Una proteina “impalcatura” che dona sostegno al nostro corpo. Effetto confermato anche da diversi studi scientifici, i quali dimostrano con risultati alla mano che l’assunzione di peptidi di collagene migliora l’idratazione della pelle, l’elasticità e aiuta a ridurre le rughe del viso. Secondo uno studio, l’assunzione del collagene mostra effetti positivi sulla profondità delle rughe degli occhi, le cosiddette zampe di gallina. Dopo aver assunto 2,5 grammi di peptidi di collagene bioattivo ogni giorno per un periodo di otto settimane, la profondità delle rughe dei soggetti in questione si è ridotta in media di circa il 18 percento e la carnagione si è raffinata (Proksch, E. et al. 2014). Tra gli altri effetti positivi sulla pelle: l’assunzione di collagene aumenta l’idratazione della pelle (Asserin, J. et al. 2015 e Kim, D. U. et al. 2018). Un’altra indagine dimostra che l’assunzione giornaliera di un preparato di collagene porta a un miglioramento dell’elasticità della pelle. I partecipanti allo studio hanno consumato una fiala di un prodotto di collagene contenente 5 grammi di peptidi di collagene bioattivo ogni giorno per 90 giorni (Genovese, L. et al. 2017). Efficace anche contro gli inestetismi della cellulite, nota anche come pelle a “buccia d’arancia”, si verifica quando un tessuto connettivo si indebolisce e non è più in grado di trattenere la cellule adipose nel tessuto sottocutaneo. Il tessuto adiposo sottocutaneo in questione può quindi penetrare più facilmente negli strati superiori della pelle e gonfiare visibilmente la pelle all'esterno. E ancora, secondo uno studio, il collagene può aiutare a combattere la cellulite e a ridurre le ondulazioni della pelle sulle cosce. Una dose giornaliera di 2,5 grammi di peptidi di collagene ha portato dopo 6 mesi a una riduzione del livello di cellulite nelle donne con un peso regolare o in sovrappeso. (Schunck, M. et al. 2015).
Stabili e flessibili. E quando i legamenti si strappano e le ossa si rompono, il collagene diventa anche un prezioso aiuto per le articolazioni. Fondamentale soprattutto per gli sportivi, in caso di sforzo eccessivo, ma anche per chi soffre di artrosi (usura articolare) o artrite reumatoide (malattia infiammatoria delle articolazioni). Effetto benefico dimostrato da altre due ricerche: nel primo studio si è visto che l’assunzione giornaliera di capsule di collagene hanno migliorato il funzionamento dell’articolazione del ginocchio e ridotto la rapida insorgenza di disagio e di dolore articolare durante l’esercizio fisico (Lugo, J. P. et al. 2013) e nel secondo, è stato esaminato l’effetto del collagene in caso di artrosi. Il risultato: l’assunzione di 40 milligrammi di collagene di tipo II ha migliorato nei pazienti con artrosi al ginocchio i sintomi dell'articolazione del ginocchio e i sintomi correlati (Lugo, J. P. et al. 2015). Infine, il contributo fornito alla costruzione muscolare: in uno studio, condotto su soggetti anziani con perdita muscolare, è stato riscontrato che l'assunzione di collagene idrolizzato in combinazione con l'allenamento di forza aiuta la costruzione muscolare (Zdzieblik, D. et al. 2015).
La riduzione di collagene, in età avanzata, è associata alla comparsa delle rughe (figura sopra)
Contorni meno definiti e tonici. Una rigenerazione che decresce inesorabilmente per poi crollare dopo i 40. La produzione di collagene rallenta dell’1,5% ogni anni a cominciare dal ventesimo/venticinquesimo anno di vita e di conseguenza diminuisce anche il livello di collagene nel corpo. Oltre a un fattore strettamente genetico, questa produzione si riduce anche in conseguenza con il calo dei livelli di estrogeno, alla diminuzione del numero di fibroblasti nella pelle diminuisce, alla carenza di vitamina C (che inibisce la degradazione del collagene e grazie alla sua azione altamente ossidante evita il deterioramento delle fibre di collagene) oltre a influssi esterni come le radiazioni UV, il fumo, lo stress o un’alimentazione scorretta. SOS glicazione. Colpevole lo zucchero in eccesso può raggiungere la pelle attraverso il sangue sotto forma di glucosio e fruttosio. Si origina così una reazione (glicazione appunto), in cui le molecole di zucchero si attaccano alle fibre di collagene e le induriscono. Troppo zucchero, carboidrati o cibi ricchi di zuccheri, oltre a rallentare e inibire la sintesi del collagene, accelerano quindi l’invecchiamento e la comparsa di rughe sulla pelle. Obiettivo: mantenere compattezza e tonicità, prevenendo le rughe. A questa proteina, infatti, è affidato l’arduo compito di sostenere il viso, conferendo alla pelle resistenza ed elasticità. E allora stop all’invecchiamento cutaneo! Per una pelle soda, liscia e giovane? Stimolare la produzione di collagene con una dieta sana e migliorare quest'apporto con prodotti di bellezza adeguati. Diverse funzioni complesse e fondamentali. Gloria Mosconi, biologa mette in luce le peculiarità di questa notevole proteina in un'intervista esclusiva a Life 120:
Come avviene la biosintesi del collagene?
La biosintesi del collagene avviene sia all’interno che all’esterno della cellula ed è enzimaticamente coadiuvata. Nella fase iniziale l’m-RNA di circa 34 geni viene trascritto e successivamente tradotto a livello dei ribosomi a ridosso della parete del RER; nella catena nascente di procollagene alcuni residui di prolina e lisina vengono idrossilati da due specifici enzimi per formare idrossiprolina e idrossilisina con catene alfa di procollagene. Tre di queste catene si avvolgono a formare una tripla elica, stabilizzata dal legame idrogeno. Questa catena passa all’apparato del Golgi, dove i filamenti idrossilati subiscono una glicosazione, ovvero l’aggiunta di zuccheri sulla catena peptidica in corrispondenza dell’idrossilisina. A questo punto la molecola è escreta verso l’esterno dove subisce l’azione del procollagene peptidasi. Questo enzima è necessario per il processamento extracellulare del collagene che sarà in grado di rimuovere i residui Ne C terminali con formazione di tropocollagene tra le cui molecole si instaureranno legami covalenti e che tenderanno a disporsi in file parallele formando le fibrille.
Considerato un potente “anti-età”, secondo la scienza può essere utilizzato nel contrasto a rughe e segni d’espressione?
Purtroppo la sintesi di collagene diminuisce con l’invecchiamento aumentando infatti la sua degradazione e con essa la rugosità della cute, che diviene meno compatta e più sottile. È per questo che il collagene trova largo spazio anche nella cosmetica.
Oltre all’invecchiamento cutaneo è prezioso anche per l’organismo? In che modo esercita la sua azione benefica?
L’importanza di questa proteina svolge il suo ruolo non solo dal punto di vista estetico, come è noto, ma anche dal punto di vista strutturale dando sostegno al corpo. Infatti a lungo andare, man mano che l’età tende ad avanzare , anche la produzione di collagene tende a diminuire contribuendo così ad una perdita di tono muscolare, una lentezza dei movimenti, una fragilità di unghie e capelli, e la pelle si raggrinzisce. Stimolare la sua produzione , contribuisce alla guarigione e la riparazione di danni alle ossa e cartilagini e quindi al mantenimento del sostegno, della forza e dell’elasticità di queste. Migliora l’ampiezza di movimento in caso di osteoartrite , previene il deterioramento delle articolazioni, previene la demineralizzazione ossea, ed accelera anche la cicatrizzazione delle ferite.
Come opera nel processo di costruzione del muscolo?
La quantità delle proteine corporee viene associata alla massa magra o più precisamente massa muscolare scheletrica e ne fanno parte le proteine oltre all’acqua e sali minerali. Ora le proteine sono macromolecole composte da tanti mattoncini detti amminoacidi; nella sintesi proteica intervengono solo 20 amminoacidi diversi fra loro, mentre nell’organismo il numero di proteine è di centinaia di migliaia. Come è noto le funzioni delle proteine sono diversissime. Fra queste emerge la funzione strutturale in cui il tessuto connettivo del corpo (cioè quello che sostiene e fa da ponte tra i diversi organi e strutture corporee) è costituito principalmente dal collagene. Il collagene ha proprio il ruolo di collegare ed “incollare” gli elementi cellulari di organi e tessuti quindi anche del muscolo ed ha la capacità di rinnovarsi sempre.
Ci sono controindicazioni ed effetti collaterali?
È chiaro che la stimolazione fisiologica di produzione del collagene è un evento molto positivo che ci protegge dai fenomeni legati ai processi di invecchiamento. L’intento di tutti dovrebbe essere quello di stimolare il più possibile, attraverso la corretta alimentazione, questo fenomeno naturale. Il contributo di creme ed integratori può essere senza dubbio, un’azione di rinforzo, sinergica allo stile di vita, che deve essere sempre al primo posto. Gli integratori di collagene sono bene tollerati e possono considerarsi prodotti sicuri, purché utilizzati in maniera responsabile. Sono chiaramente controindicati a chi soffre di allergia a qualche componente del prodotto, ai bambini e alle donne in gravidanza. È comunque sempre opportuno consultare il medico. Per minimizzare i rischi è preferibile scegliere integratori di collagene idrolizzato e che provengano da un animale a cui non si è allergici.
È possibile ottimizzare l’approvvigionamento di collagene con l’alimentazione giusta e cosmetici mirati?
L’invecchiamento è la prima causa di diminuzione del collagene. Lo stile di vita, gioca un ruolo fondamentale per la riduzione di questa proteina all’interno del proprio corpo. Prima cosa da focalizzare è che una dieta che presenta una elevata quantità di alimenti zuccherati, porta alla GLICAZIONE, un processo attraverso cui zuccheri sia intra che extracellulare, si legano alle proteine generando la formazione di molecole alterate, chiamate Glicotossine o AGE, che legandosi a specifici recettori, chiamati RAGE, si accumulano in maniera importante, aumentando la produzione e la liberazione all’interno dei tessuti dei Radicali Liberi e di molecole pro-infiammatorie, con conseguente alterazione della funzionalità e distruzione degli stessi. Questo è un processo infatti, non a caso, particolarmente abbondante nei pazienti diabetici di tipo II. Il legame tra zuccheri e proteine è un fattore biologico che condiziona il processo di invecchiamento cellulare, quello dei tessuti ed in generale dell’organismo. Non può esistere longevità quindi, senza una riduzione o quantomeno un controllo di questo processo metabolico. Anche a livello cutaneo assistiamo alla conseguenza di questo accumulo di glicotossine con conseguente accumulo nelle pelle che si manifesta con un aumento dello spessore apparendo dura ed ispessita. Chiaramente questo processo di glicazione proteica crea alterazione, oltre che sulla pelle, anche in altri organi del nostro organismo. Alla luce di ciò l’orientamento è verso il consumo di particolari zone di alimenti proteici, come ad esempio nelle lische, nelle pinne, nelle squame presenti nelle sardine, acciughe e sgombri , nella pelle, nelle zampe e cotenna del maiale, nelle ossa sottoforma di brodo, , e nelle cartilagini degli animali (pesce, pollame, maiale, bovini), nella gelatina che si ottiene da ossa, tendini, cartilagini e pelle di diversi animali. A livello cosmetico, l’applicazione di collagene così come tale, non può considerarsi la scelta ottimale in quanto questa proteine presenta una struttura chimica troppo grande per essere assorbita. E’ proprio per questo motivo che nei cosmetici di alta qualità si preferisce utilizzare collagene in forma idrolizzata o piccoli peptidi per favorirne l’assorbimento e quindi la loro funzione. In conclusione la riduzione della produzione di collagene inizia già a partire dai 25 anni e può essere accelerata da fattori genetici, alimentazione non sana, soprattutto ricca di zuccheri, fumo, esposizione ai raggi solai, smog e condizioni ambientali e stress. Siamo noi i primi a poter fare qualcosa per la salvaguardia della nostra salute.
Qual è la correlazione tra collagene e vitamina C?
A dare un contributo alla sintesi del collagene, gioca un ruolo importante la Vitamina C. Infatti quest’ultima interviene nella conversione della Prolina in Idrossiprolina e della Lisina in Idrossilisina ad opera dei rispettivi enzimi che richiedono Ferro 2+. Ed è proprio la Vitamina C che permette di mantenere il ferro in questa forma ridotta e consentire quindi la sintesi di collagene.
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Per approfondimenti:
Il Corriere della Sera "Dai peperoni rossi alle uova, ecco i cibi che aiutano a fare il pieno di collagene"
AGI "Pelle: contro l'invecchiamento, glicani stimolano collagene"
Ansa "Rughe, è tutta una questione d'acqua"
Io Donna "Il collagene è il trend beauty del momento. Come funziona e cosa bisogna sapere?"
Wikipedia "Collagene"
DiLei "Collagene: cos’è, a cosa serve, cosa mangiare e integratori"
JAAC "Trehalose-Induced Activation of Autophagy Improves Cardiac Remodeling After Myocardial Infarction"
Alimentazione Gazzetta "Dieta e beauty routine per una pelle luminosa e sana: alimenti, creme e trattamenti"
Il Secolo XIX "C’è uno zucchero che piace anche al cervello"
Alimentazione Gazzetta "Vitamine per la pelle, nella dieta e nelle creme: quali sono le più utili?"
Wikipedia "Pelle"
Starbene "Salute della pelle e alimentazione"
Gazzetta Act!ve "Zuccheri, ecco perché troppi fanno male. Quali sono i benefici di una dieta che ne è priva?"
LEGGI ANCHE: Un’impalcatura tra bellezza e salute: il sostegno fondamentale del collagene
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Un ruolo prezioso per salute e bellezza. Dalla pelle alle articolazioni, dalle ossa e ai muscoli, ma previene anche la fragilità di unghie e capelli. Naturalmente presente nel derma cutaneo, i suoi notevoli effetti si estendono a tutto il corpo. Il collagene è il componente essenziale della nostra pelle, la proteina strutturale principale del nostro tessuto connettivo, quella più comune del corpo umano che fornisce la resistenza alla trazione del tessuto connettivo stesso. Non solo nella pelle, si trova anche nei legamenti, nei tendini, nella cartilagine, nelle ossa, nei muscoli scheletrici, nei vasi sanguigni e persino nei denti. Una struttura che consente di offrire resistenza meccanica. Costituito da diverse catene proteiche lunghe che a loro volta sono composte da diversi aminoacidi (glicina, prolina e idrossiprolina). Esistono 28 tipi di collagene diversi che si distinguono per composizione, struttura e funzione. Formato poi da diverse cellule, a seconda del tipo e della funzione svolta: i fibroblasti (cellule del tessuto connettivo) e gli osteoblasti (cellule del tessuto osseo) producono principalmente collagene di tipo I e III, mentre i condrociti (cellule del tessuto cartilagineo) formano principalmente collagene di tipo II.
Attraverso la sintesi del collagene le varie cellule vengono allineate in oltre 1000 aminoacidi per formare una catena lunga, la catena polipeptidica, chiamata anche procollagene. Utilizzato come rimedio in caso di ustioni gravi della pelle e impiegato anche in medicina estetica come riempitivo. Noto agente anti-invecchiamento, insieme all’acqua rende la pelle più tonica e compatta, ma niente dura per sempre. Difatti, la produzione di collagene diminuisce con l’avanzare dell’età. Tra i principali segnali di questa scomparsa sicuramente secchezza cutanea, linee pronunciate e rughe sempre più evidenti. Un valido supporto per integrare questa carenza deriva dall’esterno grazie a cosmetici mirati e dall’interno con un’alimentazione sana e bilanciata. Durante il processo di invecchiamento la struttura della pelle diventa inevitabilmente più instabile con il conseguente rilassamento cutaneo e la formazione delle prime rughe e l’assottigliamento della pelle. Questo avviene perché causa della sempre più ridotta densità della struttura del collagene, la struttura e l’elasticità della pelle si deteriorano. Il segreto per prevenire efficacemente questo invecchiamento è la giusta sinergia tra un’alimentazione intelligentemente bilanciata e la corretta selezione di prodotti cosmetici mirati ed efficaci per scoraggiare l’avanzare degli anni e sostenere i bisogni del tessuto connettivo.
Diverse funzioni complesse e fondamentali. Gloria Mosconi, biologa mette in luce le peculiarità di questa notevole proteina in un'intervista esclusiva a Life 120:
Che cos’è e com’è composto il collagene?
Il collagene è uno dei componenti principali del tessuto connettivo che contribuisce a conferire resistenza ai tessuti, tonicità, compattezza e turgore della pelle. Occupa un ruolo importantissimo fra le proteine strutturali nella matrice extracellulare cioè nello spazio tra una cellula e l’altra. E’ presente nel nostro corpo in misura pari al 20% fino 35%, fino ad arrivare al 90% nella nostra pelle, in particolare a livello del derma, dove, insieme alla presenza di fibre elastiche e glicosaminoglicani, dà origine alla sua caratteristica struttura tridimensionale che rappresenta proprio l’impalcatura della nostra pelle. Dal punto di vista strutturale, la prolinia, l’idrossiprolina e la glicina sono gli amminoacidi predominanti nelle fibre di collagene. Queste ultime sono organizzazioni di molecole di tropocollagene, che si associano in modo diverso tra loro, per generare diversi gradi di resistenza. Il tropocollagene è l’unità funzionale del collagene, costituito da tre filamenti (tre catene proteiche) che unendosi fra di loro formano la tripla elica, costituita da due catene identiche, ed una terza che differisce dalle prime due. Come già detto, gli amminoacidi che la caratterizzano, sono tre: glicina, prolina e idrossiprolina, che durante il corso della vita, hanno la particolarità di rinnovarsi sempre.
Quanti tipi di collagene esistono e a cosa servono?
I collageni sono un gruppo di glicoproteine naturali che si trovano nel tessuto connettivo degli animali. Il collagene associato in fibrille, oltre che nel derma, è presente anche nelle ossa, nelle cartilagini, tendini, legamenti, cornea, pelle, vasi sanguigni, ed annessi cutanei (capelli ed unghie), in sostanza ovunque ci sia del tessuto connettivo. Per questo motivo, il collagene si distingue in diversi tipi, quelli più importanti sono: Collagene di tipo I, che rappresenta circa il 90% del collagene totale; Collagene di tipo II, componente del tessuto cartilagineo; Collagene di tipo III, presente nel derma e vasi sanguigni ed infine Collagene di tipo IV che svolge le funzioni di sostegno ed è una componente anche della membrana basale.
Questa proteina è davvero così importante? Quali sono i benefici per la pelle?
L’importanza del collagene è legata principalmente alle sue molteplici funzioni di sostegno nei confronti non solo del derma ma anche di ossa tendini cartilagini e vasi sanguigni; non a caso infatti è una delle proteine più abbondanti dell’organismo. Nel derma in particolare insieme alle fibre elastiche e ai glicosamminoglicani, dà origine a quella struttura tridimensionale compatta e resistente che sorregge la cute conferendo resistenza ed elasticità, compattezza e turgore, minimizzando la presenza di rughe.
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Più vitamina D significa meno cancro. Una sorta di terapia naturale che ci difende dal cancro, una vera e propria strategia di prevenzione. È la volta dei ricercatori tedeschi che in un lavoro segnalano il ruolo centrale della vitamina D, come alleato dei malati di tumore. A questa conclusione è giunta uno studio condotto dal Centro tedesco di ricerca sul cancro (DKFZ) di Heidelberg dove il team di ricercatori ha scoperto che l’integrazione della vitamina D potrebbe avere un impatto decisivo sulla riduzione della mortalità, nel contesto di un quadro patologico di cancro grave. Un decremento del 13% che potrebbe cambiare le sorti di un numero significativo di pazienti oncologici. Hermann Brenner, epidemiologo della DKFZ ha precisato che il tasso di mortalità per tumori legati all’età è diminuito negli ultimi anni in modo costante, tuttavia, in alcuni Paesi europei i numeri dei decessi rimangono ancora rilevanti. Sempre secondo Brenner, che ha messo a confronto le morti dei pazienti oncologici della Germania con quelle della Finlandia, di gran lunga inferiori, il motivo sarebbe da rintracciare nel stile alimentare adottato da ciascuno. Difatti, in Finlandia, molti alimenti sono stati rafforzati con l’aggiunta di vitamina D ormai da tempo. Sfortunatamente per tutti gli altri, solo un numero limitato di alimenti, come i pesci grassi salmone, tonno e sgombro, contengono notevoli quantità di vitamina D3. Questo rende l'integrazione una strategia alternativa per ottimizzare lo stato di questa preziosa sostanza.
L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi
Registrata in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, la carenza della vitamina D colpisce principalmente gli over 50. È quindi fondamentale integrare questa vitamina, per salvaguardare la salute, in quanto sostanza con un impatto decisivo sul sistema immunitario capace di favorire la prevenzione di diverse malattie. Recenti meta-studi hanno dimostrato che una dieta sana, caratterizzata da un livello equilibrato di questo ormone, potrebbe ridurre notevolmente i decessi causati dal cancro. La conferma arriva dallo studio firmato dal Centro tedesco di ricerca sul cancro (DKFZ). L’indagine pubblicata ha evidenziato che un’integrazione della vitamina in tutte le persone sopra i 50 anni potrebbe prevenire fino a 30.000 decessi per cancro ogni anno. In modo tale da attuare una forma di prevenzione importante, dal momento che un gran numero di persone soffre di un significativo deficit di vitamina D. Caduta di capelli, unghie fragili e mal di testa sono tra i principali sintomi di questa pericolosa condizione. Già 40 anni fa, uno studio epidemiologico suggeriva che la vitamina D potesse essere protettiva contro il cancro del colon-retto (CRC), poiché una maggiore esposizione al sole (UV-B) e una vita a latitudini più basse (che causano entrambi una maggiore formazione di vitamina D 3) porta a una minore incidenza per questo tipo di cancro.
Da quello del colon a quello del seno, da quelli del sangue a quello alla prostata. Una missione “salva-vite” quella della vitamina D che avrebbe dunque la capacità di sostenere l’arduo compito delle terapie contro il cancro. Hermann Brenner ha spiegato poi che l’integrazione di questo nutriente è fondamentale soprattutto per le persone sopra i 50 anni, per questo è bene consultare il proprio medico curante. Inoltre, è bene esporsi di più al sole, con le dovute cautele, per assimilarla dai raggi considerato che il nostro corpo non è capace di produrla. Un altro studio, quello condotto dall'Università della Finlandia orientale e dall'Università autonoma di Madrid e pubblicato sulla rivista scientifica Seminars in Cancer Biology a conferma della teoria dei colleghi tedeschi. Secondo questo precedente lavoro, le sue funzioni preventive sono molto più ampie e questa sostanza potrebbe essere un’arma vincente contro alcuni tumori, tra cui quelli del colon, del seno, della prostata e del sangue. L’indagine si basa sulla correlazione tra l’elevata reattività alla vitamina D alla riduzione del rischio di cancro. Gli autori hanno osservato che la vitamina D regola il sistema immunitario e che i suoi effetti anticancro vengono mediati principalmente dalle cellule immunitarie, come i monociti e le cellule T. Inoltre, questa sostanza applica i suoi effetti tramite il recettore della vitamina D (VDR). I suoi effetti sono particolarmente evidenti nella prevenzione del cancro del colon-retto e dei tumori del sangue, come leucemie e linfomi. Gli altri due tumori sensibili alla vitamina D sono il carcinoma mammario e prostatico. Anche in questo caso un basso livello di vitamina D è stato associato a una maggiore incidenza di cancro e una prognosi peggiore.
Vitamina D, un prezioso alleato ricco di proprietà e benefici
Secondo i ricercatori, ogni individuo ha una risposta molecolare e una sensibilità diversa alla vitamina D (e alla sua supplementazione). «La vitamina D contribuisce a mantenere e difendere la normale fisiologia dell'organismo contro l'apparizione e lo sviluppo delle neoplasie. L'identificazione dell'uso clinico ottimale del sistema vitaminico D è un compito che richiede sforzi continui» concludono gli autori. Dal punto di vista evolutivo, il ruolo principale della vitamina D è stato probabilmente il controllo del metabolismo energetico che successivamente si è spostato per modulare l'immunità innata e adattativa, nonché per regolare l'omeostasi del calcio e delle ossa. Poiché le cellule immunitarie e cancerose in rapida crescita utilizzano entrambe le stesse vie e geni per controllare la loro proliferazione, differenziazione e apoptosi, non sorprende che la segnalazione della vitamina D modifichi questi processi anche nelle cellule neoplastiche. Pertanto, gli effetti anti-cancro della vitamina D possono derivare dalla gestione della crescita e della differenziazione nell'immunità ovvero, gli effetti dell'1,25 (OH) 2 D 3 sull'epigenoma e sul trascrittoma e la sua relazione con la prevenzione e la terapia del cancro.
Nel 2018, in tutto il mondo, sono morte di tumore circa 10 milioni di persone. Il cancro è il termine generale che descrive una moltitudine di malattie molto eterogenee che hanno in comune la visualizzazione di una crescita eccessiva incontrollata di cellule in qualsiasi tessuto di un individuo. La base molecolare del cancro è l'accumulo di mutazioni puntiformi e variazioni del numero di copie, come amplificazioni e delezioni o grandi alterazioni cromosomiche come traslocazioni e aneuploidie, che aumentano l'attività degli oncogeni e diminuiscono quella dei geni oncosoppressori. Queste instabilità genomiche sono modulate da cambiamenti epigenetici attraverso azioni dirette degli enzimi che modificano la cromatina, nonché tramite effetti indiretti dei fattori di trascrizione. Sia i modificatori della cromatina che i fattori di trascrizione si trovano spesso al punto finale delle cascate di trasduzione del segnale che sono stimolate da vari segnali intra ed extracellulari. I cambiamenti dell'epigenoma sono innescati da segnali dell'ambiente cellulare, come nutrienti, tossine e citochine e chemochine correlate all'infiammazione. Pertanto, i cambiamenti epigenetici possono avere effetti sia dannosi che benefici sull'insorgenza e sulla progressione del cancro.
Tutte le proprietà benefiche della VITAMINA D per stare bene
Vi è ampio consenso sul fatto che la modulazione del sistema immunitario sia la più importante funzione extra-scheletrica della vitamina D. La vitamina D stimola il sistema immunitario innato a combattere in modo più efficiente contro le infezioni batteriche, come la tubercolosi, mentre previene le reazioni eccessive del sistema immunitario adattativo che possono causare malattie autoimmuni, come la sclerosi multipla. In generale, la vitamina D agisce come un induttore dell'immunità innata, come attraverso la regolazione della catelicidina peptidica antimicrobica secreta o della glicoproteina CD14 ancorata alla membrana plasmatica. Pertanto, la risposta precoce dei monociti e dei macrofagi alla stimolazione della vitamina D è un'azione pro-infiammatoria. In una fase successiva, la vitamina D spesso sposta la polarizzazione dei macrofagi dallo stadio M1 pro-infiammatorio e antitumorale allo stadio M2 immunosoppressivo e pro-tumorale. La carenza di vitamina D è associata anche al morbo di Crohn e alla colite ulcerosa, che sono le due manifestazioni fisiopatologiche predominanti della malattia infiammatoria intestinale. I tassi di malattia infiammatoria intestinale sono probabilmente in aumento a causa dei moderni stili di vita che influenzano la funzione del microbioma intestinale attraverso alti livelli di grassi saturi e zuccheri nella dieta e l'uso di antibiotici. La vitamina D è importante per regolare l'immunità della mucosa intestinale attraverso la modulazione della funzione di barriera immunitaria innata, l'integrità dell'epitelio intestinale e lo sviluppo e la funzione delle cellule T. Pertanto, la vitamina D può prevenire l'insorgenza di malattie infiammatorie intestinali attraverso la stabilizzazione dell'omeostasi del microbiota e migliorare la progressione della malattia tramite risposte immunitarie antinfiammatorie.
Science Direct "An update on vitamin D signaling and cancer"
Di Lei "Cancro al colon, la vitamina D funziona come uno scudo"
Gazzetta Active "Carenza di vitamina D: ecco perché è facile averla. Come diagnosticarla ed evitarla?"
Il Giornale "Come fare il pieno di vitamina D in estate"
Fondazione Veronesi "Sette italiani su dieci sono sotto i livelli minimi di questo prezioso micronutriente con grave rischio di osteoporosi"
La Repubblica "Un mare di bellezza"
Il Giornale "Tintarella salvavita: da 15' di sole vitamina D come 100 uova"
Ansa "Salute: importante ruolo vitamina D in infartuati"
Meteo Web "Infarto, importante ruolo della vitamina D: una carenza può aumentare il rischio"
Fanpage "Cancro, vitamina D e Omega-3 riducono il rischio di morte e infarto"
Quotidiano di Ragusa "Carenza di vitamina D? A rischio infarto"
Meteo Web "La vitamina D può aiutare a prevenire l’insufficienza cardiaca dopo un infarto"
Onco News "Legame tra infarto miocardico e deficit di Vitamina-D"
Huffington Post "Bagni di sole e camminate nei boschi per difendervi dal virus. I consigli del Trinity College"
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Sport e vitamina D: riduce il rischio di fratture ed aumenta la tonicità muscolare
La pelle, il nostro organo speciale, ma complesso. Il più esteso, il più “pesante” ed il più esposto dell’intero corpo umano e proprio in virtù della sua collocazione, come avviene anche per il resto del nostro organismo, abbiamo il dovere di prendercene cura con maggiore attenzione. Un importante rituale quotidiano che si fonda sui tre pilastri fondamentali del benessere: alimentazione, integrazione e skincare. Ancora meglio se a completare il quadro generale si aggiunge anche l’attività sportiva. Sono questi gli ingredienti per vivere in salute a 360° gradi. Costituito da diversi tessuti, questo organo rivestire il corpo umano. Assicura la protezione all’organismo e permette i rapporti con il mondo esterno. Altra curiosità: il suo spessore. Diverso nelle varie sedi del corpo umano, lo spessore medio nell’adulto è tra 1,5 e 2 mm nel palmo delle mani e nella pianta del piede mentre raggiunge i 4 mm nel cuoio capelluto. Solchi, pieghe e rilievi ne costituiscono la superficie che varia in base a una serie di fattori, tra cui l’adesione della pelle all’apparato locomotore e la disposizione degli annessi cutanei, cioè peli e unghie. Considerato lo specchio del corpo perché capace di riflettere eventuali disturbi del metabolismo (come avviene nei casi di eccesso di sebo o di batteri alla base di alcune malattie dermatologiche, tra cui la dermatite seborroica). Uno stile di vita sano con una regolare attività sportiva, una quotidiana igiene personale e una dieta equilibrata, sono gli elementi necessari per ristabilire l’equilibrio e la salute sia dell’organismo che della cute.
Il benessere interiore comincia dall’esterno. Importante, estesa ed esposta. La pelle è la nostra prima linea di difesa dagli attacchi esterni e svolge mansioni essenziali per il corretto funzionamento della “macchina-uomo”. Salute, benessere e bellezza sono legate dallo stesso filo conduttore e dipendono soprattutto dalle nostre scelte alimentari. Insomma, sani e forti sia dentro che fuori. Il primo segreto per mantenerla in salute, oltre al prezioso contributo delle giuste creme, è quello di fornire al nostro organismo un’idratazione costante e un’alimentazione corretta ed equilibrata, ricca di vitamine essenziali. Pelle e alimentazione procedono di pari passo, difatti, numerose patologie cutanee si acuiscono a causa di una cattiva alimentazione. Tra i nutrienti fondamentali per il suo mantenimento indubbiamente figura la vitamina C, indispensabile nella formazione del collagene, svolge un ruolo non indifferente nella crescita e nella riparazione dei tessuti, oltre a proteggere la pelle dall’inquinamento atmosferico e dalla foto-ossidazione causata ai raggi UV. La vitamina A favorisce il rinnovamento cellulare, migliorando l’idratazione della pelle e rendendola più elastica. La vitamina-ormone, la D con il suo ruolo essenziale di barriera cutanea, di strumento di difesa della nostra pelle, oltre che di fattore di crescita delle cellule cutanee. Altrettanto importanti poi gli omega 3 (in grado di contrastare la produzione di radicali liberi, rallentando l’invecchiamento cellulare e con il loro triplice ruolo fanno da barriera per gli elementi dannosi, aiutano il passaggio delle sostanze nutritive e permettono l’espulsione di sostanze di scarto) oltre alle vitamine B ed E (fondamentale per combattere l’invecchiamento cutaneo, con azione di contrasto ai radicali liberi). Contro la secchezza poi, l’importanza dell’idratazione, dall’interno così come dall’esterno. Ma per mantenere sana e luminosa la nostra cute ci sono anche altri accorgimenti che passano dalla dieta all’attenzione per l’idratazione fino ai trattamenti. Una pelle è sana e luminosa se si è in equilibrio dentro!
Protezione, controllo, regolazione termica, escrezione, assorbimento, difesa, etc… Un mediatore fondamentale tra il mondo esterno e quello interno che svolge tantissime importanti funzioni. La pelle esercita la sua principale funzione come una sorta di barriera anatomica contro potenziali patogeni ed eventuali agenti nocivi e tutte le varie forme di aggressioni esterne. Insomma, la prima linea di difesa forte, ma al tempo stesso uno strato sensibile e delicato, poiché contiene, al suo interno, numerose terminazioni nervose che rilevano le variazioni termiche (termocettori), le pressioni (pressocettori), vibrazioni e sensazioni dolorose (algocettori), media il senso del tatto. Si presenta poi, regolando anche l'escrezione di elettroliti tramite la sudorazione, come uno scudo asciutto e impermeabile contro la perdita di liquidi. Inoltre, la pelle è un ottimo mezzo per espellere dall’organismo sostanze di rifiuto (acqua, sali, etc…) attraverso la sudorazione che svolge, per l'appunto, una funzione termoregolatrice. Grazie all’afflusso ematico notevolmente superiore alle sue effettive necessità metaboliche, si dimostra perfettamente idonea per la regolazione della temperatura corporea. Nello specifico, questo si verifica perché la vasodilatazione provoca un incremento del flusso ematico locale che favorisce la cessione dell'energia termica all'ambiente esterno e viceversa, la vasocostrizione, riducendo la quantità di sangue in transito, preserva per contro le dispersioni termiche. Infine, la pelle costituisce un serbatoio di lipidi e acqua tale da permettere la sintesi di alcune sostanze necessarie, tra cui la preziosa vitamina D3.
La cute rappresenta lo strato più esterno dell'apparato tegumentario appena sopra il tessuto sottocutaneo o ipoderma, una regione di connettivo fibrillare lasso ricco, a seconda del posto, di tessuto adiposo. A sua volta la pelle è formata da epidermide e derma. Il legame con l'ipoderma conferisce un'aderenza negli strati più profondi (come muscoli od ossa) molto variabile. Formata da tre parti, l'epidermide, il derma e l’ipoderma che rappresentano rispettivamente un epitelio di rivestimento pavimentoso pluristratificato cheratinizzato e un tessuto connettivo di sostegno e originano da ectoderma e mesoderma. L’epidermide è quella parte a contatto diretto con l’esterno e svolge essenzialmente una funzione di protezione. Sotto l’epidermide e sostenuto da esso, il derma che offre sede alle appendici epidermiche, cioè a peli e ghiandole. Costituito dal collagene che assicura robustezza alla pelle, l’elastina che la rende elastica e dai mucopolisaccaridi con una funzione cementante. In questo strato cutaneo sono, altresì presenti i vasi sanguigni, le innervazioni e gli annessi cutanei. Ovvero, le ghiandole sudoripare, i follicoli piliferi, i peli, le ghiandole sebacee e il muscolo del pelo. Scendendo poi ancora più in profondità, e quindi, al di sotto del derma si trova l’ipoderma, un tessuto di natura prevalentemente adiposa. La sua funzione principale è quella di cuscinetto, di isolante. Si presenta come una riserva di calorie per i periodi di digiuno ed è copiosamente innervato e vascolarizzato. La pelle è una struttura estremamente complessa che svolge funzioni molto importanti per il nostro corpo e proprio per questo deve essere attentamente pulita, idratata e protetta in particolari situazioni facendo attenzione ai prodotti utilizzati: rigorosamente salutari e che non arrechino danni a questo complesso e prezioso ecosistema.
La pelle è un vero e proprio organo a cui dare la stessa importanza e la stessa cura, al pari dei nostri organi interni. Possiamo aiutarla in misura significativa, oltre che con l’utilizzo di micronutrienti, come sali minerali e vitamine, anche con altri due prodotti come l’argento colloidale al 100% naturale ed il trealosio, ove gli studi scientifici di settore, ne hanno comprovato la loro eccellenza in termini di efficacia, stabilità e sicurezza. Un validissimo aiuto naturale dalle innumerevoli proprietà, per il benessere del nostro organo pelle.
Sottolinea Gloria Mosconi, biologa. Un organo che svolge funzioni essenziali: da quella protettiva a quella di termoregolazione, da quella sensoriale a quella respiratoria, passando poi per quella secretiva, difensiva e riproduttiva.
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Acclarata già da tempo la relazione che associa la carenza di vitamina D alle forme più gravi di coronavirus, viene confermata ancora volta da un altro studio che dimostra i tanti benefici di questo ‘ormone del sole’ e gli eventuali rischi di un eventuale deficit. Questa volta lo sostiene una ricerca condotta all’Ospedale Sant’Andrea di Roma e pubblicata sulla rivista scientifica Respiratory Research. «Abbiamo osservato in particolare 52 pazienti ricoverati da noi con polmoniti da Covid durante la prima ondata, pazienti anziani con un’età media di 68 anni e mezzo, accomunati da livelli estremamente bassi di vitamina D, inferiori a 10 ng/ml. Tutti avevano quadri respiratori e immunologici particolarmente gravi», spiega in un’intervista a Gazzetta Active il professor Alberto Ricci, direttore dell’U.O.C. di Pneumologia dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma. Insomma, che la carenza di vitamina D potrebbe diventare un fattore predisponente per ammalarsi di Covid e portare ad un esito severo o addirittura letale della malattia l’aveva già sostenuto a inizio pandemia, in una lettera al British Medical Journal, il professor Andrea Giustina primario di Endocrinologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente della European Society of Endocrinology. Nella lettera, il primario evidenziava come carenze di vitamina D aumentino la predisposizione ad infezioni sistemiche e abbassino la risposta immunitaria, favorendo anche il rischio di malattie autoimmuni.
Uno scenario critico soprattutto in un momento storico in cui il Covid stava compiendo la sua prima strage, soprattutto di anziani, nel Nord Italia. Caratteristica che è rimasta poi invariata anche nella seconda ondata dove tra le regioni più colpite risultano sicuramente quelle settentrionali. Dal Veneto al Piemonte, dalle Valle D’Aosta alla Lombardia. E non dimentichiamo che sono stati proprio i dati di quella parte di Italia a far schizzare il bilancio dei contagi e delle vittime nel Paese, portandoci in vetta alle tristi classifiche mondiali sullo stato dell’infezione da Sars-CoV-2. Quindi, la peggior letalità del Sars-CoV-2 scaturita dalla minore (o nulla) esposizione ai raggi solari, mezzo primario per sintetizzare la vitamina D. Stando a quanto riportato in diversi studi, nella popolazione italiana si registrano, soprattutto negli ultimi anni, bassi livelli di vitamina D. Questo perché noi non addizioniamo il cibo come fanno, per esempio, i Paesi scandinavi. Inoltre, emerge da un’altra importante metanalisi pubblicata nel 2017 sul British Medical Journal che i pazienti particolarmente carenti di vitamina D, ai quali venivano somministrate integrazioni della stessa, avevano meno infezioni respiratorie. Altro importante collegamento è quello che emerge tra predisposizione alle fratture, bassi livelli di calcio e di vitamina D e vulnerabilità all’infezione da coronavirus e outcome peggiore dei malati. Tuttavia, questo ormone che è un composto naturale fisiologicamente già presente nell’organismo non può essere addizionato completamente mediante alimentazione poiché il cibo fornisce solo il 20% del fabbisogno giornaliero di questo prezioso nutriente.
L’indagine ha inoltre evidenziato i tanti effetti benefici della vitamina “del sole” oltre che sul sistema immunitario anche per il metabolismo delle ossa ed, in particolare, contro le infezioni.
Lungi dal considerare la vitamina D come un trattamento – sottolinea il professor Ricci – va però detto che rappresenta probabilmente, e non soltanto per il Covid-19, un elemento da valutare per le implicazioni legate ad una sua carenza. Non è solo di una vitamina necessaria per il metabolismo dell’osso, ma probabilmente svolge funzioni molto più complesse anche per quanto riguarda la parte immunologica, sia durante lo sviluppo del sistema immunitario sia nelle fasi successive di mantenimento e attività del sistema immunitario stesso - chiarisce Ricci. - Si tratta di un’osservazione interessante che potrebbe essere considerata anche in altri tipi di patologie infettive, non solo nel Covid.
Un nuovo studio che riporta sotto i riflettori un fenomeno di tutti quei Paesi del Nord Europa, quelli meno esposti al sole, il cosiddetto “paradosso scandinavo”: «C’è una campagna di implementazione di vitamina D importante che noi non facciamo, forse perché ci riteniamo naturalmente più protetti perché più esposti al sole. Ma certe popolazioni fragili come gli anziani stanno prevalentemente chiusi in casa o nelle Rsa e il sole non lo vedono. Proprio in questi casi, ma non solo, studiare i livelli plasmatici di vitamina D può essere molto importante per decidere eventuali integrazioni». Inoltre, a differenza degli italiani, gli scandinavi hanno sopperito a questa carenza, noi invece no, spiega l'autore dello studio.
I suoi importanti effetti a livello immunitario era confermati già nell’Ottocento quando, per contrastare la tubercolosi, le persone venivano esposte al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi erano maggiormente esposti ai raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di tubercolosi o guarivano più velocemente. Un paradosso, quello scandinavo, che permette di formulare un’ipotesi per l’Italia, colpita così duramente dalla pandemia, a causa degli scarsi, e quindi insufficienti, livelli di vitamina D registrati tra la popolazione. A questo scenario critico si lega l’importanza dell’integrazione che non prevede nessuna controindicazione. «La vitamina D non è un farmaco tossico, somministrarla a chi ha una carenza ne potenzia le risposte immunitarie. Dal lato opposto, chi ha livelli di vitamina D molto bassi è probabilmente molto più esposto alle infezioni in generale, respiratorie e non solo», conclude il professor Ricci.
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Respiratory Research "Circulating Vitamin D levels status and clinical prognostic indices in COVID-19 patients"
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Nurse Time "Coronavirus, carenza di vitamina D associata a stadi clinici più compromessi"
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Ansa "ANSA-IL-PUNTO/ COVID: PIEMONTE si attrezza contro varianti"
Nutrients "Effectiveness of In-Hospital Cholecalciferol Use on Clinical Outcomes in Comorbid COVID-19 Patients: A Hypothesis-Generating Study"
Jama Network "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"
Springer Link "Associations between hypovitaminosis D and COVID-19: a narrative review"
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Il Resto del Carlino "Covid, con la vitamina D rischio di decesso e ricovero in Intensiva calato dell'80%"
La Nazione "Covid, calo di morti con la vitamina D"
La Gazzetta di Parma "Calo dei morti da Covid col trattamento con vitamina D: uno studio anche parmigiano"
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The Guardian "Add vitamin D to bread and milk to help fight Covid, urge scientists"
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Queen Mary University "Clinical trial to investigate whether vitamin D protects against COVID-19"
ISS "COVID-19: la vitamina D potrebbe cooperare con l’interferone nella risposta antivirale"
Today "Coronavirus e Vitamina D: la ricerca sull'olio di merluzzo e Covid-19"
Journal of American Medical Association Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19"
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Leggo "Covid, 8 pazienti su 10 ricoverati in ospedale erano carenti di vitamina D"
Giornale di Brescia "Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti ricoverati"
Corriere del Ticino "Carenza di vitamina D nell’80% dei pazienti COVID"
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AGI "Le carenze di vitamina D potrebbero aumentare la vulnerabilità al Covid"
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“Mettete via quei carboidrati”. È questo il suggerimento del dietologo Sukkar sullo stile alimentare da seguire per combattere il Covid. Un regime alimentare a basso contenuto di carboidrati e alto contenuto di lipidi in pazienti affetti da coronavirus contribuisce non solo alla riduzione delle complicanze, ma anche della letalità di questa infezione. La sorprendente scoperta di questo studio porta la firma del dottor Samir Giuseppe Sukkar e del professor Matteo Bassetti, rispettivamente direttori della Dietetica e nutrizione clinica e della Clinica di malattie infettive dell’Ospedale Policlinico San Martino. L’indagine, pubblicata sulla prestigiosa rivista statunitense Nutrition evidenzia una risposta immunitaria esagerata messa in atto dall’organismo per difendersi dal virus. Il ruolo cruciale in questo quadro critico è svolto dalla cosiddetta “tempesta citochinica” nelle persone contagiate dal Covid. Questo meccanismo avviene ad opera dei macrofagi M1, cellule che consumano glucosio che sono poi tra i principali responsabili del rilascio di citochine, ovvero molecole implicate nel processo di infiammazione. La ricerca dimostra l’efficacia di una dieta che, prevedendo una drastica riduzione dell’apporto di carboidrati, ma anche di zuccheri, porterebbe ad una minore disponibilità di nutriente per i macrofagi M1, con conseguente controllo e limitazione della produzione di citochine, in grado di scatenare, se prodotte in quantità eccessive, una vera e propria tempesta di citochine.
Condotto tra febbraio e luglio dello scorso anno su 102 pazienti Covid ospedalizzati al Policlinico, lo studio ha messo a confronto 34 persone che avevano seguito una dieta normocalorica, normoproteica con altri 68 soggetti che, invece, avevano seguito, sempre nello stesso periodo, uno stile alimentare diverso. Con risultati estremamente rilevanti sulla sopravvivenza a 30 giorni e sulla necessità di trasferimento in terapia intensiva. Entrambi i parametri sono infatti risultati minori nei pazienti sottoposti a dieta chetogenica. Questo equilibrio, suggerito dal professor Sukkar, è motivato e legato ad alcuni nutrienti che si attivano e funzionano come una sorta di barriera contro l’infiammazione causata da questo virus, così come per altre malattie. Insomma, secondo l’esperto la parola d’ordine è: prevenzione! L’infiammazione legata al virus non può essere certo “curata” con una dieta miracolosa, ma «oltre ai farmaci può essere pilotata grazie all’alimentazione» sottolinea l’esperto. Il dietologo raccomanda, infatti, di puntare sugli alimenti che hanno un effetto protettivo in caso di malattie. Ovviamente sono banditi tutti gli altri! «Un suggerimento che mi sento di dare – spiega Sukkar – è quello di tenere sotto controllo i carboidrati, specialmente se avete febbre, gli zuccheri semplici possono scatenare una risposta infiammatoria maggiore quindi anche se ci fa piacere mettere in bocca qualcosa di dolce se qualcuno di noi si ammala deve rigorosamente eliminare queste sostanze che sono controproducente perché aiutano invece lo stress sedativo».
Una ricerca che getta le basi a tante teorie, secondo quanto sostiene Samir Giuseppe Sukkar, ma che permette di considerare la nutrizione in base ai suoi effetti terapeutici nel contrasto alla pandemia da coronavirus.
In questo studio, per la prima volta, consideriamo la nutrizione in una valenza non più di supporto ma anche terapeutica potendo contribuire fortemente a bloccare la grave complicanza del Covid-19 ovvero la tempesta citochinica, capace di contribuire al miglioramento della prognosi di pazienti affetti da Covid-19. Inoltre, anche se all’esperienza recentemente pubblicata farà seguito uno studio randomizzato controllato multicentrico per ulteriori conferme, ritengo che, allo stato attuale, sia fortemente necessario prendere in considerazione questa dieta [...] - basata sulla riduzione dell’attivazione delle cellule infiammatorie (macrofagi) - soprattutto in soggetti positivi in cura presso il proprio domicilio. In particolare, la dieta dovrebbe essere suggerita per i soggetti obesi, fortemente a rischio di complicanze da Covid-19. Ricordo – conclude – che la dieta non può e non deve essere un ‘fai da te’ e particolare attenzione deve essere posta nei soggetti diabetici, nefropatici e donne in gravidanza in quanto, pur trattandosi di una dieta normocalorica, la ridotta presenza di zuccheri potrebbe essere pericolosa per soggetti in terapia insulinica, ipoglicemizzante o nefropatici. Sempre chiedere al proprio medico se ci possono essere controindicazioni al suo utilizzo.
Nello specifico, l'iperattivazione dei macrofagi M1 con un fenotipo proinfiammatorio, che è legato alla glicolisi aerobica, porta al reclutamento di monociti, neutrofili e piastrine dal sangue circolante e svolge un ruolo cruciale nella tromboinfiammazione (come recentemente dimostrato nel Covid-19) attraverso la formazione di trappole extracellulari di neutrofili e aggregati piastrinici monociti, che potrebbero essere responsabili della CID (coagulazione intravascolare disseminata). La modulazione della disponibilità di glucosio per i macrofagi M1 […] potrebbe rappresentare un possibile strumento metabolico per ridurre la produzione di adenosina trifosfato dalla glicolisi aerobica nel fenotipo del macrofago M1 durante la fase essudativa. Questo approccio potrebbe ridurre la sovrapproduzione di citochine e, di conseguenza, l'accumulo di neutrofili, monociti e piastrine dal sangue.
In particolare, la dieta dovrebbe essere consigliata soprattutto a soggetti obesi o in sovrappeso, e quindi, fortemente a rischio di complicanze da SARS-CoV2. «La collaborazione con i colleghi dell’unità operativa nutrizione clinica e l’attenzione alla dieta dei pazienti Covid positi denota l’importanza della multidisciplinarietà nella gestione e cura dei pazienti affetti da questa infezione. La multidisciplinarietà è stata tra i capisaldi oltre ai punti di forza del lavoro medico, clinico e scientifico svolto sul Covid al Policlinico San Martino», aggiunge Matteo Bassetti.
Nutrition "Induction of ketosis as a potential therapeutic option to limit hyperglycemia and prevent cytokine storm in COVID-19"
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Immunity "Lipid-Droplet Formation Drives Pathogenic Group 2 Innate Lymphoid Cells in Airway Inflammation"
Quotidiano di Ragusa "Dieta chetogenira normocalorica contro iperinfiammazione Covid"
Genova24 "La dieta chetogenica efficace contro il Covid: lo studio del Policlinico San Martino"
Liguria Notizie "Bassetti e Sukkar: ridurre carboidrati, dieta chetogenica efficace contro il Covid"
Di Lei "Dieta chetogenica: a chi fa bene"
Journal of Translational Medicine "The dark side of the spoon - glucose, ketones and COVID-19: a possible role for ketogenic diet?"
AGI "La dieta chetogenica può ridurre i rischi di complicanze nel Covid-19"
Gazzetta Active "La dieta chetogenica è un’arma contro il Covid? Uno studio sostiene che può ridurre la mortalità"
San Raffaele "Obesità-COVID-19: la dieta chetogenica aiuta a ridurre i rischi da Sars-Covid2"
The Lancet "Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality"
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Dolorosa e invalidante. Acuta o cronica è senza dubbio, la più nota è quella reumatoide. Tra le patologie della mano più comuni e fastidiose c’è sicuramente l’artrite. Dalle dita rigonfie a quelle deformate cosiddette “a collo di cigno”. I tratti distintivi di questa malattia sono senza dubbio dolori localizzati tra al pollice, medio e anulare, formicolii, rigonfiamenti oltre al “dito a scatto”. Una patologia autoimmune sistemica in cui alcune cellule del sistema immunitario che mutano e attaccano il proprio organismo aggredendolo. Nello specifico, la membrana affetta da artrite crea il panno sinoviale che, espandendosi, intacca legamenti, tendini e cartilagini. Le articolazioni maggiormente bersagliate sono sicuramente polsi, gomiti, ginocchia, caviglie, piedi e mani. In pratica, nelle persone malate di artrite reumatoide, produce erroneamente anticorpi che attaccano il rivestimento delle articolazioni (membrana sinoviale), causando infiammazione e dolore. L’infiammazione, a sua volta, produce sostanze chimiche (citochine) che provocano l’ispessimento e l’aumento di volume della membrana sinoviale e danneggiano le ossa, le cartilagini, i tendini e i legamenti circostanti. In assenza di cure, le citochine possono causare la deformazione dell’articolazione e, da ultimo, distruggerla completamente. Le ipotesi più accreditate sostengono che la malattia si manifesti in individui geneticamente predisposti quando siano esposti ad un evento o ad un agente, scatenante (quale un virus o un batterio), non ancora individuato che innesca la reazione immunitaria. Colpisce dalle tre alle sette persone ogni mille, in prevalenza donne, con un picco di insorgenza in una fascia d’età compresa fra i 45 e i 65 anni. Dalla rigidità al movimento alla conseguente perdita della funzionalità delle articolazioni coinvolte. «L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica autoimmune che attacca i tessuti articolari di una persona il cui sistema immunitario, invece di proteggere l’organismo dagli agenti esterni come virus e batteri, si attiva in maniera anomala contro di esso» spiega al Corriere della Sera Roberto Gerli, presidente della Società Italiana di Reumatologia.
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In Italia, 400.000 persone soffrono di artrite reumatoide. L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce in maniera elettiva le articolazioni. La sua prevalenza ovvero il numero di casi di artrite reumatoide nella popolazione mondiale è di circa l’1%. In Italia la media è di un malato ogni 250 persone. Tra le malattie osteoarticolari, l’artrite reumatoide, rappresenta la malattia più grave in termini di danno strutturale delle articolazioni, di danno osseo secondario, di complicanze extra-articolari, di comorbidità associate e di rischio di mortalità. Come accade per altre malattie autoimmuni è lo stesso sistema immunitario (che di norma difende l’organismo dalle aggressioni esterne) ad attaccare i tessuti sani, non riconoscendoli come tali. Il “bersaglio” privilegiato degli anticorpi, in questo caso è la membrana sinoviale, che è il foglietto di rivestimento interno della capsula articolare e che si riflette ai margini di questa andando poi a tappezzare le superfici ossee articolari. Tale membrana reagisce all'infiammazione aumentando di volume e dando origine al panno sinoviale. Questo si espande fino a provocare la graduale distruzione della cartilagine, ma il processo proliferativo nei casi più gravi arriva a toccare le ossa e gli altri tessuti circostanti (osso subcondrale, capsule, tendini, legamenti). Tuttavia, l’infiammazione potrebbe coinvolgere i vasi sanguigni, le sierose, i muscoli, i polmoni, i reni, il cuore, il sistema nervoso centrale e periferico, l’apparato visivo, quello emopoietico. Tra le categorie più a rischio ci sono indubbiamente anche le persone obese o in sovrappeso, questo perché l’aumento di peso sovraccarica le articolazioni aumentando il rischio di infiammazione.
Sotto il nome di artrite, che significa letteralmente “articolazione dolorante”, rientrano più di cento condizioni diverse. Unico comune denominatore, la caratteristica di provocare un'infiammazione a livello articolare. Fino a poco tempo fa confusa o associata all’artrosi, malattia ben diversa che colpisce i condrociti, le cellule che costituiscono la cartilagine e che, nonostante abbia una componente infiammatoria non è una malattia infiammatoria. Tra i sintomi manifesti di questa infiammazione articolare dolore, gonfiore, rigidità al movimento e successiva perdita della funzionalità delle articolazioni coinvolte. La rigidità articolare, maggiormente intensa al risveglio, può durare per tutta la giornata. Si tratta di uno dei principali campanelli d’allarme dell’artrite reumatoide: in altre patologie articolari (come l’osteoartrosi) questo disturbo tende a svanire più rapidamente. Inizialmente, la perdita della funzionalità articolare può essere determinata dall’infiammazione della membrana sinoviale (o sinovite). Nella fase avanzata della malattia è più frequentemente associata alle deformità articolari e alle anchilosi. Di solito, l’artrite reumatoide colpisce in modo bilaterale e simmetrico. Tra le varie forme di artrite:
Osteoartrite: più comune soprattutto tra le persone anziane, è la causa principale di disabilità fisica, tra le donne dopo i 45 anni di età. Lesiona le cartilagini e conseguentemente comporta spesso un contatto diretto tra le ossa nelle articolazioni. Si manifesta su mani, collo, fondoschiena e sulle articolazioni su cui si scarica il peso del corpo, come le ginocchia, i fianchi e i piedi.
Artrite reumatoide: (come già detto) interessa le articolazioni, ma anche i tessuti epidermici, polmonari, oculari e i vasi sanguigni. Le persone colpite si sentono stanche e febbricitanti. Una malattia autoimmune che si manifesta solitamente in modo simmetrico nei vari organi (entrambe le mani o entrambe le ginocchia). Può comparire a qualunque età, ma colpisce perlopiù le persone nel loro periodo di maggior produttività. Le donne colpite sono circa due volte più numerose che gli uomini.
Gotta: si manifesta come dolore improvviso e molto intenso e infiammazione e ingrossamento delle articolazioni. Frequentemente gli attacchi sono notturni e possono essere conseguenti all’uso di alcol, droghe o altre malattie pre-esistenti. E’ dovuta all’accumulo di cristalli di acido urico nei tessuti connettivi che si trovano nelle articolazioni. E’ più frequente negli uomini tra i 40 e i 50 anni, mentre nelle donne compare solitamente solo in menopausa.
Artrite reumatoide giovanile: la forma più comune tra i bambini, che causa dolore, irrigidimento, gonfiore e perdita di funzione delle articolazioni. Può essere associata ad episodi di febbre e può colpire diverse parti del corpo.
Fibromialgia: una malattia cronica che causa dolori in tutti i tessuti che supportano ossa e articolazioni. I dolori e l’irrigidimento si manifestano nei muscoli e nei tendini, soprattutto sul collo, colonna vertebrale, spalle e fianchi.
Lupus sistemico eritematoso: malattia autoimmune che comporta infiammazione di articolazioni, pelle, reni, cuore, polmoni, vasi sanguigni e cervello.
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Oltre a queste, ci sono anche altre forme di artrite che colpiscono anche tessuti e organi interni: lo scleroderma (che colpisce soprattutto la pelle), la spondiloartropatie (un insieme di forme che interessano principalmente la colonna vertebrale), l’artrite infettiva (causata da un agente batterico o virale, come i gonococchi o i porvovirus), la polimialgia reumatica (colpisce tendini, muscoli, legamenti, e tessuti articolari), la polimiositi (genera infiammazione muscolare), l’artrite psoriasica (che si manifesta in persone già colpite da psoriasi, soprattutto sulle dita di mani e piedi), le borsiti (infiammazione delle bursae, che contengono liquidi atti a ridurre la frizione tra le ossa) e le tendiniti (comportano infiammazione dei tendini, sia per eccessivo e scorretto uso che per una pregressa condizione reumatica).
Una dieta a ridotto contenuto infiammatorio è associata a una maggiore perdita di peso, riduzione dell’infiammazione, migliori prestazioni fisiche e minore dolore articolare. Difatti, uno stile alimentare “a basso contenuto infiammatorio” potrebbe portare persino alla riduzione del dolore e al miglioramento delle funzioni fisiche. Come suggerito dal dottor Gianfrancesco Cormaci, specialista in biochimica clinica «il regime alimentare previsto per alleviare questi sintomi è la dieta antinfiammatoria che si basa essenzialmente sui cibi ad alto contenuto di antiossidanti, polifenoli, carotenoidi, acidi grassi omega 3, cibi a basso indice glicemico». In questo regime alimentare viene favorito anche l’utilizzo dell’olio extravergine di oliva come principale fonte di grassi ed è altresì consigliata la riduzione o la minimizzazione di carboidrati, alcolici e zuccheri. Sono, invece, da prediligere tutti quegli alimenti che contengono grassi omega 3 la curcuma perché in grado di contrastare gli stati infiammatori, l’olio EVO perché è da considerarsi un farmaco naturale. Insomma, da evitare assolutamente, zuccheri, cereali e tutti i cibi OGM. Questi cibi se inseriti all’interno di un’alimentazione sana e bilanciata, possono offrire un valido aiuto per alleviare i fastidiosi sintomi dell’artrite.
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Più del 30%. È questo il dato importante che emerge dall’ultimo report dell’ADI, l’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica. L’incremento medio è stato registrato nel periodo compreso tra febbraio 2020 e febbraio 2021 dove, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è stato rilevato un abbassamento della fascia di età (13-16 anni) e un aumento delle diagnosi, soprattutto di soggetti affetti da anoressia nervosa. Nell’ultimo anno, complice la pandemia e le relative restrizioni dovute in un primo momento al lockdown e successivamente al coprifuoco, passando poi, tra il giallo, l'arancione e il rosso, dei vari colori regionali sono tutti i fattori che hanno ridefinito il nostro rapporto con il cibo. Dallo stato d’animo al malessere psicologico. «Durante la pandemia la situazione è stata complicata anche dal ridotto accesso alle cure, con centri chiusi, meno disponibilità e possibilità di seguire i pazienti in presenza» spiega in un’intervista all’Huffington Post il dottor Riccardo Dalle Grave, responsabile dell’Unità di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda di Garda. Anche l’autore dell’articolo “Coronavirus Disease 2019 and Eating Disorders - What do people with eating disorders have to address during the pandemic?” pubblicato su Psychology Today ha evidenziato che «il distanziamento sociale e l’isolamento hanno prodotto molti casi di disturbo dell’alimentazione o hanno causato ricadute in soggetti che erano in remissione anche da molto tempo. Ho visto pazienti che, durante il lockdown, sono tornati a combattere contro il disturbo dopo oltre un decennio di remissione».
Aumento di peso e perdita della forma fisica causate soprattutto dall’assenza di attività sportiva. Tra i fattori scatenati poi, oltre alla “clausura” tra le mura domestiche anche le notevoli scorte alimentari presenti in casa durante il confinamento domiciliare. Insomma, un anno all’insegna delle grandi abbuffate ha sicuramente favorito un aumento comportamentale di questo disturbo. Lo scorso febbraio il Lancet ha pubblicato una recensione di Samantha Brooks e colleghi del King's College di Londra su 24 studi sull'impatto psicologico della quarantena. La maggior parte degli studi ha riportato effetti psicologici negativi inclusi sintomi di stress post- traumatico, confusione e rabbia. I fattori di stress includevano una quarantena più lunga, paure di infezione, frustrazione, noia, forniture inadeguate, disinformazione, perdite finanziarie e stigma. Secondo la revisione, i bambini e gli adolescenti sembrano particolarmente a rischio di disturbo da stress post-traumatico. Inoltre, le persone con disturbi alimentari hanno un alto rischio di ricaduta o di peggioramento della gravità del loro disturbo, a causa delle paure di infezione e dell'effetto della quarantena, e per la carenza di cure psicologiche e psichiatriche adeguate a causa della pandemia. Le paure di infezione tendono ad aumentare la sensazione di non avere il controllo che, nelle persone con disturbi alimentari, è spesso gestita con un aumento delle restrizioni dietetiche o altri comportamenti estremi di controllo del peso o con episodi di abbuffate.
Tra i più colpiti dall’emergenza, anzitutto i più giovani.
I dati relativi all’aumento di casi di disturbi alimentari post lockdown – spiega Bracalenti all’agenzia Dire -, da febbraio a maggio 2020, del 30% in bambini e preadolescenti è certamente allarmante. Tuttavia bisogna fare attenzione a evidenziare solo la scarsità dell’offerta di trattamenti psicologici e psichiatrici nel corso dell’emergenza Covid-19, come se il trattamento di questi disturbi potesse essere esclusivamente di tipo clinico. Come è noto, invece, la risposta deve essere integrata, complessa, volta a promuovere in senso olistico uno stile di vita sano. Le occasioni di socializzazione, lo sport e tutte le altre attività analoghe sono venute meno durante la pandemia, anche più dei servizi di salute mentale. C’è il rischio concreto che la crisi del Covid-19 porti a cercare in una medicalizzazione diffusa la soluzione a tutti i problemi che emergono: pur necessari, i trattamenti clinici da soli non sono sufficienti.
3 milioni di persone, nel nostro Paese, soffrono di disturbi alimentari (DCA). 2,3 milioni sono adolescenti, principalmente donne. «Le patologie di questo tipo emergono in prevalenza tra i 12 e i 25 anni, ma ultimamente l’età di insorgenza dell’anoressia nervosa si sta abbassando: circa il 20% delle nuove diagnosi riguarda la fascia 8-14 anni. Se è vero che oltre il 95% di chi soffre di questi disturbi è di sesso femminile, il fenomeno dell’anoressia nervosa non esclude di certo i ragazzi. Soprattutto nell’ultimo periodo», evidenzia in un’intervista all’Huffington Post la dottoressa Elena Bozzola, Segretaria Nazionale della Società Italiana di Pediatria. D'altra parte, la quarantena, creando la separazione dalla sfera sociale e la limitazione dei movimenti, può contribuire al mantenimento della psicopatologia del disturbo alimentare attraverso diversi meccanismi. Come ad esempio:
Anoressia, bulimia e il drammatico e, a volte, mortale rapporto con il cibo. Già a inizio pandemia, l’Iss e l’EpiCentro in un articolo, avevano approfondito il tema dei disturbi alimentari durante la pandemia ponendo l’attenzione su alcuni fattori cruciali. Gli esperti spiegano nella nota che coloro che soffrono di disturbi alimentari tendono ad essere più fragili, andando incontro a problemi come quelli respiratori e a una maggiore vulnerabilità al rischio di infezione. Nelle persone con disturbi alimentari e altre condizioni concomitanti, come depressione, ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo post-traumatico e disturbo da uso di sostanze, la ruminazione, la preoccupazione e l'ansia innescate dalla pandemia Covid-19 possono accentuare il gravità della condizione di comorbilità che spesso interagisce negativamente con la psicopatologia del disturbo alimentare. Senza trascurare poi che, le persone sottopeso con un disturbo alimentare sono a più alto rischio di complicazioni mediche associate alla malnutrizione e, sebbene non abbiamo dati, potrebbero essere a maggior rischio fisico nel caso di un'infezione da Coronavirus.
Il Messaggero "Coronavirus, anoressia e bulimia tra gli effetti dell'ansia causata dal virus"
Huffington Post "Un’epidemia nella pandemia: +30% casi disturbi alimentari nell'anno del Covid"
Psychology Today "Coronavirus Disease 2019 and Eating Disorders"
Harvard University "Evaluating COVID-19 Public Health Messaging in Italy: Self-Reported Compliance and Growing Mental Health Concerns"
Ministero della Salute "Disturbi della nutrizione e dell'alimentazione"
Huffington Post "Perché per chi soffre di disturbi alimentari l'isolamento è un mostro (e un pericolo)"
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Uno studio siciliano riaccende i riflettori sui benefici degli integratori alimentari soprattutto nella prevenzione dell’infezione da coronavirus. Insomma, oltre ai tanti e già noti benefici per il nostro organismo, queste sostanze riducono il rischio di malattia grave e di sviluppare, in caso di contagio, pericolose complicanze. L’indagine, realizzata da un équipe di ricerca coordinato dal professore Salvatore Corrao, componente del comitato tecnico scientifico della Regione Siciliana e direttore del reparto Covid dell'Ospedale Civico di Palermo, ha indagato e dimostrato l'efficacia antinfiammatoria di integratori a base di vitamina C, D, melatonina e zinco nel trattamento del Covid-19. La ricerca è stata poi pubblicata sulla rivista internazionale Nutrients. Un complesso di sostanze capaci di favorire il benessere contrastando i processi degenerativi. «L’integrazione può essere un valido aiuto per migliorare il nostro sistema immunitario su diversi fronti anche per contrastare le malattie infettive» suggerisce Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. Premesso, questo è indiscutibile, che uno stato nutrizionale ottimale riduca efficacemente l'infiammazione e lo stress ossidativo, migliorando la regolazione del sistema immunitario. Inoltre, un'integrazione consapevole potrebbe essere efficace per migliorare lo stato di salute, non solo in generale, ma soprattutto quella dei pazienti considerati ad alto rischio di infezioni virali, ovvero di tutte quelle persone affette da patologie, e quindi, maggiormente esposte e suscettibili a una maggiore aggressività della malattia.
INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico
La risposta immunitaria è la nostra prima linea di difesa contro gli attacchi di agenti esterni. Questa, interviene in due modalità: tramite l’immunità innata e quella adattiva. Mentre la prima è presente sin dalla nascita e lavora per impedire agli agenti esterni di entrare nel nostro corpo, la seconda è acquisita a partire dal primo anno di vita e viene potenziata ed “educata” in risposta alle infezioni e agli agenti estranei in cui il corpo si imbatte ogni giorno. Infatti, il nostro corpo memorizza virus e batteri già incontrati così essere in grado di attuare le difese necessarie nel caso si ripresentassero. Quindi, è vero sì che le nostre difese immunitarie sono pronte a intervenire in caso di necessità, ma è necessario aiutarle e rafforzarle con uno stile di vita sano e un’alimentazione equilibrata grazie all’apporto di vitamine, minerali e sostanze nutritive. Gli integratori che non dobbiamo intendere come sostitutivi di una dieta varia, sana ed bilanciata, non sono scorciatoie a uno stile di vita equilibrato, ma hanno la funzione di “integrare” appunto eventuali carenze permettendo al nostro organismo di essere più forte in grado di difenderci dagli attacchi esterni, tra cui virus e influenze stagionali. senza contare poi che il valore ottimale di alcuni nutrienti, è fondamentale per la nostra salute.
Il gruppo di ricerca dell'Ospedale Civico di Palermo è coordinato dal professore Salvatore Corrao, Raffaella Mallaci Bocchio, nutrizionista, Marika Lo Monaco, infermiera, Giuseppe Natoli, biostatistico, Christiano Argano, internista e con la collaborazione di altri due medici: Attilio Cavezzi ed Emidio Troiani, rispettivamente dell'Eurocenter Venalinfa di San Benedetto del Tronto, e Cardiology Unit, State Hospital, Social Security Institute, Cailungo, di San Marino. Ecco cosa suggerisce lo studio palermitano per ridurre l’aggressività del Covid:
Ad oggi - spiega il ricercatore - è passato più di un anno da quando la malattia da Covid-19, dovuta alla sindrome respiratoria acuta grave (SARS) -CoV-2, è stata descritta per la prima volta a Wuhan (Cina), evolvendosi rapidamente in una pandemia. Questa malattia infettiva è diventata la principale sfida per la salute pubblica nel mondo. Purtroppo ad oggi non esistono antivirali specifici di provata efficacia per il Covid-19 e nonostante siano disponibili i vaccini, il tasso di mortalità non sta scendendo. Una delle strategie terapeutiche è stata focalizzata sulla prevenzione delle infezioni e sulle misure di controllo. A questo proposito, l'uso di supporti nutraceutici può giocare un ruolo per quanto riguarda alcuni aspetti dell'infezione, in particolare lo stato infiammatorio e la funzione del sistema immunitario dei pazienti, rappresentando così una strategia per controllare gli esiti peggiori di questa pandemia. Per questo motivo, abbiamo eseguito una ‘overview’ che include meta-analisi e revisioni sistematiche per valutare l’associazione tra melatonina, vitamina C, vitamina D, integrazione di zinco e marcatori infiammatori utilizzando 3 database come MEDLINE, PubMed Central e Cochrane Library of Systematic Reviews. Servono dosaggi terapeutici di melatonina, vitamina C, vitamina D, integrazione di zinco per ridurre non tanto l'impatto dell'infezione, ma di una malattia che potrebbe avere aspetti severi che sappiamo può portare alla morte. Possono essere presi singolarmente o alcuni combinati. I fatti ci dicono che prendendo singolarmente uno o due grammi di vitamina C al giorno, che 50 mila unità di vitamina D una volta al mese, che la melatonina intorno tra 6 e 25 milligrammi la sera, che 50 milligrammi di zinco base ogni giorno, si abbassa la proteina C reattiva che come tutti sanno è un indicatore di infiammazione. Tali sostanze possono ridurre anche le citochine infiammatorie tipiche del Covid. Non comprendiamo perché non sia stata fatta una campagna di popolazione dall'Oms e dagli enti governativi che potrebbe abbattere il Covid grave in soggetti come ad esempio i diabetici.
Quindi, stando al risultato dell'indagine, la “chimica” potrebbe non essere l’unica strada per combattere l’infezione da SARS-CoV2. Sulla base dei dati riportati dallo studio, il ricercatore suggerisce di considerare una possibile integrazione delle attuali misure preventive con il supporto di questi nutrienti su larga scala.
Dalle prove disponibili sulla vitamina D, l’assunzione di 50.000 UI (si parla di 50.000 UI in un’unica assunzione ogni 1-2 mesi o una volta la settimana per 2-3 mesi in caso di carenza), ha mostrato la riduzione in modo particolarmente efficace della produzione della Proteina C Reattiva (PCR) in diverse popolazioni di pazienti. – mentre - Uno o due grammi al giorno di vitamina C hanno dimostrato di essere efficaci sia sulla PCR che, stavolta, sulla funzione endoteliale. Un dosaggio di melatonina, invece, compreso tra 5 mg e 25 mg al giorno ha rilevato una buona evidenza di efficacia su PCR, TNF-alfa (fattore di necrosi tumorale) e IL-6 (un’interleuchina che agisce come citochina multifunzionale, sia pro-infiammatoria, sia anti-infiammatoria). Una dose invece di 50 mg al giorno di integrazione di zinco elementare ha mostrato risultati positivi sulla PCR.
Confermato e poi contestato il ruolo dell’acido ascorbico nella cura del coronavirus. Il trattamento della vitamina C è riconosciuto per il suo effetto benefico nel prevenire/neutralizzare la risposta infiammatoria, ridurre lo stress ossidativo e stimolare gli interferoni e altre citochine antivirali, peculiarità che rendono la vitamina C importante nella terapia di contrasto al virus. Inoltre, il ruolo benefico della vitamina C come antiossidante e antinfiammatorio ha portato l’intera comunità scientifica a indagare sull’efficacia e sugli effetti di alte dosi di vitamina C nel trattamento e nella riduzione delle complicanze relative a una serie di infezioni virali. Conosciuto anche come acido ascorbico, questo nutriente è noto per il suo effetto antiossidante e immunomodulante. Un concentrato di proprietà nutritive benefiche per il nostro organismo, non solo d’estate. Infatti, questo indispensabile nutriente rinforza le difese immunitarie, contrasta i radicali liberi e protegge dalle infezioni. Diversi ricercatori e medici hanno ipotizzato che l'uso di acido ascorbico potrebbe ridurre l'infezione da SARS-CoV-2 attraverso la capacità degli integratori di aumentare la risposta immunitaria insieme alla diminuzione della gravità della risposta infiammatoria mediata dal virus.
VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici
Numerosi studi supportano la teoria che una dose elevata di vitamina aiuta a rafforzare il sistema immunitario. La vitamina C, preziosa per il sistema immunitario, interviene nella formazione di ossa, pelle e denti, sostiene l’attività muscolare, partecipando alla produzione di energia a livello cellulare. Numerose ricerche indicano che la vitamina C si concentra nelle cellule del sistema immunitario e viene consumata velocemente durante un’infezione portando, infine, a sintomi più lievi e a una durata inferiore. La vitamina C è fondamentale per il mantenimento dell’integrità delle barriere mucosali, ad esempio nel tratto gastrointestinale e respiratorio supporta infatti la sintesi del collagene e protegge le membrane cellulari allo stress ossidativo. È coinvolta nella regolazione delle cellule immunitarie, potenzia l’azione dei linfociti natural killer e l’attività dei macrofagi, e promuove la sintesi di anticorpi. Le evidenze scientifiche secondo cui un apporto elevato di vitamina C potrebbe portare a una minore suscettibilità alle infezioni delle vie respiratorie ha origine dalle teorie di Linus Pauling pubblicate negli anni Settanta.
Tra le diverse patologie associate a una maggiore esposizione al Covid, viene allocata sin dall’esordio di questa pandemia, anche l’ipovitaminosi D. Inoltre, recenti evidenze scientifiche hanno confermato che il trattamento con vitamina D riduce l'incidenza di infezioni virali delle vie respiratorie, specialmente nei pazienti con carenza di vitamina D. Dalla capacità di modulare e influenzare meccanismi fisiologici dell’organismo al mantenimento di ossa e denti in salute, dal buon funzionamento dei muscoli al rinforzo del sistema immunitario. L’azione della vitamina D è ormai da anni oggetto di ricerca. Studi precedenti avevano già evidenziato un legame tra livelli più bassi di vitamina D e tassi più elevati di malattie respiratorie, come asma, tubercolosi o infezioni virali capaci di compromettere la regolare attività polmonare.
Secondo un recente studio statunitense, la melatonina potrebbe aiutare ad abbassare il rischio di contrarre l’infezione. Dopo le numerose indagini e delle evidenze scientifiche circa il rapporto tra vitamina D e SARS-CoV2, la scoperta dei ricercatori della Cleveland Clinic (Ohio) che identificando nell’ormone che regola il ciclo sonno-veglia, solitamente utilizzato come integratore alimentare per risolvere i problemi di insonnia una possibile opzione di trattamento per il Covid. Secondo gli studiosi, l’uso regolare di questo ormone che regola il ritmo circadiano, comunemente utilizzato come integratore contro l’insonnia, è associato a una probabilità ridotta di quasi il 30% di positività al test diagnostico per Sars-Cov-2. Insomma, considerate le alte prestazioni della melatonina, la sua prescrizione nella profilassi del COVID-19 è fortemente raccomandata.
Dalla MELATONINA alle teorie del dottor PIERPAOLI: tutte le verità
«Presente nel fegato, nella carne in generale e nei molluschi (soprattutto ostriche), riduce la replicazione dei coronavirus. Altro importante modulatore della risposta immunitaria è proprio lo zinco a cui si attribuisce la capacità di rimarginare rapidamente le ferite (comprese le ulcere e i danni alle arterie), di aiutare a prevenire i raffreddori (migliora la risposta immunitaria), di migliorare la vista, di migliorare l’odore corporeo, di combattere l’acne e l’ingrossamento prostatico» si legge nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti di Adriano Panzironi.
Ansa "Covid: studio, integratori riducono rischio malattia grave"
La Repubblica "Dalla vitamina D alla melatonina: ecco i nostri alleati contro Covid-19"
Gazzetta del Sud "Covid, studio siciliano: integratori riducono rischio malattia grave"
Sanità in Sicilia "Infiammazione e nutraceutica: una strategia per controllare il virus"
Blog Sicilia "Integratori per combattere il Covid, da Palermo uno studio pubblicato su Nutrients"
Vanity Fair "Gli integratori per rinforzare il sistema immunitario"
Storia della vitamina C: dalla prevenzione del raffreddore al trattamento del Covid
Melatonina e vitamina D: il connubio vincente contro il Covid
Nuova ricerca sulla vitamina C: un potenziale aiuto contro il Covid
Una relazione tanto discussa che torna, ancora una volta, alla ribalta della cronaca nazionale grazie a una nuova ricerca italiana sull’importanza dell’ormone del sole nella lotta contro l’infezione da SARS-CoV2. Dall’indagine emerge che una carenza di vitamina D sembrerebbe peggiorare le condizioni, con evidenti criticità riscontrate nel quadro clinico delle persone positive al Covid. I ricercatori parlano appunto di "stadi clinici di Covid-19 più compromessi" per indicare una malattia più grave. Allo studio retrospettivo, pubblicato sulla rivista Respiratory Research e condotto su 52 pazienti, hanno collaborato l'Istituto superiore di sanità (Iss), l'Ospedale Sant'Andrea di Roma e altre istituzioni. Tra ipovitaminosi D e malattie polmonari, l’ennesima indagine prova a far chiarezza una volta per tutta: «[...] I nostri dati sottolineano una relazione tra i livelli plasmatici di vitamina D e diversi marcatori di malattia». Nelle persone con deficit di vitamina D, la sua integrazione è in grado di ridurre il rischio di sviluppare diverse infezioni virali. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a maggior rischio di essere positivi per Covid-19 rispetto a quei soggetti con stato di vitamina D sufficiente. Oltre all’esposizione solare e all’alimentazione, la supplementazione di vitamina D è una raccomandazione utile e sicura.
Insomma, molto di più di un micronutriente coinvolto nel metabolismo del calcio e nella salute delle ossa. La vitamina D, per l'appunto, svolge tra le altre funzioni anche un ruolo importante come ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. Come noto, infatti, i suoi recettori sono ampiamente distribuiti in tutto l’organismo e in particolare nell’epitelio alveolare polmonare e nel sistema immunitario. Ad, oggi, l'infezione da Covid-19 è ancora una sfida aperta. Sebbene siano note le caratteristiche cliniche a seguito della penetrazione del virus nel nostro sistema respiratorio, la patobiologia ei meccanismi che regolano questo ingresso e le ragioni alla base dei molteplici quadri clinici osservati sono ancora sconosciuti. Sfortunatamente, circa il 20% dei pazienti contagiati ha sviluppato una grave malattia respiratoria caratterizzata da infiltrati polmonari diffusi e danno di pneumociti alveolari, che va incontro ad apoptosi e morte. Le unità alveolari coinvolte sembrano essere periferiche e subpleuriche. Inoltre, è stata segnalata un'iperinfiammazione virale. Una precoce sovrapproduzione di citochine pro-infiammatorie conosciuta come tempesta di citochine. Tra questi, i livelli plasmatici elevati sono stati inclusi come predittori di mortalità. L'insufficienza della vitamina D è stata correlata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all'esacerbazione nelle malattie polmonari ostruttive croniche e nell'asma.
Coinvolti nella ricerca 52 pazienti (con età media di 68 anni) affetti da coronavirus con coinvolgimento polmonare (27 femmine e 25 maschi, nella fascia di età compresa tra i 29 ed i 94 anni). I livelli di vitamina D erano carenti (con livelli plasmatici di vitamina D molto bassi, sotto 10 ng/ml) nell'80% dei pazienti, insufficienti nel 6,5% e normali nel 13,5%. Circa l'8% della coorte di studio aveva livelli plasmatici di vitamina D normali. I pazienti alle prese con la forma più aggressiva di coronavirus avevano livelli plasmatici di vitamina D più bassi indipendentemente dall'età. Francesco Facchiano, ricercatore dell'Iss, coautore dello studio spiega il metodo di ricerca utilizzato:
Nella nostra indagine abbiamo correlato, per la prima volta, i livelli plasmatici di vitamina D a quelli di diversi marcatori (di infiammazione, di danno cellulare e coagulazione) e ai risultati radiologici tramite Tac durante il ricovero per Covid-19 e abbiamo osservato che i pazienti con bassi livelli plasmatici di vitamina D, indipendentemente dall'età, mostravano una significativa compromissione di tali valori, vale a dire risposte infiammatorie alterate e un maggiore coinvolgimento polmonare. Anche se gli effetti in vivo della Vitamina D non sono completamente compresi – si legge nello studio – una serie di osservazioni sottolineano il ruolo della vitamina D nello sviluppo delle malattie polmonari. La sua insufficienza è stata collegata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all’esacerbazione delle malattie polmonari ostruttive croniche e dell’asma. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a un più alto rischio di essere positivi al Covid-19 rispetto ai soggetti con sufficiente stato di vitamina D.
Da un punto di vista generale, l'attività della vitamina D sembra essenziale anche nella regolazione dello stress ossidativo e dei meccanismi di sopravvivenza. L'epitelio alveolare respiratorio rappresenta la prima linea di difesa in grado di contrastare e impedire l'ingresso di agenti patogeni. Rappresenta uno dei principali attori dell'immunità innata compresi i macrofagi alveolari e le cellule dendritiche. Se stimolate, queste cellule attivano una varietà di vie di segnalazione intracellulare per specifiche difese antimicrobiche, rilascio di mediatori infiammatori e risposte immunitarie adattative. La risposta immunitaria adattativa è strettamente correlata alla capacità dei linfociti T e B di secernere citochine e produrre rispettivamente immunoglobuline. La carenza di vitamina D è stata correlata all'aumento dei livelli di IL-6, mentre l'integrazione di vitamina D riduce i livelli di IL-6 in diversi studi. L'IL-6 è elevata nei pazienti Covid-19 con malattia grave ed è anche considerata un marcatore prognostico rilevante. È stato riportato altresì che la mortalità è maggiore nei pazienti con livelli elevati di IL-6. Una conta dei neutrofili elevata predice l'infiammazione in corso e la diminuzione della conta dei linfociti è considerata un indicatore di prognosi infausta. Nel caso di infezione acuta, lo stato più grave è spesso associato a un aumento della conta delle cellule dei neutrofili e a una riduzione dei linfociti.
Numerosi i lavori condotti sia retrospettivamente (Meltzer D et al.), che con metanalisi (Pereira M et al.), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al.) e di una più elevata mortalità ad essa associata (De Smet D et al.): tutti questi dati forniscono interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana che, soprattutto in Italia, è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al.). In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici (Castillo ME et al.), la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva è stata del 2% se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% nei pazienti non trattati. Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione tra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli di questo nutriente (Kaufman HW et al.). In 77 soggetti anziani ospedalizzati per Covid (Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study), la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente oppure al momento della diagnosi. Nei pazienti positivi i livelli di vitamina D sono risultati significativamente inferiori rispetto a quelli dei pazienti negativi (D’Avolio et al.). E ancora in una sperimentazione clinica (Rastogi A. et al., SHADE Study) su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo contro il 20,8% dei pazienti del gruppo di controllo.
Dati poi confermati da altri lavori condotti dall’inizio della pandemia hanno evidenziato l’importanza di questa sostanza come strategia di prevenzione e trattamento:
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