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Come abbiamo visto in altri articoli, l’acidosi è un abbassamento del pH degli organi, dei fluidi e dei tessuti del corpo che di norma sono alcalini. Solo lo stomaco ha un ambiente per lo più acido, e deve rimanere tale. Il terreno predominante nel resto del corpo deve essere leggermente alcalino, con il sangue e la linfa tra 7,365 e 7,42 di pH: un equilibrio difficile da mantenere. Troppo spesso siamo tesi, nervosi, stressati, insofferenti, preoccupati, arrabbiati, mangiamo male, assumiamo farmaci. Et voilà! Senza sintomi apparenti il nostro pH diventa acido. Anche se la causa primaria di acidosi sono le abitudini alimentari, molti fattori acidificano e intossicano il corpo ogni giorno: faramci, inquinanti ambientali, emissioni di automobili, pesticidi, diserbanti, conservanti, coloranti e cere su vegetali e frutta, dolcificanti artificiali, additivi alimentari, sostanze inquinanti delle acque, suoli contaminati, additivi dell’acqua.

Le malattie cardiovascolari, come ad esempio l’ictus e l’infarto, sono una delle principali cause di morte e gli studi dimostrano che la maggior parte di queste morti sono premature. In altre parole, cambiamenti nello stile di vita potrebbero salvare vite umane, dando a coloro con malattie cardiache conclamate una migliore qualità della vita e una lunga durata. La causa principale delle malattie cardiovascolari, ha le sue radici in un ambiente fisico acido. Proprio come le piogge acide si mangiano il marmo, l’acidosi irrita e infiamma i tessuti. Gli acidi corrodono le membrane cellulari, l’interno delle arterie e delle vene, il tessuto del cuore. Questo processo continuo indebolisce le ossa (causando osteoporosi), il cuore, le arterie e le vene. L’acidosi non si trova in un organo e non ha un percorso specifico. Essa colpisce tutti i tessuti del corpo, e tutti i tessuti sono sensibili a questo acido corrosivo. Così come siamo sensibili alle sostanze chimiche sparse nell’ambiente, l’acidosi è una condizione che si comporta come una sostanza chimica corrosiva all’interno del tuo corpo.

Le cellule muscolari di cuore, arterie e vene vengono in contatto diretto con gli acidi metabolici nel sangue. Poiché le “tubazioni” del corpo aiutano a regolare il flusso di sangue e la pressione sanguigna, è imperativo che rimangano sane. Quando il plasma sanguigno è mantenuto tra un pH di 7,35 e 7,42, i livelli di irritazione e di infiammazione nel corpo sono notevolmente ridotti. L’omocisteina è un aminoacido che aumenta in caso di acidosi, ed è una delle principali misurazioni dei livelli infiammatori nel sangue. Alcuni studi mostrano come l’aumento in omocisteina può far lievitare il rischio di danni alle pareti interne delle arterie. Lo studio norvegese di Hordaland, basato su una popolazione di oltre 18.000 uomini e donne, dimostra che quando l’omocisteina aumenta troppo, parimenti aumenta il rischio di ictus, aterosclerosi, di coaguli di sangue e malattie coronariche.

Come alcalinizzare il corpo?

In linea generale si può aumentare il consumo di frutta e verdura, eliminare latticini e carni rosse, abbassare il livello di carboidrati e zuccheri (l’eccesso abbassa i livelli di colesterolo buono) e ridurre lo stress. Come misurare l’acidità? In farmacia vendono le cartine tornasole. Utilizzale la mattina per testare urine e saliva. Oltre all’alimentazione, un’altro modo per far oscillare il pH ad uno stato più alcalino è attraverso l’acqua alcalina ionizzata. Integrare la dieta con minerali alcalinizzanti come il magnesio può risultare un vero toccasana. Il magnesio per altro è coinvolto in oltre 300 reazioni chimico-enzimatiche nel corpo. Il magnesio si trova per lo più nella frutta e nella verudra fresche di stagione e si perde facilmente con la cottura, il congelamento e i trattamenti agro-alimentari. La cosa più importante è rendersi conto che la tua salute è nelle tue mani. La maggior parte dei farmaci aiutano a gestire i sintomi e non a sbarazzarsi veramente della causa principale delle malattie. Ciò non significa evitare i farmaci ad ogni costo, perchè talvolta rappresentano dei veri e propri salvavita, come ad esempio quelli utilizzati per gestire la pressione sanguigna.

Fonte: ComeMigliorare.com

Oggi quasi tutte le donne che hanno tra i 50 e i 60 anni consultano un medico per i problemi più diversi, avendo già fatto una MOC che le definisce osteopeniche se non osteoporotiche (grazie allo scorretto confronto con le ossa del giovane paracadutista sano maschio di 20 anni) e spesso prendendo una pillola per la pressione di cui spesso non ricordano neanche il nome, talmente è "normale" che ci sia una pillola da prendere anziché cercare delle soluzioni naturali a questo importante segnale dell'organismo. Ora una serie di lavori scientifici recenti ha consentito di capire almeno due aspetti del legame tra frattura del femore e terapia antipertensiva (la pillola di cui prima).

Il primo è che esiste una azione diretta degli ACE inibitori (una classe di farmaci contro la pressione elevata) che sembrerebbe indurre una riduzione della durezza dell'osso in chi ne fa uso. Il lavoro, pubblicato su Osteoporosis International nel 2012 ha confermato una significativa riduzione della durezza dell'osso in chi ne faccia uso per più di 4 anni (Kwok T et al, Osteoporos Int. 2012 Aug;23(8):2159-67. Epub 2011 Nov 12). Si tratta di nomi molto usati sul mercato, tra cui troviamo: Enapren, Blopress, Karvea, Tareg, oppure, se associati a diuretico, Hizaar, Losazide, Neolotan plus eccetera. Il secondo aspetto è quello forse più "tragicomico" perché è semplicemente legato al fatto che una persona che inizia la terapia per la pressione alta, rischia, per un primo periodo, di avere la pressione fin troppo bassa o di avere delle oscillazioni importanti. Questo significa mancanza di equilibrio, cadute e fratture in netto aumento.

Si tratta di un ragionamento semplicemente di "buon senso" che pure spesso non è preso in considerazione. Questo vale un po' per tutti i farmaci antipertensivi e sulla stessa rivista un altro lavoro statunitense più recente ha definito questo stesso rischio ad esempio per i diuretici (Berry SD et al, Osteoporos Int. 2012 Jul 13. [Epub ahead of print]).  Su questo tema Medscape ha riportato i risultati della recentissima conferenza annuale della American Society for Bone and Mineral Research (ASBMR) in cui un lavoro canadese, proposto dalla dottoressa Debra Butt ha confermato che gli ACE inibitori determinano un elevato rischio di caduta e di frattura nei primi periodi di utilizzazione. Allora forse vale la pena di ricordare due cose: che il controllo dell'uso di cibi salati è la migliore arma preventiva nei confornti della pressione alta, e che l'approccio a queste terapie, se davvero necessarie, merita di essere fatto in modo morbido ed equilibrato, un po' più graduale di quanto di solito venga fatto.

Fonte: Eurosalus

I problemi intestinali da latte vaccino non si limitano alla diarrea: chi studia le intolleranze alimentari sa quanto spesso questo alimento sia associato a forme di stitichezza. Uno studio recentemente eseguito in Finlandia sottolinea ancora una volta questo legame trascurato da molti. Ne avevamo già parlato su Eurosalus in occasione della pubblicazione di altri studi su questo argomento. Ma è difficile scalzare l'idea che a livello intestinale il latte provochi un unico tipo di manifestazione. Un nuovo studio (Turunen S et al., Lymphoid nodular hyperplasia and cow's milk hypersensitivity in children with chronic constipation, J Pediatr 2004 Nov; 145:606-11) arrivano invece oggi a confermare che, per quanto fuori linea possa apparire, il latte vaccino può effettivamente indurre fenomeni di stitichezza.

Nello studio citato, l'83% dei bambini che soffrivano di stitichezza cronica hanno visto risolversi il loro problema durante la dieta di eliminazione del latte e il 34% ha avuto una ricaduta quando l'alimento è stato reintrodotto.
Benché la ricerca dia sostegno a un punto di vista già ben noto a chi pratica da anni un approccio dietetico immunologico nella cura di molte patologie, aiuta anche a comprendere come la dieta di eliminazione (utile in certi casi per dimostrare un'ipotesi) non sia l'approccio corretto per superare un problema di intolleranza. Per questo nei centri DRIA viene regolarmente utilizzata una dieta volta al recupero della tolleranza, che fin dall'inizio prevede sempre giornate di esposizione controllata all'alimento non tollerato, per insegnare al sistema immunitario come tornare a gestirlo. Come in una forma di nuovo svezzamento. Con la dieta giusta, inoltre, è possibile affrontare anche una serie di altre patologie infiammatorie più gravi.

 

Fonte: Eurosalus

La relazione tra alimentazione e asma è un dato che dovrebbe essere ormai acquisito da parte di tutti i medici. I lavori di Brandt di cui Eurosalus ha tanto parlato sono stati pubblicati fin dal 2006 e la possibilità di aiutare la guarigione dell'asma attraverso lo studio delle allergie alimentari ritardate è per noi una pratica scientifica ben documentata. Uno studio effettuato da ricercatori della West Virginia University aggiunge dati a questa conoscenza. La ricerca ha preso spunto dal fatto che si è rilevato un certo parallelismo tra aumento della obesità infantile e adolescenziale e aumento dei casi di asma. La relazione con l'asma non dipende però solo dal fatto di essere obesi. In modo molto più drammatico si è scoperto che le alterazioni dei valori di glicemia e dei valori dei trigliceridi (espressione classica della assunzione di un eccesso di carboidrati) sono la chiave di lettura per capire la contemporanea accentuazione dei fenomeni asmatici.

Il lavoro è stato pubblicato da pochi giorni sull'American Journal of Respiratory and Critical Care e conferma per la prima volta una stretta correlazione tra asma e alterazioni della glicemia e dei trigliceridi, al di là della alterazione dell'indice di massa grassa (Cottrell L et al, Am J Respir Crit Care Med. 2010 Sep 17. [Epub ahead of print]). Si potrebbe quindi attivare una campagna di stampa contro le merendine e a favore di frutta e verdura, ma dubitiamo che oggi l'industria e la scienza sappiano affrontare con serenità d'animo questo aspetto. Si potrebbe insegnare all'industria a fare delle merendine serie (frumento integrale, uso di semi oleosi proteici, ripresa dell'utilizzo di uova nella alimentazione infantile) per migliorare l'indice glicemico dei cibi e degli alimenti, ma le persone che hanno la mente aperta per pensare ad un futuro migliore in modo sano non sono poi tante. Nell'individuale, ognuno può ricordarsi l'uso di frutta e verdura, può migliorare il rapporto tra carboidrati e proteine nella propria alimentazione, può mantenere vivo il movimento per migliorare la propria funzione respiratoria. Con efficacia, a bassissimo costo e con il supporto della scienza.

Fonte: Eurosalus

Sfortunatamente la lista degli effetti collaterali provocati dai farmaci anti-infiammatori non steroidei (detti anche FANS) è molto lunga! E allora vale la pena rischiare così tanto per disturbi facilmente trattabili? Si tratta di effetti negativi che vanno dalle irritazioni gastrointestinali fino alla morte. Madre natura come sempre ci viene in aiuto, basta solo scegliere alimenti e condimenti che contengono salicilati o acido salicilico, ovvero l’ingrediente attivo dell’aspirina. Quindi, prima di assumere la pasticca, è meglio prendere in considerazione questi vegetali che agiscono come un’aspirina naturale:

Curry
Curcuma
Cumino
Paprika
Timo
Rosmarino
Origano
Avocado
Mirtilli
Broccoli
Cavolfiore
Ciliegie
Pepe di Cayenna o peperoncino
Cetrioli
Ribes
Datteri
Melanzana
Fichi
Pompelmo
Uva
Kiwi
Liquirizia (la radice, non la caramella)
Basilico
Albicocca
Pesca
Miele
Mandorle
Prugne
Ravanelli
Lamponi
Spinaci
Fragole
Mele
Corteccia di salice (sotto forma di estratto, succo o decotto)
Zucchine
Assumere l’aspirina per qualsiasi disturbo lieve non è salutare per il proprio organismo. Per questo motivo è bene sostituire la pasticca di aspirina con alcuni dei cibi sopra elencati. Molti di questi alimenti sono ntinfiammatori e tutti contengono naturalmente lo stesso principio attivo dell’aspirina, ovvero l’acido salicilico o salicilati.

Fonte: ECplanet

La pianta del pompelmo è un sempreverde originario della Cina, il suo fusto può raggiungere l'altezza di 15 metri e viene coltivato un po' in tutto il mondo, laddove il clima temperato lo permette. L'albero del pompelmo appartiene alla famiglia delle Rutacee e le tre principali varietà sono rappresentate dal Citrus decumana, Citrus grandis e Citrus maxima. I fiori del pompelmo sono bianchi, composti da quattro petali, mentre il frutto, giallo, ha un diametro che normalmente misura dai 10 ai 15 cm. e spicchi leggermente gialli, quasi incolore. Frutto ricco di fibre e di vitamine A, B,e C e soprattutto flavonoidi, potenti antiossidanti che aiutano il fegato e prevengono l'insorgere di malattie cardiovascolari; il flavonoide più abbondante presente nel pompelmo è la naringenina, che ha attività antiossidante e antitumorale. Oltre alla naringenina il pompelmo contiene anche una sostanza chiamata limonene, responsabile del gusto acido, ma anch'essa con proprietà antitumorali. Oltre a queste sostanze, nel pompelmo troviamo sali minerali come calcio, fosforo, potassio, magnesio, zolfo, sodio, cloro, ferro, rame. La buccia contiene oli essenziali come il limonene, il citrale ed il pinene che svolgono un'azione antidepressiva.

Sicuramente il pompelmo rappresenta un prezioso alimento disinfettante e stimolante dell'apparato digerente, per questo motivo se ne consiglia l'assunzione a fine pasto, soprattutto se abbondante. L'assunzione di pompelmo è suggerita in casi di inappetenza,, alimentazione degli anziani, difficile digestione, disturbi del fegato, insufficienza renale, capillari fragili, ed infezioni polmonari. Per le sue proprietà il pompelmo è un alimento indicato a fine pasto per le persone in sovrappeso, in quanto accelera la trasformazione dei grassi in energia. Se assunto in dosi corrette insieme alla caffeina, per esempio un cucchiaio di succo di pompelmo in una tazzina di caffè, diventa un ottimo analgesico con poche controindicazioni. Non è ancora completamente chiaro il comportamento per quanto riguarda il suo utilizzo nelle terapie disintossicanti da droghe pesanti; alcuni principi attivi, tra cui bergamottina e naringenina, sarebbero in grado di calmare in parte le crisi d'astinenza, quasi fossero una sorta di metadone naturale. Nel 1964, un immunologo americano di nome Harich Jakob, si accorse, nel suo giardino, che in un mucchio si materiale da compostaggio in decomposizione, i semi di pompelmo presenti non erano soggetti ad alcuna mutazione, in pratica non si decomponevano come tutto l'altro materiale. Si rese così conto che all'interno dei semi di pompelmo era presente una sostanza con proprietà antibiotiche ma allo stesso tempo non nocive. Dopo diversi studi condotti sui semi di pompelmo sono state confermate le loro proprietà antibatteriche e secondo accreditati erboristi, i semi di pompelmo possono essere considerati veri e propri antibiotici naturali senza nessun effetto collaterale. È stato confermato l'utilizzo dei semi di pompelmo nei casi di ulcera gastrica; un recente studio a Cracovia ha dimostrato l'efficacia della polvere di semi di pompelmo nella riduzione di ulcera gastrica sui ratti da laboratorio. Tra le molte varietà di pompelmo in commercio, quello rosa sta assumendo sempre più rilevanza; è un ibrido, derivato dalla fusione del pompelmo tradizionale con l'arancia, ha un gusto un po' meno amaro e la buccia un po' più sottile, ma quello che lo differenzia maggiormente "dall'originale" giallo è il fatto di contenere meno vitamina C e più fruttosio; con questa caratteristica il pompelmo rosa si pone si vertici delle preferenze alimentari di chi fa molto sport ed ha bisogno di energia subito disponibile.

Fonte: Ecplanet

Il confronto è stato fatto tra due gruppi con radici genetiche molto simili, che si nutrono però in modo radicalmente diverso; il risultato strabiliante è che l’incidenza dell’Alzheimer e della demenza senile in un gruppo (con la classica alimentazione occidentale) è circa tre volte maggiore che nel gruppo con alimentazione più povera. Il problema riguarda milioni di persone in tutto il mondo e coinvolge risorse economiche enormi per la terapia e il sostegno delle persone disabili. Una parte di questa malattia dipende dalle condizioni genetiche; occuparsi solo di questi aspetti tralasciando le cose più semplici e meno costose come la alimentazione e l’ambiente può essere un grave errore. 

Sul numero del JAMA (Journal of American Medical Association) pubblicato il giorno di S. Valentino (Hendrie HC, JAMA ,2001 Feb 14;285(6):739-47) il Dr. Hugh C. Hendrie (docente di neurologia e psichiatria alla Indiana University) ha presentato questo confronto fatto nel corso di 5 anni tra due grandi gruppi di soggetti (circa 4500 persone) con numerose basi genetiche in comune, perché la provenienza storica della maggior parte dei neri di Indianapolis è di fatto la "costa degli schiavi" nigeriana. Un gruppo di neri, abitanti ad Indianapolis (USA), alimentato con la classica dieta mista e ricca americana. Un gruppo di neri, abitanti a Ibadan (Nigeria), alimentato con la loro povera dieta a base di verdure, frutta, cassava, olio di palma e pesce. Lo studio è iniziato tra soggetti sani e con funzioni neurologiche normali a 65 anni (età in cui negli USA già il 10% della popolazione presenta segni di Alzheimer). Nel corso di 5 anni il deterioramento mentale progressivo si è presentato nel 3,25% degli abitanti di Indianapolis, e solo nell’1,35% dei nigeriani.  Gli autori dell’articolo segnalano una possibile connessione con la pressione alta, che affligge sicuramente più gli statunitensi dei nigeriani; anche la pressione arteriosa è però strettamente dipendente dalla dieta, quindi il discorso non cambia. 

E il problema non dipende da una maggiore o minore propensione alla depressione, come evidenziato dallo stesso autore in un lavoro del 2007 sugli stessi gruppi di popolazione (Baiyewu O. et al, Int Psychogeriatr 2007 Aug;19(4):679-89. Epub 2007 May 16). Si tratta di una scoperta di enorme importanza; di certo per ora non si è autorizzati a dire che è solo la dieta l’elemento che crea la differenza. Esistono anche alcune condizioni ambientali che non sono state ancora oggetto di studio, ma di certo l’alimentazione ha una sua importanza, e deve essere tenuta in serissima considerazione. Probabilmente elementi come la dieta e l’esercizio fisico possono ottenere effetti di prevenzione sull’Alzheimer molto più intensi di quelli derivanti da qualsiasi farmaco. La lezione, oggi che tutte le industrie sembrano pensare solo ai costosi interventi sul genoma dell’uomo, è grande. Si viene richiamati a valutare aspetti basilari, naturali e fisiologici per la prevenzione e la terapia delle malattie croniche. L’azione naturale potrebbe alla fine dimostrarsi più attiva ed efficace di qualsiasi altra.

Fonte: Eurosalus

Ci sono ulteriori conferme per il ruolo antiallergico dell'estratto di cannella. Sull'ultimo numero di Allergy uno studio mostra come la reattività di un gruppo di cellule deputate alla reattività allergica (le mast cell) risulti diminuita a seguito di somministrazione dell'estratto. Il risultato è stato ottenuto sia in provetta sia in sperimentazione umana. La cannella, come anche il basilico, è stata recentemente tacciata di essere cancerogena. Sarà che si tratta di prodotti che non richiedono particolare intervento da parte delle case farmaceutiche. Le erbe, gli estratti vegetali, le radici hanno spesso effetti potenti che vanno tenuti da conto e considerati, lasciando spazio alle loro qualità e considerando il forte valore che conservano al loro interno. La qualità antinfiammatoria è una di queste e che troviamo ad esempio nella curcuma (la radice tipica del curry) e in molti oli, quali quello di Perilla o quello di Ribes Nero (che da breve tempo si trova anche in associazione sotto il nome di RIbilla).

La qualità antiallergica, ripresa nell'articolo pubblicato su Allergy nel caso della cannella è un'altra. La stessa cannella si è dimostrata negli anni, tra le altre cose, in grado di rallentare il proseguimento dell'Alzheimer e della demenza senile (azione simile è stata evidenziata per molti altri prodotti naturali quali cocco e tè verde). La stessa cosa è valida per la regolazione della sensibilità insulinica che rende la cannella un ottimo stimolatore del dimagrimento fisiologico oltre che un alleato nel trattamento degli squilibri di questo tipo, quali quelli tipici del diabete. Ancora una volta l'azione positiva è multi-sistemica, come spesso accade quando si considerino prodotti antiossidanti, e rende conto della potenza di una azione che agisca sul rendere l'organismo in grado di agire al meglio possibile. Le spezie possono essere salvifiche alleate in grado di rendere più gustosi i piatti, rendendo possibile evitare o limitare altri più pericolosi condimenti (il sale ad esempio), lasciandoci invece il sapore del benessere, per essere meno allergici e più reattivi a quello che conta, come gli impegni di tutti i giorni, il lavoro, e i fine settimana da passare con chi si ama.

Fonte: Eurosalus

Una pianta che è stata sottoposta a numerosi studi scientifici fino a quando l’Efsa (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ne ha assicurato la salubrità per il consumo umano. Proveniente dal Sud America, arriva sul mercato un dolcificante naturale. Addio ad aspartame e altri dolcificanti artificiali? Addio dipendenza da zucchero? Non esattamente. Sul mercato europeo si affacciano però alternative naturali per addolcire i più comuni alimenti e bevande. Con il Regolamento europeo 1131/2011, lo scorso 12 novembre la Commissione Europea ha approvato l’utilizzo degli steviosidi. La Stevia è una pianta autoctona del Sud America e le foglie sono lavorate come quelle del tè per estrarne il dolcificante che pare sia ben 300 volte più potente dello zucchero. Questo tipo di edulcorante è stato vietato nel 1999, quando la Commissione sugli Additivi nei Cibi dell’OMS e il Comitato Scientifico per gli Alimenti dell’Unione Europea evidenziarono la cancerogenicità del suo metabolita, lo steviolo. Alcuni anni dopo, però, nuovi studi scientifici ne hanno smentito i rischi di cancerogenicità e genotossicità. Il recente parere positivo dell’Efsa (l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ne ha concesso ora l’autorizzazione al commercio.

Quantità massime utilizzabili nei prodotti

In funzione della dose giornaliera ammissibile (DGA) che è pari a 4 mg/kg di peso corporeo al giorno, sia per gli adulti che per i bambini. A gennaio 2011 l’Efsa è giunta a una nuova conclusione ovvero che adulti e bambini, che siano forti consumatori di alimenti contenenti questi dolcificanti, potrebbero comunque superare la dose giornaliera, qualora i dolcificanti venissero utilizzati ai livelli massimi. Per questo motivo – e tenuto conto anche del fatto che ci sono prodotti che predispongono più di altri all’esposizione a questo dolcificante, tra cui bevande aromatizzate e analcoliche – lo stesso Regolamento ne consiglia un uso appropriato e una riduzione del livello di utilizzo nelle bevande aromatizzate. A distanza di pochi anni da quando la pianta era stata considerata insicura e dagli effetti sconosciuti, i consumatori europei troveranno ben presto in commercio nuovi prodotti dolcificati al sapore di Stevia, dallo yogurt ai cereali, dalle caramelle alle bevande. E questo perché è considerata un’ottima alternativa allo zucchero, che oggi ancora fatica ad essere rimpiazzato.

Fonte: Ecplanet

Il ferro è un minerale essenziale per la salute umana e per un buon funzionamento del nostro organismo: la sua carenza può portare all’anemia ferropriva e ad altre patologie più o meno serie, perché il ferro è indispensabile nella formazione dei globuli rossi del sangue. Ovviare a questa carenza è possibile: basta assumere i cibi adeguati che permettano di combattere il rischio di anemia. Va specificata un’importante caratteristica legata all’assimilazione del ferro nel nostro organismo: la sua biodisponibilità, ovvero l’effettivo assorbimento dell’elemento da parte dell’intestino, e l’interazione con altri nutritivi e vitamine che possono ridurre o aumentare la biodisponibilità del ferro. L’elenco dei cibi più ricchi di ferro comprende molti alimenti di origine animale; ma non disperino i vegetariani, anche la flora mette in campo le sue armi per il nostro fabbisogno di ferro. In questa lista, il numero si riferisce alla quantità di ferro presente per 100 gr di alimento:

Fegato d’oca (30,53 mg)
Cioccolato fondente amaro (17,4 mg)
Vongola (13,98 mg)
Cacao amaro (13,86 mg)
Ostrica, cotta 11,99 mg
Caviale (11,88 mg)
Paté di pollo inscatolato (9,19 mg)
Muesli con frutta e frutta secca (8,75 mg)
Muesli (8,20 mg)
Lenticchie (7,54 mg)
Ostrica (6,66 mg)
Farina di soia (6,37 mg)
Germe di grano (6,26 mg)
Pollo - coscia (6,25 mg)
Ceci (6,24 mg)
Patate, bollite (6,07 mg)
Seppia (6,02 mg)
Pinoli secchi (5,53 mg)
Fagioli cannellini (5,49 mg)
Fagioli borlotti freschi (5,00 mg)
Fiocchi d’avena (4,72 mg)
Nocciole (4,70 mg)
Alici sott’olio (4,63 mg)
Arachidi (4,58 mg)
Grano duro (4,56 mg)
Mandorle secche (4,51 mg)
Crema di nocciole e cacao (4,38 mg)
Prugne secche (3,90 mg)
Arachidi tostate (3,50 mg)
Nocciole (3,30 mg)
Fichi secchi, mandorle secche sgusciate (3 mg)
Spinaci (2,90 mg)

Se volete fare il pieno di ferro per il vostro organismo, ricordate la biodisponibilità: in generale la vitamina C contenuta in frutta e verdura come agrumi, frutti di bosco, kiwi, fragole, pomodori, peperoni, ortaggi a foglie verdi, facilita l’assorbimento intestinale del ferro. Al contrario il caffé e il té, i latticini (ricchi di calcio) e i pomodori sono degli inibitori dell’assimilazione del ferro; quindi se siete dei grandi consumatori di questi alimenti e pensate di avere una carenza di ferro, è bene eliminarli dalla dieta e privilegiare… il succo d’arancia.

Fonte: Ecplanet

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