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Domenica, 26 Luglio 2020 08:00

Filetto di manzo allo zafferano

Buono e genuino. Unica regola da rispettare: la cottura. Rigorosamente al sangue come vuole la tradizione. Ancora più gustoso e versatile aromatizzato dalle note inconfondibili dello zafferano. Leggero, semplice e perfetto. Questo filetto è la ricetta giusta per ogni occasione.

Ingredienti 

 INGREDIENTI PER 2 PERSONE
    400 g di filetti di manzo    2 cucchiai di Olio EVO Bio
    200 ml (una tazza) di brodo vegetale
   Aromi freschi: timo, rosmarino e salvia
    Un bustina di zafferano    Un pizzico di sale rosa himalayano e        pepe
   Un cucchiaio di Mix Flour  
 TEMPO  ESECUZIONE
20 MINUTI FACILE

Preparazione

Nel frattempo fate la salsina! In un pentolino versare il brodo, lo zafferano,gli aromi tritati finemente sopra elencati, l'olio e versate a pioggia la Mix Flour continuando a mescolare con una frusta in modo che non si formino grumi, portate a ebollizione e spegnete il fuoco. In una padella oliata cuocete i filetti di manzo da ambo le parti per qualche minuto e versare la salsina sui filetti poco prima di finire la cottura girandoli un paio di volte. Aggiustate di sale, aggiungere del pepe e servite caldi.

Riproduzione riservata © Copyright Life 120

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filettoMix Flour LifeOlio Evo BioSale Rosa DellHimalaya

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Martedì, 26 Gennaio 2021 08:00

Insalata di broccoli, cavolfiori e pinoli

Contorno facile e veloce e vero e proprio toccasana per linea e salute. Alimenti consigliati da medici e nutrizionisti. Buoni e ottimi antitumorali, ricchi di vitamine, sali minerali. Una ricetta deliziosa per un piatto di verdure assolutamente da provare!

Ingredienti 

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
  400 g di broccolo romanesco   Un pizzico di sale rosa himalayano
  400 g di cavolfiori
  Una manciata di pinoli
  Un cucchiaio di uva sultanina   Olio extravergine di oliva
  Uno spicchio di aglio
  
 TEMPO  ESECUZIONE
15 MINUTI FACILE

Preparazione


Sbucciate l'aglio e affettatelo molto fine, emulsionare l’olio con un cucchiaio di aceto e un pizzico di sale e pepe, aggiungete l'aglio, precedentemente tagliato a fettine, e lasciate insaporire. Lavate il cavolfiore e il broccolo, lessateli in acqua salata per 10 minuti, sgocciolateli e divideteli in cimette. Fate ammorbidire l'uvetta in poca acqua tiepida. Tostate i pinoli in una padella antiaderente finche iniziano a dorare. Riunite le cimette di cavolfiore e broccoli nell'insalatiera e unite l'uvetta strizzata. Condite con l'olio (dopo aver tolto l'aglio), mescolate delicatamente, cospargete con i pinoli tostati e servite.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Life 120

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Sale Rosa DellHimalayaOlio Evo Bio

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La maggior parte delle persone si rende conto che non dormire abbastanza altera le prestazioni cognitive.. Per quelli privati cronicamente ??del sonno come turnisti, studenti, o camionisti, una strategia comune è semplicemente quella di recuperare il sonno perso durante il fine settimana. Secondo il giudizio comune, recuperare il sonno ripaga il proprio «debito di sonno», senza effetti duraturi. Ma un nuovo studio della Penn Medicine mostra segni inquietanti che la perdita di sonno cronica può essere più grave di quanto si pensi e può anche portare a danni fisici irreversibili e alla perdita di cellule cerebrali. La ricerca è pubblicata su The Journal of Neuroscience.

Con un modello di topo della perdita di sonno cronica, Sigrid Veasey, MD, professore associato di Medicina e membro del «Center for Sleep and Circadian Neurobiology» della Scuola Perelman di Medicina e dei collaboratori della Peking University, hanno determinato che una veglia prolungata è legata a lesioni e alla perdita di neuroni che sono essenziali per la vigilanza e la cognizione ottimale: i neuroni del locus coeruleus (LC).
"In generale, diamo sempre per scontato un pieno recupero della cognizione in seguito alla perdita di sonno, a breve e a lungo termine", dice Veasey. "Ma alcune delle ricerche negli esseri umani hanno dimostrato che la capacità di attenzione e molti altri aspetti della cognizione non possono normalizzarsi anche con tre giorni di sonno di recupero, sollevando la questione del pregiudizio durevole al cervello. Volevamo capire esattamente se la perdita di sonno cronica ferisca i neuroni, se il danno è reversibile, e quali neuroni sono coinvolti".

Sono stati esaminati i topi a seguito di periodi di riposo normale e con veglie brevi o prolungate, imitando il tipico modello di sonno di un lavoratore a turni. Il laboratorio di Veasey ha rilevato che, in risposta alla perdita di sonno a breve termine, i neuroni LC sovraregolano le proteine ??sirtuine di tipo 3 (SirT3), importanti per la produzione di energia mitocondriale e per le risposte redox [ossoriduzione], e proteggono i neuroni dal danno metabolico. Le SirT3 sono essenziali nella perdita di sonno a breve termine per mantenere l'omeostasi metabolica, ma in stato di veglia prolungata manca la risposta della SirT3. Dopo diversi giorni di uno schema di sonno da lavoro a turni, i neuroni LC dei topi hanno cominciato a mostrare meno SirT3, un aumento della morte cellulare, ed il topo ha perso il 25 per cento di questi neuroni.

"Questo è il primo rapporto che dimostra che la perdita di sonno può effettivamente portare a una perdita di neuroni", osserva Veasey. Particolarmente intrigante è che i risultati suggeriscono che i mitocondri nei neuroni LC rispondono alla perdita di sonno e possono adattarsi alla perdita di sonno a breve termine, ma non a una veglia prolungata. Ciò solleva la possibilità che aumentando in qualche modo i livelli di SirT3 nei mitocondri si possa aiutare a recuperare i neuroni, o a proteggerli, nella perdita di sonno cronica o prolungata. Lo studio dimostra anche l'importanza del sonno nel ripristinare l'omeostasi metabolica dei mitocondri nei neuroni LC ed possibilmente in altre aree importanti del cervello, per garantire il funzionamento ottimale durante le ore di veglia. Veasey sottolinea che è necessario altro lavoro per stabilire se un fenomeno simile si verifica negli esseri umani e per determinare che durata di veglia metta i soggetti a rischio di danno neuronale. "Alla luce del ruolo delle SirT3 nella risposta adattativa alla perdita di sonno, l'entità del danno neuronale può variare tra gli individui. In particolare invecchiamento, diabete, dieta ricca di grassi e sedentarietà possono ridurre le SirT3. Se le cellule di una persona, compresi i neuroni, hanno SirT3 ridotte prima della perdita di sonno, questo individuo può avere un rischio maggiore di lesioni alle cellule nervose".

Il prossimo passo sarà mettere alla prova il modello SirT3. "Possiamo ora sovraesprimere le SirT3 nei neuroni LC", spiega Veasey. "Se potremo dimostrare di essere in grado di proteggere le cellule e la veglia, allora saremo lanciati nella direzione di un obiettivo terapeutico promettente per milioni di lavoratori a turno". Il team prevede anche di esaminare post-mortem i turnisti per trovare evidenze di una maggiore perdita di neuroni LC e segni di malattie neurodegenerative come l'Alzheimer e il Parkinson, in quanto alcuni modelli precedenti di topo hanno dimostrato che le lesioni o i danni ai neuroni LC possono accelerare il decorso di tali malattie. Pur non causando direttamente tali malattie, "danneggiare i neuroni LC con la perdita di sonno potrebbe potenzialmente agevolare o accelerare la neurodegenerazione in individui che hanno già questi disturbi", dice Veasey.

Anche se saranno necessarie ulteriori ricerche per risolvere tali questioni, il presente studio fornisce un'ulteriore conferma di una rapida crescita di consenso scientifico: il sonno è più importante di quanto si crede. In passato, Veasey osserva, "nessuno pensava davvero che il cervello potesse essere irreversibilmente danneggiato dalla perdita di sonno". E' ormai chiaro che può esserlo.Hanno collaborato Yan Zhu, Guanxia Zhan, Polina Fenik, Lori Panossian, Maxime M. Wang, Shayla Reid, David Lai, James G. Davis, e Joseph A. Baur, tutti della Penn. La ricerca è stata sostenuta in parte dal National Institutes of Health.

Fonte: Associazione Alzheimer onlus

Ancora molti tra medici, dietisti e nutrizionisti continuano a ripetere come un mantra che non bisogna consumare più di due uova a settimana. Tuttavia, sono ormai numerosi gli studi che dimostrano che le uova non costituiscono un rischio cardiovascolare e anzi potrebbero addirittura essere un fattore di protezione, considerando il loro valore nutritivo e la ricchezza di sostanze protettive. Insomma, il precetto “massimo due uova a settimana” è un mito che andrebbe abbandonato. Semmai si può discutere sul metodo di cottura o sul fatto che in molti prodotti commerciali viene usato l'uovo in polvere, altamente ossidato, questo sì che è pericoloso per le arterie. Un recente studio, estrapolato dal più ampio progetto europeo HELENA che ha coinvolto nove Paesi, ha dimostrato che consumare molte più uova delle solite due a settimana non si traduce in aumento della colesterolemia, né in un aumento del rischio cardiovascolare negli adolescenti, indipendentemente dal loro livello di attività fisica.

La conclusione di questo studio pubblicato sulla rivista Nutrición Hospitalaria conferma quanto già scoperto da precedenti esperimenti condotti su adulti sani, cioè che anche sette (si avete letto bene, 7!) uova a settimana non aumentano per nulla il rischio cardiovascolare. Le uova sono un alimento straordinario: migliore fonte proteica, ferro, vitamine del gruppo B, vitamina A, E e molto altro. Personalmente, consiglio sempre di consumare SOLO uova di origine biologica o di galline libere. Rifiutate tutto il resto e soprattutto non fatevi ingannare dalla dicitura “allevate a terra” (vedi questo mio articolo). Le uova di galline libere sono molto più nutrienti e ricche di vitamine e antiossidanti di quelle di galline tenute nei campi di concentramento delle grandi aziende produttrici di uova. Poi, occhio alla cottura: alte temperature, come nella preparazione di certe frittate, distruggono omega-3 e altre vitamine e sprigionano sostanze tossiche e ossidanti.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

Il beneficio offerto dalle statine non si traduce in un vantaggio reale. Assumendo questi farmaci si crede di poter ridurre il rischio di un attacco cardiaco o un ictus.
Purtroppo la maggior parte delle persone ignora che i livelli di colesterolo, da soli, rappresentano un surrogato dei benefici reali sperati, perché il legame diretto tra colesterolo alto ed eventi cerebrovascolari è, e resta, ancora un’ipotesi.

Detto questo, di seguito un elenco notevole di prove sull’inefficacia delle statine.

La prestigiosa Cochrane Collaboration (1) ha esaminato 8 studi sulle statine, finanziati dalle case farmaceutiche, basandosi sui dati pubblicati e non, contattando in alcuni casi anche gli autori.
I ricercatori della Cochrane (organizzazione mondiale per la ricerca indipendente) hanno concluso che i dati disponibili sono insufficienti per stabilire se le statine siano efficaci e sicure per la prevenzione dell’ictus ischemico e dei TIA (attacchi ischemici transitori).
Per quanto riguarda gli attacchi di cuore, le statistiche sulle statine mostrano che si devono trattare 60 persone per 5 anni per prevenire un singolo attacco. (2)
Questi benefici alquanto insignificanti dovrebbero essere valutati con più attenzione dagli organismi di controllo, tenendo conto degli effetti collaterali e dei costi per la sanità pubblica.
In 5 anni di trattamento con statine, 1 paziente su 67 potrebbe aver sviluppato il diabete e 1 su 10 potrebbe avere danni muscolari (che in alcuni casi possono essere anche permanenti, vedi articolo sugli effetti collaterali delle statine).
Inoltre, le statine non hanno mai dimostrato di prolungare la durata della vita. Ciò è vero anche quando il rischio di malattie cardiache è alto. In una meta-analisi di 11 studi randomizzati e controllati del Prof. Kausik Ray e colleghi, le statine non sono state associate ad una significativa riduzione del rischio di morte per tutte le cause. (3)
In quest’altro studio pubblicato sulla rivista PLoS(4), i ricercatori hanno esaminato i risultati pubblicati e non pubblicati degli studi randomizzati sulle statine. Sono stati presi in considerazione sia i dosaggi standard che quelli più elevati di statine.
Risultato: nessuna differenza, le statine non impediscono eventi cardiovascolari e condizioni associate a trombosi venosa profonda. Anche qui i ricercatori sono andati a richiedere dei dati inediti riguardanti gli stessi studi che hanno permesso l’approvazione per la messa in commercio delle statine.
Come mai gli studi sulle statine, nel complesso, sono riusciti a dare l’impressione di ridurre le malattie cardiache?
Per un certo verso sembra che i ricercatori abbiano dato più peso ai marcatori, gli indicatori che si ritiene essere correlati alla malattia cardiovascolare. In realtà esistono modalità abbastanza sofisticate per presentare i dati in modo favorevole, soprattutto quando dietro c’è il finanziamento delle case farmaceutiche, in grado di trovare varie modalità per ingannare medici e pazienti.
La maggior parte degli studi e le argomentazioni sul colesterolo si concentrano sull’importanza di ridurne i livelli, dando per scontato che ciò impedisca attacchi di cuore e ictus.
Come risultato, il livello elevato di colesterolo viene trattato come fosse una malattia a sé, nonostante il fatto che non uccide e molti studi hanno documentato che livelli di colesterolo più bassi sono associati ad alti tassi di mortalità.
Se una casa farmaceutica vuole vendere un farmaco non mette l’attenzione né sulla prevenzione della malattia né sulla guarigione. L’obiettivo è quello di trovare il modo di vendere farmaci.
Pertanto, per vendere statine ci si concentra sul colesterolo. Come risultato si spinge a considerare pericoloso il colesterolo alto. La paura degli attacchi di cuore è stata trasformata in paura del colesterolo.
Chi ci guadagna
Non è solo il pubblico che è stato convinto, ma un sistema medico troppo facilmente ingannabile dalla pseudo-scienza della Grande Industria Farmaceutica e dei loro tirapiedi interamente posseduti, come le università e le cosiddette agenzie della salute. Chiunque esca da questi schemi viene punito.
I medici che si pronunciano a dire la verità e cioè che il colesterolo non provoca attacchi di cuore e le statine non offrono alcun beneficio, vengono attaccati dalle agenzie che eseguono gli ordini dell’Industria Farmaceutica.
Chiunque cerchi di fare ricerca onesta non trova alcun tipo di finanziamento.
Le università vomitano qualsiasi pseudo-studio, foraggiate dal denaro delle facinorose case farmaceutiche. Le scuole mediche insegnano qualunque cosa le case Farmaceutiche dicono loro di insegnare.
La stragrande maggioranza della formazione continua, per i medici, è stata progettata dalle case farmaceutiche, così l’idea che il colesterolo deve essere abbassato con le statine è continuamente rafforzata.

Le agenzie responsabili delle pubblicazioni mediche approvano la scienza della spazzatura per la pubblicazione, perché la maggior parte del denaro proviene dalla pubblicità dei prodotti. Esistono anche associazioni di beneficenza per promuovere questo schifo.
Praticamente ogni aspetto del sistema medico esiste per servire le inestinguibili case farmaceutiche. Poco importa se i farmaci non fanno nemmeno quello che dicono. Non importa se fanno danni enormi fintanto che ingrassano le casse delle case farmaceutiche.
E finché le case farmaceutiche sono felici, allora anche tutti quelli che sono cresciuti allattati al suo seno gonfio di denaro sono felici.
Il pubblico? Forse, abbiamo qualche ruolo da svolgere in questa farsa. Il primo è quello di pagare per tutto questo, sia che lo facciamo attraverso le tasse, le assicurazioni o di tasca nostra. Il fatto è che ogni centesimo va a sostegno delle case farmaceutiche. E l’altra funzione del pubblico? E’ stare zitti e prendere la medicina.
Come dimostrano diversi studi, le statine non fanno quello per cui vengono vendute.

FONTE: http://www.comemigliorare.com/le-statine-non-riducono-attacchi-cardiaci-e-ictus-analisi-dei-dati-non-pubblicati/

I flavonoidi del cacao migliorano la circolazione influendo sulla pressione. Alcuni cibi si mostrano in grado di agire come una sorta di farmaco nel nostro organismo, avendo peraltro il vantaggio di mostrarsi più desiderabili e con meno effetti collaterali. A sottolineare questo aspetto è la SINut, ovvero la Società Italiana di Nutraceutica, che si è riunita a congresso a Milano. Cesare Sirtori, preside della Facoltà di Farmacia di Milano e presidente della SINut, spiega: “da anni è noto che la popolazione Kuna, al largo della costa di Panama, consuma grandi quantità di cacao e ha mortalità per malattie cardiovascolari nettamente minore in rapporto a quella dei cittadini panamericani. Per questo motivo la European food safety agency (Efsa) sta valutando l'indicazione del cioccolato amaro per affrontare la pressione arteriosa elevata e l'angina pectoris”.

I ricercatori italiani hanno proposto una possibile dieta basata su una combinazione di prodotti attivi, un mix di molecole nutraceutiche: lovastatina, berberina, policosanoli, acido folico, coenzima Q10 e astaxantina. “Dallo studio randomizzato condotto nel nostro paese su 30 pazienti con sindrome metabolica, suddivisi in due gruppi”, ha spiegato Paolo Magni, docente di Patologia clinica all'università degli studi di Milano, “è emerso che il solo intervento nutraceutico ha determinato una riduzione della colesterolemia totale (-12,8%), del colesterolo Ldl (-21,1%) e un aumento del colesterolo Hdl (+5%) rispetto ai pazienti trattati con placebo”.  Anche uno studio dell’Università australiana di Adelaide sottolinea le qualità del cioccolato nel migliorare la circolazione sanguigna e determinare così indirettamente un abbassamento della pressione. Il segreto sta nella presenza dei flavonoli, che agiscono appunto aprendo in maniera naturale i vasi sanguigni favorendo una corretta circolazione del sangue. I medici australiani hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista BMC Medicine e sono arrivati alla conclusione che una piccola dose di cioccolato ha un effetto sulla pressione simile a circa trenta minuti di attività fisica.

I soggetti posti sotto controllo durante la sperimentazione hanno mostrato, grazie alla somministrazione di cioccolato, un calo della pressione pari al 5 per cento. A conclusioni analoghe erano giunti alcuni ricercatori tedeschi. Anche secondo loro, infatti, una piccola percentuale di cioccolata, abbassa la pressione e riduce di conseguenza il rischio di patologie cardiache. È il risultato di uno studio portato avanti dal Centro nazionale di nutrizione umana di Nuthenal, in Germania, pubblicato sulla rivista European Heart Journal. Si tratta in realtà di quantità modeste, circa un quadratino al giorno, perché, com'è noto, un etto di cioccolata ha più o meno 500 calorie e di conseguenza un consumo elevato potrebbe favorire l'aumento del peso corporeo, trasformando i benefici in svantaggi. Come conferma Brian Buijsse, uno degli autori della ricerca, “il consumo di piccole quantità di cioccolata può contribuire alla prevenzione di malattie cardiache, ma solo nel caso in cui vada a sostituire alimenti ad alta densità energetica, come gli snack, in modo da mantenere costante il peso corporeo”.

Lo studio ha preso in esame quasi 20.000 persone fra i 35 e i 65 anni scoprendo che un consumo moderato di cioccolata – circa 8 grammi – diminuisce il rischio di ipertensione, oltre a quello di infarto e ictus di circa il 40 per cento: “in termini di rischio assoluto, quindi, possiamo ipotizzare che se gli individui appartenenti al secondo gruppo (di cui 219 su 10.000 hanno avuto un ictus o un infarto) consumassero 6 grammi di cioccolata in più al giorno, si verificherebbero 85 casi di infarto o ictus in meno ogni 10.000 soggetti su un periodo di circa 10 anni. Inoltre, se si estende la percentuale del 39 per cento alla popolazione generale, il numero di infarti e ictus evitabili potrebbe aumentare, in quanto il rischio assoluto della popolazione generale è più alto”, afferma Buijsse. Sarà indispensabile naturalmente condurre ulteriori ricerche, ma sembra proprio che i flavonoidi contenuti nel cacao svolgano quella funzione positiva sul cuore emersa dalle analisi, stando alle parole dello scienziato tedesco: “sembra che i flavonoidi contenuti nel cacao aumentino la bio-disponibilità di ossido nitrico delle cellule che rivestono la parete interna dei vasi sanguigni, ovvero le cellule endoteliali. L'ossido nitrico è un gas il cui rilascio determina il rilassamento e l'estensione delle cellule che costituiscono il tessuto muscolare liscio dei vasi sanguigni, il che potrebbe contribuire all'abbassamento della pressione. L'ossido nitrico migliora inoltre l'attività delle piastrine, riducendo la viscosità del sangue e l'interazione adesiva tra leucociti ed endotelio vascolare”.

Fonte: Italia Salute

Quella che risulta essere la principale minaccia per la nostra salute è anche naturalmente quella che più viene tenuta nascosta dai media. Un giro economico più che miliardario, legato ai settori in piena crescita della telefonia e della tecnologia wireless in genere, monopolizza infatti l’informazione, impedendo che si sappia a livello di massa un’inquietante verità: l’esposizione alle radiazioni di microonde a basso livello (Wi-Fi) è causa conclamata di irreversibili danni cerebrali, cancro, malformazioni, aborti spontanei, alterazioni della crescita ossea. E la fascia di popolazione più a rischio è rappresentata in assoluto dai bambini e dalle donne. Non stupisce quindi che tutto questo fosse ben noto e documentato in ambito medico e scientifico già molto prima che la tecnologia Wi-Fi dilagasse in tutte le nostre case, arrivando quotidianamente alla portata anche dei bambini. Gli effetti biologici non solo pericolosi, ma letali di questa tecnologia sono stati abilmente tenuti nascosti al pubblico per preservare i lauti profitti delle aziende e per foraggiare le tasche dei vari Bill Gates, Steve Jobs e Carlo De Benedetti.

Come ha dimostrato il Professor John Goldsmith, consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Epidemiologia e Scienze della Comunicazione, l’esposizione alle radiazioni di microonde Wi-Fi è diventata ormai la prima causa di aborti spontanei: addirittura nel 47,7% dei casi di esposizione a queste radiazioni, i casi di aborto spontaneo si verificano entro la settima settimana di gravidanza. E il livello di irraggiamento incidente sulle donne in esame partiva da cinque microwatt per centimetro quadrato. Un tale livello potrebbe sembrare privo di senso per un non scienziato, ma diventa però più significativo se diciamo che è al di sotto di quello che la maggior parte delle studentesse riceve in un’aula dotata di trasmettitori Wi-Fi, a partire dall’età di circa cinque anni in su. Il dato ancora più allarmante è che nei bambini l’assorbimento di microonde può essere dieci volte superiore rispetto agli adulti, semplicemente perché il tessuto celebrale e il midollo osseo di un bambino hanno proprietà di conducibilità elettrica diverse da quelle degli adulti a causa del maggiore contenuto di acqua. L’esposizione a microonde a basso livello permanente può indurre ‘stress’ cronico ossidativo e nitrosativo e quindi danneggiare i mitocondri cellulari (mitocondriopatia). Questo ‘stress’ può causare danni irreversibili al DNA mitocondriale (esso è dieci volte più sensibile allo stress ossidativo e nitrosativo del DNA nel nucleo della cellula). Il DNA mitocondriale non è riparabile a causa del suo basso contenuto di proteine istoniche, pertanto eventuali danni (genetici o altro) si possono trasmettere a tutte le generazioni successive attraverso la linea materna.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato questi rischi in un documento di 350 pagine noto come “International Symposium Research Agreement No. 05-609-04” (“Effetti biologici e danni alla salute dalle radiazioni a microonde – Effetti biologici, la salute e la mortalità in eccesso da irradiazione artificiale di microonde a radio frequenza”). La sezione 28 tratta in modo specifico i problemi riguardanti la funzione riproduttiva. Questo documento è stato classificato ‘Top Secret’ e i suoi contenuti celati dall’OMS e dall’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection – Commissione Internazionale per la Protezione dalla Radiazione Non-Ionizzante). Da un ottimo articolo di Barrie Trower pubblicato dall’edizione italiana della rivista Nexus, apprendiamo quali sono i rischi principali per i bambini esposti all’uso di cellulari e a tecnonologie Wi-Fi: L’irradiazione di microonde a bassi livelli influenza i processi biologici che danneggiano la crescita fetale. Non solo: gli stessi processi biologici sono coinvolti per: Barriera Ematoencefalica: si forma in 18 mesi e protegge il cervello dalle tossine. Si sa che viene alterata. Guaina Mielinica: ci vogliono 22 anni perché si formino i 122 strati di cui è composta. È responsabile di tutti i processi cerebrali, organici e muscolari. Cervello: ci vogliono 20 anni perché si sviluppi (vi assicuro che i cellulari non lo aiutano in questo). Sistema Immunitario: ci vogliono 18 anni perché si sviluppi. Il midollo osseo e la densità ossea sono notoriamente influenzati dalle microonde a bassi livelli come pure i globuli bianchi del sistema immunitario. Ossa: ci vogliono 28 anni per lo sviluppo completo. Come menzionato, il grande contenuto di acqua nei bambini rende sia le ‘ossa molli’ che il midollo particolarmente attraenti per l’irradiazione con microonde. Il midollo osseo produce le cellule del sangue.

Chiaramente, quelli che decidono per noi stanno sottovalutando una pandemia di malattie infantili finora sconosciuta nelle nostre 40.000 generazioni di civiltà, che può coinvolgere più di una metà delle mamme/bambini irraggiati al mondo. Alla luce di questi dati allarmanti e delle previsioni di molti scienziati secondo i quali, se proseguirà con questo ritmo la diffusione incontrollata dei sistemi Wi-Fi, entro il 2020 il cancro e le mutazioni genetiche saranno diffusi in tutto il mondo a livello pandemico, molti paesi stanno fortunatamente correndo ai ripari, varando leggi che limitano per i bambini l’uso dei cellulari e rimuovendo dalle aule scolastiche i dispositivi wireless. Il Comitato Nazionale Russo per la Protezione dalle Radiazioni NON-Ionizzanti, in un proprio documento di ricerca intitolato “Effetti sulla salute dei bambini e adolescenti” ha evidenziato nei bambini esposti a queste radiazioni: 85% di aumento delle malattie del Sistema Nervoso Centrale, 36% di aumento dell’epilessia, 11% di aumento di ritardo mentale e 82% di aumento di malattie immunitarie e rischio per il feto. E nel 2002, 36.000 medici e scienziati di tutto il mondo hanno firmato l’ “Appello di Friburgo”. Dopo dieci anni, l’Appello è stato rilanciato e mette in guardia in particolare contro l’uso del Wi-Fi e l’irradiazione di bambini, adolescenti e donne incinte. Quello di Friburgo è un appello di autorevoli medici internazionali che in Italia ha purtroppo trovato scarso ascolto. E allora che fare? Come proteggere noi stessi, e soprattutto i nostri bambini, da questa letale minaccia invisibile? Il sito Tuttogreen ha diramato un utile prontuario, consistente in dieci consigli pratici, che qui di seguito vi riporto:

1) Non fare usare i telefoni cellulari ai bambini, se non in caso di emergenza. Tollerati gli SMS, ma è meglio ridurre anche quelli. In Francia, non a caso è stata vietata la pubblicità dei telefoni cellulari rivolta ai minori di 14 anni;
2) Utilizzare sempre gli auricolari con cavo (non quelli wireless). Anche l’uso del vivavoce è consigliabile;
3) In caso di presenza di poca rete o di mancanza di campo, non effettuare chiamate. In questi casi sarà necessaria più potenza radiante, con conseguenti maggiori radiazioni;
4) Usare il cellulare meno possibile in movimento, come ad esempio in treno e in automobile. Il rischio costante di diminuzione del segnale aumenta in questi casi l’emissione di radiazioni;
5) Non tenete il cellulare vicino all’orecchio o vicino alla testa in fase di chiamata, quando le radiazioni sono più forti. Fatelo semmai dopo aver atteso la risposta;
6) Non tenete il cellulare in tasca dei pantaloni, nel taschino della camicia o nella giacca che indossate;
7) Cambiate spesso orecchio durante la conversazione e, soprattutto, riducete la durata delle chiamate;
8) Utilizzate il più possibile, quando potete farlo, la linea fissa non wireless, oppure strumenti di instant messaging come Skype o similari;
9) Non addormentatevi mai con il cellulare vicino alla testa, ad esempio usandolo come sveglia;
10) Scegliete sempre modelli che abbiano un basso valore di SAR (tasso di assorbimento specifico delle radiazioni).
Un undicesimo consiglio lo aggiungo io: se proprio dovete utilizzare un cellulare per comunicare con il mondo che vi circonda, evitate di usare gli smartphone. Sono in assoluto i più pericolosi!

Fonte: ECplanet

Le proprietà benefiche della menta un erba aromatica molto comune nel nostro paese quanto altrettanto antica e gli utilizzi che possiamo farne per trarre vantaggi per la nostra salute, infatti la mente attribuisce differenti effetti positivi verso numerose patologie come turbe digestive, colon irritabile. La menta è un’erba aromatica antica diffusa in Europa, ne esistono diverse varietà perenni, era molto apprezzata dagli antichi Greci e Romani, per le sue proprietà terapeutiche. Il suo nome, Mentha, secondo la mitologia greca, deriva da quello di una ninfa Minte, amata da Ade, che Proserpina, per gelosia, la tramutò in pianta.

La menta utilizzata dall'antichità

La menta era conosciuta in passato per le sue qualità medicinali, anche i cinesi anticamente ne vantavano le proprietà calmanti e antispasmodiche. Ippocrate la considerava un afrodisiaco, mentre Plinio ne vantava un’azione analgesica. Tutti i tipi di menta hanno le stesse proprietà medicinali dovute, a un alcool estratto dall’essenza di menta, il mentolo, che sembra sia stato scoperto nei Paesi Bassi, verso il XVIII secolo. Alla menta sono state riconosciutele seguenti proprietà farmacologiche, attività antispastica sulle cellule muscolari lisce dell'apparato digerente e respiratorio, attività decongestionante balsamica, cioè fluidificante, le secrezioni dell'apparato respiratorio.

Le indicazioni sull'uso della menta: turbe digestive funzionali e problemi gastrointestinali, colon irritabile, infezioni catarrali installdelle alte vie aeree e del distretto orecchio-naso-gola. Esistono numerosi studi clinici che confermano gli effetti positivi dell'olio essenziale di menta in soggetti affetti da colon irritabile. L'olioessenziale di menta può essere usato vantaggiosamente anche nella patologia del distretto epatobiliare, con particolare riferimento alle discenesie della coleciste ed alla calcolosi biliare. Il mentolo si è rivelato un ottimo stimolante per lo stomaco, un antisettico e un analgesico, sempre utilizzato in modo corretto. La Menta piperita, tra tutte le varietà è la più profumata, viene coltivata perché è molto richiesta dall’industria per ricavare l’olio essenziale di pregio.

Fonte: ECplanet

La cipolla ha delle proprietà nutrizionali e benefiche davvero da non sottovalutare. Si tratta prima di tutto di proprietà antisettiche, che si rivelano anche terapeutiche, in quanto contribuiscono ad eliminare i parassiti dannosi che sono presenti nell’intestino. Questo ortaggio può essere considerato a buon diritto un antibiotico naturale. Ha un’azione stimolante, diuretica e depurativa e facilita la circolazione del sangue. Inoltre contribuisce ad abbassare il livello di glucosio nel sangue. In dermatologia si rivela un ottimo ingrediente per la bellezza dei capelli, rendendoli anche più forti. Scopriamo insieme tutti i benefici della cipolla.

Le proprietà nutrizionali

Considerando le proprietà nutrizionali della cipolla, non dobbiamo dimenticare che essa, al pari dell’aglio, contiene dei composti sulfurei. E’ ricca di vitamine, in particolare A, B1, B2, C, E e di sali minerali. Fra questi meritano di essere menzionati il calcio, il magnesio, il fosforo, il ferro e il manganese. La cipolla contiene diversi fermenti, in grado di stimolare il metabolismo e di aiutare la digestione. Inoltre è un ortaggio ricco di flavonoidi, che svolgono un’azione antiossidante e mettono in atto soprattutto un effetto diuretico. Molto importante è anche la glucochimina, un ormone vegetale, che ha una spiccata azione antidiabetica. Considerando i valori nutrizionali di 100 grammi di cipolla, non cotta, ci accorgiamo che essa possiede il 92% di acqua, il 5,7% di carboidrati, mentre le proteine e le fibre sono pari a circa l’1%. I grassi non superano lo 0,1%. La stessa quantità di prodotto ha 26 chilo calorie.

Le proprietà benefiche

Le proprietà benefiche della cipolla sono rappresentate soprattutto dal suo essere un antibiotico naturale con azione antisettica nei confronti dei batteri. Tutto ciò rende l’ortaggio un ottimo conservante e allo stesso tempo permette di depurare l’organismo, eliminando i parassiti dannosi presenti nell’intestino. Agendo in questo modo, la cipolla favorisce la crescita della flora batterica intestinale. Ha un’azione stimolante, che facilita l’evacuazione. L’olio essenziale della cipolla può essere utile per favorire la circolazione, in quanto migliora la dilatazione dei vasi e si rivela ottimo per combattere la ritenzione idrica. La cipolla può essere usata anche come espettorante, perché, unita al miele, si rivela un decongestionante soprattutto a carico della faringe. Se si soffre di tonsillite, si possono effettuare gargarismi con il succo di cipolla. Quest’ultimo è consigliato anche a chi soffre di trombosi. Chi ha problemi di cattiva digestione dovrebbe consumare la cipolla cotta, che è più tollerabile, anche se ha minori proprietà nutritive. La cipolla, inoltre, riduce il diabete e il colesterolo. In omeopatia è indicata in caso di raffreddore, perché riuscirebbe a contrastare le secrezioni nasali. Da non dimenticare che avrebbe anche delle proprietà importanti nel contrastare il problema della caduta dei capelli. Da un lato ridurrebbe il fenomeno e dall’altro ne stimolerebbe la ricrescita.

Fonte: ECplanet

Mercoledì, 11 Giugno 2014 00:00

10 farmaci noti provocano cancro e sterilità

L’ Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, in una nota informativa precisa i potenziali rischi prodotti dal principio attivo contenuto nel farmaco Muscoril che “se assunto costantemente, provoca un rischio di teratogenicità, embriofetotossicità/aborto spontaneo, compromissione della fertilità maschile e come potenziale fattore di rischio di cancro”. La stessa agenzia, infatti, consiglia un dosaggio limitato. Il medicinale non deve, quindi, essere usato per il trattamento a lungo termine di condizioni croniche ma deve essere limitato a 7 giorni per le formulazioni orali, e a 5 giorni, per quelle iniettabili. Inoltre la posologia non deve superare la dose di 8 mg ogni 12 ore, per le formulazioni orali, e di 4 mg ogni 12 ore per quelle iniettabili. Il Muscoril è solitamente prescritto per alleviare dolori muscolari, dolorose contratture, associate a patologie acute della colonna, negli adulti e negli adolescenti di età superiore a 16 anni.

In pratica, quello che succede nell’organismo è che il tiocolchicoside si trasforma in una sostanza che può causare danni alle cellule: tecnicamente si tratta dell’aneuploidia, cioè un’anormalità cromosomica che a sua volta può determinare i rischi di cui abbiamo scritto. Ecco quali sono i farmaci che contengono questo principio attivo e che sono in vendita in Italia: Decontril, Miorexil, Miotens, Moveril, Muscoflex, Muscoril, Relmus, Sciomir, Strialisin, Teraside e Tioside. Tiocolchicoside generici-equivalenti di varie marche.

Fonte: ECplanet

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