×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 905

I grassi polinsaturi abbondanti in questi alimenti riducono l'accumulo di grasso sul girovita. I grassi presenti nel cibo non influenzano solo i livelli di colesterolo nel sangue, ma anche i punti del corpo in cui si rischia di accumulare tessuto adiposo. A svelarlo è uno studio frutto della collaborazione tra l'Università di Uppsala e il Karolinska Institutet (Svezia) pubblicato sulla rivista Diabetes, secondo cui i grassi saturi - quelli tipici degli alimenti di origine animale - favoriscono l'accumulo di grasso a livello addominale e intorno agli organi, mentre quelli polinsaturi – abbondanti nel pesce come il salmone e nelle noci – sono associati ad un aumento della massa muscolare e a una riduzione della massa grassa. Lo studio ha coinvolto 39 giovani adulti normopeso, che per 7 settimane hanno mangiato 750 calorie in più al giorno in modo da promuovere un aumento di peso del 3%. Nella metà dei casi queste calorie extra provenivano da grassi saturi, mentre nell'altra metà provenivano da grassi polinsaturi. All'inizio e alla fine dell'esperimento i ricercatori hanno valutato l'espressione dei geni nel grasso addominale viscerale e, tramite risonanza magnetica, la distribuzione del grasso corporeo e la massa muscolare.

Dai dati raccolti è emerso che nonostante in tutti i partecipanti sia stato osservato un aumento di peso simile, nel primo gruppo è stato rilevato un aumento maggiore del tessuto adiposo nel fegato e nell'addome, soprattutto attorno agli organi interni. In chi aveva assunto grassi polinsaturi è stato invece osservato un aumento della massa muscolare triplo rispetto a quanto rilevato in chi aveva mangiato grassi saturi. Non solo, i ricercatori hanno scoperto che i grassi saturi attivano i geni che favoriscono l'accumulo di tessuto adiposo a livello addominale e che ostacolano la regolazione dell'insulina, mentre quelli insaturi “accendono” geni associati alla riduzione dell'accumulo di grasso viscerale e ad un migliore metabolismo degli zuccheri. La scoperta ha risvolti importanti in termini di prevenzione del diabete e di malattie cardiovascolari, patologie il cui sviluppo è correlato più alla localizzazione del grasso corporeo che alla sua quantità. “Il grasso epatico e quello viscerale sembrano contribuire a una serie di disturbi del metabolismo”, ha spiegato Ulf Risérus, coordinatore dello studio. Per questo una giusta composizione della dieta in termini di grassi potrebbe aiutare a ridurre il rischio di sviluppare queste patologie. “Tutto ciò è molto interessante – ha commentato Risérus – dato che al momento non abbiamo trattamenti preventivi per il fegato grasso e l'accumulo di grasso viscerale”. In termini pratici tutto ciò significa che ridurre il consumo dei grassi presenti in alimenti come la carne rossa e il burro a favore di una dieta più ricca di cibi contenenti grassi polisanturi, come il salmone e le noci, potrebbe aiutare a proteggere la salute riducendo il rischio di diabete e malattie cardiovascolari.

Fonte: Il Sole 24Ore

Il noto antiossidante contenuto nell’uva rossa è stato trovato essere attivo contro una proteina legata all’insorgere della malattia di Alzheimer

Il resveratrolo contenuto in buone quantità nella buccia dell'uva rossa pare possa essere d'aiuto nel controllo della malattia di Alzheimer e la demenza. 

Ancora buone notizie legate all’antiossidante per eccellenza, noto con il nome di resveratrolo, contenuto in buone quantità nella buccia dell’uva rossa. Secondo un nuovo studio sarebbe infatti attivo nel controllo della proteina ApoE4 che trasporta il colesterolo.
Questa proteina, che si trova dalla nascita in circa un quarto delle persone, è legata a un mistero: il come e perché ApoE4 sia causa del rischio di sviluppare la malattia neurodegenerativa a tutt’oggi incurabile.

Gli scienziati ritengono che la proteina ApoE4 sia un fattore genetico di rischio per l’insorgere della malattia di Alzheimer. Difatti, in circa due terzi delle persone che sviluppano la malattia è presente proprio questa proteina.
Ora, un nuovo studio condotto dai ricercatori del Buck Institute for Research on Aging (Usa) ha trovato un legame tra la proteina ApoE4 e la riduzione drammatica di una delle sette sirtuine umane, chiamata SirT1. Le sirtuine, o proteine Sir2, appartengono a quella classe di proteine che esplicano attività enzimatica.

Il dottor Rammohan Rao e il dottor Dale Bredesen del BIRA hanno scoperto che la riduzione dei SirT1 si verificava sia nelle colture di cellule neuronali che nei campioni di cervello di pazienti con presenza della proteina ApoE4n e diagnosi di Alzheimer.
Per contro, aumentando la presenza di SirT1 si verificava un’inversione di tendenza nelle anomalie associate alla presenza di ApoE4 e la malattia di Alzheimer come per esempio il peptide beta-amiloide e la fosfo-tau. In particolare, i ricercatori hanno scoperto che la riduzione SirT1 è stata associata a un cambiamento nel modo in cui la proteina precursore dell’amiloide (APP) viene elaborata.

I risultati completi dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) e mostrano altresì che la presenza della proteina ApoE4 ha favorito la formazione del peptide beta-amiloide, che è a sua volta associato alle placche, una delle caratteristiche principali dell’Alzheimer.

La proteina antiossidante presente nel resveratrolo, può invece favorire l’aumento della presenza di SirT1, che combatte l’azione malevola di ApoE4.

FONTEhttp://www.lastampa.it/2013/10/23/scienza/benessere/salute/resveratrolo-attivo-anche-contro-la-demenza-zKaCbz93EXQccALYGAYuMO/pagina.html

Pensare di sostituire i grassi animali con quelli vegetali perché ritenuti più sani potrebbe essere un errore. Coloro che infatti assumono acidi grassi polinsaturi omega-6 contenuti in prodotti come la margarina hanno tassi di mortalità più elevati. Lo studio che mette in dubbio le proprietà cardioprotettive dell’acido linoleico e consimili Sostituire il burro con la margarina potrebbe non essere una buona idea, suggerisce un nuovo studio Quanti, pensando di fare cosa buona, si sono rivolti a certi tipi di grassi vegetali in sostituzione di quelli animali, perché convinti che i primi facciano più bene dei secondi? Potrebbe essere un errore, suggerisce un nuovo studio pubblicato sul British Medical Journal. Chi infatti è solito assumere acidi grassi polinsaturi omega 6, contenuti per esempio nella margarina, è a più alto rischio di morte, rispetto a chi assume altri tipi di acidi grassi.

Stare dunque il più lontano possibile dai grassi omega 6? Niente allarmismi, sottolinea il team di ricercatori statunitensi e australiani che ha condotto lo studio. Gli esperti ricordano infatti che questa ricerca «non modifica la nostra comprensione della possibile relazione tra dieta e rischio cardiovascolare». Quanto emerso dai risultati dello studio, poi, non è nuovo o in contrasto con le prove esistenti. Lo studio è stato finanziato dal Life Insurance Medical Research Fund of Australia e New Zealand, e dal Intramural Program of the National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism, US National Institutes of Health. E’ stato condotto coinvolgendo 458 uomini di età compresa tra i 30 ei 59 anni, che avevano subìto un attacco di cuore o erano stati oggetto di un episodio di insufficienza coronarica o angina dopo il ricovero in ospedale. I partecipanti sono poi stati suddivisi a caso in due gruppi atti a ricevere, rispettivamente, un intervento dietetico o nessuna istruzione specifica sulla dieta, oltre alla terapia medica standard.

L’intervento dietetico prevedeva di aumentare l’assunzione di acidi grassi polinsaturi a circa il 15% dell’apporto energetico totale; ridurre l’assunzione di acidi grassi saturi a meno del 10% dell’apporto energetico; ridurre il colesterolo a meno di 300 mg al giorno. Per ottenere quanto prefissato, ai soggetti interessati dalla dieta particolare è stato dato dell’olio liquido di cartamo e l’olio di cartamo polinsaturo in forma di margarina, che avrebbero sostituito i grassi di origine animale come, per esempio, il burro. L’olio di cartamo contiene 74, 6 g per 100 g di un tipo di grassi polinsaturi omega-6 chiamato acido linoleico, e non altri acidi grassi polinsaturi. Lo studio è durato poco più di 50 mesi, durante i quali i volontari sono stati invitati a redigere un diario riportante la dieta seguita, e sono stati oggetto di visita e valutazione clinica ogni 3 mesi durante il primo anno, e poi ogni 6 mesi per altri 39 mesi circa. Durante le visite, ai partecipanti sono stati prelevati campioni di sangue per misurare i livelli di colesterolo e trigliceridi (grassi).

I risultati dello studio hanno mostrato che tra i soggetti che seguivano la dieta particolare, ricca di acidi grassi polinsaturi omega 6, vi era un maggiore tasso di morte – anche se il livello di colesterolo nel sangue era diminuito significativamente, rispetto al gruppo di controllo. Le variazioni del livello di trigliceridi nel sangue, l’indice di massa corporea (BMI) e la pressione arteriosa non hanno mostrato significative differenze tra i due gruppi. Nonostante ciò, l’incidenza di morte per qualsiasi causa era del 17,6% nel gruppo a intervento dietetico, rispetto all’11,8% del gruppo di controllo, che ha continuato a seguire la propria dieta di sempre. Anche rispetto alle cause di morte per malattia coronarica, il gruppo d’intervento dietetico registrava un 16,3%, rispetto a un 10,1% del gruppo di controllo.

I ricercatori, ritengono non vi sia una chiara evidenza clinica che gli acidi grassi polinsaturi, come l’acido linoleico, siano in grado di ridurre il rischio di malattie cardiache – come sostenuto da molti dietisti. Per cui, lo studio suggerisce che contrariamente a quanto ritenuto, non tutti gli acidi grassi polinsaturi sono buoni per il cuore e hanno un effetto cardioprotettivo. Visti i contrastanti risultati, i ricercatori sentono la necessità di ulteriori e approfonditi studi che facciano luce sull’utilità o meno – o anche possibile dannosità – degli acidi grassi polinsaturi omega 6 nella dieta.

Fonte: La Stampa

e44a6f32e15cb53ee479b2697e759e2e_S.jpg

 

E' quanto emerge da una ricerca giapponese, del National Institute of Health and Nutrition, pubblicata sulla rivista Journal of the American Geriatrics Society. Gli studiosi hanno somministrato a 1000 persone dei questionari relativi alla loro salute fisica e mentale: in particolare le domande erano tese a sapere quanto gli intervistati trovassero agevoli alcune attività giornaliere come prendere i mezzi pubblici o cucinare e cosa mangiassero normalmente. Ne è risultato che chi mangiava più pesce rispetto al passato, inserendolo con maggiore frequenza nella dieta, era per circa il 40 per cento in meno soggetto allo sviluppo di malattie: con l'età, infatti, le proteine animali contenute nel pesce e altri nutrienti come gli omega 3 diventano più difficili da assorbire, per questo occorre aumentare la quantità consumata per avere effetti positivi.(ANSA).

FONTE: http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/alimentazione/2014/03/13/Mangiare-pesce-mantiene-salute-soprattutto-eta-avanzata_10225779.html", "articleBody": "Il pesce mantiene attivi e in salute: mangiarne in quantità adeguata soprattutto in età adulta riduce del 39% le chance di andare incontro a patologie di tipo fisico o mentale. Il merito e' da una parte delle proteine animali, che rinforzano la muscolatura e proteggono dalle fratture, dall'altro degli omega 3, che sono un toccasana contro la demenza e rendono meno difficoltosa la gestione di un disturbo tipico dell'età avanzata, l'artrite.

Un nuovo studio, presentato al meeting European Society di Hipertension di Londra, dimostra che l’integrazione di vitamina D può ridurre la pressione sanguigna in pazienti con ipertensione. La vitamina D è importante soprattutto per la salute delle ossa ( è coinvolta nel metabolismo del calcio e del fosforo) ed alla carenza di vitamina D è associata un’ampia gamma di malattie tra cui alcuni tipi di cancro, depressione, diabete, oltre sclerosi e malattia cardiovascolare. Anche se la vitamina D è presente in alcuni alimenti, la maggior parte viene prodotta nella pelle, in reazione alla luce solare. Inoltre la carenza di vitamina D è associata ad alta pressione arteriosa.

Un team di ricercatori danesi ha condotto uno studio randomizzato, controllato con placebo, che dimostra che supplementi di vitamina D, possono ridurre la pressione sanguigna, in pazienti ipertesi. La ricerca è stata realizzata su 112 pazienti ipertesi ed ha dimostrato che coloro che hanno assunto vitamina D per 20 settimane, hanno mostrato una significativa riduzione della pressione sistolica centrale. I ricercatori sottolineano che si tratta di un primo studio che quindi deve essere confermato, ma è potenzialmente interessante come parte di una strategia globale per la gestione dell’ipertensione, nei pazienti con bassi livelli di vitamina D.

 

Fonte: Medi Magazine

Alti livelli di zucchero nel sangue possono innescare una cascata biochimica che può portare direttamente al cancro, secondo uno studio condotto da ricercatori della Universidad Rey Juan Carlos di Madrid e pubblicato sulla rivista Molecular Cell . La ricerca può contribuire a spiegare il noto collegamento tra cattiva alimentazione e aumentato rischio di cancro. Mentre gli zuccheri sono necessari per molte funzioni del corpo, i livelli di zucchero nel sangue di una persona sana devono rimanere entro un margine relativamente ristretto. Quando i livelli di zucchero nel sangue sono un po ‘troppo alti, una persona viene diagnosticata come prediabetica. Quando i livelli di zucchero nel sangue salgono ancora più in alto, una persona è considerata diabetica. Sia prediabete che diabete, sono molto più comuni nelle persone obese e in sovrappeso, anzi, il diabete di tipo II è in realtà causato da molti degli stessi fattori che causano l’obesità.

I ricercatori sanno da tempo che i diabetici e le persone obese, hanno un rischio di cancro molto più elevato, ma le ragionisono rimaste poco chiare. “In precedenza non eravamo sicuri di come l’aumento di zucchero nel sangue trovato nel diabete e nell’obesità, possono aumentare il rischio di cancro”, ha dichiarato Colin Goding della Oxford University. “Questo studio … apre la strada a nuove terapie potenziali, volte a ridurre il rischio di cancro nelle popolazioni di obesi e diabetici.”Nuovi risultati analizzano come le cellule intestinali reagiscono agli zuccheri rilasciando GIP, un ormone che segnala al pancreas di rilasciare insulina.

I ricercatori hanno scoperto che una proteina chiamata s-catenina gioca un ruolo critico nella capacità delle cellule intestinali ‘di rilasciare GIP, e che s-catenina diventa più attiva in presenza di troppo zucchero .Significativamente, la ricerca precedente ha dimostrato che s-catenina può anche interferire con i cicli di vita naturali delle cellule, facendole diventare immortali e quindi precancerose. Ulteriori test hanno confermato che in presenza di elevati livelli di zucchero, le cellule iniziano ad accumulare s-catenina , che porta direttamente alla proliferazione cellulare associata con tumori cancerosi, nei loro nuclei.

Fonte: Medi Magazine

Insonnia, ultime notizie salute. Uno studio condotto dai ricercatori in Neurologia presso l'Università di Uppsala ha studiato in maniera analitica i possibili effetti dannosi di una notte insonne sul cervello.I risultati dovrebbero incoraggiare i nottambuli a cambiare abitudine ed andare a letto dopo party e discoteche. Gli scienziati svedesi nella ricerca presentata martedì 31 dicembre hanno analizzato il sangue la mattina in 15 giovani uomini in buona salute: alcuni di loro erano andati a dormire per otto ore e gli altri neanche un minuto prima delle analisi.

In quest'ultimi, hanno trovato un aumento di circa il 20% della concentrazione di due molecole, l’enolase specifico del neurone e S - 100 e proteine B.Il coordinatore dello studio, Christian Benedict Tha affermato in un comunicato che vi è correlazione tra l’aumento di queste molecole del cervello nel sangue e le notti insonni.Ed ha aggiunto: "La mancanza di sonno promuove il processo di neurodegenerazione," mentre d'altra parte, "una notte dormendo bene potrebbe essere importante per il mantenimento della salute del cervello". Lo studio, pubblicato sulla rivista Sleep (sonno), segue un altro, pubblicato in ottobre sulla rivista americana Science, che ha scoperto che il sonno accelera l’eliminazione delle tossine dal cervello. E tra esse è incluso il beta-amiloide che quando agisce, favorirebbe lo sviluppo del morbo di Alzheimer, secondo i ricercatori dell'Università di Rochester (USA), che ha lavorato sui topi.

Fonte: Uno Notizie

Tanto più i sintomi sono gravi, tanto è maggiore il rischio corso dal cervello. Essere ansiosi mette in serio pericolo la salute del cervello. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Stroke da un gruppo di ricercatori guidato da Maya Lambiase della Scuola di Medicina dell’Università di Pittsburgh (Stati Uniti) l’ansia aumenta il rischio di ictus di una percentuale variabile tra il 13 e il 20%. L’entità esatta dell’aumento dipende dalla gravità dei sintomi dell’ansia, tanto che nei casi più seri la probabilità di andare incontro ad un ictus è superiore del 33% rispetto al rischio corso da chi soffre di forme lievi del disturbo.

Lambiase e colleghi hanno utilizzato i dati raccolti nell’ambito della prima National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES I), uno studio condotto tra il 1971 e il 1975 durante il quale sono state raccolte informazioni su migliaia di individui attraverso questionari, analisi del sangue ed esami medici. Fra i 6.019 individui coinvolti nelle analisi, monitorati per circa 16 anni, sono stati registrati 419 casi di ictus. I dati raccolti hanno svelato l’associazione tra l’ansia e l’aumento del rischio di ictus, svelando allo stesso tempo che il legame è indipendente sia dall’eventuale presenza di problemi di depressione, sia da quella di disturbi cardiovascolari. Nemmeno comportamenti poco salutari come un’attività fisica inadeguata o il vizio del fumo sono parsi sufficienti ai ricercatori per giustificare l’esistenza dell’associazione rilevata tra ansia e ictus. Per questo secondo i ricercatori per riuscire a scoprire quali sono i meccanismi alla base di questo legame “dovrebbero essere presi in considerazione anche gli effetti biologici diretti dell’ansia”. Svelare questi ulteriori dettagli potrebbe aiutare a contrastare meglio il rischio di ictus, che, come spiega Lambiase, “è la quarta causa di morte e una delle principali cause di disabilità. Nel nostro studio dopo aver tenuto in considerazione in diversi modi la depressione l’ansia era ancora associata all’ictus. Questo aspetto – ha concluso la ricercatrice – deve essere studiato ulteriormente”.

Fonte: Il Sole 24Ore

Mercoledì, 19 Marzo 2014 00:00

Meno ictus con gli integratori di vitamina B

Attenzione, però, all'acido folico, che riduce l'effetto benefico. Le vitamine del gruppo B possono aiutare a ridurre il rischio di ictus, ma l'effetto dell'assunzione di integratori a base di questi nutrienti dipende da diversi fattori, inclusa la presenza di alcune di queste vitamine. Un'analisi di 14 studi clinici condotti sull'argomento ha infatti svelato che la vitamina B9 – l'acido folico presente, ad esempio, in alcuni cereali fortificati – riduce l'effetto delle altre vitamine del gruppo B. La vitamina B12, invece, non influenza il rischio di ictus. In generale, i risultati pubblicati su Neurology dimostrano che l'assunzione di vitamina B riduce del 7% la probabilità di avere a che fare con questo evento cardiovascolare.

“Studi precedenti hanno prodotto risultati contrastanti riguardo all'uso degli integratori di vitamina B e l'ictus o l'attacco di cuore – ha spiegato Xu Yuming, ricercatore dell'Università di Zhengzhou (Cina) e coautore dello studio. Alcuni studi hanno adirittura suggerito che questi supplementi possano aumentare il rischio di questi eventi. Stando ai nostri risultati la capacità della vitamina B di ridurre il rischio di ictus può essere influenzata da diversi altri fattori, come il tasso di assorbimento da parte dell'organismo, la concentrazione di acido folico o di vitamina B12 nel sangue e se una persona soffre di malattie ai reni o di pressione sanguigna alta. Prima di iniziare ad assumere qualsiasi integratore bisogna sempre parlarne al proprio medico”.

Fonte: Il Sole 24Ore

Dormire almeno sette ore per notte riduce - e non di poco - il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari e di morire per queste stesse patologie. A dimostrarlo i dati raccolti in uno studio pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology da un gruppo di studiosi olandesi dell’Istituto per la Salute pubblica e l’ambiente di Bilthoven e dell’Università di Wageningen, che per dieci anni hanno monitorato stile di vita e stato di salute di più 14 mila tra uomini e donne.

I ricercatori hanno studiato quanto potessero incidere sulla salute di cuore e arterie comportamenti virtuosi come svolgere esercizio fisico, seguire una dieta sana, consumare poco alcol e non fumare, rilevando che i partecipanti allo studio che seguivano tutti e quattro i comportamenti virtuosi correvano un rischio più basso del 57% di sviluppare malattie cardiovascolari e un rischio inferiore del 67% di morire di ictus o di altre malattie cardiache. Aggiungendo a questi fattori di stile di vita sano anche un riposo notturno costante pari ad almeno 7 ore di sonno per notte, i ricercatori hanno calcolato che gli effetti benefici per cuore e arterie venivano amplificati e il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e di morire a causa di queste stesse patologie si abbassava ulteriormente, passando rispettivamente dal 57% al 65% e dal 67% all'83%.

Un buon riposo notturno potrebbe essere quindi aggiunto alle quattro raccomandazioni “salva-cuore” già conosciute: “Se tutti i partecipanti avessero rispettato tutti e cinque i fattori di stile di vita sano, il 36% delle malattie cardiovascolari e il 57% delle malattie cardiovascolari fatali potevano teoricamente essere prevenute o posticipate - concludono i ricercatori -. L’impatto sulla salute pubblica di un buon riposo notturno in aggiunta ai tradizionali fattori di stile di vita sano potrebbe quindi essere sostanziale per preservare la salute cardiovascolare”.

Fonte: Il Sole 24Ore

Console Debug Joomla!