La curcuma è conosciuta nella medicina tradizionale e popolare in tutto il mondo per le sue proprietà antinfiammatorie: infatti i componenti attivi quali alcaloidi, flavonoidi e terpenoidi sono in grado di frenare gli enzimi e le citochine pro-infiammatorie riducendo lo stress ossidativo.
L’infiammazione è un processo biologico che porta alla rottura dell’omeostasi (perdita equilibri interni) e può essere definita acuta o cronica a seconda della tipologia degli stimoli. La risposta che il nostro corpo mette in atto è quella di attivare il sistema immunitario per eliminare l’effetto dannoso indotto dall’infiammazione acuta;
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Tuttavia, il fallimento di questa risposta può sfociare nell’infiammazione cronica con una vera e propria cascata infiammatoria che predispone allo sviluppo di diverse malattie tra cui l’asma cronica, la malattia infiammatoria intestinale, la psoriasi, l’artrite reumatoide ecc. Diversi dati epidemiologici e studi sperimentali confermano che l’infiammazione e le infezioni croniche rappresentano fattori di rischio significativi per svariate patologie.
I composti bioattivi della Curcuma sono stati ben documentati sia in studi clinici che preclinici per le loro attività antinfiammatorie. I curcuminoidi sono stati ampiamente studiati per le loro attività biologiche su ulcera, fibrosi, batteri, virus, protozoi, fertilità, diabete, tumore, colesterolo e pressione arteriosa. Il costo limitato e la tolleranza nell’uomo ha fatto di questi composti una parte integrante nella ricerca sul cancro.
La curcumina (curcuminoide) è uno dei composti più rilevanti della curcuma ed il suo potenziale è ben noto in numerose patologie. Infatti ha proprietà:
Atoskar ha studiato l’impatto della curcumina dopo un’operazione per l’ernia inguinale o idrocele: per 6 giorni è stata somministrata una dose di 400mg di curcumina ed il punteggio di gravità sembrerebbe diminuito dell’84,2% con la riduzione di tutti i parametri dell’infiammazione.
Gli studi clinici hanno dimostrato che la curcumina è sicura nell’uomo, anche ad una dose di 12 g al giorno.
I primi ricercatori credevano fermamente che i curcuminoidi fossero componenti inimitalibi della curcuma per le attività antitumorali ma ad oggi sappiamo che esistono anche altre molecole bioattive nella curcuma avanti effetti sinergici equipotenti come i curcuminoidi, note come non curcuminiodi (privi di curcumina): lo studio di queste molecole ci ha permesso di scoprire le loro proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e antitumorali (incluse neoplasie complesse e resistenti ai farmaci).
Diversi ricercatori hanno accumulato dati sulle attività biologiche dei non curcuminoidi e hanno rivelato il loro potenziale dinamico simile ai curcuminoidi mostrandosi efficienti e non tossici a livello del fegato. Sono stati riportati numerosi studi clinici sulla sicurezza e sull’efficacia terapeutica dei composti privi di curcumina tra cui possiamo citare:
Molte ricerche evidenziano che l’elemene potrebbe inibire la crescita tumorale di varie cellule a livello della laringe, polmone, ovaio, mammella e cervello: essendo lipofilo e molto piccolo, è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica promuovendo l’apoptosi (morte) delle cellule tumorali nel carcinoma al cervello.
- induce l’apoptosi (morte cellulare) nella leucemia mieloide cronica e nel linfoma istocitico
- sembra avere un potenziale promettente nelle cellule tumorali multiresistenti e nel cancro al colon-retto
- nel cancro al seno, le attività e la biodisponibilità della curcumina sono state potenziate dalla presenza tumeroni.
Uno studio recente ha dimostrato che l'utilizzo dell'intera spezia mostra un'efficacia superiore rispetto ai soli curcuminoidi, motivo per cui abbiamo volutamente inserito la curcuma all’interno del nostro Orac Spice (ogni dose contiene ben 3016 mg di curcuma!) il quale, oltre alla curcuma, contiene diverse spezie tra cui il pepe nero: quest’ultimo racchiude la piperina, un alcaloide che si oppone all’eliminazione della curcumina permettendole così di andare in circolo ad esplicare i suoi effetti (mediante il blocco della glucuronazione nel fegato e nell’intestino).
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Per approfondimenti:
Bibliografia
Fondamentali contro gravi malattie, nel contrastare danni al DNA e preziosi per il benessere quotidiano, soprattutto per quello degli sportivi. «L’attività fisica sottopone l’organismo ad uno stress ossidativo. Quindi integrare con degli omega 3 o degli antiossidanti in generale può essere particolarmente utile[...]. Lo sportivo brucia moltissimo ossigeno, per questo è fondamentale un’alimentazione ben bilanciata con una buona quota di frutta e verdura, ma anche con spezie e aromi» spiega in un'intervista a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Per definizione, qualunque sostanza capace di interferire con le reazioni chimiche di ossidazione che danno origine ai radicali liberi o di neutralizzare quelli già prodotti. Il processo di ossidazione, introduce danni e alterazioni strutturali in proteine, acidi grassi, colesterolo, DNA e altri composti organici che compromette irrimediabilmente il corretto funzionamento dell’organismo e facilitare lo sviluppo di malattie di vario tipo, in relazione alla funzione, al gruppo di cellule o al tessuto danneggiati dall’ossidazione. Infatti, in particolari circostanze, la produzione endogena di radicali liberi e lo stress ossidativo che ne deriva possono aumentare (come avviene ad esempio durante una malattia infettiva batterica o virale oppure durante una dieta ricca di zuccheri o a fronte di un consumo smodato di alcolici), incrementando di conseguenza anche il fabbisogno quotidiano di agenti antiossidanti in grado di contrastarli.
Scientificamente dimostrato poi che un eccesso di composti ossidanti (o “stress ossidativo”) è associato allo sviluppo e/o al peggioramento di patologie cardiovascolari (arteriosclerosi, infarto, sindromi coronariche ecc.), malattie metaboliche (diabete, sindrome metabolica e obesità), con dizioni infiammatorie, malattie degenerative neurologiche (declino cognitivo, demenza, perdita dell’udito ecc.), psicosi e altri disturbi psichiatrici. Numerose indagini scientifiche hanno fornito prove evidenti sugli effetti protettivi di specifici antiossidanti soprattutto nell’ambito della prevenzione oncologica e delle patologie cardiovascolari e metaboliche. Contro i tumori, ad esempio, gli antiossidanti si dimostrano efficaci perché favoriscono la riduzione della probabilità che i radicali liberi interagiscano con la doppia elica del DNA e, quindi, che si instaurino le alterazioni genetiche (mutazioni) alla base delle neoplasie. A livello cardiovascolare, l’effetto protettivo è legato alla capacità degli antiossidanti di combattere i radicali liberi in corrispondenza delle pareti delle arterie, dove questi composti dannosi accelerano e aggravano l’aterosclerosi favorendo lo sviluppo di patologie coronariche ed eventi acuti come l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale. E ancora, considerato che lo stress ossidativo è un risultato associato a un’accelerazione dei processi di invecchiamento dell’organismo a tutti i livelli, e quindi, non solo cutaneo, ma anche cardiovascolare e neurologico, uno stile alimentare ricco di antiossidanti potrebbe dimostrarsi un prezioso alleato per contenere il naturale declino fisico e intellettivo associato allo scorrere del tempo.
Evitano danni irreparabili al nostro organismo. Gli antiossidanti, secondo la definizione universalmente riconosciuta, sono quindi sostanze capaci, anche se presenti in piccola quantità, di ritardare o inibire i processi di ossidazione di materiali degradabili. Opponendosi all’azione dell’ossigeno, prevengono o quanto meno ritardano l’ossidazione di un’altra sostanza ossidabile. In sostanza, impediscono/inibiscono la formazione e l’azione degli agenti ossidanti e reagiscono direttamente con l’ossigeno. Esistono due categorie di antiossidanti: quelli primari o preventivi (la cui funzione è quella di impedire o ritardare l’ossidazione tramite rimozione o inibire dell’agente ossidante) mentre quelli secondari (la cui funzione è di interrompere l’ossidazione, una volta iniziata). Inoltre, molte malattie degenerative, così come l’invecchiamento, riconoscono tra i meccanismi di base un aumentato stress ossidativo. L’organismo produce naturalmente una serie di antiossidanti definiti endogeni (glutatione, il coenzima Q e gli enzimi superossido dismutasi e catalasi). Gli altri vengono quotidianamente introdotti nell'organismo attraverso il cibo. Di qui l’importanza di una dieta sana ed equilibrata poiché, il perdurare di una condizione di stress ossidativo, potrebbe essere alla base dell’insorgenza di alcune importanti patologie.
Gli antiossidanti sono delle molecole che possiamo produrre direttamente nel nostro organismo, che li ha già dentro di sé, oppure assumere attraverso l’alimentazione - spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano - Nel nostro organismo è necessario un equilibrio in termini di antiossidanti e di radicali liberi, che produciamo costantemente. Questi ultimi in sé non fanno così male come si pensa: una quota di radicali liberi può essere funzionale per il nostro organismo, ma non troppi. Se non c’è equilibrio si va incontro ad uno stress ossidativo, quindi si possono avere danni cellulari e a livello dello stesso DNA. I radicali liberi infatti accelerano l’invecchiamento, attivano dei processi infiammatori e indeboliscono il sistema immunitario. L’azione degli antiossidanti è quella di rendere stabili le cellule e contrastare la formazione di più radicali liberi.
L'importanza degli ANTIOSSIDANTI nel contrasto ai RADICALI LIBERI
Uno squilibrio da non sottovalutare.
Si produce quando c’è uno squilibrio tra antiossidanti e radicali liberi, oppure quando la produzione di prostaglandine infiammatorie (citochine infiammatorie) è elevata. E’ tutto regolato dai lipidi, dai grassi, che formano la membrana cellulare. In generale una cellula sana vede un equilibrio tra la produzione di citochine pro-infiammatorie e citochine anti-infiammatorie. Anche quelle pro-infiammatorie hanno un’azione positiva per l’organismo, perché possono bloccare un’infezione, un patogeno. Sono un sistema di difesa della cellula. Quando questo equilibrio viene meno, magari perché si segue una dieta sbilanciata, si ha un’eccessiva produzione di citochine pro-infiammatorie. A questo punto si crea questa condizione di stress ossidativa che, se non trattato, può diventare cronico. Si tratta di un’infiammazione silente, priva di sintomi, ma se diventa cronica può dare luogo a tutte quelle patologie infiammatorie come obesità, diabete, malattie cardiovascolari, cancro.
Dalle vitamine agli omega 3, l'esercito nella prevenzione della perossidazione lipidica.
Un potentissimo antiossidante è la vitamina E, che protegge la membrana cellulare, prevenendo la perossidazione lipidica. Si trova nell’olio extravergine d’oliva e nell’avocado. Poi c’è il betacarotene, che si trova nella verdura gialla e arancione e protegge la pelle. Quindi tutta la classe di flavonoidi: i polifenoli, presenti nella verdura, soprattutto nelle crucifere, nella frutta e nel tè (soprattutto verde), nell’uva e nel vino rosso (qui sotto forma di resveratrolo). Un altro tipo di flavonoidi sono le antocianine, dei frutti rossi, veri e propri super food. Anche gli acidi grassi omega 3 hanno un’ azione antiossidante e antinfiammatoria, perché danno forza alla barriera lipidica, agendo a livello anche genico. Li troviamo soprattutto nella frutta secca, [...] nel salmone e nei pesci grassi, nell’avocado. E sono ottimi anche per gli sportivi, perché vanno a nutrire il muscolo. La vitamina C è un altro antiossidante importante, che permette la sintesi del collagene e il recupero muscolare. Si trova in molti ortaggi, anche di stagione come le fragole, e poi kiwi, peperoni, agrumi. Il licopene tra tutti gli antiossidanti è quello che si attiva con la cottura. E’ presente nei pomodori, e proprio in questo caso la cottura ne libera quantità maggiori.
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Gazzetta Active "Antiossidanti, perché sono fondamentali per gli sportivi? Ecco dove trovarli"
Il Giornale "Pelle over 60, niente rughe con i cibi antiossidanti"
ISS "Antiossidanti"
Fondazione Veronesi "Antiossidanti: le sentinelle della nostra salute"
Treccani "Antiossidante"
Sapere Salute "Antiossidanti"
The Journal Of Neuroscience "Oxidative damage and antioxidant response in frontal cortex of demented and non-demented individuals with Alzheimer’s neuropathology"
Hypertension "Benefits in Cognitive Function, Blood Pressure, and Insulin Resistance Through Cocoa Flavanol Consumption in Elderly Subjects With Mild Cognitive Impairment"
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L'insonnia è al centro delle nuove scoperte sull'Alzheimer. Le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato che rischia di più l'Alzheimer chi presenta disturbi del sonno e del ritmo sonno-veglia. Ora un'indagine pubblicata sulla rivista Sleep medicine, condotta da ricercatori italiani, prova come le OSA, le apnee ostruttive notturne, contribuiscano al declino cognitivo in tutte le demenze e in particolare all’Alzheimer. Colpiscono dal 25 al 40% dei pazienti negli stadi da lievi a moderati della malattia, i disturbi del sonno sempre più una costante nelle persone affette da Alzheimer (AD). La devastante malattia neurodegenerativa è tra le forme più comuni di demenza, definita dall'accumulo anomalo ed eccessivo di diversi peptidi tossici tra cui placche amiloidi (Aβ) e grovigli neurofibrillari (NFT). La demenza di Alzheimer comporta cambiamenti atrofici nel cervello con conseguente perdita di memoria, disfunzione cognitiva e danni alle sinapsi. In molti, insonnia e disturbi del sonno possono rappresentare una causa di neurodegenerazione. Infatti, un pregresso di interruzione del sonno precedente all'insorgenza dei sintomi cognitivi potrebbe rappresentare un potenziale fattore di rischio per l'Alzheimer. Sebbene i meccanismi attraverso i quali un sonno scarso possa contribuire alla genesi dell'Alzheimer non siano completamente compresi, numerose evidenze scientifiche collegano i disturbi del ciclo sonno-veglia con la deposizione di beta-amiloidi ovvero sulla relazione tra insonnia e il conseguente sviluppo dell'Alzheimer. Il carico di amiloidi sembra essere potenziato dalle interruzioni del ciclo sonno-veglia e si sospetta sia un importante meccanismo attraverso il quale le interruzioni del sonno contribuiscono allo sviluppo dell'Alzheimer. Altri meccanismi poi innescati dall'interruzione del sonno possono anche essere coinvolti nello sviluppo dell'Alzheimer, come l'ipossia cerebrale, lo stress ossidativo, i disturbi dei ritmi di attività circadiani, la sovraespressione di orexine e la compromissione della barriera emato-encefalica. In pratica, l’interruzione del ritmo circadiano negli anziani potrebbe rappresentare, in particolare tra quelli con malattie neurodegenerative, un'importante caratteristica prodromica per lo sviluppo dell'Alzheimer. O meglio, la ridotta ritmicità circadiana è stata associata ad un aumento del rischio di questa malattia. Le alterazioni del ritmo circadiano sono esse stesse responsabili dello sviluppo della malattia: potenzialmente, la disregolazione dell’orologio biologico potrebbe danneggiare il sistema immunitario o provocare stress ossidativo, contribuendo alla genesi di questo disturbo. Biancamaria Guarnieri, neurologa e tra gli autori del report spiega in un'intervista a Donna Moderna il rapporto tra insonnia e demenza:
È un rapporto che va oltre quello che si credeva fino a pochi anni fa, quando i disturbi del sonno erano un triste accompagnamento della malattia che, nella fase avanzata, portava all’ospedalizzazione e comprometteva la serenità dei caregivers. Si è visto che le proteine dannose dell’Alzheimer, Beta Amiloide e Tau, si accumulano all’interno del sistema nervoso centrale soprattutto durante le ore di veglia e vengono poi eliminate dormendo bene. Perciò un sonno cattivo può interferire con questo meccanismo. Inoltre, uno studio americano ha mostrato un rallentamento dell’Alzheimer in pazienti curati per le apnee. In età avanzata ci possono essere insonnia, parasonnie, disturbo del comportamento in sonno Rem, sindrome delle gambe senza riposo, eccessiva sonnolenza diurna, che non sempre è il corrispettivo di una notte in cui si dorme male. Poi ci sono le OSA, le apnee ostruttive notturne, che rappresentano un fattore di rischio e favoriscono una più veloce progressione della malattia. Si manifestano soprattutto tra gli adulti, più nei maschi, e in oltre il 40-50 per cento dei casi di Alzheimer. Gli uomini che ne soffrono in genere se ne accorgono prima e si rivolgono ai medici. I sintomi infatti sono evidenti, russano, fanno svegliare le loro compagne e di giorno resta loro una eccessiva sonnolenza. Nelle donne invece i sintomi sono meno facili da riconoscere: confusione, insonnia, difficoltà di concentrazione, mal di testa. Le donne hanno una prevalenza di apnee in alcune fasi del sonno (sonno Rem). Perciò nel loro caso le OSA sono ignorate dalle stesse pazienti, sotto-diagnosticate o diagnosticate in ritardo.
Pericolo ALZHEIMER? Quando la prevenzione comincia a tavola
Secondo quanto riporta il Rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in collaborazione con l’Alzheimer’s Disease International, la demenza, in costante aumento nella popolazione è “una priorità mondiale di salute pubblica”. I dati poi non sono certo incoraggianti: 35,6 milioni di persone nel mondo sono affette da demenza, ogni anno si registrano 7,7 milioni di nuovi casi, un nuovo caso ogni 4 secondi. Uno scudo a questo fenomeno in costante aumento sembrerebbe arrivare proprio dalla melotonina che oltre ad essere un valido alleato per contrastare l'insonnia si è dimostrato anche un regolatore endogeno latente della neurogenesi per mitigare la neuropatologia di Alzheimer. La melatonina, un neuro-ormone sintetizzato dalla ghiandola pineale, è noto come agente pleiotropico multifunzionale che ha un'ampia gamma di ruoli neuroprotettivi in molteplici disturbi neurodegenerativi legati all'etàe in particolare, alla malattie di Alzheimer (AD). Difatti, la secrezione di melatonina diminuisce con maggiore frequenza proprio nelle persone affette dalla demenza dell'Alzheimer, tale riduzione si pensa possa essere responsabile della disorganizzazione dei ritmi circadiani, dei problemi legati al sonno e della compromissione delle funzioni cognitive osservati in questi pazienti. Inoltre, tra le peculiarità riscontrate proprio nei pazienti affetti da Alzheimer anche la cosiddetta “sindrome del tramonto” che si manifesta con agitazione e confusione durante le ore serali. Da qui l'assunto che l'integrazione di melatonina sembrerebbe avere effetti positivi su questa sindrome come su altri disturbi del sonno. Senza considerare poi la lunga serie di benefici per l'organismo e per il rinforzo delle difese immunitarie dovuti anch'essi al corretto riposo. Ad oggi, non esiste un trattamento curativo contro la progressione dell'Alzheimer ma esistono una serie di buoni abitudi per limitare al minimo i rischi di questa invalidante patologia. A questo proposito, la melatonina svolge un ruolo cruciale per l'inibizione dell'interruzione circadiana controllando i geni dell'orologio e attenua anche l'accumulo di amiloidi e l'iperfosforilazione della tau regolando la via di segnalazione della glicogeno sintasi chinasi-3 (GSK3) e della chinasi 5 (CDK5) dipendente dalla ciclina. Un aiuto importante per contrastare lo stress ossidativo e la morte neuronale durante la progressione dell'Alzheimer.
Insomma, una malattia neurodegenerativa cronica con meccanismi fisiopatologici ben definiti, che colpisce principalmente il lobo temporale mediale e le strutture neocorticali associative. Le placche neuritiche e i grovigli neurofibrillari rappresentano i segni patologici dell'Alzheimer e sono rispettivamente correlati all'accumulo del peptide beta-amiloide (Aβ) nei tessuti cerebrali e ai cambiamenti del citoscheletro che derivano dall'iperfosforilazione della proteina associata ai microtubuli nei neuroni. Secondo l'ipotesi amiloide dell'Alzheimer, la sovrapproduzione di beta-amiloide è una conseguenza dell'interruzione dei processi omeostatici che regolano la scissione proteolitica della proteina precursore dell'amiloide. Genetica, fattori legati all'età e ambientali contribuiscono ulteriormente a uno spostamento metabolico favorendo l'elaborazione amiloidogenica a scapito della via fisiologica secretoria. I peptidi beta-amiloide, invece, sono generati dalla successiva scissione da parte della beta-secretasi (BACE-1) e della gamma-secretasi che è stata recentemente caratterizzata come parte del complesso della presenilina. Tra le diverse isoforme beta-amiloidi che presentano sottili differenze a seconda del numero di amminoacidi C-terminali, l'amiloide svolge un ruolo fondamentale nella patogenesi dell'Alzheimer. Il potenziale neurotossico del peptide beta-amiloide deriva dalle sue proprietà biochimiche che favoriscono l'aggregazione in oligomeri e protofibrille insolubili. Questi inoltre originano specie beta-amiloidi fibrillari che si accumulano in placche senili e neuritiche. Questi processi, insieme a una riduzione della capacità di smaltimento di beta-amiloide dal cervello, porta all'accumulo extracellulare di beta-amiloide e alla successiva attivazione di cascate neurotossiche che alla fine portano a cambiamenti del citoscheletro, disfunzione neuronale e morte cellulare. L'amiloidosi intracerebrale si sviluppa nei pazienti con la demenza di Alzheimer in modo età-dipendente, ma recenti evidenze scientifiche indicano che può essere osservata in alcuni soggetti già nella terza o quarta decade. Secondo recenti studi è possibile suddividere l’Alzheimer in tre fasi cliniche:
Lo stress aumenta il rischio di ammalarsi del morbo di Alzheimer
Come già anticipato, insieme al deterioramento cognitivo progressivo, anche la disfunzione dei ritmi circadiani gioca un ruolo fondamentale nella progressione della patologia stessa. Insomma, una relazione di influenza reciproca quella tra ritmi circadiani, sonno e Alzheimer. L'eziopatogenesi dei disturbi del sistema circadiano e l' Alzheimer condividono alcune caratteristiche generali che sbloccano anche la prospettiva di osservarli come un percorso reciprocamente dipendente. Per contro, l'invecchiamento, può alterare sia i tempi che la qualità del sonno che può essere fortemente disturbato nei casi di Alzheimer. Tuttavia, quando il ciclo sonno-veglia viene interrotto (e quindi caratterizzato da un aumento dei livelli cerebrali del neuropeptide che promuove la veglia orexina e da una maggiore attività neurale), la capacità di smaltimento del sistema nervoso centrale (SNC) dei metaboliti extracellulari diminuisce. Difatti, questi risultati suggeriscono l'esistenza di un'interazione meccanicistica tra la patogenesi dell'Alzheimer e l'interruzione dei cicli sonno-veglia, che è in grado di accelerare lo sviluppo e la progressione di questa grave malattia. Per sommi capi, l’ottimizzazione del ritmo sonno-veglia potrebbe diventare un ulteriore obiettivo terapeutico nella prevenzione e gestione della malattia di Alzheimer. Proprio per questo, per contrastare insonnia e disturbi del sonno è fondamentale un buon alleato: scegliere la corretta integrazione per regolarizzare e facilitare la fasi del sonno. Ancora meglio poi se con un rimedio naturale come la melatonina. Una molecola naturale antichissima con la principale funzione di regolare il ritmo circadiano, in particolare dove, come in questo caso, l’alternarsi del giorno e della notte inducono variazioni dei parametri vitali.
PubMed "Circadian and sleep dysfunction in Alzheimer's disease"
PubMed "Alzheimer's disease"
PubMed "Candidate mechanisms underlying the association between sleep-wake disruptions and Alzheimer's disease"
Le Scienze "Alzheimer: scoperti i meccanismi delle difese antiossidanti contro la neurodegenerazione"
PubMed "Melatonin in Alzheimer's Disease: A Latent Endogenous Regulator of Neurogenesis to Mitigate Alzheimer's Neuropathology"
La Stampa "Il cacao previene e inibisce l’Alzheimer"
Corriere della Sera "Mangiare cacao contro l'Alzheimer"
PubMed "Is Sleep Disruption a Risk Factor for Alzheimer's Disease?"
Medi Magazine "Estratto di cacao per la cura e prevenzione dell’Alzheimer"
Eurosalus "Il cacao che cura l'Alzheimer"
Today "Alimentazione e Alzheimer, cosa dice la scienza? Gli studi che fanno chiarezza"
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I radicali liberi incidono nella fase di innesco e nella progressione dell'Alzheimer. Per contro, le persone che soffrono di questa patologia, ma che non sono affette da demenza hanno la capacità di attivare una risposta cerebrale antiossidante efficace a far fronte alla neurodegenerazione causata dal morbo. A dimostrarlo è un nuovo studio pubblicato su The Journal of Neuroscience dal titolo "Oxidative damage and antioxidant response in frontal cortex of demented and non-demented individuals with Alzheimer's neuropathology", frutto della collaborazione tra la University of Texas Medical Branch, l'Oregon Health & Science University e l'Università degli Studi di Roma Tre. L’indagine sottolinea gli eventi molecolari alla base della malattia di Alzheimer, evidenziando il ruolo delle difese antiossidanti contro la neurodegenerazione in soggetti che invece presentano placche amiloidi e grovigli neurofibrillari nel cervello, tratti istopatologici caratteristici di questa patologia. Questo studio rivela la capacità di questi individui di attivare una risposta antiossidante efficiente per far fronte allo stress ossidativo, forse rappresentando uno dei meccanismi con cui rimangono cognitivamente intatti. «Il nostro lavoro - spiegano i ricercatori -, oltre a far progredire la conoscenza sul ruolo dello stress ossidativo nell'AD, può gettare le basi per nuovi approcci terapeutici alla malattia». La demenza è in costante aumento nella popolazione e secondo quanto riporta il Rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in collaborazione con l’Alzheimer’s Disease International “una priorità mondiale di salute pubblica”. I dati poi non sono certo incoraggianti: 35,6 milioni di persone nel mondo sono affette da demenza, 7,7 milioni di nuovi casi l’anno, un nuovo caso ogni 4 secondi.
Pericolo ALZHEIMER? Quando la preevnzione comincia a tavola
In Italia, un milione di persone sono colpite da demenza e circa 3 milioni sono direttamente o indirettamente coinvolte nell'assistenza dei loro cari. Tra le forme di demenza, la più comune e devastante è la malattia di Alzheimer, i cui casi potrebbero triplicare nei prossimi 40 anni, in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione, con costi sociali ed economici elevatissimi. La malattia di Alzheimer (AD) si caratterizza da una progressiva neurodegenerazione nella corteccia cerebrale, istopatologicamente costituita da placche extracellulari amiloide β (Aβ) e grovigli neurofibrillari intracellulari, costituiti dalla proteina Tau iperfosforilata. La correlazione tra queste caratteristiche patologiche e la demenza è stata messa in discussione dall'emergere di individui "Non-dementi con Neuropatologia di Alzheimer" (NDAN), cognitivamente intatti nonostante presentassero caratteristiche patologiche dell'AD. L'esistenza di questi soggetti suggerisce che vengono attivati alcuni meccanismi sconosciuti per resistere agli eventi dannosi mediati da Aβ. L'accumulo di Aβ influisce sull'equilibrio redox mitocondriale, aumentando lo stato di stress ossidativo, che a sua volta viene proposto come uno dei principali responsabili della patogenesi dell'AD.
Insomma, questa nuova indagine dimostra che i soggetti con funzioni cerebrali non compromesse hanno la capacità di attivare una risposta cerebrale antiossidante efficace al punto da far fronte alla neurodegenerazione causata dal morbo. Per chiarire la relazione che collega Aβ,post mortemcortecce frontali di entrambi i sessi. L'indagine ha analizzato quantitativamente la distribuzione dell'immunofluorescenza dei marker di danno ossidativo e di SOD2, PGC1α, PPARα, CAT come fattori chiave nella risposta antiossidante, così come l'espressione di miRNA-485, come regolatore a monte di PGC1α. I risultati confermano un drammatico squilibrio redox, associato a difese antiossidanti compromesse nel cervello di AD. Al contrario, gli individui NDAN mostrano un basso danno ossidativo, associato ad alti livelli di sistemi di lavaggio, probabilmente derivante dalla mancanza di inibizione correlata a PGC1α miRNA-485. Analisi comparative nei neuroni e negli astrociti hanno ulteriormente evidenziato i meccanismi specifici delle cellule per contrastare lo squilibrio redox. Nel complesso, i nostri dati sottolineano l'importanza della regolazione trascrizionale e post-trascrizionale della risposta antiossidante nell'AD.
«Lo studio si basa sull'analisi di 34 campioni post-mortem di corteccia cerebrale di soggetti controllo, alzheimeriani e NDAN sia maschili sia femminili ai quali la University of Texas Medical Branch (UTMB) ha accesso grazie alla collaborazione con la Brain Bank dell'Oregon Health & Science University», spiega Giulio Taglialatela, vice direttore del Dipartimento di Neurologia e Direttore del Mitchell Center for Neurodegenerative Diseases della UTMB. «Nei tessuti dei soggetti NDAN – prosegue l’esperto - abbiamo scoperto una differente espressione dei fattori che modulano la risposta antiossidante: in particolare, molecole di microRNA regolatrici negative di fattori di trascrizione della risposta antiossidante, sono presenti a basse concentrazioni negli individui NDAN e altamente espresse nei pazienti alzheimeriani». Da anni «il nostro gruppo di ricerca a Roma Tre si occupa del ruolo dei radicali liberi nella fase di innesco e di progressione della malattia di Alzheimer. Oggi, con questo lavoro, abbiamo un'ulteriore conferma: lo studio, infatti, rivela la capacità dei soggetti NDAN di attivare una risposta cerebrale antiossidante efficace, per far fronte allo stress ossidativo, che rappresenta uno dei meccanismi primari di danno» evidenzia Sandra Moreno, docente di Neurobiologia dello Sviluppo. Tale resilienza innata, aggiunge Moreno «sembra così giustificare le abilità cognitive intatte degli NDAN, che in effetti mostrano livelli di danno ossidativo ai neuroni e alla soglia più bassi rispetto agli AD, simili invece alla condizione normale di controllo».
Piacere per il palato e toccasana per l’organismo. Il cacao potrebbe prevenire i danni dell’Alzheimer o addirittura intervenire nelle prime fasi della malattia. Tra i notevoli benefici già scoperti in numerose ricerche scientifiche, un altra ricerca dimostra l’importanza del cacao nella prevenzione delle patologie neurodegenerative. Due recenti studi confermano il legame tra cacao, o cioccolato, e Alzheimer. Le nuove ricerche sono state focalizzate sul declino cognitivo che accompagna questa malattia. Le indagini dimostrano e spiegano la correlazione tra quest'alimento e gli effetti della malattia. Il primo studio, pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease (JAD), è stato effettuato dai ricercatori dell’Icahn School of Medicine al Mount Sinai in collaborazione con la Kanazawa University del Giappone su un estratto di cacao Lavado, ovvero, un tipo di cacao minimamente trasformato e ad alto contenuto di polifenoli (antiossidanti). Il team di ricercatori ha dimostrato le notevoli potenzialità di un estratto di cacao Lavado il quale sarebbe capace di ridurre i danni alle vie nervose nei pazienti con malattia di Alzheimer. Lo studio, pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, ha evidenziato che i polifenoli e altre sostanze antiossidanti presenti in un estratto concentrato di cacao sono in grado di ripristinare la funzione di comunicazione tra i neuroni (le sinapsi). Condotto su topolini geneticamente modificati, e proprio per questo, destinati ad ammalarsi di demenza senile, ai quali l’equipe ha somministrato estratto di cacao a diverse concentrazioni: in quelli non ancora affetti dalla malattia, l’estratto ha impedito la formazione delle placche di sostanza “beta-amiloide”, che determinano il danno neuronale responsabile della patologia, mentre nei topini malati – con demenza allo stadio iniziale – il cacao ha addirittura guarito le terminazioni nervose già danneggiate.
Un alimento dalle virtù antiossidanti, energetiche, “antidepressive” e, come dimostra lo studio dell’Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York, protettive delle funzioni celebrali, con ripercussioni positive sui primi stadi dell’Alzheimer. Stessa tesi sostenuta anche da una serie di esperimenti su topi geneticamente ingegnerizzati a sviluppare la malattia. L’indagine ha mostrato che l’estratto del cacao Lavado impedirebbe alla proteina β- amiloide (Ap) il formarsi di grumi viscosi a livello del cervello noti per arrecare danno alle cellule nervose al progredire della patologia. La seconda, invece, una ricerca italiana, è stata condotta all’Università dell’Aquila e pubblicata poi su Hypertension. Nello studio sono stati coinvolti 3 gruppi di soggetti anziani affetti da un lieve decadimento delle abilità cognitive ai quali è stata somministrata giornalmente una bevanda contenente flavonoli, seppur in diverse quantità, del cacao che possiedono proprietà antiossidanti. Nell’indagine è stato notato un miglioramento dei valori di pressione, sensibilità insulinica e perossidazione lipidica, con valori superiori, nel gruppo di anziani a cui era stata somministrata una quantità più elevata di antiossidanti, oltre a un miglioramento della funzionalità cognitiva valutata con appositi test finali. I due studi menzionati dimostrano l’importanza dell’alimentazione per il mantenimento di un buono stato di salute. Ovviamente sia fisica che mentale e associata sempre a una costante attività fisica. Piccole abitudini che potrebbero aiutare a prevenire il declino cognitivo e tante altre patologie. Tuttavia, è fondamentale abbinare una dieta a uno stile di vita sano, regolare ed equilibrato.
Note già nel XVIII secolo le preziose virtù della polvere di cacao, infatti, era pratica comune, acquistare nelle farmacie la cococulata indic, un rimedio naturale contro stanchezza e spossatezza. Poco dopo, nel 1702 il medico e chimico francese Louis Lémery, nel Traité des aliments, scrisse che “Le sue proprietà stimolanti eccitano l’ardore di Venere”. Alla fine dell’Ottocento, poi, la polvere di cacao, grazie alle sue proprietà energetiche, veniva consumata anche dall’esercito svizzero per mantenersi in forma. Un mix naturale di sali minerali (soprattutto magnesio e fosforo) e vitamine, gli conferiscono un elevato valore energetico. Difatti, quelle che prima era sono credenze culturali, oggi sono certezze scientifiche. Il cacao racchiude oltre 400 sostanze benefiche per l’organismo.
“La fava del cacao è un fenomeno che la natura non ha più ripetuto. Non si sono mai trovate tante qualità riunite in un solo frutto così piccolo” sosteneva Alexander von Humboldt, naturalista ed esploratore tedesco che studiò le proprietà della pianta di cacao. Vero e proprio toccasana per corpo e mente. Contiene altri nutrienti importanti come teobromina e caffeina, seppur in dosi minori rispetto al caffè, che favoriscono la concentrazione e la prontezza di riflessi; il triptofano, precursore della serotonina, il neurotrasmettitore noto come “ormone del buonumore”; la tiramina, utilizzata nella preparazione di farmaci antidepressivi e l’epicatechina, un flavonoide dalle notevoli proprietà antiossidanti, presente in abbondanza nella fava di cacao oltre che nel cioccolato fondente. Inoltre, l’epicatechina è la sostanza che aiuta a combattere l’invecchiamento cellulare e gli conferisce il gusto amaro.
La Filiera Etica del Cioccolato "LIFE 120" con SILVIO BESSONE (Maestro cioccolatiere)
Lo studio del Mount Sinai suggerisce che quantità adeguate di specifici polifenoli del cacao nella dieta possono, nel corso del tempo, impedire i danni al cervello causati dall’Aβ negli oligomeri, e quindi, questo potrebbe essere un mezzo per prevenire l’Alzheimer. Tra le varie tipologie di cacao testati nello studio, il tipo Lavado è risultato quello più efficace nel contrastare gli effetti della malattia. Questo si pensa sia dovuto alla maggiore presenza di polifenoli e attività antinfiammatoria di questo tipo di cacao. «Ci sono state alcune incongruenze nella letteratura medica per quanto riguarda il potenziale beneficio di polifenoli del cacao sulla funzione cognitiva – sottolinea il Giulio Maria Pasinetti, a capo del team di ricerca – La nostra ricerca sulla protezione contro i deficit sinaptici dell’estratto di cacao Lavado, ma non con l’estrazione Dutch del cacao (mediante pressione), suggerisce fortemente che i polifenoli sono la componente attiva che salva trasmissione sinaptica, dal momento che gran parte del contenuto di polifenoli è perso per l’elevata alcalinità nel processo di estrazione Dutch».
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