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Esposti e vulnerabili. Sul banco degli imputati finiscono insonnia e stress. Condannati da nuovi studi, queste patologie influiscono negativamente non solo sul nostro stile di vita, ma anche sulla nostra azione difensiva da attacchi esterni. Un accumulo di ansia e stress per adattarsi a questa nuova quotidianità con cui conviviamo da più di un anno. Le alterazioni del sonno sono un fattore di rischio per l'obesità, l'ipertensione, il diabete oltre ad alcune forme di cancro, tra cui al seno e alla prostata. Anche lo stress abbassa le nostre difese, oltre a renderci particolarmente irritabili e ansiosi ci espone maggiormente al rischio di contagio. Legato a una situazione temporanea, contingente, facilita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. Quindi, tra le soluzioni tra adottare nell’immediato sicuramente quella di intervenire sullo stile di vita abbassando i livelli di cortisolo e aumentando così la capacità immunitaria del nostro organismo. Un prezioso aiuto arriva poi anche dall'assunzione di integratori alimentari che limitano la produzione stessa del cortisolo.


Il sonno ci protegge dalle infezioni. Difatti, l’insonnia o un sonno frammentato incidono negativamente sul nostro sistema immunitario e, di conseguenza, sul nostro benessere psicofisico. Insomma, due importanti condizioni da non sottovalutare. L'insonnia è un grave problema di salute associato a un grande carico psicologico. Mentre lo stress (dall’inglese “sforzo o spinta”) indica una “trasformazioni morfologiche tangibili in vari organi, particolarmente nelle ghiandole endocrine che stanno sotto il controllo dell'ipofisi anteriore” (Selye, 1936). Tra i notevoli danni provocati, il cortisolo non indebolisce solo il sistema immunitario, ma agisce sul cuore, aumentando la pressione e la frequenza cardiaca, agisce sul sistema respiratorio, stimolando la funzione respiratoria, aumenta la funzione metabolica, e quindi i livelli di glicemia nel sangue, rallenta il sistema digestivo e inibisce il sonno. In altre parole, di fronte ad uno stress non fa altro che peggiore una condizione critica. Un sondaggio dell'EURODAP (Associazione Europea per il Disturbo da Attacchi di Panico) ha evidenziato che a incidere sullo stress è stato anche lo smart working. Le prime vittime di questo stress da pandemia sono proprio le donne che hanno registrato un incremento dell’ansia di ben il 73%.


Dormire è fondamentale


Tirando le somme, questa condizione decisamente critica porta a un aumento del 45% dei problemi di salute. Infatti, secondo gli esperti della World Sleep Society (Wss), i responsabili sarebbero proprio insonnia, disturbi del sonno e cattivo riposo notturno. In media, in quasi tutti i Paesi, il 10-15% della popolazione nazionale è affetta da patologie del sonno mentre un altro 30% circa riferisce una sensazione di riposo non riparatore e di stanchezza al risveglio. Un quadro critico che è indubbiamente peggiorato a causa della pandemia da Covid-19 e con le relative restrizioni che hanno modificato inevitabilmente i nostri ritmi di vita. Eppure un sonno regolare favorisce il miglioramento del sistema immunitario che ci rende vulnerabili a virus e a tante altre malattie. Infatti, come spiegano gli studiosi della Wss, le alterazioni del sonno hanno conseguenze psicologiche e psichiatriche molto negative, quali l'aumento dell'ansia e dello stato depressivo. Sulla salute del corpo umano poi, sono un ulteriore fattore di rischio aumentato di sovrappeso, obesità, ipertensione, diabete ed alcune forme di cancro, soprattutto del seno e della prostata.

Ma quali sono gli accorgimenti per riposare correttamente e arginare questa condizione rischiosa?


Lo stress è sicuramente legato ad una situazione temporanea, contingente, che facilita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. E questo vale anche per noi, che stiamo subendo una pressione cronica legata a questa situazione. Ma lo stress non migliora la risposta immunitaria, anzi. Quindi è importante cerca di arginarlo. Dormire, sicuramente, perché il riposo abbassa i livelli di cortisolo e aumenta la capacità immunitaria del nostro organismo. E’ la cosa più importante. A livello di alimentazione una dieta mediterranea vera, equilibrata, è sicuramente ottima in termini di acquisizione di tutti i nutrienti. Di certo un apporto di vitamina C e di vitamine del gruppo B è utile. Ma è bene soprattutto dormire.

INSONNIA? Come DORMIRE bene e svegliarsi riposati

Senza trascurare quanto dimostrato da una ricerca della Clinica universitaria di Navarra, in Spagna, ha anche evidenziato l'incidenza del cattivo sonno sull'insorgere del morbo di Parkinson: il 33% dei pazienti con disturbi del riposo notturno lo sviluppano entro 5 anni e più del 75% entro 10 anni. Tra i principali suggerimenti per migliorare la qualità del sonno c'è sicuramente quello di rispettare orari fissi sia per andare a letto che per alzarsi, riposare in media tra le 7 e le 8 ore a notte, non pensare di compensare nei weekend il sonno perso durante la settimana. Contribuiscono, inoltre, a una buona dormita anche l’alimentazione sana ed equilibrata per fare il pieno di sostanze nutritive senza appesantirsi troppo, una regolare attività fisica, la programmazione della propria giornata, l'esposizione ai raggi del sole per fare la scorta di vitamina D, l'esposizione ai dispositivi elettronici nelle ore serali e prima di andare al letto, e l'attività fisica troppo pesante, la moderazione nei consumi di fumo e alcool, evitare infine cibi pesanti, zuccheri, bevande gassate e caffeina, nemici per antonomasia del corretto riposo. Allontana le estenuanti notti insonni anche il magnesio, un prezioso minerale dall’effetto miorilassante, fondamentale per la nostra salute soprattutto in vista dell’estate. «Sicuramente si tratta di un sale minerale molto utile in caso di stress fisico e psichico», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e la RAF First Clinic di Milano. Un vero e proprio toccasana per il benessere, la sua presenza nella dieta, come evidenziato nell studio statunitense "Magnesium intake and depression in adults", riduce il rischio di depressione.


Stimola il rilassamento muscolare, contrastando i crampi e ripristinando la contrazione muscolare, come il calcio, ma agisce anche a livello del sistema nervoso, favorendo la distensione e avendo come effetto anche un miglioramento della qualità del sonno. Questa sua azione miorilassante è data dal fatto che questo minerale riduce la produzione di adrenalina. Carenze di magnesio si possono osservare in condizioni di forte stress, intensa attività fisica e sportiva o sudorazione importante. Anche l’insonnia e i disturbi gastrointestinali possono indicare una carenza di magnesio.


La risposta giusta contro stress, notti insonni, sbalzi d’umore, ansia e stati d’irritabilità si trova a tavola. In sostanza, è importante ridurre lo stress ossidativo attraverso l’assunzione, nella dieta, di tutte quelle vitamine e quei sali minerali che hanno una sorta di funzione di reintegro. Minerali come il potassio, il sodio e il magnesio, ma anche vitamine coma la C, potente antiossidante, oltre a quelle del gruppo B, in grado di ridurre il senso di stanchezza e migliorare la condizione stressogena generale a livello fisico e mentale. E ancora la vitamina D, grande alleata del sistema immunitario. Queste sostanze stimolano la contrazione e il rilassamento muscolare, agendo proprio come miorilassante, migliora la qualità del sonno.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Lo stress abbassa le difese immunitarie. Il virologo: “Dormire è fondamentale"

Agi "Dormire male indebolisce le difese immunitarie"

Gazzetta Active "Sistema immunitario, così il sonno ci protegge dalle infezioni. Dormite poco? Ecco i rischi"

PubMed "Magnesium intake and depression in adults"

Radio 24 "Il sonno amico del nostro cervello"

Corrriere della Sera "Gli effetti sul sonno della pandemia"

Il Messaggero "Covid: stanchezza, affaticamento e insonnia. Gli strascichi della malattia nello studio del Careggi"

Il Giornale "Coronavirus e insonnia: cosa fare per dormire meglio"

The italian times "Insonnia: cause e rimedi per curare ansia e stress da mancanza sonno!"

Plos Biology "A bidirectional relationship between sleep and oxidative stress in Drosophila"

Vanity Fair "INSONNIA E PROBLEMI COL SONNO: ECCO COSA FARE SE NON RIESCI A DORMIRE"

La Repubblica "Dormire poco fa male al cuore"

Plos Biology "Broken sleep predicts hardened blood vessels"

Fondazione Veronesi "Insonnia: se dormi male anche il cuore rischia"

La Repubblica "Anziani, se troppo sonno diventa la spia di diabete e problemi di cuore"

Il Giorno "Effetto Coronavirus: Aumentati i pazienti con disturbi del sonno"

La Repubblica "Coronavirus: irritabilità, insonnia e paura per il 70% dei ragazzi"

Io Donna "Post lockdown: 6 bambini su 10 mostrano ansia, irritabilità e disturbi del sonno"

LEGGI ANCHE: Cortisolo, vittime le "casalinghe disperate": donne più stressate del 73%

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Fate largo agli ultracentenari! Quanto dura la vita umana? Esiste davvero un limite? Sulla correlazione tra invecchiamento e durata della vita si interrogano da tempo medici, biologi e studiosi dell’evoluzione. Molti studi confutano la tesi sostenuta in un’indagine del 2016 dove, si evidenziava che la soglia massima di vita era fissata al tetto dei 115 anni. Ma qual è veramente il massimo che possiamo vivere? Una soglia precisa non c’è, sostengono i nuovi studi, ma qualora ci fosse, sarebbe ben più alta dei 115 anni. Per Jim Vaupel, esperto di invecchiamento presso il Max Planck Institute for Demographic Research in Germania, «I dati indicano che non c'è un limite delineato. Al momento le evidenze scientifiche sembrano suggerire che, se di limite si può parlare, questo si situa oltre i 120 anni, forse anche di più, o forse non esiste affatto un limite». I nuovi dati fanno scricchiolare le conclusioni a cui era sopraggiunta della ricerca di Jan Vijg, il genetista dell'Albert Einstein College of Medicine di New York che aveva firmato il paper originale. Tuttavia, il presunto calcolo messo a punto dallo studio precedente sembrerebbe errato poiché basato su interpretazioni "visive" delle curve di longevità, su eccezioni che falsano i risultati, nonché su conclusioni arbitrarie e circolari. Inoltre, i notevoli progressi raggiunti soprattutto nell'alimentazione e nella cura della persona introdotti dai primi del '900 hanno portato ad un aumento pressoché costante nell'aspettativa di vita media. Difatti, l'Italia è tra i Paesi più longevi. Insomma, uno stile di vita sano oggi per diventare i “pionieri della longevità” di domani.

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Sicuramente la scienza concorda che la capacità di vita delle cellule umane sia ben oltre i 120 anni e lo dimostrano tutte quelle persone che hanno superato quella soglia di età. Gli scienziati si sono concentrati sulle persone che hanno raggiunto o superato i 110 anni di età nei quattro Paesi con il maggior numero di ultracentenari (USA, Francia, Giappone e Gran Bretagna) e hanno notato che l'età della morte di questi individui super longevi è aumentata rapidamente tra gli anni '70 e i primi anni '90, per raggiungere un plateau attorno al 1995. Non a caso, nel 1997 è morta la francese Jeanne Calment, 122 anni, la persona più longeva che sia mai esistita. Molto spesso sentiamo parlare di persone che sostengono di aver vissuto anche più a lungo, ma la loro nascita non può essere verificata. Si dice che la maggior parte degli animali esistenti sulla terra possa vivere fino a sei volte oltre il periodo di crescita. Sulla base di questa teoria, molti studiosi ritengono che la durata della vita umana, la quale include un periodo di crescita di vent’anni, possa essere portata a 120 anni. Numerose tradizioni orientali di allenamento mente-corpo suggeriscono che gli esseri umani possano vivere in buona salute fino all’età di 120 anni, ovviamente se capaci di prendersi cura di se stessi, in accordo con i principi naturali. Dati alla mano, il limite assoluto di durata di vita umana è stato fissato, in base ai calcoli, a 125 anni. Tra i fattori capaci di migliorare l'aspettativa di vita media indubbiamente l’importanza della prevenzione e del trattamento delle malattie croniche. Tirando le somme, in considerazione di un prolungamento della vita umano ben oltre i 100 anni, ne consegue un altro aspetto importante: vivere questi anni nelle migliori condizioni di salute. Questo perché, in certe condizioni, uno stile di vita sano ed equilibrato diventa il nostro grande alleato nel contrasto a tante malattie, consentendo così alla vecchiaia di procedere ad oltranza.

120 e oltre


«120 anni è il limite previsto dal nostro DNA», sottolineava qualche anno fa l’oncologo Umberto Veronesi. Ecco come continuare ad essere “diversamente giovani”. E finalmente, dopo anni di ricerche, gli scienziati cominciano a capire come raggiungerlo, controllando i nostri geni e l’alimentazione. Spinta dal progresso tecnologico, l'aspettativa di vita umana è aumentata notevolmente dal XIX secolo ad oggi. L'evidenza demografica ha rivelato una continua riduzione della mortalità in età avanzata e un aumento dell'età massima alla morte con la conseguente estensione, seppur graduale, della longevità stessa. Insieme alle osservazioni secondo cui la durata della vita in varie specie animali è flessibile e può essere aumentata, questi risultati hanno portato a suggerire che la longevità potrebbe non essere soggetta a vincoli genetici specifici per specie. Nello studio in questione, analizzando i dati demografici globali, viene mostrato come i miglioramenti nella sopravvivenza con l'età tendano a diminuire superati i 100 anni.

EMMA MORANO e il segreto della donna più vecchia del mondo

Questi risultati suggeriscono fortemente che la durata massima della vita degli esseri umani è fissa e soggetta a vincoli naturali. Lo dimostrano anche i dati delle Nazioni Unite del 2015, la popolazione mondiale con età superiore ai cento anni è di circa 500.000 individui. Si tratta di un aumento quadruplo rispetto a vent’anni fa e si prevede che la cifra aumenterà ancora più rapidamente in futuro. Secondo un sondaggio, nel 2014 avevano più di cento anni 72.000 americani.

Meglio essere chiari, l’elisir di lunga vita non esiste. Invecchiare in buona salute però è possibile, ritardando al massimo la comparsa della fragilità, che è sinonimo di vulnerabilità — spiega Nicola Ferrara, presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) —. Un anziano fragile non ha acciacchi evidenti, ma vive in equilibrio precario perché la sua funzionalità si è pian piano deteriorata: un evento acuto come una frattura, una polmonite, un lutto possono alterare la situazione in maniera irreversibile, facendo precipitare le condizioni di salute.

Superare i 100 non è un’utopia


Centenari si nasce o si diventa grazie all’alimentazione? Dieta corretta, una buona vita sociale per stimolare la mente e un’attività fisica adeguata. È questa la ricetta per invecchiare in salute. Con un regime alimentare corretto l’“invecchiamento attivo” (il momento in cui si dovrà affrontare il declino), dovrà aspettare. E anche se l’elisir di lunga vita non esiste, esistono tuttavia una serie di raccomandazioni per invecchiare in buona salute. Insomma, quello che mangi diventa il tuo corpo e la tua energia, da qui l’importanza nella scelta di come e cosa portare a tavola. Nascosto in Ecuador, il segreto di lunga vita. Nel 1969, il cardiologo ecuadoriano Miguel Salvador decide di esaminare 338 persone, tra uomini, donne e bambini di Vilcabamba per scoprire successivamente che nessuno di loro non solo non era affetto da arteriosclerosi e disfunzioni cardiache, ma neanche da cancro, diabete e Alzheimer. Inoltre, gli uomini sopra i 65 anni erano incredibilmente sani. «Verrebbe da pensare che alla base della longevità – come spiega un medico di Quito – ci sia una semplice dieta […], capace di ridurre l’insidia delle malattie cardiache. Alla salute di queste persone contribuiscono l’alimentazione, con il grande consumo dei prodotti naturali locali, frutta e verdura, ma anche carne e pesce». 

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Ad esempio, una ricerca dell’università di Londra condotta su 65.000 soggetti ha rivelato che chi consumava porzioni di frutta e verdura quotidianamente, presentava un tasso di mortalità prematura inferiore del 42% rispetto a chi le consumava sporadicamente o in misura ridotta. Inoltre, per mantenersi sani e forti, altro valido aiuto arriva dal movimento fisico, con benefici anche sulla qualità della vita stessa. Il passo diventa meno sicuro, i movimenti più lenti, i muscoli più deboli ed il pensiero meno lucido. Tanti piccoli segnali che, insieme all’avanzare degli anni ci allontanano dal benessere. La buona notizia è che il momento in cui si diventa vulnerabili non è scritto, ma può essere allontanato nel tempo con l’obiettivo di restituire vita agli anni. Vecchietti si, ma arzilli e pieni di energie. «Significa però poter diventare “grandi vecchi” in buona forma fisica e autonomia. Succede sempre più spesso: negli ultimi dieci anni i centenari sono cresciuti del 300%, oggi in Italia sono circa 17mila» Niccolò Marchionni, vicepresidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica. E molti di loro sono arzilli, energici, vecchietti.


Un corretto lifestyle, il segreto della longevità


Obiettivo: vivere fino a 120 anni, ma senza patologie. Nessun gene della longevità, solo comportamenti salutari. Tra le più efficaci strategie antiage, mangiare meglio e soprattutto alimenti che nutrono correttamente e proteggono le cellule. Praticare poi attività fisica regolare, ridurre lo stress, l’ansia, i pensieri negativi e, infine, dormire bene. Prima regola: un’attenzione particolare all’alimentazione evitando quei cibi che intaccano la salute e accorciano la nostra vita

Una volta si pensava che il grasso addominale fosse un magazzino inerte. Invece abbiamo capito che quando le cellule del grasso diventano più grandi si mettono a produrre degli ormoni che causano infiammazione - spiega Luigi Fontana, docente di Nutrizione all’Università di Salerno e alla Washington University in St. Louis, Stati Uniti. - L’accumulo di grasso addominale favorisce gli stati infiammatori, il diabete, le malattie cardiovascolari e i tumori. Il girovita deve rimanere piatto: ogni volta che aumenta di un centimetro mi devo mettere a dieta e devo cominciare a fare attività fisica [...].

Come rallentare l’invecchiamento? Oltre alla durata cellulare scritta nel nostro DNA, invecchiamo anche a causa dell’accumulo, con il tempo, di danni cellulari all’organismo. Il conto alla rovescia è scandito dai telomeri, una sorta di tappi che rivestono la parte finale del DNA. Quando la cellula si divide, i telomeri si accorciano fino al loro deperimento che porta alla morte della cellula stessa. Colpevoli dei danni, invece, i radicali liberi, molecole che aggrediscono e danneggiano tutte le strutture cellulari. Questo avviene, ad esempio, quando introduciamo quei cibi che aumentano la produzione di radicali liberi che vanno poi a infiammare e a distruggere le nostre cellule. Nel corso degli ultimi anni sono stati scoperti circa 25 geni dell’invecchiamento (gerontogeni) che regolano la durata della vita nei topi, nei vermi e nei topolini: eliminandoli, gli animali vivono più a lungo. Lo stesso avviene anche per il genere umano. Per sommi capi, contro un declino inesorabile la soluzione per manipolare i geni dell’invecchiamento è nascosta proprio in quello che ogni giorno decidiamo di mettere nel piatto.

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Per approfondimenti:

Nature "Maximum human lifespan may increase to 125 years"

New York Post "Scientists claim many people could soon live beyond 120 years old"

Focus "Esiste o no un limite alla durata della vita?"

Corriere della Sera "Vivere fino a 120 anni è possibile, la guida per arrivarci in buona forma"

Focus "Si può stabilire un limite massimo della vita umana?"

Riza "I segreti per vivere 120 anni"

Time "The New Age of Much Older Age"

Gazzetta dello Sport "Ecco la dieta antinfiammatoria, uno stile alimentare per prevenire le patologie dell’era moderna"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

LEGGI ANCHE: Infiammazione? Lo stile alimentare che aiuta la prevenzione di tante patologie

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L'alimentazione, la grande alleata dei nostri occhi

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Dolorosa e invalidante. Acuta o cronica è senza dubbio, la più nota è quella reumatoide. Tra le patologie della mano più comuni e fastidiose c’è sicuramente l’artrite. Dalle dita rigonfie a quelle deformate cosiddette “a collo di cigno”. I tratti distintivi di questa malattia sono senza dubbio dolori localizzati tra al pollice, medio e anulare, formicolii, rigonfiamenti oltre al “dito a scatto”. Una patologia autoimmune sistemica in cui alcune cellule del sistema immunitario che mutano e attaccano il proprio organismo aggredendolo. Nello specifico, la membrana affetta da artrite crea il panno sinoviale che, espandendosi, intacca legamenti, tendini e cartilagini. Le articolazioni maggiormente bersagliate sono sicuramente polsi, gomiti, ginocchia, caviglie, piedi e mani. In pratica, nelle persone malate di artrite reumatoide, produce erroneamente anticorpi che attaccano il rivestimento delle articolazioni (membrana sinoviale), causando infiammazione e dolore. L’infiammazione, a sua volta, produce sostanze chimiche (citochine) che provocano l’ispessimento e l’aumento di volume della membrana sinoviale e danneggiano le ossa, le cartilagini, i tendini e i legamenti circostanti. In assenza di cure, le citochine possono causare la deformazione dell’articolazione e, da ultimo, distruggerla completamente. Le ipotesi più accreditate sostengono che la malattia si manifesti in individui geneticamente predisposti quando siano esposti ad un evento o ad un agente, scatenante (quale un virus o un batterio), non ancora individuato che innesca la reazione immunitaria. Colpisce dalle tre alle sette persone ogni mille, in prevalenza donne, con un picco di insorgenza in una fascia d’età compresa fra i 45 e i 65 anni. Dalla rigidità al movimento alla conseguente perdita della funzionalità delle articolazioni coinvolte. «L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica autoimmune che attacca i tessuti articolari di una persona il cui sistema immunitario, invece di proteggere l’organismo dagli agenti esterni come virus e batteri, si attiva in maniera anomala contro di esso» spiega al Corriere della Sera Roberto Gerli, presidente della Società Italiana di Reumatologia.

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In Italia, 400.000 persone soffrono di artrite reumatoide. L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce in maniera elettiva le articolazioni. La sua prevalenza ovvero il numero di casi di artrite reumatoide nella popolazione mondiale è di circa l’1%. In Italia la media è di un malato ogni 250 persone. Tra le malattie osteoarticolari, l’artrite reumatoide, rappresenta la malattia più grave in termini di danno strutturale delle articolazioni, di danno osseo secondario, di complicanze extra-articolari, di comorbidità associate e di rischio di mortalità. Come accade per altre malattie autoimmuni è lo stesso sistema immunitario (che di norma difende l’organismo dalle aggressioni esterne) ad attaccare i tessuti sani, non riconoscendoli come tali. Il “bersaglio” privilegiato degli anticorpi, in questo caso è la membrana sinoviale, che è il foglietto di rivestimento interno della capsula articolare e che si riflette ai margini di questa andando poi a tappezzare le superfici ossee articolari. Tale membrana reagisce all'infiammazione aumentando di volume e dando origine al panno sinoviale. Questo si espande fino a provocare la graduale distruzione della cartilagine, ma il processo proliferativo nei casi più gravi arriva a toccare le ossa e gli altri tessuti circostanti (osso subcondrale, capsule, tendini, legamenti). Tuttavia, l’infiammazione potrebbe coinvolgere i vasi sanguigni, le sierose, i muscoli, i polmoni, i reni, il cuore, il sistema nervoso centrale e periferico, l’apparato visivo, quello emopoietico. Tra le categorie più a rischio ci sono indubbiamente anche le persone obese o in sovrappeso, questo perché l’aumento di peso sovraccarica le articolazioni aumentando il rischio di infiammazione.

Non sottovalutare le conseguenze dell'artrite

Sotto il nome di artrite, che significa letteralmente “articolazione dolorante, rientrano più di cento condizioni diverse. Unico comune denominatore, la caratteristica di provocare un'infiammazione a livello articolare. Fino a poco tempo fa confusa o associata all’artrosi, malattia ben diversa che colpisce i condrociti, le cellule che costituiscono la cartilagine e che, nonostante abbia una componente infiammatoria non è una malattia infiammatoria. Tra i sintomi manifesti di questa infiammazione articolare dolore, gonfiore, rigidità al movimento e successiva perdita della funzionalità delle articolazioni coinvolte. La rigidità articolare, maggiormente intensa al risveglio, può durare per tutta la giornata. Si tratta di uno dei principali campanelli d’allarme dell’artrite reumatoide: in altre patologie articolari (come l’osteoartrosi) questo disturbo tende a svanire più rapidamente. Inizialmente, la perdita della funzionalità articolare può essere determinata dall’infiammazione della membrana sinoviale (o sinovite). Nella fase avanzata della malattia è più frequentemente associata alle deformità articolari e alle anchilosi. Di solito, l’artrite reumatoide colpisce in modo bilaterale e simmetrico. Tra le varie forme di artrite:


Osteoartrite: più comune soprattutto tra le persone anziane, è la causa principale di disabilità fisica, tra le donne dopo i 45 anni di età. Lesiona le cartilagini e conseguentemente comporta spesso un contatto diretto tra le ossa nelle articolazioni. Si manifesta su mani, collo, fondoschiena e sulle articolazioni su cui si scarica il peso del corpo, come le ginocchia, i fianchi e i piedi.

Artrite reumatoide: (come già detto) interessa le articolazioni, ma anche i tessuti epidermici, polmonari, oculari e i vasi sanguigni. Le persone colpite si sentono stanche e febbricitanti. Una malattia autoimmune che si manifesta solitamente in modo simmetrico nei vari organi (entrambe le mani o entrambe le ginocchia). Può comparire a qualunque età, ma colpisce perlopiù le persone nel loro periodo di maggior produttività. Le donne colpite sono circa due volte più numerose che gli uomini.

Gotta: si manifesta come dolore improvviso e molto intenso e infiammazione e ingrossamento delle articolazioni. Frequentemente gli attacchi sono notturni e possono essere conseguenti all’uso di alcol, droghe o altre malattie pre-esistenti. E’ dovuta all’accumulo di cristalli di acido urico nei tessuti connettivi che si trovano nelle articolazioni. E’ più frequente negli uomini tra i 40 e i 50 anni, mentre nelle donne compare solitamente solo in menopausa.

Artrite reumatoide giovanile: la forma più comune tra i bambini, che causa dolore, irrigidimento, gonfiore e perdita di funzione delle articolazioni. Può essere associata ad episodi di febbre e può colpire diverse parti del corpo.

Fibromialgia: una malattia cronica che causa dolori in tutti i tessuti che supportano ossa e articolazioni. I dolori e l’irrigidimento si manifestano nei muscoli e nei tendini, soprattutto sul collo, colonna vertebrale, spalle e fianchi.


Lupus sistemico eritematoso: malattia autoimmune che comporta infiammazione di articolazioni, pelle, reni, cuore, polmoni, vasi sanguigni e cervello.

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Oltre a queste, ci sono anche altre forme di artrite che colpiscono anche tessuti e organi interni: lo scleroderma (che colpisce soprattutto la pelle), la spondiloartropatie (un insieme di forme che interessano principalmente la colonna vertebrale), l’artrite infettiva (causata da un agente batterico o virale, come i gonococchi o i porvovirus), la polimialgia reumatica (colpisce tendini, muscoli, legamenti, e tessuti articolari), la polimiositi (genera infiammazione muscolare), l’artrite psoriasica (che si manifesta in persone già colpite da psoriasi, soprattutto sulle dita di mani e piedi), le borsiti (infiammazione delle bursae, che contengono liquidi atti a ridurre la frizione tra le ossa) e le tendiniti (comportano infiammazione dei tendini, sia per eccessivo e scorretto uso che per una pregressa condizione reumatica).

Dieta antinfiammatoria, una terapia naturale


Una dieta a ridotto contenuto infiammatorio è associata a una maggiore perdita di peso, riduzione dell’infiammazione, migliori prestazioni fisiche e minore dolore articolare. Difatti, uno stile alimentare “a basso contenuto infiammatorio” potrebbe portare persino alla riduzione del dolore e al miglioramento delle funzioni fisiche. Come suggerito dal dottor Gianfrancesco Cormaci, specialista in biochimica clinica «il regime alimentare previsto per alleviare questi sintomi è la dieta antinfiammatoria che si basa essenzialmente sui cibi ad alto contenuto di antiossidanti, polifenoli, carotenoidi, acidi grassi omega 3, cibi a basso indice glicemico». In questo regime alimentare viene favorito anche l’utilizzo dell’olio extravergine di oliva come principale fonte di grassi ed è altresì consigliata la riduzione o la minimizzazione di carboidrati, alcolici e zuccheri. Sono, invece, da prediligere tutti quegli alimenti che contengono grassi omega 3 la curcuma perché in grado di contrastare gli stati infiammatori, l’olio EVO perché è da considerarsi un farmaco naturale. Insomma, da evitare assolutamente, zuccheri, cereali e tutti i cibi OGM. Questi cibi se inseriti all’interno di un’alimentazione sana e bilanciata, possono offrire un valido aiuto per alleviare i fastidiosi sintomi dell’artrite.

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Per approfondimenti:

Corriere della Sera "Artrite reumatoide, la remissione è possibile per metà dei malati (se la diagnosi è precoce)"

Istituto Superiore di Sanità "Artrite reumatoide"

SkyTg24 "Artrite reumatoide, i primi sintomi e come diagnosticarla"

Il Giornale "Artrite reumatoide: insorgenza, sintomi e rimedi"

EpiCentro "Artriti"

Che Donna "Soffri di artrite reumatoide? Ecco i cibi da evitare"

Affari Italiani "Artrite reumatoide, 7 sintomi iniziali da non sottovalutare"

Fondazione Veronesi "Artrite reumatoide"

Leggo "Lotta all'Artrite reumautoide"

Today "Medici: esperti Sir, 'remissione artrite reumatoide traguardo possibile'"

Corriere della Sera "Fratture da fragilità: quelle del femore sono le più temibili"

Ravenna Today "Artrite: è possibile alleviare i sintomi con una dieta mirata"

Today "Artrite, quali cibi mangiare e quali evitare"

Ministero della Salute "Osteoporosi"

Ministero della Salute "La probabilità di ammalarsi di osteoporosi aumenta con l’aumentare dell’età [...]"

Che Donna "Come prevenire l’osteoporosi | mettiamo più calcio e magnesio a tavola"

Ministero della Salute "Prevenzione delle fratture da fragilità"

PubMed "The Effect of Vitamin D Supplementation in Elite Adolescent Dancers on Muscle Function and Injury Incidence: A Randomised Double-Blind Study"

MDPI "Vitamin D and Sport Performance"

Gazzetta dello Sport "Vitamina D: preziosa per ossa, muscoli e prestazioni sportive"

LEGGI ANCHE: Artrosi, artrite, reumatismi e altri dolori d’inverno. A rischio centinaia di italiani

Rischio ossa fragili? Da non sottovalutare le fratture del femore

Calcio, magnesio e vitamina D: i principali nemici dell'osteoporosi

Sport e vitamina D: riduce il rischio di fratture ed aumenta la tonicità muscolare

Magnesio, rinforza ossa e muscoli: tanti benefici e zero controindicazioni

Vitamina D, gli scienziati: dopo l'isolamento, "bagni di sole" e integrazione

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Utile nella prevenzione, nel trattamento e nel rinforzo delle nostre difese immunitarie. Ancora sotto i riflettori dopo centinaia di anni è sempre la vitamina C. Conosciuta anche con il nome di acido ascorbico, è nota e apprezzata da tutti grazie alle sue notevoli proprietà antiossidanti che stimolano la risposta del sistema immunitario e fortificano il nostro organismo rendendolo meno esposto agli attacchi esterni e al rischio di tante patologie. Inoltre, se inserita all’interno di una dieta sana e bilanciata, questo prezioso nutriente, si dimostra un valido alleato anche nella lotta dei tumori, in combinazione con le terapie anticancro. «Si tratta di una vitamina idrosolubile, che quindi non può essere accumulata nel nostro organismo e deve essere assunta regolarmente attraverso l’alimentazione», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Fondamentale per il nostro organismo, la vitamina C è un prezioso antiossidante, importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario e la sintesi di collagene, il costituente primario di vasi sanguigni, pelle, muscoli, ossa, articolazioni e legamento parodontale che fornisce le proprietà elastiche e di resistenza a organi e tessuti e compone il 75% della nostra pelle e il 30% del nostro corpo. Inoltre, è una proteina essenziale per la riparazione e la guarigione di quasi tutti i tessuti del nostro corpo.

La vitamina C - emerge da un recente studio - oltre ad essere fondamentale per numerosi processi, supporta tante preziose funzioni per la nostra salute, prima tra tutte quella immunitaria. Stimola la produzione di interferoni (che proteggono le cellule dagli attacchi virali) e la proliferazione dei neutrofili, protegge le proteine dall'inattivazione da parte dei radicali liberi prodotti durante i processi ossidativi, facilita la biosintesi del collagene (interviene nella conversione della prolina in idrossiprolina e della lisina in idrossilisina, mantenendo il ferro in forma ridotta) e quella degli acidi biliari, favorisce la sintesi della noradrenalina (neurotrasmettitore) a partire dalla dopamina e del triptofano in serotonina, contribuisce all’assorbimento intestinale del ferro, alla sintesi della carnitina (essenziale per il trasferimento di acili nei mitocondri), al catabolismo della tirosina ad acidi fumarico e acetacetico attraverso la formazione dell'acido omogentisinico, riduce la tossicità di alcuni minerali, collabora alla stimolazione della reduttasi del citocromo (responsabile dell'idrossilazione del colesterolo, necessaria per la sintesi dell'acido colico), favorisce l'uso del selenio a dosi fisiologiche e l’attivazione dell'acido folico in acido tetraidrofolico, regola i livelli endogeni di istamina, inibendone il rilascio e favorendone la degradazione (a scopo terapeutico per prevenire lo shock anafilattico, la pre-eclampsia e la prematurità nelle complicanze della gravidanza), fiosintesi degli ormoni steroidei della corteccia surrenale, favorisce la riduzione degli ioni superossidi, dei radicali idrossilici, dell'acido ipocloroso e altri potenti ossidanti, proteggendo la struttura del DNA, delle proteine, delle membrane da eventuali danni oltre alla riduzione dell'efficienza dell'assorbimento intestinale del rame, esercita un’azione preventiva nella cancerogenesi da nitrosamine, inibendo la loro sintesi e, insieme alla vitamina E, protegge dal danno ossidativo provocato dai radicali liberi.

La vitamina della prevenzione

 

Le innumerevoli proprietà della vitamina C l’hanno inclusa nell’elenco dei medicinali essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e quindi, tra i più sicuri ed efficaci necessari al sistema sanitario. Valido supporto nella prevenzione delle malattie da raffreddamento da oltre trent’anni. La teoria della vitamina C contro il raffreddore diventa popolare intorno al 1970 quando, il premio Nobel Linus Pauling, pubblica un libro su come prevenire le malattie da raffreddamento con mega dosi di vitamina C. Secondo Pauling, un'assunzione giornaliera di vitamina C di 1.000 mg può ridurre l'incidenza del raffreddore di circa il 45% e l'assunzione giornaliera ottimale di vitamina C per vivere in modo sano e prevenire le malattie dovrebbe essere di almeno 2,3 g. Una sua carenza, per contro, si traduce in una condizione nota come lo scorbuto. tra i principali sintomi di una sua carenza, nota anche come scorbuto. Attenzione quindi ai segnali! Debolezza, confusione, esaurimento fisico, scarso appetito (che può trasformarsi anche in anoressia), letargia, irritabilità, dolori alle gambe, anemia, gengivite, ematomi, carie, dolori articolari, dolori muscolari, caduta dei capelli, pelle secca, sensibilità alla luce, sbalzi d’umore, depressione, sanguinamento gastrointestinale e mal di testa. Tra le sue numerose peculiarità riportate in numerose ricerche, ecco le principali:

  • È un antiossidante necessario per produrre collagene nella pelle.
  • Capacità di ridurre la gravità e la durata del raffreddore.
  • Contribuisce alla riduzione dei rischi di malattie cardiovascolari e del cancro
  • Favorisce la tonicità muscolare e il contrasto della sarcopenìa
  • Rafforza i vasi sanguigni e la resistenza alle infezioni
  • Facilita l’assorbimento del ferro
  • Aumenta la resistenza alla fatica

VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici

 

Tra le tante virtù, la sua capacità antiossidante permette un utilizzo della vitamina C anche nell’industria alimentare:


L’acido ascorbico viene spesso usato come additivo in alcune preparazioni alimentari per la sua azione conservante che deriva proprio dalle caratteristiche chimiche tipiche dell’antiossidante. - spiega la dottoressa Falcone - Questa caratteristica rende la vitamina C utile nel contrastare i radicali liberi in condizioni di stress ossidativo, combattendo l’infiammazione. Non si pensi, però, che un integratore di vitamina C possa avere poteri antitumorali: l’effetto antinfiammatorio è dato da una dieta ricca di fonti di questa vitamina. - precisa la nutrizionista - L’acido ascorbico partecipa a moltissime reazioni metaboliche, come la sintesi di aminoacidi, degli ormoni e del collagene, ed è utile anche al benessere della pelle. Grazie al suo potere antiossidante è di aiuto anche nella fase post allenamento, perché migliora il recupero a livello muscolare e cellulare, e può utile in periodi in cui ci sentiamo particolarmente affaticati. Ma, a differenza di quanto si pensa, non cura il raffreddore, anche se aumenta le barriere del sistema immunitario.

Una vitamina miracolosa e dove trovarla.


La troviamo prevalentemente in frutta e verdura, in particolare negli agrumi (limone, arance, mandarini…), nei kiwi, nelle fragole, nelle crucifere (cavolfiori, broccoli, broccoletti), peperoni, pomodori. - chiarisce la dottoressa Falcone - Attenzione però alla preparazione di questi alimenti: la vitamina C è termolabile, sensibile alle temperature, e se l’alimento viene cotto troppo si può disperdere. Lo stesso rischio si ritrova nel caso di cottura in eccessiva acqua. D’altro canto l’acido ascorbico è un facilitatore dell’assorbimento del ferro non eme, il ferro di origine vegetale contenuto nelle verdure. Se a questi abbiniamo una fonte di acido ascorbico il ferro non eme cambia struttura molecolare e viene assorbito più facilmente. Trattandosi di una vitamina idrosolubile ne abbiamo bisogno quotidianamente, quindi è bene che fonti di acido ascorbico siano presenti ogni giorno nell’alimentazione. Ma se seguiamo una dieta varia ed equilibrata, ricca di verdura e frutta di stagione, soddisfiamo il fabbisogno.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Vitamina C, sistema immunitario e non solo: ecco a cosa serve e dove si trova"

Il Giornale "Agrumi: proprietà e benefici del frutto dell'inverno"

Frontiers in Immunology “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19

PubMed "Evolution and the need for ascorbic acid"

MDPI "Vitamin C and Immune Function"

Il Messaggero "Covid, influenza stagionale e coronavirus: come distinguere i sintomi in caso di febbre"

Centro meteo italiano "Coronavirus, influenza stagionale e raffreddore, come distinguerli: i sintomi e le caratteristiche"

Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"

Salute Prevenzione "Nella guerra contro i Virus la scienza si dimentica sempre del Sistema Immunitario"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

Sapere "I sistemi di difesa dell'organismo"

Corriere del Mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"

Il fatto alimentare "Coronavirus: dieta e trattamenti terapeutici naturali proposti da docenti di medicina"

LEGGI ANCHE: Storia della vitamina C: dalla prevenzione del raffreddore al trattamento del Covid

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Dai picchi estivi alla scarsità invernale, l’ormone del sole è scandito da un ritmo annuale. Aiuta a prevenire gli infortuni e a migliorare le prestazioni fisiche. Lo sprint necessario per un allenamento a pieni voti. Tutti sotto il sole per fare il pieno della “vitamina dello sport”. Ossa forti e sane è il principale obiettivo di questo prezioso ormone riducendo così il rischio di diventare sottili e fragili, e quindi, più esposte a lesioni e a fratture da stress. Uno studio pubblicato sul Journal of Bone and Mineral Research nel 2008, ha osservato che le fratture da stress sono tra le lesioni più comuni. Nel corso dell’indagine, l’integrazione di vitamina D (e calcio) ha ridotto il numero di questi dolorosi incidenti durante i vari allenamenti. Inoltre, questo prezioso nutriente, riduce anche il rischio di infiammazioni muscolari o articolari, causa di lesione e dolore, entrambe condizioni che potrebbero ostacolare le prestazioni atletiche. Secondo una ricerca pubblicata su Current Sports Medicine Report nel 2010, la vitamina D può prevenire efficacemente le infiammazioni che si verificano durante le prestazioni sportive. Inoltre la carenza di vitamina D potrebbe accentuare il dolore osseo e la debolezza muscolare. Spesso, questi, tra i primi sintomi di osteoporosi. Ecco perché chi fa sport deve monitorare costantemente i suoi livelli di vitamina D. Una carenza endemica di questa sostanza, infatti, può ripercuotersi direttamente sulla qualità della prestazione e, nel tempo, favorire l’insorgenza di alcune importanti patologie.

Vitamina D, un prezioso alleato ricco di proprietà e benefici

Una serie di evidenze scientifiche sul rapporto tra la vitamina D e prestazioni atletiche, pubblicata in Medicine and Science in Sports and Exercise nel 2009, evidenzia che i livelli di questo nutriente raggiungono il loro picco, generalmente in estate, con un’esposizione maggiore e costante al sole e, di conseguenza, aumentano sensibilmente anche le prestazioni sportive. Una possibile spiegazione viene proprio dal numero e dalle dimensioni delle fibre muscolari a contrazione rapida – le responsabili di azioni rapide, come ad esempio il salto e gli sprint – aumentano proporzionalmente all’aumentare di questa importante vitamina. Insomma, un grande alleato nel contrasto alle fratture e nel miglioramento della tonicità muscolare oltre a forza e senso di equilibrio. Nello specifico, i benefici della vitamina D sui muscoli, nella fase post carico di lavoro, l’effetto principale è una diminuzione del DOMS (Delayed onset muscle soreness), noto anche come il "dolore del giorno dopo" e una diminuzione dell’infiammazione corporea, con calo delle interleuchine legate al danno muscolare. Recenti studi mettono in evidenza che i soggetti con ipovitaminosi D si presentano, a livello dei tessuti muscolari, con un aumento degli spazi interfibrillari riempiti con tessuto adiposo e fibrosi. Al contrario, integrando gli stessi soggetti con vitamina D e calcio, si nota un aumento delle fibre muscolari con conseguente aumento di forza.

Il ritmo circannuale della vitamina del sole

A identificare la ciclicità di questo nutriente negli atleti è uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto ortopedico Galeazzi di Milano, guidati dal professor Giuseppe Banfi. «La vitamina D è un ottimo marcatore della funzionalità del metabolismo osseo: identifica come e quanto il nostro osso sta lavorando», spiega a Gazzetta Active uno degli autori dello studio, il dottor Jacopo Vitale. «Questa vitamina è inoltre coinvolta in una serie di funzioni fisiologiche, tra cui anche la contrazione muscolare, di rilevanza per gli sportivi. I suoi livelli, quantificabili tramite un prelievo ematico, possono dare informazioni chiave sullo stato di salute degli sportivi», sottolinea il dottor Vitale. I ricercatori hanno monitorato e dosato i livelli ematici di vitamina D in due popolazioni di atleti differenti, uno di sciatori e sciatrici professionisti e l’altro di calciatori professionisti, con un’età compresa tra i 20 e i 30 anni, e li hanno seguiti rispettivamente per due e tre anni. «Volevamo comprendere quanti atleti avessero raggiunto i livelli normali di vitamina D circolante e quanti presentassero, invece, livelli di insufficienza o deficienza, carenza ancora più grave. Abbiamo osservato che, nel complesso, un atleta su due presentava livelli di vitamina D insufficienti. In questo caso abbiamo osservato il ritmo circannuale della vitamina D, che fa riferimento all’anno, per cercare di comprendere meglio l’andamento di questo marcatore. Attraverso un’analisi ritmometrica abbiamo osservato che in entrambe le popolazioni di atleti la vitamina D presentava un ritmo significativo nel corso dell’anno», spiega Vitale.

L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi

 

Nel corso di questo studio sono emersi due picchi ben distinti, in positivo e in negativo, della vitamina D:

Abbiamo visto che il picco massimo, l’acrofase, come viene definito in cronobiologia, di questo ormone si aveva nel periodo estivo, in particolare tra i mesi di luglio e agosto, quando tutti gli atleti avevano livelli ottimali di vitamina D. Abbiamo osservato che questo picco era seguito da un lento calo graduale che raggiungeva la fase di nadir, ovvero di picco ‘negativo’, nel periodo invernale, e in particolare tra dicembre e gennaio. Questo ci ha aiutati a comprendere come mai un atleta su due avessi livelli di deficienza di vitamina D. Chi si occupa di sport non può non considerare la stagionalità di questo ormone, influenzato da diversi fattori.

VITAMINA D e OSTEOPOROSI: la correlazione che non tutti conoscono


Oltre al sole (che è sicuramente il fattore principale) c’è di più.

In inverno sappiamo che gli atleti si allenano molto e in un fotoperiodo più breve, l’esposizione alla luce solare è ridotta e questo limita la sintesi e la produzione di vitamina D. Inoltre durante il periodo invernale le stagioni agonistiche sono nel vivo, con allenamenti molto intensi, alti carichi di training e di gare che determinano un abbattimento dei livelli di vitamina D. Viceversa nel periodo estivo due fattori su tutti hanno giocato un ruolo fondamentale nel giustificare questo incremento fisiologico di vitamina D: una maggiore esposizione ai raggi solari, attraverso un maggior numero di allenamenti all’aperto, e un periodo agonistico con carichi di allenamento minori e una maggiore possibilità di riposo, che ha riportato la vitamina D a livelli normali.


Tuttavia, a vitamina D non è l’unico ormone con una propria stagionalità circannuale.

Nell’ambito della coorte di calciatori abbiamo monitorato anche i livelli di cortisolo e testosterone nel corso dell’anno, sempre con approccio cronobiologico, per avere altri marcatori che descrivessero lo stato di salute degli atleti. Ed è stato interessante perché il testosterone, che è un ormone anabolico, ha avuto un andamento molto simile a quello della vitamina D, con alti livelli in estate e bassi livelli in inverno. Invece il cortisolo, ormone dello stress, ha avuto un picco esattamente opposto rispetto a vitamina D e testosterone: livelli alti in inverno e livelli bassi in estate.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Vitamina D negli sportivi: il ritmo circannuale dell’ormone del sole"

AIRC "Tutti i benefici della vitamina D"

Alimentazione sportiva "Vitamina D: quali sono i benefici per chi fa sport?"

Gazzetta Active "Vitamina D: preziosa per ossa, muscoli e prestazioni sportive"

PubMed "Compromised Vitamin D Status Negatively Affects Muscular Strength and Power of Collegiate Athletes"

MDPI "Special Issue "Vitamin D and Sport Performance"

PubMed "The Effect of Vitamin D Supplementation in Elite Adolescent Dancers on Muscle Function and Injury Incidence: A Randomised Double-Blind Study"

MDPI "Vitamin D and Sport Performance"

Gazzetta dello Sport "Vitamina D: preziosa per ossa, muscoli e prestazioni sportive"

Quotidiano "Vitamina D, il segreto delle prestazioni sportive"

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Una rondine non fa primavera, ma due minerali si! Nella transizione dalla stagione invernale a quella primaverile ci accompagnano due alleati per contrastare i nemici del benessere: stanchezza e affaticamento, scarsa concentrazione e irritabilità. Arrivano ferro (Fe) e magnesio (Mg) per aiutarci a superare i tipici fastidi del passaggio di stagione. Uova, noci e banane. Quello che mangiamo ci aiuta a stare meglio. Fondamentali per la maggior parte delle attività metaboliche del nostro organismo, diventano cruciali in questo particolare periodo dell’anno. Tuttavia, i sali minerali non vengono prodotti autonomamente dal nostro corpo per cui dobbiamo necessariamente assumerli tramite l’alimentazione e l’integrazione. Primizie ricche di sali minerali e vitamine sbocciano anche nell'orto di Heinz Beck che per la gioia dei gourmant più esigenti propone nuovi piatti, pensati per un pasto buono, equilibrato e soprattutto salutare. Causa delle carenze nutrizionali e di un più diffuso senso di malessere, sicuramente un’alimentazione poco equilibrata. Infatti, per combattere la stanchezza non basta solo il riposo, ma è bene selezionare con attenzione quello che si decide di portare a tavola. Insomma, la combinazione giusta di micro e macro elementi per il supporto delle regolari attività quotidiane.

INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico

Sul banco degli imputati, anche alcuni farmaci, il cui consumo prolungato contribuisce alle carenze di minerali (e vitamine) diminuendo l'assorbimento o aumentando la perdita di micronutrienti essenziali. Ecco spiegata la motivazione per cui, quasi sempre, a sostegno della terapia farmacologica vengono associati specifici integratori alimentari, al fine di evitare, in questo modo, quadri di importanti deficit. Nel caso specifico, per fare qualche esempio i diuretici, gli antiacidi e la pillola anticoncezionale incidono negativamente sulla carenza di ferro e magnesio. Difatti, gli integratori non sono sostitutivi di una dieta varia, non sono scorciatoie a uno stile di vita equilibrato, ma hanno la funzione di “integrare”, appunto, eventuali carenze permettendo al nostro organismo di essere più forte capace di difenderci dagli agenti esterni, tra cui virus e influenze stagionali. «L’integrazione può essere un valido aiuto per migliorare il nostro sistema immunitario su diversi fronti anche per contrastare le malattie infettive» suggerisce Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. E poiché un’alimentazione corretta potrebbe non essere sufficiente, sarebbe meglio giocare d’anticipo, bilanciando la propria dieta tra cibo sano ed integratori alimentari così da fornire al nostro corpo la "benzina" necessaria. «Gli integratori sono degli alimenti pensati per colmare eventuali carenze nutrizionali», sostiene Alessandra Bordoni in un'intervista a Vanity Fair, docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna. Ecco i due super minerali per affrontare la nuova stagione in salute e difendersi al meglio da malanni, virus e batteri.

Aiuta a ritrovare la concentrazione perduta

Tra i principali sintomi di una carenza, nota come anemia (una delle più comuni condizioni patologiche del sangue), stanchezza, astenia e abbassamento del tono dell’umore, spiega in un’intervista a Fanpage il dottor Luca Di Russo, biologo e nutrizionista:

Il ferro è fondamentale perché si trova nell'emoglobina, la molecola che trasporta l'ossigeno nel sangue.- La principale fonte di ferro è di origine animale: - Dobbiamo distinguere il ferro in due categorie, quello non eme, che si trova in alimenti di origine vegetale, e quello eme di origine animale. Ma il ferro presente nell'emoglobina è soltanto quello di tipo eme. Per questo chi segue un'alimentazione vegetariana o vegana deve fare molta attenzione a eventuali carenze e valutare con il proprio medico la necessità di un'eventuale integrazione. Chi deve fronteggiare questo tipo di carenza con l'aiuto di un'integrazione dovrà quasi sempre assumere anche della vitamina C, un'alleata fondamentale nell'assimilazione del ferro. 

Nella categoria dei microelementi, il ferro (insieme a iodio, rame, etc…), ovvero i minerali presenti in quantità minore rispetto ad altri (come magnesio, potassio, calcio e fosforo). Aiuta a ritrovare la concentrazione. Entra poi a far parte della molecola di emoglobina che costituisce i globuli rossi. Trasporta ossigeno e anidride carbonica nel sangue. Tra le sue principali funzioni, il ferro favorisce la/il:

  • Funzione cognitiva
  • Metabolismo energetico
  • Formazione dei globuli rossi e dell’emoglobina
  • Trasporto di ossigeno nell’organismo
  • Funzione del sistema immunitario
  • Riduzione della stanchezza e dell’affaticamento
  • Processo di divisione delle cellule

Il minerale del buonumore

Presente in circa trecento enzimi, è indispensabile per l'attivazione della vitamina D e per l'assorbimento del calcio. Tutto merito del magnesio, il minerale del buonumore. Al via con la scorta di un macroelemento importantissimo soprattutto dal punto di vista del livello energetico psicofisico. Inoltre, svolge anche un ruolo importante nella regolazione del tono dell'umore, stimolando la produzione di serotonina. «Lo troviamo principalmente nella frutta secca – spiega il dottor Di Russo nell’intervista – in particolare nelle mandorle, ma anche […] nel cacao». La carenze di magnesio, frequente, anche se asintomatica di lieve entità, si chiama ipomagnesemia e si manifesta spesso con sintomi comuni come debolezza muscolare, crampi, stanchezza cronica, depressione, mal di testa e insonnia. E un deficit di questo minerale potrebbe essere associato a copiosa sudorazione, a seguito di un’intensa attività fisica o peggio, ad altre importanti patologie. Ne sono ricchi diversi alimenti tra cui cioccolato (fondente e al latte), cacao, mandorle, pistacchi e noci. Presente, seppur in minore quantità nel parmigiano, nelle banane, nelle carni rosse e nei carciofi. Nella sua inesauribile miniera di peculiarità, il magnesio contribuisce al/alla:

  • Riduzione della stanchezza e dell’affaticamento
  • Equilibrio elettrolitico
  • Metabolismo energetico
  • Funzionamento del sistema nervoso
  • Funzione muscolare
  • Sintesi proteica
  • Funzione psicologica
  • Mantenimento di ossa 
  • Mantenimento di denti

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti: 

La Repubblica "Arriva la primavera: contro la stanchezza ferro e magnesio diventano alleati a tavola"

Fanpage "Ferro, calcio, magnesio e potassio: l’importanza dei sali minerali che regolano il nostro organismo"

Gazzetta Active "Magnesio: a cosa serve, quali sono le fonti e i sintomi di una carenza"

Huffington Post "7 motivi per cui magnesio e potassio salveranno la tua estate"

National Library of Medicine "Scientific Opinion on Dietary Reference Values for magnesium"

PubMed "Magnesium intake and depression in adults"

MSN Lifestyle "Dieta del magnesio: la migliore per l’estate"

Grazia "La dieta del magnesio fa dimagrire e rinforza le ossa: ecco come seguirla"

Lecce Prima "Magnesio: proprietà e benefici per il benessere fisico e l'umore"

Ragusa News "I benefici del magnesio nella nostra dieta"

Vivere più sani "Benefici del magnesio: tutto quello che dovete sapere"

LEGGI ANCHE: Vitamine, minerali, spezie e altri nutrienti: gli ingredienti per vivere al massimo

Magnesio, rinforza ossa e muscoli: tanti benefici e zero controindicazioni

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Calcio, magnesio e vitamina D: i principali nemici dell'osteoporosi

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Rinchiuse e stressate. Mantenere i “nervi saldi” sembra ormai un lontano ricordo. Un anno difficile per gli italiani, il lockdown e la pandemia hanno messo a dura prova il nostro sistema nervoso. Per non parlare poi di tutte le attività connesse alla vita sociale che siamo costretti a svolgere tra le mura domestiche. Scuola, lavoro e attività sportiva. Tutto rigorosamente “fatto in casa”. Un sondaggio dell'EURODAP (Associazione Europea per il Disturbo da Attacchi di Panico) ha evidenziato che a incidere sullo stress è stato anche lo smart working e la didattica a distanza dei figli. Le prime vittime di questo stress da pandemia sono proprio le donne che hanno registrato un incremento dell’ansia di ben il 73%. Un dato notevole che, tra smart working e DAD (didattica a distanza), ha stravolto gli equilibri familiari, infliggendo un duro colpo soprattutto alle donne. Una percentuale importante della popolazione femminile quella che emerge da un sondaggio promosso dall’EURODAP a cui hanno risposto 532 donne. Insomma, intere giornate trascorse al chiuso tra impegni e stress ci hanno trasformato in vere e proprie “casalinghe disperate” alle prese con una moltitudine di faccende da sbrigare. I figli, il lavoro, lo studio, gli esami e la casa. Senza contare poi la mancata interazione con i colleghi. «La pandemia ha creato inevitabilmente squilibri, disagi e pressioni che hanno modificato il nostro modo di vivere e, in questo scenario, il ruolo che si è trovata a rivestire la donna non è da sottovalutare», spiega Eleonora Iacobelli, psicoterapeuta e presidente EURODAP.

La necessità di gestire le nuove dinamiche relazionali e familiari che si sono presentate, dal lavoro alla cura dei figli e della casa, ha portato le donne - prosegue - ad accumulare stati di stress e ansia e ad adattarsi a una nuova quotidianità, dove mitigare sentimenti come tristezza, depressione e paura rischia di passare pericolosamente in secondo piano. Inoltre, lo smart working e, in alcuni casi, la perdita del lavoro hanno contribuito ad aumentare il tempo che le donne passano in casa. Se già in passato gestire tutti i differenti aspetti della vita costituiva una delle problematiche principali della donna, ora è diventato ancor più complicato.

Salute a rischio con STRESS e CORTISOLO, come influisce lo stile di vita

Un circolo vizioso che ci lascia alla mercè del virus. Difatti, poiché lo stress abbassa le nostre difese immunitarie, oltre a renderci particolarmente irritabili e ansiosi ci espone maggiormente al rischio di contagio. Ora, più che mai, è importante non abbassare la guardia e tenere alla larga stress e brutti pensieri cercando, perlomeno, di non peggiorare la situazione. Lo stress, legato a una situazione temporanea, contingente, facilita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. Tra le soluzioni tra adottare nell’immediato sicuramente quelle accomunate dallo stesso fine, ovvero abbassare i livelli di cortisolo e aumentare la capacità immunitaria del nostro organismo. Tra i primi alleati in questo impegno quotidiano sicuramente l’alimentazione, una dieta sana ed equilibrata è fondamentale per immagazzinare tutti i nutrienti necessari a rafforzare le nostre difese. Prezioso un apporto di vitamina C e D oltre a sali minerali. Poi, a fare la differenza sono anche il corretto riposo e la qualità della vita. Ecco perché diventa importante agire anche sullo stile di vita. Quindi, tra le azioni positive per il nostro benessere: mantenere uno stile di vita sano, svolgere regolarmente attività fisica e dormire bene! Un valido aiuto arriva poi anche dall'assunzione di integratori alimentari che influenzano la produzione di cortisolo.

 Stress e ansia, un bagaglio pericoloso

Lo stress (dall’inglese “sforzo o spinta”) è un termine mutuato dalla fisica. A partire dalle ricerche del medico austriaco Hans Selye nel 1936 si inizia a fare riferimento allo stress in quanto sindrome prodotta da diversi agenti nocivi per l'organismo, fino a identificare questa condizione come uno stato di tensione in grado di manifestarsi con “trasformazioni morfologiche tangibili in vari organi, particolarmente nelle ghiandole endocrine che stanno sotto il controllo dell'ipofisi anteriore”. In base a recenti statistiche è possibile osservare un aumento dei disturbi legati a stress e ansia, con un’impennata nell’ultimo anno a seguito della pandemia e le previsioni per il futuro sembrano tutt’altro che incoraggianti. «È un ormone prodotto dalle due ghiandole surrenali che, come dice il nome, si trovano alle estremità dei due reni», spiega a Gazzetta Active il dottor Carmine Gazzaruso, endocrinologo e diabetologo, responsabile delle Unità Operative di Diabetologia, Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Vascolari, nonché del Pronto Soccorso dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano (Pavia) e responsabile dell’Unità di crisi Covid dell’Istituto. Viene definito un ormone perché: «La funzione principale di questo ormone - prosegue il diabetologo - è proprio quella di rispondere alle situazioni di stress, intendendo con questo termine qualsiasi situazione che l’organismo non riconosce come normale, fisiologica, ma di pericolo, sia esso fisico o psichico». Altro fattore importante è la sua capacità dello stress di abbassare le nostre difese immunitarie. «Infatti il cortisolo, tra le sue molte funzioni, riduce anche l’immunità, come si può osservare con il cortisone, che è la formulazione farmaceutica del cortisolo, ed è un antinfiammatorio e immunosoppressore».

Le reazioni di stress: le tre fasi della Sindrome Generale di Adattamento

Stress grafico

Tra le altre funzioni del cortisolo oltre ad indebolire il sistema immunitario:

Modifica tutte le funzioni dell’organismo. Di fronte ad una situazione di pericolo l’organismo si prepara a combattere o a scappare. Questo può avvenire di fronte ad una situazione di pericolo acuto, come una infezione o un trauma, o davanti ad una situazione di pericolo cronico, come uno stress prolungato nel tempo. In tutte queste situazioni il cortisolo agisce sul cuore, aumentando la pressione e la frequenza cardiaca, agisce sul sistema respiratorio, stimolando la funzione respiratoria, aumenta la funzione metabolica, e quindi i livelli di glicemia nel sangue, dal momento che ha bisogno di energia immediata in quel momento. In altre parole, di fronte ad uno stress il cortisolo fa aumentare tutte quelle funzioni che servono per scappare o difendersi, mentre fa diminuire tutte le funzioni che in quel momento non servono. Così, per esempio, il sistema digestivo rallenta e il sistema immunitario si abbassa, perché in quel momento le forze vanno dislocate altrove. Il sonno viene inibito, perché in quel momento è importante essere svegli, e così aumenta il livello di attenzione. Anche la funzione riproduttiva ha delle ripercussioni, perché in una situazione di pericolo non serve fare figli. Il cortisolo fa tutto questo.

Lo STRESS e i tanti rischi per la nostra salute


Senza dimenticare poi che elevati livelli di cortisolo potrebbero aumentare il rischio di una serie di patologie come ipertensione, diabete e altre malattie metaboliche. «Sì, si va incontro alla sindrome metabolica, quindi al rischio di obesità, diabete, ipertensione e patologie cardiovascolari». Ma cos’è l’ipercortisolismo noto anche come sindrome di Cushing? Una prerogativa solo delle persone obese o in sovrappeso? Sono una aumentata produzione di ACTH (per una iperplasia o un adenoma dell’ipofisi o per la produzione da parte di un tumore) che stimola il surrene a produrre cortisolo, oppure la presenza a livello del surrene di una iperplasia o di un adenoma che produce cortisolo in maniera autonoma. Inoltre, nelle condizioni di obesità l’asse ipofisi-surrene che regola il sistema ACTH-cortisolo è più attivo, per cui nei soggetto obesi, sebbene in forma più sfumata, si possono avere alcuni disturbi da ipercortisolismo. Insieme all'obesità, la presenza di una vita stressante e problemi di ipertensione, soprattutto se insorta in giovane età, sono elementi che devono far pensare a un rischio di ipercortisolismo.


No, l’obesità in sé probabilmente non crea ipercortisolismo, ovvero cortisolo in valori superiori alla norma. Ad incidere sono prima di tutto la predisposizione genetica e lo stress. Anche i magri possono avere livelli elevati di cortisolo. In uno studio condotto su persone obese si è osservate che avevano livelli minori di cortisolo coloro che facevano yoga, senza aver perso peso, rispetto a coloro che si sottoponevano a chirurgia bariatrica, e quindi perdevano peso. La componente nervosa, legata al cervello è fondamentale. Sicuramente l’ordine di produrre cortisolo parte dal cervello, per l’esattezza da due aree cerebrali presenti nella zona dell’ipotalamo. C’è un asse nervoso-endocrino ma soprattutto un asse puramente nervoso nella produzione del cortisolo. E purtroppo una volta che il cervello si abitua a stimolare la produzione di cortisolo in eccesso è difficile bloccare questo processo. Per questo motivo è fondamentale iniziale a fare una vita sana da giovani, con attività fisica, dieta equilibrata e sonno a sufficienza. Ma soprattutto a tenere a bada lo stress.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Cortisolo, cos’è e come agisce l’ormone dello stress legato (anche) all’obesità"

Agi "Le donne vittime dello stress da pandemia: per il 73% aumenta l'ansia"

Donna Moderna "Cortisolo: cos’è e come abbassarlo"

La Stampa "Ansia, il disturbo di molti è aumentato durante il lockdown. Gli esperti: “Mai sottovalutarlo

Io Donna "Post lockdown: 6 bambini su 10 mostrano ansia, irritabilità e disturbi del sonno"

La Repubblica "Coronavirus: irritabilità, insonnia e paura per il 70% dei ragazzi"

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“Gli uomini preferiscono le bionde” capolavoro cinematografico e preludio di un amore millenario. Segni particolari: artigianale, biologica e low carb. Non tutte le birre sono uguali, ma soprattutto non tutte fanno bene alla nostra salute. Dalle grigliate alle feste popolari. Una scelta che dilaga anche tra le donne e valida alternativa al buon vino. Tra le bevande alcoliche più antiche e più amate al mondo. Anche se ne rivendicavano la paternità egizi e sumeri, la leggenda narra una storia tutta femminile. Nata per errore dalla distrazione di una donna che dimenticò una ciotola di cereali fuori casa, quei semi, complice un temporale, si bagnarono al punto tale da trasformarsi nella prima versione di birra della storia. Prodotta intorno al 3500-3100 a.C. tra Egitto e Mesopotamia. Con i sumeri poi, nascono i primi birrai, professionisti del settore retribuiti, seppur in parte, con la birra stessa. La prima legge a regolamentarne la produzione, fu indubbiamente il codice Hammurabi (1728-1686 a. C.) che prevedeva la condanna a morte per chi non ne rispettava i criteri di produzione. La birra poi, assumeva anche una connotazione religiosa e veniva consumata durante le cerimonie funebri in onore del defunto. Una delizia da gustare, ancora meglio se biologica, non pastorizzata, priva di carboidrati e senza glutine. Insomma, una bevanda buona e rinfrescante che se assunta con moderazione fa bene alla salute. Promossa anche dai medici italiani, considerata genuina per 9 su 10. Sali minerali, antiossidanti e vitamine sono le proprietà apprezzate. Il consumo eccessivo della birra industriale e di scarsa qualità che non rispetta precisi criteri di produzione potrebbe alterare il microbiota intestinale, infatti «La quantità eccessiva di zucchero, alcol e funghi capaci di alterare la nostra flora batterica la rendono un alimento poco salutare» spiega Adriano Panzironi. Tuttavia, se il malto è inserito nel mosto attraverso la fermentazione, trasformandosi poi in alcol, il problema è solo la qualità (e ovviamente, anche la quantità) oltre naturalmente al processo produttivo e agli ingredienti utilizzati. I cereali se, in piccole quantità e miscelati con altri elementi non sono nocivi perché in realtà, il carico glicemico che ne deriva non è dannoso per il nostro organismo.

Dalle proprietà digestive a quelle antiossidanti. Tra le numerose proprietà benefiche per l’organismo, secondo una ricerca italiana, va aggiunta anche la capacità di contrastare l’angiogenesi, ossia il meccanismo alla base della proliferazione dei tumori. L’indagine condotta dall’IRCCS MultiMedica di Milano, dall’Università di Pisa e dall’Università dell’Insubria di Varese si è focalizzata sullo xantumolo, molecola contenuta nel luppolo della birra che parrebbe in grado di inibire la proliferazione delle cellule tumorali, affamandole: ossia bloccando il meccanismo attraverso cui tali cellule si procurano l’ossigeno di cui hanno bisogno per diffondersi nell’organismo. In realtà i ricercatori si sono soffermati su due derivati dello xantumolo, i quali esplicherebbero un’azione anti-angiogenica ancora più efficace rispetto al principio naturale. Tra gli alimenti OGM Free, riduce del 24,7% il rischio di malattie coronariche e del 17% gli incidenti cardiovascolari. Le buone notizie per gli amanti del luppolo arrivano da uno studio svolto dal Department of Food Science and Technology presso l'Università della California, secondo i ricercatori la birra servirebbe a prevenire l'osteoporosi. Lo studio ha evidenziato che la birra è una ricca fonte di silicio organico, un ingrediente fondamentale per aumentare la densità minerale ossea. Un moderato consumo di birra può aiutare a combattere l'osteoporosi. Attenzione poi all’intruso. Ebbene sì, in alcune birre c’è un ingrediente non gradito: il glifosato, un pesticida comunissimo associato al cancro. È ciò che emerge da uno studio condotto dallaUS Public Interest Research Group secondo cui il 95% delle bottiglie esaminate è risultato positivo. Il glifosato è tra gli ingredienti principali contenuti nei diserbanti. E poi che chi beve birra campa cent’anni lo dice la scienza. A conferma della teoria, i risultati di una ricerca europea condotta dall'Istituto nazionale della Nutrizione insieme all'Istituto di Medicina interna dell'Università Cattolica di Roma e all'Istituto di industrie agrarie dell'università di Perugia, sugli effetti della somministrazione di birra nei topi e presentati al Cnr di Roma. «La birra come prodotto vegetale contiene micronutrienti, molecole antiossidanti in piccola quantità, ma molto potenti dal punto di vista fisiologico, medico, biochimico, nel neutralizzare i famosi radicali liberi, rallentando così gli effetti dell'invecchiamento» sottolinea il professor Giuseppe Rotilio presidente dell'Istituto nazionale della nutrizione. E per mantenere la linea, precisa in un’intervista a Vanity Fair il dottor Daniele Basta, biologo nutrizionista: 


La birra contiene acqua, vitamine del gruppo B, tracce di minerali come calcio, ferro, magnesio, fosforo, potassio, manganese e selenio, preziosi per l’organismo. Inoltre, è fonte di antiossidanti, in particolare di polifenoli. Per queste caratteristiche, come dimostrano diversi studi, un consumo moderato di questa bevanda è associato per esempio a un ridotto rischio cardiovascolare. Consigliabile abbinarla a alimenti ipocalorici come un secondo di carne o di pesce accompagnati da un contorno di verdure miste» suggerisce l’esperto nell’intervista. - Secondo diverse evidenze scientifiche un consumo lieve-moderato di birra può avere effetti benefici nei confronti della salute cardiovascolare. Il merito è della presenza di polifenoli che, come dimostrano diversi studi, hanno un’azione antinfiammatoria e antiossidante - precisa il nutrizionista. Inoltre, aiuta nel contrasto all’invecchiamento - Grazie alla presenza di composti antiossidanti, la birra consumata in quantità moderate, può contribuire a combattere lo stress ossidativo alla base dell’invecchiamento contrastando l’azione dannosa dei radicali liberi.

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L'analisi svolta ha infatti evidenziato che sia il luppolo che il malto, i due principali ingredienti da cui si produce la birra, contengono alti livelli di silicio. Il silicio organico è presente nella birra in forma solubile di acido orto silicico, con un tenore medio di 6,4-56,5 mg per litro.


Un moderato consumo di birra può - dicono gli studiosi - aiutare a combattere l'osteoporosi, la malattia del sistema scheletrico sistemica dell'apparato scheletrico caratterizzata da una bassa densità minerale ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. Un valore questo che fa diventare la bevanda - affermano i ricercatori - una delle principali fonti del minerale nelle diete occidentali. Per quanto riguarda il malto - spiegano i ricercatori - che nella buccia dell'orzo risiede la maggiore concentrazione del minerale, parte che non viene influenzata nel corso della germinazione del cereale. E inoltre le analisi effettuate sul luppolo hanno rilevato livelli di silicio quattro volte superiori rispetto a quelli del malto. La birra contiene alti livelli di malto d'orzo e di luppolo che sono le più ricche fonti di silicio - commenta Charles Bamforth, autore principale dello studio - il grano contiene meno silicio rispetto all'orzo, perché è l'involucro dell'orzo ad essere ricco di questo elemento.

Tanti buoni motivi per "farsi una bionda"

L’obiettivo dello studio, pubblicato sullo European Journal of Medicinal Chemistry e durato quattro anni, era invece quello di sperimentare sostanze analoghe allo xantumolo, che potessero essere utilizzate come chemiopreventivi efficaci, alternativi e a basso costo. Negli esami effettuati è stata evidenziata una capacità di riduzione dell’angiogenesi, da parte delle nuove sostanza sperimentate, addirittura dell’80%. I ricercatori sostengono che i derivati neo-sintetizzati analizzati sono risultati particolarmente efficaci nell’interferire con funzioni chiave della cellula endoteliale (lo scheletro che costituisce i vasi sanguigni tumorali) quali: la proliferazione, l’adesione, la migrazione, l’invasione e la formazione di strutture simil-capillari. Ecco tanti buoni motivi per “farsi una bionda”. In primis per l'elevato contenuto di vitamine e sali minerali (un bicchiere di birra contiene fosforo, iodio, magnesio, potassio e calcio) e il suo consumo, quindi, aiuta a proteggere la densità minerale delle ossa. La birra non pastorizzata poi ha i maggiori vantaggi per la salute perché contiene grandi quantità di Vitamina B12 fondamentale per il sistema nervoso. Altro ingrediente prezioso, gli antiossidanti naturali. Utile, come dimostrano numerose ricerche, nella prevenzione di malattie come il diabete e l'Alzheimer, patologia associata ad alti livelli di allumino che il silicio contenuto nella birra potrebbe compensare. Inoltre, fa bene al cuore perché migliora la flessibilità delle arterie. Amica delle donne, grazie ai fitoestrogeni del luppolo aiuta a ridurre i sintomi della menopausa come le vampate di calore e l'abbassamento della libido. Inoltre, riequilibra gli ormoni in caso di sindrome da ovaio policistico, endometriosi e perimenopausa. Importante per mantenere l'idratazione, grazie alle sue caratteristiche che la rendono una bevanda per reintegrare i liquidi e i sali minerali persi durante lo sforzo fisico: aminoacidi, minerali, vitamine del gruppo B e antiossidanti. 

«Un moderato consumo della birra può dare notevoli benefici alla nostra salute» suggerisce Christian Orlando, biologo e nutrizionista:


Secondo Eric Rimm, ricercatore di Harvard, può ridurre il rischio di attacco cardiaco del 30% e incrementare il colesterolo buono. Uno studio condotto in Finlandia ha indicato che la birra ha un impatto negativo inferiore sui reni rispetto alle altre bevande alcoliche. Consumare birra può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare calcoli ai reni fino al 40%. Bisogna comunque sempre fare attenzione a non bere alcolici in eccesso e a seguire una dieta sana e bilanciata. Uno studio pubblicato nel 2009 sulla rivista scientifica Diabetes Care ha rivelato che bere alcol con moderazione può contribuire nella prevenzione del diabete di tipo 2 sia negli uomini che nelle donne. Uno studio condotto di recente dall’Università di Cambridge ha rivelato che la birra sarebbe una fonte di acido ortosilicico, che incoraggia lo sviluppo delle ossa. Secondo uno studio condotto dall’Università di Harokopio, in Grecia, bere birra può fare bene al cuore e contribuire a migliorare la circolazione del sangue, in particolar modo rendendo più flessibili le arterie. Secondo i ricercatori greci, i benefici della birra sulla salute del cuore e sulla circolazione sarebbero da ricercare nel suo contenuto di antiossidanti. La birra contiene vitamine. È considerata una fonte di vitamina del gruppo B, in particolare di vitamina B6 e di vitamina B9, che sono importanti per proteggere il nostro organismo dalle malattie cardiovascolari. Un moderato consumo di birra, secondo uno studio olandese, può aiutare ad incrementare il contenuto di vitamina B6 nel sangue. Uno studio condotto di recente in Spagna suggerisce che il silicio contenuto nella birra potrebbe contribuire a proteggersi dagli eventuali effetti deterioranti dell’alluminio sul cervello, che da ricerche precedenti era stato correlato al rischio di Alzheimer. Gli esperti dell’Università di Alcala ricordano comunque che il consumo di bevande alcoliche deve essere mantenuto entro certi limiti, che possono variare a seconda del sesso e dell’età. Bere un bicchiere di birra prima di andare a dormire potrebbe essere d’aiuto a chi soffre di insonnia. La birra tende a generare torpore. Viene dunque indicata a chi fatica a prendere sonno come rimedio per cercare di contrastare l’insonnia. L’alcol contenuto nella birra svolgerebbe una blanda azione sedativa, mentre l’effetto soporifero della birra sarebbe dovuto al luppolo La birra può essere d’aiuto per chi soffre di ansia e stress? Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Montreal, in Canada, bere 2 bicchieri di birra al giorno può rappresentare un antidoto utile per ridurre l’ansia e lo stress, soprattutto se sono legati alla propria situazione lavorativa. Anche in questo caso, però, è importante non cadere vittime del consumo eccessivo di bevande alcoliche.

Il segreto di una bevanda tra prevenzione e longevità


Inoltre riduce la formazione di sostanze nocive (idrocarburi policiclici aromatici) previa cottura alla griglia di carne o pesce, come già detto è utile a prevenire l’osteoporosi, (fonte di silicio, molecola organica fondamentale per la densità minerale dell’osso), dopo l’attività fisica aiuta a reintegrare i liquidi e i sali minerali persi durante lo sforzo, riduce il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson, previene la formazione dei calcoli renali e favorisce la diuresi per la presenza di magnesio e potassio e, grazie al ridotto contenuto di sodio, facilita il normale funzionamento dei reni. Migliorare il metabolismo della glicemia e tiene a bada il diabete. È quanto dimostra un recente studio, presentato all'incontro annuale dell'Associazione Europea per lo Studio del Diabete a Barcellona, che ha messo in relazione il consumo di birra (ma anche di vino) con il diabete. Difatti, bere una birra (o un bicchiere di vino) al giorno può proteggere dal diabete e, in particolare da quello di tipo 2. Dove i soggetti che ne soffrono hanno una ridotta capacità di scomporre il glucosio, con conseguente alterazione dei livelli di glicemia, resistenza all'insulina e un aumento del peso. I ricercatori della Southeast University hanno osservato come una quantità moderata di alcol possa migliorare la regolazione della glicemia. Senza trascurare però i pericolosi cambiamenti nei livelli di zucchero nel sangue causati dal consumo frequente di alcolici causa, peraltro di obesità, fattore importante per l'insorgenza del diabete di tipo 2. Altro dato importante riscontrato nel corso dell’indagine riguarda il collegamento tra consumo di alcolici e livelli più bassi di trigliceridi. Raccomanda in un'intervista a Today la dottoressa Daniela Vitiello:


«Prima di tutto c’è differenza di composizione soprattutto in base al tipo di cereale usato per la produzione della birra. Ogni cereale ha proprietà specifiche. Le birre industriali, a differenza di quelle artigianali, sono sempre filtrate, pastorizzate e addizionate di additivi. Nonostante così si migliori la conservazione, la fermentazione viene bloccata, privando la birra della sua peculiarità. Inoltre parte delle vitamine e dei minerali vengono perse durante la pastorizzazione, poiché sono sensibili al trattamento termico. Quindi direi che le migliori sono decisamente quelle artigianali».

Quando il consumo moderato si trasforma nell’elisir di lunga vita. Altra scoperta interessante è quella fatta da un team di scienziati dell'Università di Scienze della Vita di Varsavia secondo i quali l'assunzione moderata di birra (insieme a vino e cioccolato) potrebbe aiutare a vivere più a lungo. «[…] la birra è ricca di antiossidanti. L'aderenza a una dieta con un alto potenziale antinfiammatorio può ridurre la mortalità per tutte le cause, cardiovascolare e tumorale, e prolungare il tempo di sopravvivenza. La nostra analisi della dose-risposta ha mostrato che anche l'adesione parziale alla dieta antinfiammatoria può fornire un beneficio per la salute» spiega a Il Giornale la professoressa Joanna Kaluza dell'Università di Scienze della Vita di Varsavia (WULS), autrice della ricerca. La raccomandazione è quella di scegliere birre artigianali di alta qualità, meglio se provenienti da produzione biologica, non pastorizzate, a ridotto contenuto di carboidrati e di additivi, per godere dei benefici senza avere brutte soprese sulla salute.

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Per approfondimenti:

AGI "Con alcune birre beviamo anche il glifosato?"

Il Giornale "Una birra al giorno protegge dal diabete"

Today "I benefici della birra: 10 motivi per consumarla"

Libero Quotidiano "La birra previene l'osteoporosi"

Il Giornale "Birra, vino e cioccolato fanno vivere più a lungo"

ADNkronos "Birra: è provato, un litro al dì fa campare 100 anni"

Il Giornale "La birra: un potente antitumorale"

Libero Quotidiano "Bere birra fa bene alla salute. I sei motivi per farsi una bionda"

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Il vino e le notevoli proprietà benefiche: tutto merito del resveratrolo

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Prima il lockdown poi lo smart working. Dal Covid alla bilancia: tutte le cattive abitudini che hanno fatto ingrassare gli italiani. Tra le conseguenze di questa pandemia proprio il cambio dello stile di vita. Le limitazioni imposte, in ultimo, con il coprifuoco, il lavoro all’interno delle mura domestiche, la sporadica attività fisica e la maggiore tendenza a dedicarsi alla cucina. È quanto emerge da una analisi di Coldiretti su dati Crea, il centro di ricerca alimenti e nutrizione. Computer, divano e tavola hanno, infatti, allontanato dall’attività motoria e dallo sport il 53% degli italiani. La situazione peggiora poi per le persone obese soprattutto per quelle alle prese con il cosiddetto smart working e in cassa integrazione, che nel 54% dei casi ha registrato un aumento medio di peso di ben 4 Kg, secondo i dati riportati da una ricerca della Fondazione Adi dell’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica. Insomma, soprattutto in questa fascia della popolazione, il lavoro agile ha favorito l’adozione di comportamenti poco salutari. Da non dimenticare poi che questo fenomeno si verifica in un Paese dove peraltro più di un terzo della popolazione italiana adulta è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (9,8%) con il 45,1%. Il rischio obesità non risparmia neanche bambini e adolescenti duramente provati dal lockdown. In Italia si stimano – conclude la Coldiretti – circa 2 milioni e 130 mila bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni secondo l’Istat.

Le vere causa dell'obesità

Dal 1980 ad oggi l’obesità nel mondo è più che raddoppiata. Questa la rivelazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Gli adulti in sovrappeso raggiungono il 39% e gli obesi sono il 13%. Secondo le più recenti stime dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE, 2017) il 65,1% della popolazione adulta degli Stati Uniti ha un problema di eccesso di peso e tra questi, quasi la metà è obesa. L’epidemia dell’obesità si è diffusa negli ultimi decenni anche in Europa. A peggiorare un quadro già drammatico gli ultimi mesi della pandemia. Dal lockdown al coprifuoco, passando per mesi di smart working e quasi totale assenza di attività motoria. Un fattore che ha senza dubbio peggiorato la situazione delle persone obese o in sovrappeso, costrette a casa tra lavoro e Dpcm.

Sovrappeso causa dell’80% dei casi di diabete

L’obesità è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come «l’epidemia del XXI secolo». Inoltre, l’Ufficio regionale europeo dell’OMS la definisce come «un’epidemia estesa a tutta la regione europea» poiché circa la metà della popolazione adulta è in sovrappeso ed il 20-30 % degli individui, in molti Paesi, è definibile come clinicamente obeso. Rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo, sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento sia perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica (ipertensione arteriosa e dislipidemia aterogena) con progressiva aterosclerosi, aumentato rischio di eventi cardio/cerebrovascolari e tumori. Sovrappeso e obesità sono responsabili dell’80% dei casi di diabete di tipo 2, del 35% dei casi di malattie ischemiche del cuore e del 55% dei casi di malattie ipertensive tra gli adulti; sono condizioni associate a morte prematura e ormai universalmente riconosciute come fattori di rischio per le principali malattie croniche. L’obesità si manifesta a causa di uno squilibrio tra introito calorico (assunzione di cibo) e spesa energetica (metabolismo basale, attività fisica e termogenesi) con conseguente accumulo dell’eccesso di calorie nei depositi di tessuto adiposo. E’ causata nella maggior parte dei casi da stili di vita scorretti: da una parte, un’alimentazione non equilibrata e ipercalorica e dall’altra un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica. L’obesità è quindi una condizione ampiamente prevenibile. Un’emergenza socio-sanitaria quella dell’obesità che sia l’OMS che l’European Association for the Study of Obesity ha ripetutamente evidenziato. Inoltre, non dimentichiamo che questa malattia, «potenzialmente mortale, riduce l’aspettativa di vita di 10 anni» sostiene Andrea Lenzi, presidente Health City Institute e del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Via della Presidenza del Consiglio dei Ministri

Obesità e ipertensione arteriosa

Sovrappeso e obesità affliggono principalmente le categorie sociali svantaggiate che hanno minor reddito e istruzione, oltre che maggiori difficoltà di accesso alle cure. L’obesità riflette e si accompagna dunque alle disuguaglianze, favorendo un vero e proprio circolo vizioso. Un problema particolarmente grave è quello dell’insorgenza dell’obesità tra bambini e adolescenti, esposti fin dall’età infantile a difficoltà respiratorie, problemi articolari, mobilità ridotta, ma anche disturbi dell'apparato digerente e di carattere psicologico. Inoltre, chi è obeso in età infantile lo è spesso anche da adulto: aumenta quindi il rischio di sviluppare precocemente fattori di rischio di natura cardiovascolare (ipertensione, malattie coronariche, tendenza all’infarto) e condizioni di alterato metabolismo, come il diabete di tipo 2 o l’ipercolesterolemia - evidenzia Andrea Urbani Ministero della Salute, Direzione Generale della Programmazione Sanitaria.

Italia maglia nera: aumento di peso oltre i 4 Kg

Una corretta strategia di prevenzione del sovrappeso e dell’obesità rientra nell’ambito più generale della prevenzione e controllo delle patologie croniche nel loro complesso. E’ importante perseguire un approccio di promozione della salute e di sensibilizzazione dei soggetti con incremento ponderale sui vantaggi collegati all’adozione di stili di vita sani, in una visione che abbracci l’intero corso della vita. Inoltre, il rapporto dell’Italian Diabetes & Obesity Barometer evidenzia tra gli altri, due aspetti su cui porre particolare attenzione. In primo luogo, la persistente ed elevata prevalenza di obesità e sovrappeso tra i bambini la cui salute rischia di essere seriamente compromessa dall’aumento dei fattori di rischio. Su questo aspetto l’Italia si colloca tra i paesi europei con la più elevata prevalenza. La raccomandazione, a livello nazionale, è quella di seguire stili alimentari adeguati, riducendo il consumo di alimenti ricchi di zuccheri e promuovendo un maggiore consumo di frutta e verdura, oltre a sensibilizzare le industrie alimentari verso la produzione di alimenti più sani ed equilibrati. In secondo luogo, il rapporto documenta ampiamente come la prevalenza di obesità sia fortemente associata a condizioni di svantaggio socioeconomico. I dati relativi alle diseguaglianze sociali nell’alimentazione e nell’attività fisica concorrono a indicare che la maggior parte delle abitudini insalubri sono inversamente correlate con il livello di istruzione e la classe sociale.

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(Fonte: Il Sole 24Ore)

Secondo i dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il numero di persone obese nel mondo è raddoppiato a partire dal 1980: nel 2014 oltre 1,9 miliardi di adulti erano in sovrappeso, tra cui oltre 600 milioni obesi. Nella Regione Europea dell’Oms, nel 2013, oltre il 50% della popolazione adulta era in sovrappeso e oltre il 20% obesa. Dalle ultime stime fornite dai Paesi Ue emerge che il sovrappeso e l’obesità affliggono, rispettivamente, il 30-70% e il 10-30% degli adulti. Si ritiene che l’obesità sia responsabile del 10-13% dei decessi. Ogni anno, l’eccesso di peso è responsabile della perdita di 12 milioni di Dalys (anni di vita in salute persi per disabilità o morte prematura). In Italia, secondo il rapporto Osservasalute 2016 (che fa riferimento ai risultati dell’Indagine Multiscopo dell’IstatAspetti della vita quotidiana”) emerge che, nel 2015, più di 1/3 della popolazione adulta (35,3%) era in sovrappeso, mentre una persona su dieci era obesa (9,8%); complessivamente, il 45,1% dei soggetti di età ≥18 anni risultava in eccesso ponderale. Le differenze sul territorio confermano un gap Nord-Sud in cui le regioni meridionali presentano la prevalenza più alta di persone maggiorenni obese (Molise 14,1%, Abruzzo 12,7% e Puglia 12,3%) e in sovrappeso (Basilicata 39,9%, Campania 39,3% e Sicilia 38,7%) rispetto a quelle settentrionali (obese: PA di Bolzano 7,8% e Lombardia 8,7%; sovrappeso: PA di Trento 27,1% e Valle d’Aosta 30,4%). La percentuale di popolazione in eccesso ponderale cresce all’aumentare dell’età e, in particolare, il sovrappeso passa dal 14% della fascia di età 18-24 anni al 46% tra i 65-74 anni, mentre l’obesità passa, dal 2,3% al 15,3% per le stesse fasce di età. Inoltre, la condizione di eccesso ponderale è più diffusa tra gli uomini rispetto alle donne (sovrappeso: 44% vs 27,3%; obesità: 10,8% vs 9%).

Raddoppiata l'obesità nel mondo negli ultimi 40 anni

Nel 2017 in Italia, sono circa 15 milioni le persone di 18 anni e più che praticano nel tempo libero uno o più attività sportive (29,7% della popolazione di riferimento, di cui il 20,2% con continuità e il 9.5% saltuariamente). Circa il 29% della popolazione (14,8 milioni persone), pur non praticando uno sport, svolge un’attività fisica (come fare passeggiate di almeno due km, nuotare, andare in bicicletta o altro). I sedentari, ovvero coloro che non praticano alcuno sport e nemmeno attività fisica nel tempo libero, sono oltre 20 milioni e 400 mila, pari al 40,6% della popolazione di 18 anni e più. Rispetto al 2001 la pratica sportiva è in aumento sia per gli uomini (da 32,1% a 36%) sia per le donne (da 18,8% a 23,9%) e, seppure in maniera differenziata, in tutte le classi di età. Il fenomeno appare ancor più critico se si considera la quota di popolazione adulta che, come suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, svolge almeno 150 minuti a settimana di attività fisica moderata o intensiva, ovvero i livelli considerati adeguati nella popolazione adulta per mantenersi in buona salute. Nel nostro Paese solo il 18,3% della popolazione adulta pratica attività fisica. «La sua diffusione “epidemica” favorisce l’incremento della prevalenza di svariate note patologie come diabete, ipertensione arteriosa, dislipidemie che contribuiscono alla rilevante mortalità per patologie cardio e cerebrovascolari, prima causa di morte nella popolazione italiana» spiega Giuseppe Malfi, presidente Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (A.D.I.). L’obesità si manifesta a causa di uno squilibrio tra introito calorico e spesa energetica con conseguente accumulo dell’eccesso di calorie in forma di trigliceridi nei depositi di tessuto adiposo. L’obesità è una patologia eterogenea e multifattoriale, al cui sviluppo concorrono sia fattori ambientali che genetici (geni che si sono evoluti in ere di scarsità di cibo). A livello mondiale, l’OMS stima che circa il 58% del diabete mellito, il 21% della malattie coronariche e quote comprese tra l’8% ed il 42% di certi tipi di cancro sono attribuibili all’obesità. A queste vanno aggiunte, la sindrome delle apnee notturne (che aumenta il rischio di morte improvvisa per aritmia), artrosi, calcolosi della colecisti, infertilità e depressione. Per queste ragioni l’obesità contribuisce in modo molto significativo allo sviluppo delle malattie non trasmissibili (NCDs) che causano nel nostro paese il 92% di morti e più dell’85% di anni persi per disabilità. Si tenga presente che un obeso grave riduce la propria aspettativa di vita di circa 10 anni ma ne passa ben venti in condizioni di disabilità. E se oggi metà della popolazione è in sovrappeso o obesa, le proiezioni dell’OMS per il 2030 danno un quasi raddoppio della prevalenza di obesità che sommata al sovrappeso costituirà circa il 70% della popolazione.

Insomma, la continua crescita della prevalenza del sovrappeso e dell’obesità è causa di serie preoccupazioni in tutte le regioni del mondo, e il fenomeno si configura sempre più come pandemia globale. In base alle stime dell’OMS, nel 2017 il sovrappeso e l’obesità sono stati responsabili di 4,72 milioni di decessi e di 148 milioni di anni vissuti con disabilità. Fra le cause di morte, l’eccesso ponderale è passato dal 16° posto nel 1990 al 7° posto nel 2007, fino a raggiungere il 4° posto nel 2017, preceduto soltanto da ipertensione, fumo e iperglicemia. Si stima che nel mondo ci siano oggi 2.1 miliardi di persone in sovrappeso o obese, circa il 30% della popolazione mondiale. Se l’andamento in crescita del fenomeno resterà immodificato, nel 2030 circa la metà delle persone nel mondo avrà un eccesso ponderale, con drammatici risvolti clinici, sociali ed economici. Stando ai dati riportati in un rapporto Istat, è pari al 44,9% la popolazione di 18 anni (o più) in eccesso di peso (34,1% in sovrappeso, 10,8% obeso). Il 64,7% della popolazione di 11 anni e più ha consumato almeno una bevanda alcolica nel corso dell’anno: il 51,7% beve vino, il 47,8% consuma birra e il 43,2% aperitivi alcolici, amari, superalcolici o liquori. Inoltre, 20.400.000mila persone, pari al 40,6% della popolazione di 18 anni e più, dichiarano di non praticare sport né attività fisica nel tempo libero. Elevate le differenze di genere: è sedentaria la metà delle donne contro un terzo degli uomini. Giusto per completare il quadro, in un Paese con una legge anti-fumo e con pubblicità sui pacchetti di sigarette che dovrebbero indurre a smettere o a non cominciare, nel 2016 il 19,8% della popolazione di 14 anni e più dichiara di essere fumatore (circa 10.400.000mila persone), il 22,6% di aver fumato in passato e il 56,1% di non aver mai fumato. Quindi ancora vincono gli stimoli per cattivi stili di vita. La diffusione dell’obesità tra bambini e ragazzi è un fenomeno che si sta diffondendo e sta caratterizzando non soltanto l’Italia e i Paesi europei, ma anche tutti i Paesi del resto del mondo, ad una velocità diversa a seconda del Paese e seguendo differenti modelli di sviluppo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che, attualmente, più di 30 milioni di bambini in eccesso di peso. In Italia, si stima siano circa 1.700.000mila i bambini e gli adolescenti in eccesso di peso pari al 24,2% della popolazione di 6-17 anni (media 2016-2017)4. Rispetto al biennio 2010-2011 si osserva una lieve tendenza alla diminuzione del fenomeno, sebbene le differenze non risultino statisticamente significative. Emergono forti differenze di genere: il fenomeno è più diffuso tra i maschi (27,3% vs 20,8% femmine). Tali differenze non sussistono tra i bambini di 6-10 anni, mentre si osservano in tutte le altre classi di età. L’eccesso di peso raggiunge la prevalenza più elevata tra i bambini di 6-10 anni, dove raggiunge il 32,9%. Al crescere dell’età, il sovrappeso e l’obesità vanno tuttavia diminuendo, fino a raggiungere il valore minimo tra i ragazzi di 14-17 anni.

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Per approfondimenti:

Obesity Monitor "1st Italian Obesity Barometer Report"

La Repubblica "Obesità in crescita in Italia. 23 milioni in sovrappeso: uno su 4 ha meno di 17 anni"

AGI "Lockdown e smart working hanno fatto ingrassare gli italiani: il 44% è in sovrappeso"

Corriere della Sera "Adolescenti obesi (e dipendenti)"

La Repubblica "Obesità in Italia: riguarda il 36% della popolazione tra i 5 e i 19 anni"

Obesity Review "Individuals with obesity and COVID‐19: A global perspective on the epidemiology and biological relationships"

La Repubblica "L’obesità raddoppia il rischio di ricovero per Covid 19"

JAMA Network "Large Meta-analysis Digs Into Obesity’s COVID-19 Risks"

Fanpage "L’obesità può aggravare l’infezione da coronavirus nei giovani"

La Stampa "Scatta l’allarme obesità: è la regina di ogni malattia eppure la sottovalutiamo"

Agi  " Gli obesi sono più a rischio Coronavirus "

OK Benessere e Salute  " Obesità: in Italia un morto ogni 10 minuti. Serve una svolta "

OK Benessere e Salute  " Obesità: ecco tutti i rischi che si corrono" "Obesità: ecco tutti i rischi che si corrono "

Società Italiana Obesità (SIO)

Società Italiana di chirurgia dell'Obesità e delle Malattia Metaboliche (SICOB.)

Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI)

 LEGGI ANCHE:  Obesità e altri disordini metabolici: in Italia, un morto ogni 10 minuti

Dal sovrappeso all'obesità: Vitamina D, nemica dei chili di troppo

Pubblicato in Informazione Salute

300mila italiani, soprattutto donne (7 su 10), soffrono di artrite reumatoide e ogni anno si registrano 5mila nuovi casi. Comune tra i 40 e i 70 anni, sebbene il picco di comparsa dei primi sintomi avvenga tra i 35 e i 45 anni. Tuttavia, durante l’inverno dolori e fastidi si accentuano ancor più. Tra le categorie più a rischio ci sono anche le persone obese o in sovrappeso, questo perché l’aumento di peso sovraccarica le articolazioni aumentando il rischio di infiammazione. Per quanto riguarda i segni poi, tra i principali da non trascurare: dolore persistente alle articolazioni (colpisce spesso le giunture di mani e piedi), talvolta accompagnato da gonfiore, in particolare di notte e al mattino, per poi attenuarsi nel corso della giornata. Talvolta i sintomi di questa patologia possono essere intermittenti, manifestarsi con diversi gradi di intensità o rimanere latenti anche per anni per poi peggiorare nel tempo. Controllo della malattia e riduzione dei sintomi, in altre parole: remissione. Uno spiraglio in fondo al tunnel per almeno la metà dei malati, soprattutto quando la diagnosi è precoce. Difatti, come dimostrano le recenti evidenze scientifiche, con l'inizio delle cure entro un anno dalla comparsa dei primi sintomi, controllare la patologia è un traguardo raggiungibile per il 50-60% dei pazienti. Fondamentale è quindi diagnosticarla e intervenire tempestivamente, come già detto, entro un anno dalla comparsa dei primi sintomi. Acuta o cronica è senza dubbio, la più nota è quella reumatoide. Un’infiammazione che colpisce un gran numero di persone che si trovano alle prese con dolore, gonfiore, arrossamento della cute e rigidità articolare. Valido alleato contro questa nemica comune: l’alimentazione. Come suggerito dal dottor Gianfrancesco Cormaci, specialista in biochimica clinica «il regime alimentare previsto per alleviare questi sintomi è la dieta antinfiammatoria che si basa essenzialmente sui cibi ad alto contenuto di antiossidanti, polifenoli, carotenoidi, acidi grassi omega 3, cibi a basso indice glicemico». In questo regime alimentare viene favorito anche l’utilizzo dell’olio extravergine di oliva come principale fonte di grassi ed è altresì consigliata la riduzione o la minimizzazione dei carboidrati raffinati, fast food, bevande alcoliche e bevande zuccherate

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Una dieta a ridotto contenuto infiammatorio è associata a una maggiore perdita di peso, riduzione dell’infiammazione, migliori prestazioni fisiche e minore dolore articolare. Difatti, nei pazienti con artrite reumatoide che seguivano lo stile alimentare consigliato si riscontravano la riduzione del dolore e il miglioramento delle funzioni fisiche rispetto a quelli che non seguivano una dieta a basso contenuto infiammatorio. Ad oggi si contano più di 100 tipologie di artrite, che possono colpire persone di ogni età e di entrambi i sessi, anche se una maggior incidenza si riscontra negli anziani e nelle donne. Tra le più note ci sono sicuramente l’osteoartrite e l’artrite reumatoide. Le meno comuni sono, invece, la fibromialgia, il lupus eritematoso sistemico, la gotta, l'artrite psoriasica, ecc.

L'artrite reumatoide può essere curata e tenuta sotto controllo e ora persino fermata prima che porti alla progressiva perdita di funzioni fondamentali che comportano, negli anni, l’invalidità dei pazienti» precisa Luigi Sinigaglia, past president della Società Italiana di Reumatologia. «Noi specialisti - prosegue l’esperto - abbiamo a disposizione cure efficaci, messe a punto negli ultimi 15-20 anni, che possono consentire in un’elevata percentuale di casi la remissione completa: che significa permettere al paziente di fare una vita normale». «l problema resta – sottolinea Senigallia -, però, la diagnosi precoce che, nel nostro Paese, può avvenire anche uno o due anni dopo la comparsa dei primi sintomi. Oggi riusciamo a raggiungere la remissione nel 50-60% dei pazienti se la malattia viene diagnosticata tempestivamente, ovvero entro un anno dalla comparsa dei primi sintomi. Sfruttando la cosiddetta “finestra di opportunità”, quella fase cioè che intercorre tra l'esordio della patologia e l'instaurarsi di danni irreversibili, in cui è fondamentale iniziare con il corretto trattamento farmacologico per garantire maggiori possibilità di remissione e migliori risultati clinici.

L’importanza di un intervento tempestivo

L’inverno è la stagione in cui le malattie reumatiche si accentuano.

Le malattie reumatiche sono una grossa famiglia di patologie che comprende sia malattie di degenerazione articolare, come l’artrosi, sia malattie più infiammatorie, in cui l’infiammazione precede il danno articolare. L’infiammazione, per definizione, tende a migliorare con le temperature più calde o con l’utilizzo dell’articolazione interessata» spiega a Obiettivo salute su Radio24, Carlo Selmi, responsabile di Reumatologia e Immunologia clinica di Humanitas. Certamente – precisa Selmi -, il peggioramento durante l’inverno è più comune nei pazienti con artrosi, quel dolore più meccanico che può colpire ginocchia, pollice e alluce e che aumenta proprio con il freddo». Tra le parti più colpite, indubbiamente le nostre mani. «Le mani sono estremamente importanti in Reumatologia – continua -, la temperatura fredda può causare, per esempio, il fenomeno di Raynaud, una costrizione dei vasi che porta le dita di mani o piedi a diventare prima bianche, poi blu, poi rosse; un disturbo frequente soprattutto nelle giovani donne». «Le mani – sottolinea l’esperto - sono poi spesso sede sia di artrite sia di artrosi ed è tipica la manifestazione più iniziale dell’artrite reumatoide a livello delle articolazioni delle mani. Quello che distingue queste due condizioni è il tipo di dolore: nel caso dell’artrite il dolore migliora con l’uso dell’articolazione, mentre nel caso dell’artrosi è l’esatto opposto e dunque l’uso delle articolazioni – per scrivere o per afferrare qualcosa – porterà a un aumento del dolore». Non dimentichiamo un altro grande fastidio che ci accompagna nella stagione fredda: il mal di schiena. «Nel caso del mal di schiena oltre al problema articolare, contribuisce anche la componente muscolare; in questo senso il freddo è un pessimo compagno di viaggio per quanto riguarda le contratture muscolari che possono essere alla base di alcuni mal di schiena, soprattutto in regione cervicale.

Altri fattori di peggioramento delle malattie reumatiche

Partendo da presupposto che il peggioramento di queste patologie avviene sicuramente nei mesi invernali, ci sono anche altri tre fattori che incidono e che contribuiscono al peggioramento. Primo tra tutti, la scarsa attività fisica con conseguenze sia per l’aumento di peso che per la dimensione immunologica. Seguita poi da una sporadica esposizione ai raggi solari, e quindi, a un minor assorbimento di vitamina D, causa di un aumento dell’infiammazione locale. E per ultimo, ma non per importanza, anche insonnia e disturbi del sonno che favoriscono anch’esse stati infiammatori all’interno dell’organismo. Inoltre, le artriti provocano un senso di affaticamento, astenia e stanchezza.

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Se non opportunamente trattata questa malattia può avere un pesante impatto negativo sulla vita dei pazienti, oltre ad essere fortemente invalidante – sottolinea Silvia Tonolo, presidente ANMAR –. Per le ripercussioni sulla sfera personale e di relazione, un paziente su due ritiene addirittura di sentirsi escluso dalla società. C’è quindi un gran bisogno di un corretto percorso diagnostico terapeutico per questi pazienti che si basi su diagnosi precoce e tempestiva, presa in carico e appropriatezza terapeutica: sono fondamentali per garantire la remissione dalla malattia che dev’essere un obiettivo, non una speranza. Sappiamo che remissione non significa guarigione e che il mantenimento della stessa è subordinato alla continuità terapeutica e all’aderenza alle cure, ma da pazienti sappiamo altrettanto bene che quando i sintomi della patologia non interferiscono con la possibilità di vivere una vita attiva e normale l’effetto è positivo sia da un punto di vista fisico, che psicologico. Ecco perché noi pazienti, insieme al nostro reumatologo dobbiamo prenderci cura ogni giorno di noi stessi.

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L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica autoimmune che attacca i tessuti articolari di una persona il cui sistema immunitario, invece di proteggere l’organismo dagli agenti esterni come virus e batteri, si attiva in maniera anomala contro di esso» spiega al Corriere della Sera Roberto Gerli, presidente della Società Italiana di Reumatologia. «Sin dagli esordi – continua l’esperto -, la malattia si manifesta in maniera subdola, variabile, graduale o acuta, presentando dolore e tumefazione inizialmente alle articolazioni di mani e piedi, associati a rigidità al risveglio». «Con il tempo, l’infiammazione può coinvolgere potenzialmente ogni distretto dell’organismo (come polmoni, reni, cuore, sistema nervoso, vasi sanguigni, occhi) divenendo sistemica. La prognosi della malattia è decisamente migliorata a partire dagli anni '80, ma enormi progressi sono stati fatti negli ultimi 20 anni. Siamo passati dal sollievo sintomatico al rallentamento, o alla prevenzione, di ulteriori danni, fino alla possibilità di ottenere la remissione.

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Oggi, l’innovazione terapeutica continua a fornire opzioni in grado di cambiare l’evoluzione dell’artrite reumatoide, [...] che saranno sempre più in prima linea per il trattamento precoce di questa patologia volto a raggiungere l’obiettivo della remissione clinica. Utili pure a raggiungere il traguardo della remissione, condizionato da una stretta collaborazione fra paziente e medico» evidenzia il presidente della Società Italiana di Reumatologia. «Oltre all’inizio precoce del trattamento, è necessario uno stretto monitoraggio del paziente, con frequenti visite specialistiche, al fine di “misurare” il grado della risposta alla terapia - conclude Sinigaglia -. Attualmente, a fronte dell’ondata che ha investito gli ospedali legata all’emergenza Covid-19, molti pazienti hanno visto rinviare esami di controllo e visite con gli specialisti, ma ci sono prestazioni e terapie che non possono essere considerate differibili, con l’inevitabile effetto di un peggioramento del quadro clinico che, oltre a compromettere la possibilità di regressione, provoca anche un incremento dei costi sanitari e sociali - conclude Gerli.

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Per approfondimenti:

Corriere della Sera "Artrite reumatoide, la remissione è possibile per metà dei malati (se la diagnosi è precoce)"

Humanitas "Inverno, con il freddo possono aumentare i dolori articolari"

Leggo "Lotta all'Artrite reumautoide"

Today "Medici: esperti Sir, 'remissione artrite reumatoide traguardo possibile'"

Corriere della Sera "Fratture da fragilità: quelle del femore sono le più temibili"

Ravenna Today "Artrite: è possibile alleviare i sintomi con una dieta mirata"

Today "Artrite, quali cibi mangiare e quali evitare"

Ministero della Salute "Osteoporosi"

Ministero della Salute "La probabilità di ammalarsi di osteoporosi aumenta con l’aumentare dell’età [...]"

Che Donna "Come prevenire l’osteoporosi | mettiamo più calcio e magnesio a tavola"

Ministero della Salute "Prevenzione delle fratture da fragilità"

PubMed "Compromised Vitamin D Status Negatively Affects Muscular Strength and Power of Collegiate Athletes"

Grazia "La dieta del magnesio fa dimagrire e rinforza le ossa: ecco come seguirla"

MDPI "Special Issue "Vitamin D and Sport Performance"

PubMed "The Effect of Vitamin D Supplementation in Elite Adolescent Dancers on Muscle Function and Injury Incidence: A Randomised Double-Blind Study"

MDPI "Vitamin D and Sport Performance"

Gazzetta dello Sport "Vitamina D: preziosa per ossa, muscoli e prestazioni sportive"

Quotidiano "Vitamina D, il segreto delle prestazioni sportive"

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