio e, di conseguenza, si tradurrebbe in un aumento generale del pericolo rispetto a chi segue una dieta onnivora. I ricercatori britannici hanno analizzato i dati relativi agli anni dal 1993 al 2001 su un campione di oltre 54mila persone. All’analisi ha fatto seguito un follow up terminato nel 2010 per monitorare le condizioni di salute ossea ed eventuali fratture. Dai risultati è così emerso che vegani, vegetariani e pescetariani avevano un rischio maggiore di fratture ossee rispetto a chi seguiva una alimentazione onnivora. Da qui l’importanza delle proteine nobili contenute in un prezioso alimento, fondamentale per il nostro benessere. Da sempre consigliata e consumata per i notevoli benefici, la carne è nella lista degli alimenti da includere in una dieta sana ed equilibrata.

Ecco perché mangiare carne fa bene ed è fondamentale per la nostra salute

Poco calcio e poche proteine riducono la salute ossea in generale, - conferma a Gazzetta Active la dottoressa Claudia Delpiano -, dietista e biologa nutrizionista presso l’IRCCS Policlinico San Donato e il Policlinico San Pietro. Le proteine in grado di innescare la sintesi proteica sono, infatti, principalmente le proteine nobili della carne. Perché è vero che i legumi contengono proteine, ma affinché siano effettivamente biodisponibili è necessario mangiare i legumi in un piatto unico con una fonte di carboidrati come pasta o riso. Solo in questo modo abbiamo un pool aminoacido completo. Le proteine ad alto valore biologico derivano invece da fonti animali come carne, pesce, uova e formaggi, fonte anche di calcio.

Calcio e proteine, gli ingredienti per le ossa

Oltre 54mila persone studiate in 8 anni. «Prendendo in considerazione l’indice di massa corporea (BMI), il calcio e l’assunzione di proteine – afferma Tammy Tong, epidemiologo nutrizionale presso il Nuffield Department of Population Health dell’Università di Oxford – abbiamo notato tuttavia che il rischio assoluto di fratture è meno significativo». Il team di ricercatori ha analizzato i dati relativi a 54.898 persone nel corso dell’indagine EPIC-Oxford, condotta tra il 1993 e il 2001 su uomini e donne del Regno Unito. Il 54% (29.380) dei partecipanti seguiva un’alimentazione onnivora, il 15% (8.037) pescetariana, il 28% (15.499) vegetariana e il 3% (1.982) vegana. Il follow up è stato condotto per una media di 18 anni, durante i quali sono state monitorate le condizioni di salute ossea e l’insorgenza di fratture nel campione di riferimento. Durante il periodo di follow up sono state rilevate poco meno di 4mila fratture, delle quali 566 al braccio; 889 al polso; 945 all'anca; 366 alla gamba; 520 alla caviglia e in altri siti come clavicola, costola e vertebre (467). Incrociando tutti i dati è emerso che, rispetto a chi mangiava carne, i rischi di fratture all'anca erano superiori di 1,26 volte per i pescetariani, di 1,25 volte per i vegetariani e di 2,31 volte per i vegani, che avevano anche un rischio 2,05 volte superiore di frattura alla gamba. I vegani presentavano un rischio generale di fratture maggiore di 1,43 volte.


Questo è il primo studio completo sui rischi di fratture totali e sito specifiche in base alle abitudini alimentari – sottolinea l’autore – Abbiamo scoperto che i vegani avevano un rischio più elevato di fratture totali che si traducevano in quasi 20 casi in più su 1000 persone in un periodo di 10 anni, rispetto alle persone che mangiavano carne. I nostri risultati evidenziano che il rischio di frattura all’anca potrebbe essere fino a 2,3 volte più elevato per i vegani rispetto alle persone che mangiano la carne, il che si traduce in una media di 15 casi in più ogni mille persone in 10 anni. Oltre a un rischio più elevato di problemi all’anca – riporta lo scienziato – i non mangiatori di carne erano associati a una percentuale maggiore di fratture alle gambe. Non abbiamo osservato differenze significative nei rischi tra i gruppi dietetici per quanto riguarda braccio, polso o caviglia.

CARNE ROSSA e TUMORI? Esiste davvero una correlazione?

 

Gli esperti hanno preso in considerazione l’assunzione totale di proteine, il che ha portato a un lieve calo nelle possibilità di insorgenza delle fratture.

Studi precedenti – evidenzia Tong – hanno dimostrato che un basso indice di massa corporea potrebbe essere legato a un rischio più elevato di fratture dell'anca e a un basso apporto di calcio e proteine potrebbe essere associato a una peggiore salute delle ossa. Il nostro lavoro dimostra che i vegani, che in media hanno un indice di massa corporea, un apporto di proteine e calcio inferiori, possono correre rischi più elevati in ambito di salute ossea.

Secondo il team, diete ben bilanciate possono migliorare il benessere dell’organismo.

Non abbiamo distinto tra le fratture provocate da una minore salute delle ossa – conclude l’autore – e quelle provocate da incidenti. Un altro limite riguarda la popolazione di rappresentanza, che includeva principalmente individui bianchi europei, per cui ci proponiamo di continuare a indagare estendendo il campione di riferimento per i prossimi studi.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Nitriti e nitrati, il lato amaro dei salumi. Contengono composti potenzialmente cancerogeni

AIRC "Gli additivi e i conservanti alimentari aumentano il rischio di tumori?"

Gazzetta Active "Gli amici delle ossa: calcio, vitamina D e proteine. Ecco gli alimenti più ricchi e come vanno cucinati"

AGI "La dieta vegetariana aumenta il rischio di fratture? Uno studio"

Fanpage "Vegani, vegetariani e pescetariani potrebbero avere un rischio maggiore di fratture"

Gazzetta Active "Fratture ossee, lo studio britannico: Con la dieta vegana o vegetariana aumenta il rischio"

AAAS "Vegans, vegetarians and pescetarians may be at higher risk of bone fractures"

BMC "Vegetarian and vegan diets and risks of total and site-specific fractures: results from the prospective EPIC-Oxford study"

Libero "Ictus, perché mangiare carne: quanto rischiano in più i vegetariani, la ricerca a Oxford"

The Bmj "Risks of ischaemic heart disease and stroke in meat eaters, fish eaters, and vegetarians [...]from the prospective EPIC-Oxford study!"

Focus "Vegetariani, pescetariani, carnivori: chi corre più rischi per la salute?"

Wired "I vegetariani sono a maggiore rischio di ictus?"

GQ Italia "I vegetariani sono più a rischio di ictus..."

Nature "Impact of meat and Lower Palaeolithic food processing techniques on chewing in humans"

Il Giornale "La scienza sbugiarda i vegani: "La carne ci ha resi intelligenti"

Huffington Post "Mangiare carne ci ha resi quello che siamo oggi": una ricerca su "Nature" rivela il ruolo centrale nell'evoluzione dell'uomo"

Blitz Quotidiano "Carne, scienza rivela ruolo centrale nell’evoluzione uomo"

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La vittoria evolutiva dei carnivori: la carne ci ha reso intelligenti

Nuove ricerche: nessun legame tra carne e tumore al colon

L'assunzione di carne è fondamentale per la salute, ma nessuno ne parla

Anche la carne rossa fa bene, basta abbinarla con verdure e olio di oliva

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Parola d'ordine: low (no) carb. I grassi non fanno male! Una premessa doverosa dopo decenni in cui hanno cercato di convincerci della nocività di questi alimenti. Nel frattempo, negli anni ‘50, cibi ricchi di zuccheri erano alla ribalta degli scaffali di ogni supermercato portando, di conseguenza, all’epidemia dell’obesità. Un’alimentazione senza carboidrati è una dieta che limita i carboidrati, presenti soprattutto in alimenti zuccherati, pasta, pane, riso, patate, legumi e pizza. Numerose evidenze scientifiche dimostrano che le diete a basso contenuto di carboidrati possono contribuire alla perdita di peso oltre a migliorare i marcatori di salute. Uno stile alimentare che, per certi versi, richiama, da lontano, la dieta chetogenica o LCHF (low carb high fat), seppur con importanti differenze. Gli studi dimostrano che, oltre agli altri benefici, una dieta a basso contenuto di carboidrati può facilitare la perdita di peso e il controllo della glicemia. Altri studi dimostrano che non c’è motivo di eliminare i grassi naturali dalla nostra alimentazione. Anzi, in uno stile alimentare privo di carboidrati (o quasi) i grassi diventano i nostri alleati. Per avvalersi questo sostegno basta ridurre al minimo l’assunzione di zuccheri e amidi e assicurarsi il giusto apporto di proteine. Con l’eliminazione (o la drastica riduzione) di queste sostanze dannose, i livelli di zucchero nel sangue tendono a stabilizzarsi e, di conseguenza, si abbassano anche i livelli degli ormoni che immagazzinano l’insulina. Questo processo facilita l’aumento della combustione dei grassi e contribuisce al senso di sazietà, riducendo così naturalmente l’assunzione di cibo e facilitando anche la perdita di peso. Inoltre, una dieta a basso contenuto di carboidrati può portare a bruciare più calorie di altre diete.

Come già detto poi, le diete senza carboidrati contribuiscono alla riduzione o alla normalizzazione dei livelli di zucchero nel sangue, e così facendo, contrastano anche il diabete di tipo 2. Quindi, ridurre o rinunciare ai carboidrati insulinici, potrebbe aiutare il controllare non solo la glicemia, ma risultare particolarmente utile per le persone con diabete. Inoltre, uno studio recente condotto per 6 mesi su 49 adulti obesi con diabete di tipo 2 ha rilevato che chi ha seguito una dieta low carb ha avuto riduzioni significativamente maggiori di emoglobina glicata, rispetto al gruppo di controllo. Infatti, come osserva l’American Diabetes Association, la riduzione dei carboidrati, a qualsiasi livello, è probabilmente un efficace strumento per il controllo dello zucchero nel sangue. In pratica, ridurre l’assunzione di carboidrati può prevenire picchi di zucchero nel sangue e quindi aiutare a prevenire le complicazioni del diabete. Tuttavia, i benefici di questo stile alimentare non finiscono qui. Infatti, diminuire l’assunzione di carboidrati può migliorare la salute del cuore. In particolare, le diete senza carboidrati hanno dimostrato di diminuire i livelli di trigliceridi nel sangue, causa principale di rischio malattie cardiache. Secondo quanto dimostra un’indagine condotta su 29 uomini in sovrappeso, la riduzione dell’assunzione di carboidrati al 10% del totale delle calorie giornaliere per 12 settimane, ha diminuito i livelli di trigliceridi del 39% rispetto ai livelli iniziali. Altri studi suggeriscono che le diete a basso contenuto di carboidrati possono anche aumentare i livelli di colesterolo HDL (il cosiddetto colesterolo buono), valido supporto nella protezione contro le malattie cardiache. Dulcis in fundo, un basso livello di carboidrati si dimostra un prezioso alleato del nostro intestino. Contribuisce, infatti, a risolvere i problemi dell’intestino irritabile, spesso alleviandone i sintomi come gonfiore, crampi, dolore addominale, gas, diarrea o stipsi. Funzionale poi anche in caso di cattiva digestione, reflusso gastrico e altri fastidi digestivi. Tra i notevoli vantaggi e benefici per il benessere dell’organismo:

    • Controlla la glicemia, normalizza i livelli di zucchero nel sangue e contrasta il diabete di tipo 2
    • Aumento delle attività del processo metabolico e conseguente potenziamento delle capacità ossidative che permettono una maggiore funzione del metabolismo
    • Aiuta a ringiovanire le strutture cellulari
    • Facilita la perdita di peso in maniera rapida, ma altrettanto efficace
    • Contribuisce all’aumento del colesterolo buono (HDL)
    • Favorisce digestione e reflusso
    • Alleato dell’intestino, allevia gonfiore, crampi e dolori addominali
    • Amico del cuore, riduce i trigliceridi e il rischio di malattie cardiache

La via della salute


Grassi o Zuccheri? “Ai più importanti bivi della vita non c’è segnaletica” sosteneva Ernest Hemingway, ma con le informazioni giuste è possibile non prendere la strada sbagliata. Dalla via dei grassi a quella dei zuccheri, una spiegazione esaustiva viene fornita da Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti:

«Per comprendere l’importanza dei grassi per l’organismo è fondamentale capire l’uso che ne fa il nostro corpo. Per molti di noi il grasso è visto come un substrato energetico (utilizzato per creare energia) e niente più, invece le sue funzioni sono essenziali anche per altri motivi. Distinguiamo intanto i tre differenti tipi di grassi che il nostro corpo assimila con l’alimentazione o produce in base alle proprie esigenze: trigliceridi, fosfolipidi e colesterolo - si legge nel capito “La via dei grassi” -. Quando i carboidrati sono ingeriti, non importa che siano di natura semplice o complessa, essi saranno comunque trasformati in glucosio per poi venire assimilati dai villi intestinali e da qui, riversati nel flusso sanguigno. Il nostro sistema arterioso si occupa di trasportare il glucosio alle cellule che ne hanno bisogno. Difatti come abbiamo già detto, l’unico utilizzo del glucosio da parte del nostro corpo è di tipo energetico, ovvero esso è utilizzato dalle cellule per produrre gli Atp (con la glicolisi ed in seguito con i mitocondri). Le uniche cellule che usano esclusivamente il glucosio come carburante (le altre usano soprattutto i grassi) sono le cellule nervose del cervello (i neuroni), le cellule muscolari della fibra bianca (fibrocellule) ed i globuli rossi (che non possiedono mitocondri). Cosa succede quando il glucosio è presente in quantità eccessive nel sangue? Il nostro corpo, tramite il pancreas, produce uno speciale ormone per eliminare il glucosio in eccesso, evitando il raggiungimento del coma diabetico: l’insulina. Ma esistono alcuni carrier proteici (proteine di trasporto) che si occupano di trasportare il glucosio nelle cellule, sono i glut» conclude l’autore nel capitolo “La via degli zuccheri”.

I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?

Tanti vantaggi e zero controindicazioni

Ormai sono diversi gli studi che cominciano a suggerire che se mangiato senza carboidrati, il grasso, non contribuisce all’aumento di peso. Al contrario di quanto riscontrato invece per lo zucchero dove dozzine di indagini dimostrano che se consumato da solo induce, ugualmente e in modo significativo, a un’inevitabile sovrappeso. Sullo stesso filone la tesi presentata nel libro di Aaron Carroll, professore di pediatria alla Indiana University School of Medicine, “The Bad Food Bible: How and Why to Eat Sinfully” (La bibbia del cibo malvagio: come e perché mangiare peccaminosamente). «C’è una cosa che sappiamo a proposito dei grassi - si legge nel libro di Carroll - Il consumo di grassi non provoca aumento di peso. Al contrario, potrebbe piuttosto aiutare a perdere qualche chilo». Insomma, un chiaro appello per riportare a tavola tutti quegli alimenti banditi dalla dieta nel corso degli anni Novanta. Dal burroso avocado, all’appetitoso salmone passando per le saporite noccioline. Le motivazioni per includere nuovamente nella nostra dieta questi alimenti vengono fornite e confermate da recenti ricerche che dimostrano come le persone che hanno ridotto i grassi non solo non perdono peso, ma non riducono nemmeno il rischio di malattie. Per contro, le persone che consumano più grassi, ma diminuiscono drasticamente o eliminano completamente carboidrati e zuccheri, registrano una riduzione sia del peso corporeo sia del pericolo di patologie.

Ecco come la PASTA potrebbe influenzare la nostra salute

Secondo una review di diverse ricerche pubblicata sulla rivista The Lancet, gli scienziati hanno messo a confronto oltre 150.000 persone in 18 stati, con diversi tipi di alimentazione per indagare le associazioni del consumo di queste sostanze in relazione al rischio di insorgenza di diverse patologie. Le persone che seguivano diete a basso tenore di grassi avevano più probabilità di morire per cause diverse. Senza tralasciare poi il rischio di morire per malattie cardiovascolari, infarto, ictus e insufficienza cardiaca. Per contro, le persone con diete a basso tenore di carboidrati avevano un rischio significativamente minore di incorrere in queste conseguenze. Insomma, una maggiore assunzione di carboidrati è stata associata a un aumento del rischio di mortalità. A seguito degli importanti risultati ottenuti da queste indagini «andrebbero riconsiderate le linee guida dietetiche globali» hanno concluso gli autori dello studio. Ma cosa succede quando nella nostra dieta includiamo solo cibi a basso tenore di grassi? Molti alimenti pronti al consumo nella categoria del “low-fat” sono ricchi di zuccheri e carboidrati. Per avere una conferma di questo basterebbe prendere ad esempio i cereali comuni, quelli in barrette o lo yogurt e dare un’occhiata alla tabella nutrizionale. Compariranno tutti valori ad alto tasso di zuccheri e carboidrati, nonostante siano alimenti a basso contenuto di grassi. Quindi, mentre questi prodotti a basso contenuto di grassi sono venduti come cibi per “perdere peso”, la realtà è molto diversa da quella narrata negli spot pubblicitari. Questi prodotti difatti incidono negativamente più di altri sull’aumentare di peso. Quindi, tirando le somme, nel carrello della spesa è preferibile un prodotto ricco di grassi, ma povero in carboidrati.

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Per approfondimenti:

The Lancet "Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality [...]"

Medical Xpress "Ketogenic diets alter gut microbiome in humans, mice"

Il Messaggero "Dieta chetogenica, può avere effetti benefici nelle persone che soffrono di asma"

The Italian Times "Dieta chetogenica: cos'è, come funziona ..."

Di Lei "Mal di testa. La dieta chetogenica può venire in aiuto"

LEGGI ANCHE: Meno carboidrati e più grassi: un regime alimentare ricco di benefici

Il lato amaro del cibo: gli effetti nocivi di una dieta ricca di zuccheri

Dieta senza carboidrati: un toccasana per asma e altre patologie

Addio carboidrati: contro il tumore al colon basta ridurre zuccheri e amidi

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In vino… salus” o “vinum vita est”! La rivincita sugli astemi, al via con l’antiossidante del benessere. A piccole dosi, il vino rosso fa bene al cuore e contrasta diabete, calcoli renali e riduce il rischio di obesità. Dulcis in fundo, aiuta a prevenire l’Alzheimer! Insomma, le proprietà benefiche dell’uva sono molteplici e sorprendenti. Tutto merito del resveratrolo, potente antiossidante con importanti effetti neuroprotettivi. Inoltre, previene la demenza, l’osteoporosi e favorisce la digestione. Le sue origini risalgono al 3150 a.C., quando gli antichi egizi utilizzavano le proprietà benefiche del vino, impreziosito da erbe e resine di vario genere per ottenere una miriade di effetti salutari. Indagini scientifiche statunitensi hanno dimostrato che l’indice di mortalità degli uomini che bevono un calice di vino al giorno si abbassa di un 17% rispetto a chi non beve vino. Tuttavia, è importante restare all’interno della soglia del benessere poiché se si consuma una quantità superiore rispetto a quella consigliata, l’indice di mortalità aumenta proporzionalmente con gli stessi valori percentuali ma, naturalmente all’incontrario. Per sommi capi, quelli che bevono uno o due calici di vino al giorno hanno una vita più longeva rispetto agli astemi. Purtroppo questa teoria vale soprattutto per gli uomini poiché hanno un enzima che metabolizza l’alcol prima di farlo arrivare al fegato, le donne, al contrario, possono bere soltanto il 60% di quello che bevono gli uomini onde evitare danni al fegato. Vero e proprio toccasana che grazie al contenuto di polifenoli, provenienti dalla buccia e dai semi dell’uva, proteggono il cuore eliminando i radicali liberi. Seppur vietato a bambini, donne in gravidanza e persone con problemi al fegato rimane consigliato a tutti gli altri per le sue capacità di prevenire le malattie cardiovascolari. Insomma, un bicchiere di rosso al giorno toglie il medico di torno! Sempre nei limiti e senza lasciarsi andare a un consumo smodato. «Solo nel 1992 si è iniziato a parlare di resveratrolo come principio attivo di grande interesse per la salute umana, quando dei ricercatori hanno tentato di dare una risposta al paradosso francese» spiega Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. Da qui l’importanza di questo potente antiossidante a spiegare quello che viene definito come il “paradosso francesce” ovvero il fenomeno per il quale in Francia, nonostante l’alto consumo di alimenti ricchi di acidi grassi saturi, l’incidenza di mortalità per malattie cardiovascolari (ossia le malattie del cuore e dei vasi sanguigni) sia relativamente bassa.

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Tra i peggiori nemici di pelle e salute, proprio loro, i radicali liberi. Questi, prendono di mira i grassi che formano le membrane cellulari (liperossidazione), zuccheri, proteine e Dna dove possono alterare il codice genetico portando persino all’insorgenza di gravi malattie. «Per arginare i radicali liberi sulla pelle possiamo farci aiutare dal resveratrolo, eletta dalla facoltà di Medicina di Harvard, miglior molecola antietà naturale», spiega a Repubblica Magda Belmontesi, dermatologa a Milano. «Oggi - aggiunge -, la strategia contro i radicali liberi diventa globale: di giorno, c'è la vitamina C, attiva , infrarossi contro i danni da raggi UV, infrarossi e smog. Di notte, quando il rinnovamento cellulare è più intenso - il picco si verifica tra l'una e le 4 del mattino - bisogna invece potenziare il sistema naturale di difesa antiossidante regolato dalla proteina NRF-2, presente nel mitocondrio. Il resveratrolo è la molecola giusta per stimolarlo. Quindi niente panico, l’arma giusta è a portata di mano». Ora però facciamo un passo indietro e scopriamo cosa sono queste preziose sostanze dagli effetti cardioprotettivi. I polifenoli sono un gruppo eterogeneo di sostanze naturali, note per le loro azioni positive sulla salute umana. In natura i polifenoli vengono prodotti dal metabolismo secondario delle piante ed hanno caratteristiche che ricoprono ruoli differenti come: la difesa degli animali erbivori impartendo dei sapori sgradevoli e dai patogeni, supporto meccanico e di barriera contro l'invasione microbica, attrazione per gli impollinatori e per dispersione del frutto. Dal punto di vista chimico, invece, i polifenoli sono molecole composte da più cicli fenolici condensati; essi possiedo uno o più gruppi ossidrilici -OH legati ad un anello aromatico. In base alla loro struttura possono essere suddivisi in tre classi: quella dei fenoli semplici, quella dei flavonoidi è quella dei tannini. Un esempio di polifenolo è il resveratrolo che inibisce l'ossidazione delle LDL la sovrapposizione delle piastrine proteggendo così l'organismo dalle malattie cardiovascolari (azione antitrombotica, antinfiammatoria, antiaterogena e vaso rilassante).

Tutto merito del resveratrolo


Dal rosso per il cuore alle virtù del resveratrolo.

«Questo antiossidante riduce il colesterolo “cattivo” e aiuta a prevenire le malattie cardiache e cardiovascolari» spiega in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno il professor Giuseppe Paolisso, rettore dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli ed esperto in malattie del metabolismo. E, secondo alcuni studi, aiuta anche a prevenire il cancro. Altri benefici, oltre all’effetto antinvecchiamento, sarebbero nell’azione benefica contro l’infiammazione organica e nel controllo del metabolismo. Il rettore però avverte: «Trattandosi di vino, e quindi di alcol che è tossico per il fegato, tutto dipende dalle dosi. La quantità massima è di due bicchieri al giorno, non più di tanto. Non si deve mai dimenticare che l’alcol ha di per se la capacità di distruggere le cellule, e in particolare interrompe il meccanismo che serve alla produzione di energia». «Questo antiossidante – evidenzia Paolisso - riduce il colesterolo “cattivo” e aiuta a prevenire le malattie cardiache e cardiovascolari».

E, secondo alcuni studi, contribuisce anche alla prevenzione del cancro. Altri benefici, oltre all’effetto antinvecchiamento, sarebbero nell’azione benefica contro l’infiammazione organica e nel controllo del metabolismo. Senza tralasciare poi il suo effetto protettivo contro lo stress. Indagato da un gruppo di ricercatori coordinati da Mathew Sajish dello Scripp Institute, in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature. La ricerca mostra che questo composto induce, infatti, una potente risposta contro lo stress nelle cellule umane, che ha radici molto antiche dal punto di vista dell'evoluzione. Antinfiammatorie, fluidificanti, antitumorali, antitrombotiche, antiossidanti e antidiabetiche.

«È stato riscontrato - spiega ancora il giornalista nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti - che esercita effetti protettivi nei confronti della pelle (derma) preservandola dall’invecchiamento. Il resveratrolo inibisce l’apoptosi delle cellule migliorando la disfunzione mitocondriale e bloccando le radiazioni. Inoltre il resveratrolo stimola la produzione di collagene oltre che inibire l’espressione delle proteasi, responsabili della degradazione della matrice collagenica. Migliora il microcircolo che nutre la cute, rigenerando l’elasticità dei vasi periferici, permettendo l’aumento dell’ossigenazione. La sua molecola è utilizzata nel trattamento delle dermatiti seborroiche ed irritative dell’eczema. - È stato provato da diversi studi clinici che il resveratrolo è un potente antiossidante, superiore alla vitamina C ed al Beta-carotene (vitamina A), perché sviluppa con esse un’azione sinergica. Agisce inoltre inibendo la perossidazione delle lipoproteine (Ldl). - È considerato un ottimo rimedio anti-età per la sua capacità di rallentare gli effetti dell’invecchiamento». All’Università di Maastricht hanno condotto uno studio somministrando il resveratrolo per un solo mese a persone obese, a rischio di diabete, ictus e con malattie cardiocircolatorie. I ricertatori hanno riscontrato una riduzione della pressione arteriosa, una diminuzione degli zuccheri nel sangue ed un miglioramento del metabolismo dei grassi. «Al resveratrolo - evindenzia Panzironi - è anche riconosciuta la capacità di vasodilatatore, d’inibire l’aggregazione piastrinica e come ottimo fluidificatore del sangue, capace di limitare l’insorgenza di placche trombotiche (vaso epitelio-protettivo)».

Anche lo studio presentato all’Ada nel 2010 dallo scienziato Jill P. Crandall, che ha sottoposto, per settimane, i pazienti anziani a un supplemento di resveratrolo, ottenendo così una riduzione del picco glicemico post pasto pari al 10% e dimostrando, di conseguenza, un miglioramento della sensibilità insulinica.

Le notevoli virtù di un antiossidante


Esistono migliaia di studi sugli effetti protettivi del resveratrolo in diverse malattie, da quelle metaboliche e neurodegenerative a quelle dell'apparato cardio-vascolare e nell'invecchiamento, passando anche per la sindrome di Down. Tra le principali proprietà del resveratrolo vi è la sua funzione antiossidante, ovvero protegge dai danni causati dall’ossidazione. È infatti in grado di inibire la sintesi dei radicali liberi, molecole alla base dell’invecchiamento cellulare. Da non trascurare poi, le sue proprietà anticancerogene. Tra le modalità di intervento, la capacità di bloccare i processi alla base della genesi dei tumori e la relativa progressione. Potente antinfiammatorio e valida alternativa all’uso dei farmaci. Protegge il sistema cardiovascolare, limitando i danni che l’invecchiamento esercita sui vasi sanguigni. Ma non è tutto. Il resveratrolo è anche un potente alleato del sistema nervoso contro i danni delle malattie neurodegenerative. Altra capacità, la sua azione immunomodulante in grado di regolare il sistema immunitario e influenzare il funzionamento dei linfociti. Da non trascurare poi, la sua funzione antimicrobica. Una marcia in più per prevenire il declino della memoria causato dall’età. Efficace anche nel miglioramento delle performance del cervello. Gli studiosi hanno osservato che il resveratrolo ha effetti positivi sull'ippocampo, un'area del cervello che è fondamentale per la memoria, l'apprendimento e l'umore. L’indagine, condotta da un gruppo di ricercatori del TexasA&M Health Science Center College of Medicine è stata pubblicata su Scientific Reports. E poi è prozioso nel trattamento dell’acne. Come dimostra un esperimento fatto dai dermatologi della David Geffen School of Medicine della University of California, pubblicato su Dermatology and Therapy, dove hanno valutato hanno valutato gli effetti del resveratrolo facendo proliferare colonie di propionibacterium acnes, batteri responsabili dello sviluppo dell'acne, su cheratinociti di pelle umana.

«Questa piccola molecola si trova soprattutto in frutta e verdura dal colore violaceo e ha la funzione di proteggere i vegetali dagli stress esterni, rappresentandone di fatto una sorta di sistema immunitario. Ma la funzione protettiva vale anche per l’uomo», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Tra le sue principali funzioni benefiche: «Ha una azione antinfiammatoria – sottolinea la biologa -, di contrasto ai radicali liberi. Come tutti gli antiossidanti protegge i vasi sanguigni e stimola i processi della regolazione del ciclo cellulare, con una funzione antitumorale di contrasto all’invecchiamento cellulare». Non solo nel vino! Tra gli alimenti che lo contengono «Troviamo il resveratrolo nell’uva, nel cacao, nei frutti di bosco come more e mirtilli, nelle melanzane e in generale negli ortaggi di colore viola scuro». Quando un bicchiere di vino al giorno toglie il medico di torno. «Sì – continua la nutrizionista -, anche se va ricordato che si tratta di una bevanda alcolica e l’etanolo ha un effetto cancerogeno. Ma il vino ha anche proprietà benefiche, che si manifestano anche nel cosiddetto paradosso francese». «Si è osservato che in alcune zone della Francia in cui si consumano molti formaggi ma anche vino c’è una bassa incidenza di malattie cardiovascolari. Questo è dovuto proprio alla presenza di resveratrolo, che abbassa il rischio di patologie cardiovascolari, andando a proteggere i vasi sanguigni dai grassi saturi e dal colesterolo dei formaggi. Il trend del cosiddetto paradosso francese segue una curva a Y: i forti bevitori e gli astemi, i due estremi della curva, hanno lo stesso rischio di patologie cardiovascolari, mentre chi fa un consumo moderato di vino ha una minore incidenza» conclude l’esperta.

15 validi motivi per concedersi un bicchiere di rosso

  • Migliora la circolazione del sangue
  • Favorisce la digestione
  • Regola la pressione arteriosa. Un altro mito da sfatare e anche se il consumo eccessivo di alcol provoca ipertensione, bere un bicchiere al giorno, al contrario, abbassa la pressione
  • Ha un effetto anticoagulante e antitrombotico
  • Riduce la formazione di calcoli renali
  • Contribuisce a regolare i danni provocati dal tabacco ai vasi sanguigni, grazie alla sua funzione di rilassamento e vasodilatazione
  • Aiuta a prevenire l’Alzheimer, grazie agli effetti neuroprotettivi del resveratrolo
  • Utile nel trattamento di diverse patologie (tra cui il diabete)
  • Previene la demenza e l’osteoporosi
  • Previene l’invecchiamento precoce delle cellule della memoria
  • Previene la comparsa di arteriosclerosi, malattia causata dalla degenerazione delle arterie
  • Migliora le condizioni delle vene varicose
  • Riduce il rischio di una malattia coronarica poiché diminuisce la produzione del colesterolo “cattivo”, aumentando quello “buono”
  • Riduce il dolore e il fastidio delle emorroidi
  • Migliora l’umore e favorisce il desiderio sessuale. L’effetto è quello disinibente, legato al miglior tono dell’umore, mentre sul piano organico gli antiossidanti, in particolare i polifenoli, migliorano la funzione vascolare e quella genitale. Se a questo poi si aggiunge anche una giusta alimentazione, ne giova sia la salute sia la funzionalità sessuale

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Per approfondimenti: 

Gazzetta Active "Resveratrolo: ecco perché un calice di vino al giorno può far bene"

Il Giornale "Dal resveratrolo un aiuto per rallentare l'invecchiamento"

La Repubblica "Resveratrolo e vitamina E per combattere i radicali liberi"

Il Messaggero "Due bicchieri di vino rosso al giorno: ecco perché fanno bene alla salute"

Corriere del Mezzogiorno "Due bicchieri al giorno tolgono il medico di torno. Quando l’alcol fa bene"

Agi "Resveratrolo aiuta a prevenire declino memoria"

Ansa "Nell'uva i segreti per combattere l'invecchiamento"

La Stampa "Un aiuto per la memoria? Arriva dal resveratrolo"

Agi "Salute: Cnr, resveratrolo rigenera i neuroni in sindrome di Down"

Ansa "Resveratrolo dell’ uva efficace contro l’acne"

Washington State University "WSU scientists turn white fat into obesity-fighting beige fat"

MSN Lifestyle "Resveratrolo benefici: efficace contro ipertensione e obesità"

La Stampa "Svelato il segreto del perché il resveratrolo fa bene alla salute"

LEGGI ANCHE: Il vino e le notevoli proprietà benefiche: tutto merito del resveratrolo

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Pubblicato in Informazione Salute
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