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Ci sono numerosi benefici per la salute associati al consumo di pesce azzurro. La ricerca indica che può ridurre il rischio di malattie cardiache, migliorare la capacità mentale, scongiurare il cancro, prevenire la demenza alcol-correlata e ridurre il rischio di artrite reumatoide. Il pesce azzurro è molto ricco di omega 3 acidi grassi polinsaturi, mentre il pesce bianco contiene livelli molto più bassi di questi acidi grassi. Oltre ad essere una fonte eccellente di omega 3 oli, il pesce azzurro contiene molte proteine magre.

 Benefici del pesce azzurro

Si  consiglia di mangiare una porzione (140 grammi) di pesce azzurro a settimana. Il Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito, consiglia ai cittadini di mangiare almeno due porzioni di pesce a settimana, di cui una di pesce azzurro. Mangiare una porzione di pesce azzurro, come sgombro o salmone, potrebbe ridurre il rischio di sviluppare l’artrite reumatoide del 50%. I benefici per la salute del consumo di pesce azzurro includono: Prevenzione della malattia cardiovascolare - uno studio pubblicato sul American Journal of Physiology – Regulatory, Integrative, and Comparative Physiology, ha dimostrato che gli oli di pesce azzurro sono in grado di “contrastare gli effetti negativi dello stress mentale sul cuore”. Riduzione del rischio di artrite reumatoide - una ricerca pubblicata sulla rivista Annali delle Malattie Reumatiche ha scoperto che una porzione a settimana di pesce grasso può ridurre il rischio di artrite reumatoide di oltre il 50% . Protezione contro la demenza alcol-correlata - un team di ricercatori della Loyola University Chicago Stritch School of Medicine ha scoperto che mangiare pesce grasso può proteggere gli alcolisti dalla demenza . Il loro studio ha dimostrato che le cellule cerebrali esposte ad una miscela di olio di pesce e alcool avevano il 95% in meno di neuroinfiammazione e morte neuronale rispetto alle cellule cerebrali che sono state esposti solo all’alcol. Prevenzione dei tumori del cavo orale e della pelle – il consumo di pesce azzurro può proteggere da tumori del cavo orale e della pelle, come segnalato da uno studio pubblicato sulla rivista Carcinogenesis. Gli autori hanno scritto: “Abbiamo scoperto che l’acido grasso omega-3 ha selettivamente inibito la crescita delle cellule maligne e pre-maligne a dosi che non incidono sulle cellule normali”. Aumento abilità sensoriale, cognitive e motorie – il consumo di pesce grasso durante gli ultimi mesi di gravidanza può avere effetti positivi sullo sviluppo sensoriale, cognitivo e sviluppo motorio del bambino. Protezione della visione - gli acidi grassi del pesce azzurro sono in grado di proteggere gli anziani dalla perdita della vista. DHA è un acido grasso omega 3 presente nel pesce. Gli scienziati della Facoltà di Medicina e Odontoiatria di Alberta hanno identificato un legame tra il consumo di pesce azzurro e un minor rischio di perdita della vista negli anziani. Migliorare la memoria - un team di ricercatori dell’Università di Pittsburgh ha pubblicato uno studio sulla rivista PLoS One , che suggerisce che mangiare pesce grasso può migliorare la memoria. Quali sono i pesci azzurri? Pesci azzurri sono le specie di pesci che contengono quantità significative di olio in tutti i tessuti del corpo e nel ventre. Pesci azzurri sono: Trota,Salmone,Sardine,Pilchards,Aringa,Anguilla,Bianchetti,Sgombro.

Perché non bisogna mangiare troppo pesce azzurro? Secondo la Food Standards Agency, i pesci oleosi contengono sostanze inquinanti cosiddett PCB (policlorobifenili) e diossine. Questi inquinanti non hanno un effetto immediato sulla salute, ma dopo l’esposizione a lungo termine. Le diossine sono composti altamente tossici che sono inquinanti ambientali persistenti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che oltre il 90% dell’esposizione umana a questi inquinanti avviene attraverso la carne e latticini, pesce e crostacei. Elevata esposizione a diossine possono causare lesioni cutanee e compromissione del sistema immunitario e riproduttivo.

Fonte: Medi Magazine



Le cellule tumorali hanno un appetito speciale per il glucosio,come la ricerca ha dimostrato quasi un centinaio di anni fa. Il tumore utilizza il glucosio come una vettura sportiva utilizza la benzina: serve a bruciare più velocemente, crescere e moltiplicarsi rapidamente. Nelle cellule tumorali, il glucosio superaccelera la divisione cellulare in quello che è noto come effetto Warburg. Una nuova ricerca mostra che in uno su quattro tumori umani, vi è un eccesso di recettori di glucosio nella faccia esterna della membrana cellulare e questa proteina agisce come un magnete che attrae tutto il glucosio dal flusso sanguigno.

Oggi, uno studio pubblicato su Nature Communications condotto da Manel Esteller, direttore di Epigenetica e Cancer Biology, Bellvitge Biomedical Research Institute (IDIBELL), ICREA ricercatore e docente di Genetica presso l’Università di Barcellona, ??fornisce un indizio importante per capire questo processo. “Eravamo alla ricerca di geni che non funzionano nelle cellule tumorali e ne abbiamo trovato uno alterato, ma ignoravamo la sua funzione. Abbiamo scoperto che era responsabile della rimozione di eccesso di recettori del glucosio”, ha spiegato Esteller. ”Allora, ciò che succede è che il gene dovrebbe degradare il recettore del glucosio che viene inattivato in buone condizioni. Nel tumore si verifica una iperattivazione di questo recettore che cattura tutte le molecole di glucosio intorno ad esso e le utilizza per ottenere energia rapida a proliferare”.

Fonte: Medi Magazine

Le persone che soffrono di malattie autoimmuni mostrano anche una tendenza a sviluppare aterosclerosi o indurimento delle arterie.  Ricercatori clinici alla LMU  hanno scoperto un meccanismo che spiega la connessione tra i due disturbi. Il collegamento è fornito da una specifica classe di cellule immunitarie chiamate cellule dendritiche plasmacitoidi (PDC). Il nuovo studio dimostra che la stimolazione di PDC da parte di uno specifico complesso DNA-proteina, contribuisce alla progressione dell’aterosclerosi. I risultati possono avere implicazioni in una nuova strategia per il trattamento di un intero spettro di condizioni che sono associate a reazioni infiammatorie croniche.

L’aterosclerosi è una delle principali cause di morte, nelle società occidentali. La malattia è dovuta a depositi di placche aterosclerotiche insolubili sulle pareti delle arterie principali a seguito di reazioni infiammatorie croniche localizzate. Riducendo il flusso di sangue, le placche possono provocare infarto o ictus. Una classe di cellule immunitarie, chiamate cellule dendritiche plasmacitoidi, gioca un ruolo cruciale nel facilitare lo sviluppo di tali placche. Le cellule dendritiche fanno parte di una popolazione cellulare eterogenea  del sistema immunitario. Il loro potenziale come causa di aterosclerosi non era  mai stato considerato. Il team ha spiegato come le cellule dendritiche plasmacitoidi promuovono lo sviluppo di aterosclerosi ed ha spiegato perchè i pazienti affetti da malattie autoimmuni, come psoriasi o lupus eritematoso sistemico, mostrano una predisposizione all’aterosclerosi. Secondo i ricercatori, la stimolazione di PDC induce la secrezione di grandi quantità di interferone, proteine che stimolano i processi infiammatori. 

La proteina che induce il rilascio di interferone è prodotta da cellule immunitarie che si accumulano nei siti di infiammazione. La stimolazione di PDC porta a sua volta ad un aumento del numero di macrofagi presenti nelle placche. I macrofagi normalmente agiscono rimuovendo i dendriti cellulari ed i depositi di grasso, attraverso l’ingestione. Tuttavia, i macrofagi possono anche eccedere recuperando più grasso di quello che possono digerire.  Quando questo accade, il grasso in eccesso si trasforma in cellule schiumose che promuovono l’aterosclerosi. Inoltre PDC mature , possono attivare risposte immunitarie contro certe molecole presenti in lesioni aterosclerotiche, aggravando ulteriormente il processo. Gli studi hanno confermato che la stimolazione di PDC fornisce il collegamento tra aterosclerosi e malattie autoimmuni.

Fonte: Medi Magazine

La nutella non è sicuramente un alimento da consigliare o da ritenere salutare, ci sono molti modi per gustare della salutare e golosa crema di nocciole home made in sostituzione a questo prodotto industriale. La nutella rappresenta un alimento che oltre a non essere proprio salutare e anche poco sostenibile considerando le grandi quantità di olio di palma che utilizza. Il caso in cui è stata imputata qualche anno fa l’ha portata a risarcire i consumatori per un totale di 3 milioni di dollari e proprio perchè la nutella non fa bene alla salute.

Tutto nasce dalla denuncia di inizio 2011 da parte di una consumatrice americana, Athena Hohenberg, madre di un bambino di quattro anni rimasta “choccata dal sapere che la nutella non fosse un cibo salutistico e nutriente, ma piuttosto la cosa più vicina a una barretta di cioccolato”, come ha scritto nel ricorso presentato in tribunale. Tutto il contrario dei messaggi pubblicitari veicolati in televisione, pieni di mamme rassicurate e rassicuranti nel preparare una colazione o una merenda “sane” a base di nutella. Il tutto in un Paese dove l’obesità infantile non è certamente da sottovalutare e dove da troppo tempo ormai si fanno i conti con la spesa sanitaria per le malattie legate alla ciccia sovrabbondante. nutella1 Ferrero risarcisce i consumatori USA perchè la Nutella non fa bene Dopo un anno abbondante di causa arriva la decisione di Ferrero di chiudere la partita accettando di pagare la somma totale di 3 milioni di dollari, ovvero 4 dollari per ogni barattolo di crema spalmabile acquistato a partire dal gennaio 2008 (o agosto 2009 in California) fino al 2012, per un massimo di 20 dollari a ogni famiglia che possa dimostrarlo. Poco, si dirà, anche nel totale se si pensa che il marchio nutella varrebbe (non ci sono cifre ufficiali) più di un miliardo di euro di vendite nel mondo, secondo le stime. Il più globale tra i marchi italiani del largo consumo, creato nel 1964, è ancora un grande classico.

Ma il profilo più interessante dell’accordo risiede nelle modifiche che la Ferrero si è impegnata a produrre nell’etichetta del prodotto, nelle pubblicità che saranno rinnovate, nel sito internet. In altri termini in tutti gli aspetti promozionali e di marketing. E in Italia cosa succede? Non molto in verità. Il Sole 24 Ore del 26 aprile riportava la decisione della Ferrero di aggiungere la dicitura “latte scremato” nell’etichetta del prodotto al posto di un bicchiere di latte. Un cambiamento giunto dopo un’esposto del sito Newsfood all’Antitrust del settembre 2011 che evidenziava come il latte utilizzato fosse in polvere, e non l’abbondante cascata che spesso si vedeva in televisione. Per il resto null’altro, con gli spot che sono assolutamente sulla falsariga di quelli oggetto di rivendicazione negli Stati Uniti. Ma il problema resta e Ferrero ne è consapevole, dato che nel 2010 fece una levata di scudi contro la decisione del Parlamento europeo di vietare i messaggi pubblicitari salutistici per tutti i prodotti che abbiano più di 10 grammi di grassi per cento di prodotto o 4 grammi di zucchero o 2 di sodio.

E la crema di Alba cadrebbe ampiamente in questo recinto, grazie al forte contenuto di zuccheri e olio di palma. In quell’occasione l’ex ambasciatore e vicepresidente della holding lussemburghese Ferrero International Francesco Paolo Fulci lanciò un allarme sul futuro della nutella e di tanti altri prodotti simili perché rischierebbero di diventare “fuori legge”, sottolineando che questo modo di procedere metterebbe “in ginocchio l’intera industria dolciaria, e per questo dobbiamo continuare la nostra battaglia di libertà per il consumatore”. Parole apologetiche per un provvedimento di buon senso che si perse poi nei corridoi di Strasburgo, e chissà mai se diventerà prescrizione normativa. Ma Palazzo Chigi rilancia, col progetto di introdurre una tassa sul junk food come quella già sperimentata in Francia. Le prime due categorie ad essere colpite, se il provvedimento dovesse diventare legge, saranno però i superalcolici e i soft drink, ovvero tutte quelle bevande come le cole, le aranciate e simili. Per gli snack, patatine fritte, merendine e, ovviamente, creme spalmabili, due anni di tempo per dare modo di modificare la formulazione e capire meglio se e come agire. Ma tra un anno questo governo non sarà più in carica, e chissà se questo progetto prenderà corpo.

Fonte: Ambiente Bio

 

Un integratore contenente l'antiossidante coenzima Q10 (CoQ10), in aggiunta alle terapie convenzionali, ha migliorato gli outcome nei pazienti con scompenso cardiaco cronico moderato-grave in un piccolo studio randomizzato e controllato con placebo, chiamato Q-SYMBIO, presentato durante l’Heart Failure Congress, conclusosi da poco a Lisbona. I pazienti trattati con l’integratore a base di CoQ10 hanno mostrato un tasso di eventi avversi cardiovascolari maggiori a 2 anni significativamente inferiore rispetto a quello dei pazienti che non l’avevano preso: 14% contro 25%. Inoltre, nel gruppo assegnato al trattamento con l’integratore, si è osservata una riduzione significativa sia della mortalità complessiva sia di quella cardiovascolare, nonché un trend non significativo verso una minore incidenza di eventi avversi (P = 0,073). Secondo il primo autore dello studio, Svend Aage Mortensen, dell’Università di Copenhagen, i comitati incaricati di produrre linee guida potrebbero pensare di inserire informazioni sul CoQ10 quale opzione da utilizzare in aggiunta alle altre terapie per lo scompenso cardiaco.

Tuttavia, Aldo Maggioni, membro della task force che ha redatto le ultime linee guida sullo scompenso cardiaco della European Society of Cardiology, non è esattamente dello stesso avviso e ha detto che i risultati non sono tali da far cambiare la pratica clinica, per via del numero di pazienti troppo basso (420) e del basso numero di eventi avversi cardiovascolari maggiori (84) verificatosi durane il trial. L’esperto italiano ha detto che se nel prossimo futuro non si avranno altri dati in questa direzione, le nuove linee guida aggiornate probabilmente citeranno i risultati dello studio Q-SYMBIO - che Maggioni ha definito interessante e incoraggiante - senza però fare una raccomandazione specifica sull’aggiunta del CoQ10 alla terapia convenzionale anti-scompenso. "Sarebbe davvero molto utile poter utilizzare un integratore alimentare - un prodotto naturale – privo di effetti collaterali, visto che i pazienti con scompenso cardiaco devono prendere un sacco di medicine" ha detto Maggioni, sottolineando l’importanza di avere a disposizione un prodotto naturale, senza effetti collaterali e senza interazioni con gli altri farmaci. Tuttavia, il cardiologo ha aggiunto di ritenere necessario un vero e proprio studio clinico su larga scala per confermare quest’ipotesi. Il CoQ10 è prodotto naturalmente dall’organismo ed è coinvolto nella produzione di energia.

È stato descritto per la prima volta nel 1950 e ora è venduto come integratore tra i prodotti da banco. Alcuni studi hanno mostrato livelli ridotti di CoQ10 nei campioni di biopsia cardiaca di pazienti con scompenso cardiaco grave e la presenza di una correlazione tra livelli plasmatici bassi del coenzima e aumento della mortalità nello scompenso cardiaco. Studi più piccoli hanno poi evidenziato alcuni benefici dell’assunzione di CoQ10 nei pazienti con scompenso cardiaco, ma nessuno di questi lavori aveva una potenza statistica sufficiente per dimostrare un effetto sulla sopravvivenza. Lo studio Q-SYMBIO è stato progettato specificamente per fornire nuove informazioni su tale questione. Al trial hanno preso parte 17 centri (situati in Australia, Austria, Danimarca, Ungheria, India, Malesia, Polonia, Slovacchia e Svezia) che hanno arruolato in totale 420 pazienti con scompenso cardiaco cronico in classe NYHA III o IV. La maggior parte aveva una frazione di eiezione ridotta (in media 31%) e l'età media era di 62,3 anni. I partecipanti sono stati  assegnati al trattamento con il CoQ10 alla dose di 100 mg tre volte al giorno o placebo, in aggiunta alla normale terapia per lo scompenso cardiaco. L'endpoint primario di lungo periodo era rappresentato dagli eventi avversi cardiovascolari maggiori (definiti in questo studio come l’insieme dei ricoveri non pianificati a causa di un peggioramento dello scompenso, i decessi per cause cardiovascolari, i trapianti cardiaci urgenti e gli impianti di supporto meccanico) a 2 anni, ma è stata fatta anche una valutazione a breve termine a 3 mesi.

Dopo 12 settimane di trattamento, la percentuale di pazienti che hanno avuto miglioramenti della classe NYHA è risultata simile nei due gruppi: 44% nel gruppo trattato con CoQ10 contro 39% nel gruppo placebo. Dopo 2 anni, tuttavia, la percentuale di pazienti migliorati è stata maggiore nel gruppo di CoQ10: 58% contro 45% (P = 0,047). Mortensen ha riferito che alcuni sono migliorati notevolmente, passando dalla classe IV alla classe I. Oltre alla riduzione dell’incidenza dell’endpoint primario, nel gruppo in trattamento attivo si sono osservate riduzioni significative della mortalità complessiva (9% contro 17%; P = 0,03) e di quella cardiovascolare (8% contro 15%; P = 0,02). Inoltre, i vantaggi del coenzima rispetto al placebo si sono mantenuti nei vari sottogruppi. Anche se il CoQ10 è disponibile come prodotto da banco, Mortensen ha detto che i pazienti non devono iniziare a prenderlo di loro iniziativa,  senza parlarne prima con il proprio medico, anche se non vi è alcuna evidenza di interazioni con i farmaci utilizzati per la cura dello scompenso cardiaco. Su questo punto si è trovato d’accordo anche Maggioni, il quale ha convenuto che i rischi di eventi avversi o di interazioni farmacologiche associati al CoQ10 sono molto bassi. "Non raccomando ai miei pazienti di comprare e prendere questo tipo di integratore, ma non sono preoccupato dal fatto che possano essere colpiti dai risultati e vogliano provare questo tipo approccio" che il cardiologo ha definito “sicuramente sicuro”.

Fonte: Pharma Star

L’ importanza della vitamina D contro diabete, osteoporosi e sclerosi multipla. Il dibattito sull’ esposizione al sole La questione dei danni provocati dal sole sta diventando un dibattito sempre più acceso soprattuto negli Stati Uniti dove sono in aumento le patologie legate alla carenza della vitamina D che si forma proprio grazie ai raggi Uvb e all’ esposizione al sole e aiuta a prevenire le malattie cardiache, agevola l’ assorbimento del calcio, contribuisce al buon funzionamento del sistema immunitario.

Al contrario, un deficit della vitamina D può causare debolezza muscolare, diabete e osteoporosi. L’ industria delle protezioni solari fa bene ad educare le persone sugli aspetti negativi del sole ma c’è anche il rovescio della medaglia, perchè le esposizioni al sole fanno anche molto bene. Da una ricerca statunitense emerge infatti che i bambini esposti al sole estivo per una media di 3-4 ore al giorno hanno un terzo di possibilità in meno di ammalarsi di sclerosi multipla, come riporta il volume 237 del British Medical Journal. L’ esposizione al sole infatti regala la vitamina D; per integrarla solo mangiando dovremmo abbuffarci di salmone circa 4 volte a settimana o bere 10 bicchieri di latte al giorno, lo conferma Michael Holick, autore del libro The Uv Advantage  dove spiega: una protezione solare 8 riduce del 95% la capacità di creare vitamina D dall’ esposizione al sole; per questo bisognerebbe godersi il sole per 5-10 minuti senza protezione solare in modo da favorire la formazione della vitamina D, e poi spalmarsi la protezione solare adeguata. Quindi basta esporre il 10% del corpo al sole per qualche minuto due volte a settimana senza protezione per fare il pieno di vitamina D.

Della stessa opinione è Simon Carter, che ha pubblicato Rise and Shine-Sunlight, Technology and Health (Berg Publishers), un libro che descrive come la società e la medicina hanno trasformato la nostra relazione col sole e la sua luce in un rapporto ambivalente. Vale la pena di riflettere sulla sua tesi: gli esperti dicono che i raggi solai sono pericolosi, però l’ abbronzatura è da sempre e ancora oggi considerata un segno di salute.

Fonte: MondoBenessereBlog

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Un alto livello di cortisolo, noto anche come "ormone dello stress", è collegato a un aumento della morte per cause cardiovascolari indipendentemente dalla predisposizione a ipertensione, sindrome metabolica e aterosclerosi: a sostenerlo è uno studio realizzato dal team guidato da Nicole Vogelzangs della VU University Medical Center in Olanda e pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism (JCEM).

Lo studio, condotto analizzando i dati di 861 persone dai 65 anni in su - 183 delle quali decedute nel corso dei sei anni della ricerca - ha messo in evidenza che il terzo dei soggetti con i livelli più alti di cortisolo aveva un rischio cinque volte maggiore di morire di malattie cardiovascolari. In situazioni di stress l`organismo reagisce producendo l`ormone cortisolo che ha l`effetto di aiutare il corpo a recuperare dallo stress e ritrovare l`equilibrio. Cronici livelli troppo alti dell`ormone, spiegano i ricercatori, risultano però fortemente associati a sindrome metabolica e aterosclerosi accelerata: "Studi precedenti hanno già suggerito che il cortisolo potrebbe aumentare il rischio di mortalità cardiovascolare, ma finora nessuno studio aveva provato direttamente questa ipotesi - spiega Vogelzangs -. I risultati del nostro studio mostrano chiaramente che i livelli di cortisolo predicono la morte cardiovascolare, ma non altre cause di mortalità".

Fonte: Il Sole 24Ore

Abbinamento perfetto per cuore e arterie sani? Pesce accompagnato con il vino. Stando a uno studio scientifico pubblicato su Current Pharmaceutical Biotechnology, infatti, il consumo di vino ottimizzerebbe la digestione degli acidi grassi omega-3. La ricerca ha evidenziato che i cuori dei soggetti che consumano regolarmente vino e omega-3 hanno il 20% in più di tessuto cardiaco, indicando un sistema cardiovascolare che si rigenera con regolarità, e che i consumatori moderati di alcol avevano più alti livelli di omega-3 nel corpo rispetto ai non bevitori nonostante consumassero quantità simili di frutti di mare.

Incrociando i dati di 84 studi il team francese guidato da Joel de Leiris della Joseph Fourier University ha trovato una minore incidenza di malattie cardiache tra coloro che hanno mangiato pesce e bevuto vino regolarmente. "Le interazioni tra il consumo di vino e il metabolismo degli acidi grassi omega-3 può contribuire sostanzialmente all'effetto cardioprotettivo del bere vino in modo regolare e moderato", si legge nella ricerca. La quantità ottimale di vino è di circa 2 bicchieri al giorno in accompagnamento con pesce ad alto contenuto di omega-3 come acciughe, aringhe e sgombro. 

Fonte: Il Sole 24Ore



E’ ora di sfatare un mito: “sono i grassi a renderti grasso”. Non c’è niente di più falso e negli ultimi tempi sempre più studiosi stanno giungendo alla stessa conclusione: i grassi non sono nostri nemici. Anzi, possono salvarci la vita. Infatti, la ricerca suggerisce che mangiare grassi saturi sani favorisce la perdita di peso. Quando si mangiano grassi sani in un pasto (ad esempio olio di cocco, burro biologico, ghi o burro di capra biologico), questo rallenta l’assorbimento del cibo e si resiste più a lungo senza provare fame. I grassi danno molta soddisfazione, soprattutto se abbinati a una dieta con pochi carboidrati. E’ difficile mangiare troppo se si segue una dieta a basso contenuto di carboidrati e ad alto contenuto di grassi e proteine. Inoltre, mangiando molti grassi e pochi carboidrati, il corpo è costretto a bruciare i grassi per produrre energia. Se invece mangi molti grassi assiemea grandi quantità di carboidrati, il corpo brucia i carboidrati (e i grassi si accumulano).

Ecco altri benefici dei cibi naturali ricchi di grassi: · Proteggono la salute dei tessuti e degli organi interni e li mantengono al loro posto tonici ed elastici (cioè evitano che cedano, creando prolasso o per esempio emorroidi, problema tipico di molti vegetariani non in salute e troppo salutisti) · Servono per una corretta assimilazione delle vitamine liposolubili: A, D, E e K Sfortunatamente, molte persone continuano a temere (e spesso a evitare come la peste) qualunque tipo di grasso, anche quelli fondamentali per la salute… I diversi tipi di grassi I grassi si dividono in 3 grandi categorie, a seconda del numero di legami di carbonio che contengono. Gli acidi grassi polinsaturi contengono svariati doppi legami di carbonio, gli acidi grassi monoinsaturi hanno un solo doppio legame, quelli saturi non ne hanno affatto. Gli acidi grassi polinsaturi Omega 3 e Omega 6 sono detti “essenziali” perché, a differenza delle altre due categorie di grassi, non possono essere ricavati a partire dal glucosio. Devono perciò essere necessariamente introdotti con la dieta. Gli acidi grassi Omega 3 si possono introdurre mangiando vegetali a foglia verde e alghe, gli acidi grassi Omega 6 si possono introdurre mangiando i semi. Dato che i semi rendono molto più olio rispetto alle foglie e si possono coltivare spendendo meno, i produttori di cibo per la grande distribuzione preferiscono produrre oli di semi come olio di semi di soia, di mais, di arachidi, e così via… Dal momento che la nostra dieta è sempre più orientata verso il consumo di prodotti industriali, abbiamo di conseguenza più che triplicato l’apporto di Omega 6 nel corso degli anni. I grassi che possono nuocere alla salute Oli di semi raffinati e margarine.

Sempre più persone sostituiscono i grassi di origine animale come il burro con oli di semi raffinati e margarine. La dietetica tradizionale li identifica come prodotti light e salutari, ma la realtà è un’altra: il consumo di margarine e grassi vegetali idrogenati è molto rischioso! Infatti questi grassi: provocano pressione alta innalzano i livelli di colesterolo aumentano i rischi di infarto, tumore e altre malattie degenerative Per questo motivo vanno assolutamente eliminati dalla nostra dieta. Acidi grassi Omega 3 e Omega 6 in eccesso Gli acidi grassi Omega 3 e Omega 6 (contenuti soprattutto negli oli di semi) se consumati in eccesso possono essere dannosi. Il loro problema principale sono i doppi legami di carbonio, che facilmente reagiscono con l’ossigeno. Se la quantità va oltre i livelli ottimali, il corpo ossida i grassi omega 6 prima degli altri grassi. Questo è uno sforzo che fa per sopperire all’eccesso. In quasi tutte le diete moderne, i grassi omega 6 sono quindi ossidati, visto che ne assumiamo più degli altri grassi. E questa ossidazione causa diversi problemi, come: danni al fegato, soprattutto se sono mangiati in unione con fruttosio o alcool innalzamento dei livelli di LDL (colesterolo cattivo) allergie e asma (nel caso di eccessivo consumo di Omega 6) invecchiamento precoce e accorciamento della vita (nel caso di eccessivo consumo di Omega 3) La tossicità degli omega 3 diventa più alta se i grassi diventano rancidi. In genere i pesci vengono refrigerati o congelati immediatamente dopo essere stati catturati e i loro oli omega 3 restano freschi. Le capsule di olio di pesce, invece, sono di solito conservate a temperatura ambiente per lunghi periodi di tempo. L’olio di pesce in capsule quindi inevitabilmente diventa rancido e i grassi omega 3 sono facilmente ossidati. I grassi che devi introdurre: saturi e monoinsaturi I grassi saturi e monoinsaturi sono sicuri da consumare, anche in grandi quantità. Nelle diete per perdere peso e con poche calorie, questi sono i primi macronutrienti ad essere eliminati. Ma questo è un grave errore.

Il corpo tollera molto bene i grassi saturi e se ne possono consumare anche in grandi quantità, infatti: Sono i grassi strutturali del corpo umano e producono dal 75 all’80% degli acidi grassi nella maggior parte delle cellule. Sono le fonti di energia primarie per la maggior parte del corpo e sono una forma di energia più salutare rispetto al glucosio. Inoltre non hanno tossicità conosciuta, anche ad alte dosi, a meno che un disturbo metabolico o un’alta presenza di insulina non impedisca ai grassi di essere utilizzati o conservati nelle forme di trigliceridi e fosfolipidi. Un altro fattore che avvalora la sicurezza dei grassi saturi e monoinsaturi è la facilità del corpo di conservarli nelle riserve. Come elementi strutturali delle cellule, questi acidi grassi costituiscono quasi la metà della massa magra del corpo. Le principali riserve sono il muscolo scheletrico e il tessuto adiposo. I grassi saturi e monoinsaturi, non i carboidrati, sono esattamente ciò che il nostro corpo vuole usare per ricavare energia. Se il glucosio fosse la migliore risorsa di energia, il nostro corpo avrebbe dei modi per conservarlo in grandi quantità. Ma il corpo conserva i grassi, e questo dovrebbe farci pensare… Benefici del consumo di grassi saturi e monoinsaturi Miglioramento del profilo lipidico Il consumo di grassi saturi migliora il profilo lipidico in due modi: aumenta i livelli di colesterolo HDL (comunemente conosciuto come colesterolo buono) rende le particelle di LDL (comunemente conosciuto come colesterolo cattivo) più larghe ed elastiche proteggendole dalla glicazione e dall’ossidazione Come risultato del miglioramento della dimensione delle particelle di LDL, i grassi saturi riducono i livelli di LDL ossidato. Aumento della massa muscolare Molte persone credono che l’eccesso di calorie sia conservato nei tessuti adiposi e che l’obesità sia il risultato della conservazione delle calorie in estate in preparazione al freddo inverno. Ma non è questa la verità! Negli umani, in cui manca una tendenza stagionale a conservare i grassi e che hanno un grande bisogno di glucosio, il muscolo è l’organo di maggiore deposito dell’energia in estate.

Il muscolo, quanto a calorie, è costituito per la maggior parte da grasso e per poco della metà da proteine. Minori rischi di malattie cardiache e ictus Negli Stati Uniti il Framingham Study ha evidenziato che più grassi saturi e monoinsaturi si mangiavano e minori erano le probabilità di avere un ictus. Un altro studio ha mostrato che un alto consumo di grassi saturi è collegato a un più basso rischio di malattie cardiache e ad una migliore pulizia delle arterie. Come assumere la giusta quantità di grassi buoni ogni giorno Il modo migliore per assumere il giusto quantitativo di grassi di buona qualità e acidi grassi essenziali nella nostra dieta è usare come grassi principali l’olio extravergine d’oliva, il ghi, l’olio di cocco, il burro biologico da animali al pascolo e il burro di capra biologico. Questi grassi vanno consumati crudi e accompagnati a una delle pietanze del pranzo o mescolati ai frullati da preparare al mattino, di cui trovi le ricette sul ricettario di base di Energy Training. In particolare: L’olio extravergine d’oliva è costituito prevalentemente da acidi grassi monoinsaturi (che favoriscono la sostituzione del colesterolo LDL presente nel sangue, causa di infarti e di ostruzioni vascolari, con colesterolo HDL), con la presenza in giusta quantità di acido grasso linoleico, polifenoli, vitamina E e beta carotene. Procurati olio biologico e ottenuto da olive premute a freddo e usalo per condire a crudo, per saltare a bassa temperatura e per cuocere in forno. L’olio di cocco contiene vitamine e ferro. Fa molto bene ai capelli e alla pelle, favorisce l’immunità e migliora il metabolismo. Puoi usarlo nella cottura dei cereali e nelle preparazioni dolci. Il ghi è un burro chiarificato (sottoposto a una lenta cottura attraverso cui sono state eliminate tutte le sostanze più indigeste). Nutre in profondità, reidrata il corpo e contrasta l’eccesso di calore. E’ ottimo a fine cottura per condire i cereali in chicchi e può essere consumato sia crudo che cotto.

Un’altra preziosa fonte di grassi buoni è il tuorlo dell’uovo crudo. E’ uno degli alimenti più ricchi di enzimi esistenti al mondo, viene immediatamente assimilato senza lasciare tossine e senza interferire con il metabolismo dei grassi e del colesterolo. Quando lo cuoci, invece, il tuorlo diventa estremamente pesante ed è causa di ipercolesterolemia. Non devi mai cuocerlo, così potrai disporre delle proteine in esso contenute senza disperderle e senza danneggiarti. Assicurati sempre che le uova siano freschissime, di provenienza biologica, di galline allevate a terra e all’aperto. Puoi consumarlo a colazione preparando un frullato con frutta e superfoods. Oppure puoi consumarlo salato cuocendo l’albume e versandoci sopra il tuorlo a fine cottura. Altre fonti di grassi buoni sono salmone selvaggio, crostacei, e carni di bovino e agnello. Per quanto riguarda gli oli di semi, ricchi di acidi grassi essenziali, puoi consumare ogni tanto piccole quantità di olio biologico ed estratto a freddo di zucca, canapa o lino, ma solo se non hai colesterolo alto o sindromi allergica o infiammatorie. Elimina invece gli oli vegetali come soia e mais e tutti i prodotti che li contengono (tieni presente che questi oli sono contenuti anche nella maggior parte dei prodotti biologici da forno, fette biscottate, biscotti e altri prodotti confezionati). Compila il questionario per scoprire la tua costituzione e capire qual è la quantità di grassi saturi sani adatta a te da introdurre per mantenere il peso e vivere in salute. Comincia subito a usare grassi e oli di buona qualità nella tua dieta. Non temerli, perché sono i tuoi più grandi alleati!

Fonte: Energy Training 

Diversi studi recenti hanno confermato ciò che la medicina tradizionale orientale ha conosciuto da secoli: le prugne secche hanno la capacità di prevenire e addirittura invertire la perdita ossea che può verificarsi con l’avanzare dell’età o come conseguenza della menopausa nelle donne. I ricercatori della Florida State University hanno testato 236 donne che erano in menopausa da uno o dieci anni. Le donne sono state divise a caso in due gruppi. Un gruppo è stato trattato con 100 grammi di prugne secche al giorno, mentre l’altro gruppo è stato trattato con 100 grammi di mele essiccate al giorno, per un anno. Dopo aver fatto la scintigrafia ossea a tre mesi, sei mesi e dodici mesi, i ricercatori hanno scoperto che il gruppo trattato con le  prugne secche mostravano significativamente maggiore densità minerale ossea delle donne che avevano consumato le mele secche, nello stesso periodo.

Prima del processo, ogni tre mesi e dopo il periodo di dodici mesi, le donne sono state testate per la resistenza ossea, l’attività fisica, i livelli ematici di densità ossea e markers del turnover osseo, insieme ad altri segni di salute delle ossa. Biomarkers come la fosfatasi alcalina e livelli di fosfatasi-5b tartrato resistente, erano significativamente più bassi nel gruppo trattato con le prugne secche. Questi fattori indicano una riduzione della perdita minerale ossea e riduzione della perdita di massa ossea. La ricerca è stata guidata dal dottor Bahram Arjmandi, professore e presidente del Florida State’s Nutrition, Food and Exercise Sciences Department. Il dottor Arjmandi ha commentato: ” Le prugne secche sono il frutto più osso-friendly che ho visto in decenni. Esse sono la soluzione della natura per mantenere una buona salute delle ossa. Nel corso della mia carriera ho testato numerosi frutti, tra cui fichi, datteri, fragole e uva passa e nessuno di loro ha avuto l’ effetto sulla densità ossea, che hanno le prugne secche”. Le prugne contengono una varietà di sostanze nutritive, come la vitamina K, potassio, rame e boro. Secondo il dottor Arjmandi, queste sostanze lavorano in sinergia per prevenire la perdita minerale ossea, che può portare a osteoporosi. Il dottor Arjmandi ha anche scoperto che le prugne della California sembrano fornire alcuni dei migliori livelli di nutrienti.

 

Fonte: Medi Magazine



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