Un grande classico e vanto della cucina italiana. Un piatto, dal gusto unico e inconfondibile, conosciuto in tutto il mondo. Le fettuccine si vestono di nuovo e arrivano a tavola nella versione "low carb". Il sapore della tradizione senza compromessi. Un'opera culinaria ancora più buona e salutare che si adatta anche alle cene formali.
Fate soffriggere in abbondante olio il sedano, la carota e la cipolla tritati, aggiungete la carne macinata e sfumate con il bicchiere di vino bianco. Aggiungete la passata di pomodoro, aggiustate di sale e pepe e lasciate cuocere per circa 3 ore a fuoco basso. Controllare ogni tanto che il ragù non si asciughi troppo e nel caso aggiungete un po' di acqua o brodo caldo. Spegnete il ragù e cuocete le fettuccine in acqua salata bollente per circa 3 minuti. Scolatele conditele con il ragù e con una spolverata di Trentin Grana Maggengo grattugiato.
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Povera di carboidrati e ricca di grassi. Ecco i notevoli benefici che si possono ottenere con questo stile alimentare. Dalla riduzione dell’infiammazione alla perdita di peso e alla salute del cuore. Secondo uno studio condotto dall'Università della California San Francisco (UCSF) la dieta con una minima presenza di carboidrati, avrebbe un impatto decisivo sui microbi che risiedono nell'intestino umano, collettivamente indicati come il microbioma. Indagini più recenti ricerche sui topi hanno dimostrato che i cosiddetti "corpi chetonici", un sottoprodotto molecolare. Questi, incidono direttamente sul microbioma intestinale spegnendo definitivamente l'infiammazione. Questo processo avviene perché, in questo regime alimentare, il consumo di carboidrati è drasticamente ridotto al fine di costringere l’organismo ad alterare il suo metabolismo usando molecole di grasso, invece dei carboidrati, come fonte di energia primaria. Teoria - quella dei grassi utilizzati per l'energia necessaria all'organismo - ampiamente supportata e dimostrata nello stile Life 120 ideato da Adriano e Roberto Panzironi.
I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?
Un cambiamento che comporterebbe numerosi benefici per la salute. «Mi sono interessato a questa domanda perché la nostra ricerca precedente ha dimostrato che le diete ricche di grassi inducono cambiamenti nel microbioma intestinale che promuovono malattie metaboliche e di altro tipo nei topi, eppure le diete chetogeniche, che sono ancora più elevate nel contenuto di grassi, sono state proposte come un modo per prevenire o persino curare le malattie» evidenzia Peter Turnbaugh, Ph.D., professore associato di microbiologia e immunologia dell'UCSF, membro del Centro di medicina microbiomica UCSF e ricercatore di biochimica Chan Zuckerberg. L’esperto spiega così le motivazioni che hanno spinto l’équipe di ricercatori ad esplorare quella sconcertante dicotomia. Come già detto, la dieta chetogenica è un regime alimentare che prevede una drastica riduzione di carboidrati, costringendo l’organismo a utilizzare i grassi come fonte di energia. In questo modo, si avvia un processo chiamato chetosi, proprio perché si formano molecole definite corpi “chetonici”, utilizzati dal cervello.
Nello studio pubblicato su Cell, in collaborazione con la con la no profit Nutrition Science Iniziative, gli scienziati hanno monitorato, per due mesi, le diete e il livello di esercizio di 17 persone. Per le prime quattro settimane, ai partecipanti è stata somministrata una dieta “standard” composta per il 50% da carboidrati, 15% da proteine e il restante 35% da grassi o una dieta formata per il 5% di carboidrati, 15% di proteine e l’80% di grassi. Dopo quattro settimane, sono state scambiate le diete per consentire ai ricercatori di indagare l’alterazione dei microbiomi dei partecipanti a seguito dello spostamento tra i due stili alimentari. L'analisi del DNA microbico riscontrato nei campioni di feci dei partecipanti ha mostrato che lo scambio tra le due diete aveva cambiato drasticamente le proporzioni di phyla actinobacteria, bacteroidetes e firmicutes nell'intestino dei partecipanti, oltre a cambiamenti rilevanti in 19 diversi generi batterici.
Gli scienziati si sono concentrati su un particolare genere batterico, il bifidobatteri probiotici, ovvero quello che ha risentito maggiore della dieta povera di carboidrati e, per contro, ricca di grassi. Tuttavia, i ricercati hanno indagato su come, i cambiamenti microbici di quest'alimentazione, potevano incidere in modo positivo sulla salute. Gli esperti hanno quindi sottoposto l'intestino del topo a diversi componenti di microbiomi umani che reagiscono alle diete con una scarsa quasi prive di carboidrati, dimostrando così che, queste popolazioni microbiche alterate, riducono sensibilmente il numero di cellule immunitarie Th17. Questa tipologia di cellule T risulterebbe critica per combattere le malattie infettive, ma funzionale per accentuare l'infiammazione nelle malattie autoimmuni. Ai topi, poi, è stata sostituita l’alimentazione a basso contenuto di grassi, con una ad alto contenuto di grassi e basso di carboidrati (dieta chetogenica). Nell’indagine, è stato riscontrato che il microbioma risponde diversamente quando il livello di grasso nella dieta degli animali aumenta a livelli tali da promuovere la produzione di chetoni in assenza di carboidrati. I ricercatori hanno osservato che mentre le diete degli animali venivano invertite, anche i loro microbi iniziavano a spostarsi, in correlazione a un graduale aumento dei corpi chetonici.
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I ricercatori hanno testato i corpi chetonici per comprendere se da soli potevano guidare i cambiamenti che evidenziati nell'ecosistema microbico dell'intestino alimentando direttamente i corpi chetonici nei topi e hanno scoperto che, anche nei topi, la presenza di chetoni aggiunti era sufficiente per innescare cambiamenti microbici specifici osservati con l’applicazione dei questa dieta. «Questa è una scoperta davvero affascinante - sostiene Turnbaugh - perché suggerisce che gli effetti delle diete sul microbioma non riguardano solo la dieta stessa, ma il modo in cui la dieta altera il metabolismo del corpo, che quindi ha effetti a valle sul microbioma». «Per molte persone, mantenere una rigorosa dieta a basso contenuto di carboidrati o chetogenica è estremamente impegnativo, ma se studi futuri scopriranno che ci sono benefici per la salute derivanti dai cambiamenti microbici causati dagli stessi corpi chetonici , che potrebbero rendere un approccio terapeutico molto più appetibile» conclude il ricercatore.
Questo schema nutrizionale che si basa sui seguenti principi: un regime alimentare ipocalorico, una dieta low carb a bassissimo contenuto di carboidrati, ma per contro ad elevato contenuto di grassi e proteine.Questa dieta chetogenica è una strategia nutrizionale basata sulla riduzione, seppur drastica, dei carboidrati alimentari, obbligando così l'organismo a produrre autonomamente il glucosio necessario alla sopravvivenza e ad aumentare, al tempo stesso, il consumo energetico dei grassi contenuti nel tessuto adiposo. La produzione energetica cellulare avviene con la metabolizzazione di alcuni substrati, in particolare il glucosio e gli acidi grassi. Per lo più, questo processo inizia nel citoplasma (glicolisi anaerobica) e termina nei mitocondri (ciclo di Krebs). Tuttavia, anche se a colpo d'occhio, lo stile Life 120 sembrerebbe adottare lo stesso regime alimentare della dieta chetogenica, tra le due ci sono differenze sostanziali. a differenza del Keto, l'alimentazione suggerita da Life 120 non porta alla chetosi poichè prevede un apporto di carboidrati di provenienza da verdure (consumate a sazietà durante i pasti) e della frutta (uno al mattino). Inoltre, prevede anche una quantità di zuccheri giornaliera, funzionale ai soli due organi che utilizzano lo zucchero come fonte di energia, ovvero cuore e cervello.
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Per approfondimenti:
Medical Xpress "Ketogenic diets alter gut microbiome in humans, mice"
Il Messaggero "Dieta chetogenica, può avere effetti benefici nelle persone che soffrono di asma"
The Italian Times "Dieta chetogenica: cos'è, come funziona ..."
My Personal Trainer "Dieta Chetogenica: Cos'è?"
Di Lei "Mal di testa. La dieta chetogenica può venire in aiuto"
Everyeye "Un nuovo e interessantissimo studio esamina un beneficio della dieta chetogenica"
LEGGI ANCHE: Dieta senza carboidrati: un toccasana per asma e altre patologie
Addio carboidrati: contro il tumore al colon basta ridurre zuccheri e amidi
Golosa, saporita e dal profumo intenso. A tavola tutto il gusto e la freschezza della bella stagione. Un piatto semplice, dall'aroma tipicamente italiano. Facile da preparare e ottimo da gustare come antipasto o per arricchire l'aperitivo con i vostri amici. Al via con una specialità del nostro territorio: la frittata mediterranea.
Pulite i cipollotti, tagliateli a rondelline e tagliate i pomodori a pezzetti. Raggruppate tutto in una ciotola, aggiungete i capperi, le zucchine a pezzetti, il basilico spezzettato con le mani, l’origano, salate e pepate. Mescolate bene per legare tutto. In un'altra ciotola rompete le uova e sbattetele energicamente, versate gli altri ingredienti dentro le uova e una volta amalgamato tutto versatele sopra una pirofila da forno, oliata. Infornate a forno preriscaldato a 180° C per circa 30/35 minuti controllando la cottura. Sfornate lasciate leggermente intiepidire e servite.
Dalla tradizione gastronomica ungherese, una tipicità che si è diffusa nell'Europa centro-orientale. Il nome nasce dall'ingrediente principale, gulasch è un aggettivo che deriva da gulya "mandria di bovini". Un piatto unico dal sapore deciso e saporito. Un’esperienza culinaria davvero eccellente.
Sbucciate e tagliate a fettine le cipolle, mettetele a rosolare a fuoco dolce in un tegame dai bordi alti con un giro d’olio EVO e il burro. Nel frattempo lavate e tagliate i pomodori e le carote a tocchetti grossolanamente e mettete da parte. Quando le cipolle si saranno ammorbidite aggiungete la carne, la paprica dolce, il cumino, lo spicchio d’aglio intero, le foglie di alloro e mescolate facendo insaporire la carne con tutti gli aromi e profumi. Lasciate andare a fuoco dolce per circa 15 minuti prima di aggiungere le carote, i pomodori e due bicchieri di brodo. Continuate a cuocere sempre a fiamma dolce per un’oretta mescolando di tanto in tanto. Dopo una mezzora circa aggiungete la passata di pomodoro e in caso fosse necessario altro brodo. Occupatevi del sedano rapa sbucciandolo, lavandolo e tagliandolo a cubetti come fossero patate. Trascorso il tempo indicato aggiungetelo agli altri ingredienti nel tegame. Abbassate la fiamma al minimo, versate il restante del brodo, salate, pepate e lasciate andare ancora per unoretta e mezza mescolando di tanto in tanto.Occupatevi del risino tuffandolo nell’acqua che avete portato a bollore, lasciatelo cuocere per una ventina di minuti prima di scolarlo e sciacquarlo sotto l’acqua corrente per circa un minuto. Una volta trascorso il tempo e ristretto il sughetto spegnete e servite accompagnando con un mestolo di risino vicino.
Il connubio perfetto degli ingredienti lo rende ideale per tutti i palati. L’eccellenza stagionale di questo risotto porta a tavola la primavera. Un'esposione sensoriale dal gusto intenso e deciso di asparagi e salsicce. Ecco un piatto da preparare con gli ingredienti genuini e di qualità che garantiscono il risultato della ricetta.
Mettere l’olio Evo e la cipolla, finemente affettata, a soffriggere. Aggiungere poi salsiccia sbriciolata e, una volta rosolata, sfumare col vino bianco. Aggiungere gli asparagi, precedentemente tagliati a pezzetti, lasciando da parte le punte. Coprire e cuocere, a fuoco basso, per qualche minuto. Aggiungere anche le punte degli asparagi, in un primo momento accantonate, e proseguire la cottura con coperchio per altri due minuti. Lasciare le punte croccanti. Quando il risino sarà cotto, aggiungerlo al condimento e mantecarlo con una noce di burro e del Trentigrana grattugiato. Impiattare e servire con dei piccoli tocchetti di Trentigrana e qualche punta di asparago.
Un piatto dal profumo mediterraneo. Dalla genuinità degli ingredienti al gusto intenso della pancetta al sapore amarognolo delle melanzane. Ad arricchire la ricetta e deliziare l'olfatto, le note aromatizzate del pesto. Alternativo, saporito e versatile.
Mettere la pancetta stagionata, tagliata a cubetti in una pentola e farla rosolare a fuoco basso. Tagliare la melanzana a tocchetti e friggerla in Olio EVO, scolarla su un foglio di carta assorbente. Tritare con un coltello un pugno di arachidi tostati. Cuocere il Risino Shiralife in acqua salata bollente e quando sarà cotto, aggiungerlo alla pancetta rosolata. Spegnere il fuoco e aggiungere il pesto alla genovese, e metà della melanzana fritta. Servire con la restante melanzana e gli arachidi sopra il riso.
Sono oltre mille al giorno i casi di tumore in Italia e il 40% può essere prevenuto con uno stile di vita corretto e diagnosticato tempestivamente, prima, cioè, che si manifesti a livello clinico. Questi sono i dati presentati dall'Associazione Italiana Registri Tumori (Airtum). Nel 2019, in Italia, i tumori gastrointestinali hanno colpito circa 89.400 persone di cui 49.000 colon-retto. La diminuzione maggiore, nello specifico, 2.800 negli ultimi 5 anni (2014-2019), rispetto agli anni precedenti, si registra soprattutto nel cancro del colon-retto grazie al fondamentale ruolo della prevenzione. Ancora dati alla mano, un'altra ricerca, riportata nel libro di Adriano Panzironi, Vivere 120 anni: le ricerche, dimostra che «il cancro colorettale è la terza causa principale di morte per cancro negli Stati Uniti, con circa 143.000 nuovi casi diagnosticati e 52.000 decessi registrati ogni anno. Sebbene l'eziologia del cancro al colon sporadico rimanga in gran parte indeterminata, la dieta e altri fattori di rischio modificabili giocano indubbiamente un ruolo significativo».
«Cerchiamo di chiarire ulteriormente la relazione tra carico glicemico (GL) e tumore del colon in uno studio caso-controllo incidentale basato sulla popolazione del Kentucky, caratterizzato da un'alta incidenza di cancro del colon-retto. L’elevato GL provoca un aumento dei livelli circolanti d’insulina e fattori di crescita simili all'insulina (IGF). È stata proposta l'ipotesi dell'iperinsulinemia-cancro del colon, che implica che una dieta ricca di energia e carboidrati porta all'insulino resistenza, promuovendo così la carcinogenesi del colon. Diversi studi caso-controllo hanno riportato un'associazione significativa tra aumento del rischio di tumore del colon-retto, alto indice glicemico (GI) e GL dietetico. Un'alta dieta GL è stata ipotizzata per aumentare il rischio di cancro al colon. In effetti,il nostro studio ha rivelato un aumento del 61% nel rischio di cancro al colon confrontando il più alto rispetto al quartile più basso di GL dietetico tra i partecipanti. Il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto aumenta con l'età, con gli uomini a più alto rischio rispetto alle donne. È interessante notare che abbiamo riscontrato un aumento duplice del rischio di cancro associato a una dieta GL elevata nei partecipanti più anziani, ma solo un aumento modesto e non significativo del rischio nei partecipanti più giovani» spiega la ricerca.
Tra i principali alleati in questa lotta, i flavonoidi. Infatti, mangiare frutta e verdura è fondamentale. Già dimostrato negli studi condotti nell'ultimo ventennio, i ricercatori hanno scoperto di recente, in che modo, questi composti naturali di frutta e verdura, intervengono nella prevenzione del cancro. Ed è proprio l’acido 2,4,6-triidrossibenzoico, uno dei composti prodotti quando il corpo metabolizza o scompone i flavonoidi, che inibisce la crescita delle cellule tumorali in condizioni specifiche. Quindi, per prevenirlo forse basterà ridurre drasticamente nella dieta i carboidrati, cioè zuccheri e amidi. Da non trascurare poi, il fattore ereditario. Sappiamo bene, infatti, che il tumore al colon può avere una predisposizione genetica: può insorgere con maggiore frequenza in chi ha consanguinei con lo stesso tumore. Ma perché il tumore insorge in alcuni soggetti geneticamente predisposti e non in altri? Qual è la concausa non genetica? Qui i ricercatori si dividono: alcuni davano la colpa al microbioma dell'intestino, cioè la popolazione di batteri che lo colonizza; altri allo stile di vita e, in particolare, all'alimentazione. Bene, hanno ragione entrambi, la continua interazione fra genetica e ambiente viene confermata da Alberto Martin, immunologo dell'Università di Toronto, in Canada, sulla rivista scientifica Cell.
Almeno, questo è ciò succede nei topi, mammiferi onnivori come l'uomo. E se gli studi di Martin saranno confermati nell'uomo, chi teme il tumore al colon avrà finalmente a disposizione non una, ma due strategie per prevenirlo: ridurre la quota di carboidrati nell'alimentazione (zucchero, amidi, eccetera...) e selezionare accuratamente i batteri che vivono nel suo intestino. È noto che il tumore del colon è spesso associato a due mutazioni: la mutazione del gene APC che, nella sua forma non mutata, agisce come freno allo sviluppo anomalo delle cellule; e la mutazione del gene MSH2, che invece è un manutentore, cioè ripara i danni al materiale genetico. Di solito, però, la mutazione di un gene riparatore predispone a un maggior rischio per tutti i tumori: in questo caso invece la mutazione predispone all'aumento del solo tumore del colon e questo a Martin sembrava incomprensibile.
Un fattore, invece, che favorisce l’insorgenza del cancro del colon-retto è dovuto allo squilibrio nel microbiota intestinale, meglio conosciuto come disbiosi. «Tra i fattori di rischio spiccano familiarità, età e alcune patologie infiammatorie intestinali croniche - spiega in un'intervista al Corriere della Sera, Armando Santoro, direttore dell’Humanitas Cancer Center di Milano e direttore scientifico dell’Accademia Nazionale di medicina -. La maggior parte dei tumori deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi intestinali. I polipi in genere non provocano nessun sintomo e rimangono per anni o decenni sulle pareti intestinali senza che ce ne si accorga. Talvolta possono dare perdite di sangue nelle feci che meritano un approfondimento diagnostico con la colonscopia. Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Lo sono solo quelli definiti adenomatosi . Sedentarietà, eccessivo consumo di grassi animali, sovrappeso e obesità, fumo e abuso di alcolici sono tutti fattori associati a un aumentato rischio di ammalarsi. La familiarità resta comunque un fattore importante che deve indurre a fare controlli endoscopici anche prima dei 45-50 anni».
Sempre nell'intervista, l'esperto fornisce alcuni suggerimenti per prevenirlo. «Le regole sono: aumentare frutta e verdura, ridurre pane e cereali raffinati, patate, carne rossa, dolci e zucchero. E poi attività fisica regolare e stop a sigarette e alcol. Fondamentale è lo screening. La ricerca di sangue occulto nelle feci è consigliata a tutti dopo i 45 anni. La positività al test non indica di per sé la presenza certa di un tumore, perché può anche essere spia di altri problemi (per esempio emorroidi), però è un segnale che va approfondito. La raccomandazione è ricorrere alla colonscopia, esame che permette sia di individuare e rimuovere eventuali lesioni pretumorali, sia di evidenziare lesioni tumorali che vengono diagnosticate in modo corretto attraverso la successiva biopsia. In alcuni casi si può ricorrere alla cosiddetta colonscopia virtuale, basata sull’utilizzo della Tac. Si tratta di una tecnica di studio non invasiva che però non consente la rimozione di eventuali lesioni durante la sua esecuzione».
È qui che entrano in gioco i batteri e i carboidrati. Per individuare le loro responsabilità Martin ha usato topi predisposti al tumore perchè portatori delle stesse mutazioni che affliggono l'uomo. Li ha prima trattati con alte dosi di un cocktail di antibiotici (ampicillina, metronidazolo, neomicina e vancomicina) fin dalla gravidanza, riducendo così di 10 mila volte i batteri presenti nel loro colon. E già con questo intervento il ricercatore aveva ottenuto due risultati: il numero dei polipi, che di solito precorrono l'insorgere del tumore, si era ridotto di 2-6 volte, e i polipi stessi, osservati al microscopio, erano più benigni del solito. Il metronidazolo in particolare era l'antibiotico che più influiva sul numero dei polipi senza alterare troppo l'abbondanza del microbiota, a riprova che non tutti i batteri contribuiscono in ugual misura allo sviluppo del tumore del colon. Ma altri ricercatori avevano notato che lo sviluppo dei polipi nei topi non avviene dalla nascita, ma tra la terza e la sesta settimana di vita, quando vengono svezzati e passano all'alimentazione adulta. Questi studi hanno consentito a Martin di concentrare l'attenzione sulla dieta. Altri studi avevano messo i carboidrati sul banco degli imputati: uno in particolare, pubblicato a novembre del 2012 da un altro giovane ricercatore, Jeffrey Meyerhardt del Dana Farber Cancer Institute di Boston, Massachusetts, aveva dimostrato che il consumo di carboidrati influenza il rischio di ricadute nei pazienti con tumore al colon avanzato.
Per verificare l'ipotesi, Martin ha diviso i topi in due gruppi: a uno ha dato la solita dieta nella quale il 58% delle calorie era fornito da carboidrati; nella dieta dell'altro gruppo la quota calorica fornita dai caroidrati non superava il 7% del totale. La dieta con pochi carboidrati ha ridotto il numero di polipi in modo analogo a quanto avevano fatto gli antibiotici, e anch'essa ha agito sul microbiota: pur non alterandone l'abbondanza, come gli antibiotici, ne ha cambiato la composizione riducendo la presenza dei batteri che metabolizzano i carboidrati e produttori di acido butirrico, come i Firmicutes e i Clostridia. E pare che il brutto ceffo di questa storia sia proprio lui, il butirrato: quando i ricercatori hanno somministrato questo acido grasso ai topi trattati con antibiotico, sono aumentati sia la proliferazione cellulare sia i tumori nel piccolo intestino. Lo studio sembra insomma dimostrare che il cancerogeno sia il butirrato, metabolita prodotto dai batteri nalla digestione dei carboidrati, e che proprio lui induca l'abnorme proliferazione delle cellule nei topi geneticamente predisposti al tumore del colon. Tanto che Martin conclude: «Il nostro studio suggerisce che sia riducendo i carboidrati della dieta, sia cambiando la composizione della comunità batterica intestinale si potrebbe ottenere una riduzione del rischio di tumore al colon in chi è ereditariamente predisposto a questo tumore».
Fonte: Focus
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