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Irresistibile e ricco di vitamina D. Dal burro di cacao al cioccolato fondente: facciamo la scorta di benessere. Uno studio tedesco mostra che cacao e derivati contengono una quantità notevole di vitamina D2, meglio nota come ergocalciferolo. Infatti, secondo quanto dimostrato dall’indagine condotta dai ricercatori della Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg, il cacao non solo fa bene alla nostra salute, ma è anche ricco di vitamina D. Analizzando i nutrienti presenti in questo alimento, gli esperti hanno scoperto che i chicchi di cacao vengono essiccati al sole per un tempo medio-lungo, solitamente attorno alle due settimane. È proprio questo particolare procedimento a renderli ricchi di vitamina D2. Questa ricerca evidenzia l’importanza di questa vitamina ed evidenzia la possibilità di pensare al cacao, ma ancora più al cioccolato fondente come a un integratore da utilizzare in combinazione con altri alimenti per incrementare l’apporto di vitamina D. «La vitamina D è fondamentale per il corpo umano ed è disponibile in due tipi: vitamina D2 e D3», spiega Gabriele Stangl della Martin Luther University.

Antiossidante, energetico, antidepressivo, protettivo. «La vitamina D3 - prosegue - è prodotta dalla pelle attraverso l'esposizione al sole. Gli esseri umani ottengono il 90% del loro fabbisogno di vitamina D in questo modo. Il resto viene consumato attraverso il cibo, come il pesce grasso o le uova di gallina. La vitamina D2 si trova invece nei funghi: le fave di cacao sono sensibili alla contaminazione da funghi e spesso contengono quantità considerevoli di ergosterolo, il precursore della vitamina D2, proprio per questo motivo». Inoltre, Stangl e colleghi hanno ipotizzato che l'essiccazione al sole delle fave di cacao fermentate porterebbe alla conversione dell'ergosterolo in vitamina D2. Per testare questa idea, i ricercatori hanno analizzato fave di cacao e alimenti a base di cacao utilizzando un sistema di spettrometria di massa all'avanguardia. «Abbiamo dimostrato – spiegano gli esperti alla rivista Food Chemistry - che le fave di cacao provenienti da diversi luoghi contengono vitamina D2. Un contenuto particolarmente elevato di questa sostanza è rilevato nel burro e nella polvere di cacao». Fra i prodotti analizzati, il cioccolato fondente presentava un contenuto di vitamina D2 compreso tra 1,90 e 5,48 μg/100 g, mentre quello bianco tra 0,19 e 1,91 μg/100 g.

Tutte le virtù del cioccolato

Gustosa fonte di nutrienti, la sua versione fondente si aggiudica il podio per la presenza di maggiori quantitativi di vitamina D2. Dalle origini antichissime (più di 6.000 anni) la sua storia si interseca con quella dei Maya, che furono i primi agricoltori a coltivare la pianta del cacao. Seguiti poi dagli Aztechi che cominciarono questa coltura e, in seguito, la produzione di cioccolata. Poco dopo, ad opera loro, la nascita della prima “fabbrica di cioccolato”. Tra il mistico e il religioso, all’epoca veniva consumato dai nobili in occasione delle cerimonie importanti, offerto insieme con all'incenso, come sacrificio alle divinità. Ancora oggi, l'antica città Maya di Kulubà (dove sorsero le prime piantagioni di cacao) è considerata la "culla del cioccolato". Ricavato dai semi della pianta di Theobroma cacao, è un nostro grande alleato. Insomma, un cioccolatino al giorno, toglie il medico di torno! Soprattutto quello fondente, è fonte di importanti nutrienti in grado di ridurre il rischio di diabete di tipo 2 e abbassare il colesterolo “cattivo” (LDL). Dal punto di vista nutrizionale, il cioccolato fondente, si contraddistingue per un basso contenuto calorico, un’importante funzione rilassante e un’interessante azione antidepressiva. Considerato lo “scaccia tristezza” per eccellenza, incide positivamente sul nostro umore (grazie al rilascio di endorfine).

La Filiera Etica del Cioccolato "LIFE 120" con SILVIO BESSONE (Maestro cioccolatiere)

E poi, non dimentichiamo che il cioccolato fa bene al cuore. Lo sostiene uno studio del 2003 promosso dell'Istituto Nazionale Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (Inran) di Roma. I risultati dell’indagine hanno rivelato che il cioccolato fondente aumenta del 20% le concentrazioni di antiossidanti nel sangue, grazie alla presenza dei flavonoidi. Inoltre, una ricerca dell’Università di Harvard durata cinque anni, su un campione di 7.841 persone di 65 anni, ha dimostrato che coloro che mangiavano cioccolato tre volte al mese vivevano più a lungo, per questi soggetti, infatti, il rischio di mortalità si riduceva del 36% rispetto a quelli che non la consumavano. Non dimentichiamo poi che il cacao e, di conseguenza, il cioccolato, rappresentano un’ottima fonte di magnesio. Se combinati a un’alimentazione sana ed equilibrata, cacao e derivati, ovviamente consumati in maniera adeguata, contribuiscono all’apporto giornaliero di oligonutrienti. Il cioccolato si presenta come un ottimo alleato per ridurre il rischio di malattie cardiache e di ipertensione e per mantenere pulite le arterie, grazie alla teobromina. E non solo. Questo cibo, favorisce l’afflusso di ossigeno al cervello, migliorandone, di conseguenza, memoria e concentrazione e riducendone il senso di fatica. Ultimo mito da sfatare: il cioccolato non fa ingrassare!


Senza tralasciare poi la preziosa funzione svolta dalla vitamina D. Di pronta risposta Vitalife D, un integratore alimentare con vitamina D3 (composta da colecalciferolo) più adatta all'uomo dopichè di provenienza animale. Inoltre, per facilitarne l'assimilazione è inserita in olio extravergine di oliva. La sua principale differenza sta proprio nelle composizione, poichè, ad esempio, la vitamina generalemente proposta negli integratori alimentari in commercio  è la D2, composta invece da ergocalciferolo, e quindi, di provenienza vegetale che si differenzia a sua volta dal calcitriolo che è invece di difficile assimilazione. Quindi di fondamentale importanza per fissare il calcio nelle ossa. Previene, inoltre, sia lo sviluppo del rachitismo nei bambini, che dell’osteoporosi negli anziani. Agisce come un ormone, controllando vari organi e sistemi e ha un'azione regolante nei confronti dell’infiammazione e del sistema immunitario. La sua carenza potrebbe, infine, essere associata a diverse patologie, quali il diabete, l’Alzheimer, l’asma e la sclerosi multipla.

 

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Per approfondimenti:

Il Giornale "Il cioccolato fondente è ricco di vitamina D"

Ansa "Il cacao, fonte sconosciuta e golosa di vitamina D"

SkyTg24 "Scoperta una nuova qualità del cacao: è fonte di vitamina D"

Fanpage "Il cioccolato fondente contiene vitamina D: la verità sullo studio che ci ha fatto sognare"

LEGGI ANCHE: Cacao e derivati: il cioccolato, antidepressivo naturale e alleato di cuore e arterie

Nuovi studi sul cacao: una spolverata di benessere che previene e inibisce l’Alzheimer

Ricerca: il cioccolato fondente fa bene al cuore... ecco il motivo

Colesterolo e diabete: un aiuto per il cuore dal cioccolato fondente

Ricerche dimostrano che il cioccolato protegge il cuore... ecco come fa

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Oltre 463 milioni di persone (1 su 11) convivono con il diabete. 3 milioni solo in Italia, ma un milione e mezzo non sa di averlo! E le previsioni non sono per niente ottimistiche. Si prevedono, infatti, che il numero di persone affette da questa patologia aumenterà, entro i prossimi dieci anni, a 578 milioni. Ancora oggi, un adulto su due rimane non diagnosticato. Nel 2019, il diabete è stato la causa di 4,2 milioni di morti. Senza tralasciare le conseguenze. Infatti, le lesioni cutanee, portatrici di infezioni anche croniche, possono aggravarsi fino a determinare l'amputazione dell'arto (1 su 5 in Italia). «È importante il ruolo di questa giornata nella sensibilizzazione sul diabete, una patologia in crescita che richiede nuovi approcci terapeutici» commenta all’Adnkronos Giuseppe Seghi Recli, Presidente di Molteni. Inoltre «La comparsa di ulcere da piede diabetico è spia di una condizione clinica particolarmente grave che richiede un inquadramento completo e la definizione di uno specifico percorso di cura» aggiunge nell'intervista all'Adskronos il professor Luigi Uccioli, Policlinico Universitario Tor Vergata di Roma. 

DIABETE: lo stile di vita sostiene prevenzione e remissione

Al via con il World Diabetes Day#WDD2020! La Giornata mondiale del diabete (WDD) viene istituita nel 1991 dalla federazione internazionale del diabete con lo scopo (IDF) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in risposta alla crescente sfida alla salute posta dal diabete. La Giornata Mondiale del Diabete è diventata la Giornata ufficiale delle nazioni Unite con l’approvazione della risoluzione 61/225. Si celebra il 14 novembre di ogni anno, in occasione del compleanno di Sir Frederick Banting che ha scoperto l’insulina insieme a Charles Best nel 1922. La campagna di sensibilizzazione richiama l’attenzione su questioni di fondamentale importanza. Il diabete di tipo 2 è la forma più diffusa, riguarda oltre il 90% dei casi, ed è una patologia cronica caratterizzata da un eccesso di zuccheri nel sangue, iperglicemia, che può causare frequenti complicanze cardiovascolari e renali, precoci e spesso fatali, come lo scompenso cardiaco e l’insufficienza renale. «Il progetto nasce proprio dall’esigenza di rispondere ad un bisogno importante di conoscenza di molti soggetti affetti da diabete di tipo 2 – spiega all’Adnkronos Agostino Consoli, presidente eletto della Sid –. Molte persone con diabete non sono fino in fondo consapevoli della gravità di questa malattia». La campagna di comunicazione si fa portavoce di un messaggio educativo estremamente importante: «il diabete – precisa Consoli - è una malattia cronica ed è fondamentale che i pazienti si prendano a cuore la propria patologia».

Alimentazione: tra cura e prevenzione

Parola chiave: prevenzione! Una soluzione che si è trasformata in un problema in era Covid, con gli ospedali saturi e le terapie intensive al collasso. Da qui l’importanza di prevenire questa patologia per evitare le eventuali complicanze. Oggi più che mai, soprattutto in piena emergenza sanitaria. Infatti, lo scompenso cardiaco è una delle complicanze più precoci nei soggetti con diabete di tipo 2 e tra le prime cause di ospedalizzazione nel nostro Paese, associata purtroppo a un elevato rischio di mortalità a 5 anni dalla diagnosi. Inoltre, circa il 40% dei pazienti diabetici sviluppa nefropatia che quando si manifesta è spesso in una fase troppo avanzata per poter intervenire. «Queste complicanze impattano notevolmente sulla qualità di vita dei pazienti – evidenzia in un’intervista all’Aknkronos Paolo Di Bartolo, presidente Amd – e la prevenzione rappresenta uno strumento fondamentale per contrastarle. La sfida di oggi, infatti, non è la cura della malattia conclamata, ma una sua corretta gestione per prevenire tempestivamente le complicanze nei numerosissimi pazienti che presentano almeno un fattore di rischio, come l’ipertensione, l’abitudine al fumo o dislipidemia. Il controllo medico diventa quindi parte integrante della terapia e la collaborazione dei pazienti diabetici nel richiedere una consulenza costante risulta importantissima».

DIABETE: ecco come mangiare per stare meglio

Un tema delicato quello del diabete, ma soprattutto una malattia da non trascurare. «Il diabete di tipo 2 è una patologia metabolica caratterizzata da glicemia elevata in un contesto di insulino-resistenza ed insulino-deficienza relativa e rappresenta circa il 90% dei casi di diabete. Questo viene inizialmente trattato con l’aumento dell’esercizio fisico e con modifiche nella dieta» spiega Christian Orlando, biologo e nutrizionista. «Fino a un secolo fa – continua l’esperto - l’alimentazione con un ridotto contenuto di carboidrati (massimo 20/25 gr al giorno) rappresentava uno standard per la cura del diabete tipo 1 e tipo 2, in quanto la restrizione di carboidrati produce spesso un rapido e notevole miglioramento clinico. Poi, la scoperta dell’insulina nel 1920 ha permesso il controllo dell’iperglicemia in persone diabetiche consentendo ai pazienti di mangiare una quantità maggiore di carboidrati senza però considerare gli effetti collaterali dovuti alla notevole quantità di insulina somministrata». Il biologo cita anche una relazione dell’ADA ( American Diabetes Association) del 2019, secondo cui «le diete a basso contenuto di carboidrati hanno dimostrato un miglioramento della glicata e la minor quantità di antidiabetici orali somministrati nei pazienti con diabete tipo 2». «Nelle persone con diabete di tipo 2 all’esordio, alcuni studi hanno inoltre dimostrato che tale alimentazione porta ad un miglioramento della funzione delle cellule beta del pancreas secernenti insulina e una riduzione dell’insulino-resistenza con miglioramento del compenso glicemico» conclude Orlando.

Lo zucchero ci rende più vulnerabili ai virus

Il 43,9% dei soggetti deceduti per Covid avevano il diabete. Il report del 20 marzo, dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sui pazienti deceduti in Italia, conferma la probabilità di maggiore mortalità in presenza di diabete. Mentre, il 48,6% presentava 3 o più patologie croniche. Secondo il Current Diabetes Review «il diabete di tipo 2 può «aumentare l’incidenza delle malattie infettive e delle comorbilità correlate». E anche se questi non hanno maggiore probabilità di essere contagiati, rischiano sicuramente più degli altri di sviluppare gravi complicanze, una volta contratto il virus. È la conclusione di un équipe di ricercatori dell’Università di Padova. La ricerca, pubblicata sul Journal of Endocrinological Investigation, dimostra come i pazienti diabetici, soggetti a un aggravamento del quadro clinico in presenza di qualsiasi malattia acuta, nel caso di infezione da SARS-CoV2 hanno un rischio di prognosi peggiore della patologia, rispetto a quella degli altri soggetti infetti non diabetici. L’interconnessione tra Covid e diabete è dovuto all’enzima attraverso cui il virus entra nelle cellule delle vie respiratorie è lo stesso espresso nelle cellule del pancreas e del fegato, e il paziente portatore di entrambe le malattie presenta indici coagulativi, marcatori infiammatori e proteina C reattiva con più alti livelli nel sangue rispetto ai soggetti positivi al Coronavirus, ma senza diabete. Inoltre, le “abituali” complicanze causate dal diabete come neuropatie, retinopatie, arteriopatie e nefropatie, oltre a una maggiore predisposizione a contrarre patologie batteriche e virali durante la infezione Covid 19 si riacutizzano, peggiorando la già critica situazione clinica.

«Alti livelli di zucchero nel sangue per un lungo periodo di tempo possono effettivamente deprimere il sistema immunitario, quindi non risponde più rapidamente al virus quando entra nel corpo e ha più tempo per replicarsi, scendere ai polmoni e causare i problemi legati alla respirazione che possono portare alla necessità di cure ospedaliere» spiega Amir Khan, affermato specialista ed esperto nella patologia del diabete di tipo 1 e 2. L’esperto fa poi riferimento ai dati diffusi dalla Cina che mostrano, nei primi 44.672 casi positivi, le persone che avevano malattie cardiovascolari, precedenti infarti o ictus, avevano un tasso di mortalità più alto  (10,5%). «In Cina, dove la maggior parte dei casi si è verificata finora, le persone con diabete avevano tassi molto più alti di complicanze gravi e morte rispetto alle persone senza diabete» spiega l’American Diabetes AssociationTuttavia, a peggiorare il quadro clinico, come evidenziato nel report dell’ISS, contribuiscono anche alcuni farmaci ad uso comune. Gli Ace inibitori, molecole con effetti antipertensivi che agiscono sulla funzionalità cardiaca ostacolando l'insorgenza della insufficienza renale, influenzano negativamente l’evoluzione dell’infezione.

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Per approfondimenti:

Adnkronos "Diabete in era Covid, più disagi in passaggio da pediatra a specialista"

Adnkronos "Settimana del Diabete: a novembre consulti gratis in 40 centri italiani"

Adnkronos "Molteni per la Giornata Mondiale del Diabete"

 Libero "Coronavirus, Melania Rizzoli: Perché chi soffre di diabete rischia più degli altri malati"

Giornale di Sicilia "Coronavirus: il diabete è un fattore di rischio"

Ok Benessere e Salute "Coronavirus: chi ha il diabete rischia di più di contrarre l’infezione?"

Blitz Quotidiano "Coronavirus, diabete fattore di rischio? Lo dice uno studio cinese"

Centro Meteo Italiano "Coronavirus, i sintomi più gravi potrebbero colpire chi soffre di diabete | Le parole dell’esperto"

Focus Tech "Covid-19 potrebbe causare sintomi peggiori sulle persone con diabete"

Tuo Benessere "CORONAVIRUS E DIABETE: C’È CORRELAZIONE?"

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Tutta l’amara verità sullo zucchero: dai rischi per la salute alla dipendenza

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Al mare o in montagna, in vacanza o in città. Per l’estate l’importante è essere baciati dal sole. La prima regola è proprio quella di preparare la pelle al meglio per l’esposizione ai raggi solari. «Importante dedicare la giusta attenzione all’alimentazione, all’idratazione ed eventualmente valutare l’utilizzo di integratori che possano aiutarci nel percorso di preparazione della pelle al sole» suggerisce Giovanna Geri, farmacista e nutrizionista. Non dimentichiamo che la pelle è un organo dotato di memoria, capace di immagazzinare e ricordare, anche dopo anni, tutti i danni provocati da scottature e bagni di sole sbagliati, come ad esempio con la comparsa di macchie, cheratosi e, nel peggiore dei casi, anche tumori. I principali amici per un colorito intenso sono zinco e betacarotene. Il primo, dalla preziosa azione anti-invecchiamento, si trova principalmente nella frutta secca e nel cacao. «Volendo approfittare di un aiuto esterno – continua la nutrizionista – un integratore per il sole deve contenere vitamina C, vitamina A (anche come betacarotene) e zinco, in modo da preparare e rinforzare la pelle in vista di una tintarella senza scottature».

L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi

Altro elemento essenziale, il betacarotene, naturale precursore della vitamina A, contenuto in abbondanza nell’olio di carota, protegge, insieme ad altre vitamine antiossidanti, dai danni dei raggi ultravioletti. Favorisce, inoltre, un’abbronzatura più intensa e prolungata nel tempo. E poi, via libera alla scorta di frutta e verdura di stagione che contribuiscono all’apporto di acqua e micronutrienti essenziali, validi supporti per il nostro organismo e per la nostra pelle. Un frutto al giorno toglie il medico di torno, come suggerisce lo stile alimentare Life 120. Tra le vitamine consigliate quelle ricche di antiossidanti come la vitamine A e C di cui è ricchissima la frutta estiva. «Le pesche contengono molta acqua e vitamine A, C, E e gruppo B – spiega l’esperta – il fico d’india che ha innumerevoli proprietà, in quanto ricchissimo di fibra e povero di calorie, contiene inoltre vitamine e sali minerali in abbondanza; i frutti di bosco, poi, sono miscele di antiossidanti, come vitamina C e polifenoli; le ciliegie contengono vitamine A e C; il melone, come tutta la frutta e gli ortaggi di colore giallo-arancio, contiene molta vitamina A, sotto forma di carotenoidi e vitamina C». Da qui, l’importanza di questi fondamentali nutrienti.

Dai bagni di sole alla tintarella

L’abbronzatura è il primo segnale che il corpo produce melanina e vitamina D. «Chi può faccia bagni di sole» la raccomandazione arriva dai ricercatori del Trinity College che nel nuovo studio hanno ribadito l’importanza della vitamina D per il nostro organismo. Non solo per rafforzare la risposta immunitaria contro gli attacchi esterni, ma anche per rendere più forti e sani sia i denti che le ossa. Oltre a ribadire l’importanza di questo nutriente e ad evidenziare la notevole carenza a livello nazionale (ipovitaminosi D) rispetto ad altri Paesi europei, la ricercatrice Rosa Kenny suggerisce prendere in considerazione integratori di vitamina D. Dal diabete all'infarto, dall'Alzheimer all'asma passando poi alla sclerosi multipla, quando diversi tipi di malattie sono associate alla carenza di Vitamina D. Questo è quanto riportato in una ricerca della Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro. Fondamentale, quindi, oltre a fissare il calcio nelle ossa anche a prevenire l’osteoporosi negli anziani e il rachitismo nei bambini. “La vitamina D – spiega in un approfondimento l’Humanitas Research Hospital – è una vitamina liposolubile, viene quindi accumulata nel fegato e si presenta sotto due forme: l’ergocalciferolo, che viene assunto con il cibo, e il colecalciferolo, che viene sintetizzato dal nostro organismo. La vitamina D è scarsamente presente negli alimenti (alcuni pesci grassi, latte e derivati, uova, fegato e verdure verdi). La vitamina D viene in gran parte accumulata dal nostro organismo attraverso l’esposizione ai raggi solari e va integrata in situazioni particolari”.

Il mio medico - Tutti i benefici della vitamina D

I principali segnali dell'ipovitaminosi D

Scopriamo tutti i principali segnali di deficit da vitamina D. Ecco alcuni sintomi indicativi di questa carenza: eccessiva sudorazione (soprattutto alla testa e alle mani, è uno dei principali sintomi di deficit di vitamina); stanchezza, debolezza o depressione (oggetto di una ricerca del 2006 per valutare gli effetti della vitamina D sulla salute mentale. Dallo studio è emerso che coloro che avevano bassi livelli di vitamina D erano più        inclini a manifestare depressione, poiché, la serotonina, conosciuta come “ormone del buonumore”, aumenta con l’esposizione alla luce solare); problemi intestinali (in caso di patologie intestinali che danneggiano l’assorbimento dei grassi, è molto probabile una carenza di vitamina D. I principali disturbi intestinali che danneggiano l’assorbimento dei grassi sono  morbo di Crohn e celiachia); dolori alle ossa (dipendono spesso dalla carenza di vitamina D); pelle scura (gli individui con la pelle scura tendono ad assorbire minore quantità di vitamina D, aumentando di rischi di carenza); età avanzata (l’avanzare dell’età determina una minore produzione di vitamina D, che pertanto andrebbe integrata in altro modo); sovrappeso (un aumento del peso corporeo, determina una maggiore necessità di vitamina D rispetto al fabbisogno di un normopeso, pertanto in caso di sovrappeso le probabilità di carenza sono più elevate).

Tutti i miracoli della vitamina della bellezza

L’altra parte del lavoro, la svolge un altro grande alleato: la vitamina C. Da sempre la vera star dell’estate. Fresca, riposata, uniforme, luminosa e visibilmente più giovane. Un importante alleato della nostra pelle che ne previene l’invecchiamento. I notevoli benefici della vitamina C sono molteplici. Dall'azione antiossidante, alla protezione dai radicali liberi e, di conseguenza, previene l'invecchiamento cellulare. Inoltre, favorisce la produzione naturale di collagene, riduce la stanchezza, protegge la pelle dai raggi UV e aumenta la melanina nella grana del derma. Un valido aiuto per prevenire i segni dell’invecchiamento, le macchie cutanee, uniformare l’incarnato e rendere meno visibili i segni del tempo. La Vitamina C è nota per essere uno dei più potenti antiossidanti, che stimolano collagene rendendo la pelle elastica e rimpolpata. Inoltre, l’acido ascorbico mantiene la pelle compatta ed elastica (grazie alla concentrazione di elastina), rinforzandola e proteggendola dall'azione dei radicali liberi. Migliora quindi la compattezza della cute e la protegge da fumo, inquinamento e raggi solari. Oltre alla sua azione benefica per il sistema immunitario è anche un valido rimedio naturale per avere una pelle più luminosa, quindi, anche contro fattori ambientali e naturali che, col passare del tempo, lasciano sulla pelle un colorito spento e poco uniforme. Grazie alla sua notevole azione schiarente, la vitamina C aiuta a prevenire e ridurre sia le macchie cutanee, sia le reazioni biochimiche che rendono l'incarnato spento e irregolare.

VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici

«È un potente antiossidante in grado di combattere l'aging cutaneo e stimolare la sintesi del collagene», spiega al Sole 24Ore Mariuccia Bucci, dermatologa a Sesto San Giovanni (Mi). «Non solo – aggiunge la biologa -, se la nostra pelle appare spenta, affaticata, macchiata, un'applicazione topica di vitamina C aiuta a ridurre tutti questi inestetismi». Perché questo nutriente è così importante per il nostro corpo? «La vitamina della bellezza rappresenta la principale difesa contro i grassi nocivi – spiega al Sole 24Ore Nicola Sorrentino, nutrizionista a Milano - buone fonti di questa vitamina sono l'olio di semi, l'extravergine d'oliva, l'anguilla, il caviale, il tonno sottolio, le uova, la frutta secca e le foglie verdi esterne degli ortaggi». «L'acido ascorbico – continua la dermatologa – è utile nel miglioramento della struttura della pelle assicurando un miglioramento delle concentrazioni di collagene ed elastina, pilastri del derma». «E' anche utilizzato come schiarente, un suo derivato è efficace contro l'iperpigmentazione e nel ridurre le infiammazioni post trattamenti laser» conclude Mariuccia Bucci.

Storia e segreti della VITAMINA C nella prevenzione di tante malattie

Tuttavia, poiché il nostro organismo non è in grado di sintetizzarlo, questo prezioso nutriente deve essere assunto attraverso l'alimentazione e l’integrazione. Tra gli alimenti che ne sono maggiormente ricchi troviamo la frutta con agrumi, fragole e kiwi e la verdura con broccoli, spinaci e lattuga. Non dimentichiamo che un consumo regolare di questi alimenti, all’interno di una dieta equilibrata, potenzia gli effetti di questa vitamina sulla pelle. La deficienza di vitamina C è generalmente imputabile a un insufficiente consumo di alimenti, da cui deriva quel senso di stanchezza persistente che costituisce uno dei sintomi più comuni della sua carenza. O anche in presenza di una serie di condizioni che riducono le scorte di vitamina che deve necessariamente essere apportata con una dieta bilanciata o con integratori specifici. Per cui, sarebbe auspicabile, soprattutto in estate, un aumento dell’apporto di questa preziosa vitamina, per bilanciare e riequilibrare la perdita di acido ascorbico causato da una maggiore sudorazione.

I consigli dell’esperto

«Il sole svolge numerose azioni benefiche per la salute, ad esempio stimola la produzione di vitamina D, indispensabile per fissare il calcio nelle ossa e per un buon mantenimento della nostra muscolatura, ma anche di ormoni importanti per il benessere, sia fisico che psichico. Dall’altra parte però rappresenta anche uno stress per l’organismo, che si difende dai suoi raggi provocando l’abbronzatura. In effetti, per aumentare le difese nei confronti delle radiazioni, la pelle si abbronza grazie a un pigmento bruno, la melanina, prodotta dai melanociti, cellule presenti nel tessuto cutaneo» spiega Christian Orlando, biologo. «Non bisogna considerare solo il betacarotene – precisa l’esperto - che stimola la sintesi della vitamina A, ma soprattutto alimenti ricchi di antiossidanti, in grado di proteggere la pelle dai danni del sole. Perché un’abbronzatura luminosa passa innanzitutto da una cute sana e radiosa. Ad esempio la vitamina C che partecipa alla formazione del collagene, il tessuto di sostegno dell’epidermide, alla quale garantisce l’elasticità; ha un ruolo antiossidante combattendo la formazione di svariati tipi di radicali».

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Per approfondimenti:

Ansa "Estate, il sole e la pelle, come avere un'abbronzatura perfetta senza danni in 6 passi"

Il Sole 24Ore "Una pelle nuova con la vitamina C"

Gazzetta dello Sport "Vitamina C, le spremute non bastano. Come fare il pieno anche d’estate?"

Donna Moderna "Vitamina C, l’antiossidante naturale che fa bene alla pelle"

Fanpage "Vitamina C per la pelle: perché fa bene e come usarla"

GQ Italia "La vitamina C è l'ingrediente che rende più bella la pelle questa estate"

NaturalmenteFarma "Vitamina D: sole e abbronzatura aiutano a sintetizzarla"

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Vitamina C: la scorta per l’estate, quando le spremute non bastano!

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Vitamina C nel trattamento dell'acne: riduce cicatrici, infiammazione e iperpigmentazione

 

 

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Un atto d’amore quotidiano. Depurativi, ricchi di minerali e omega 3, un acido grasso polinsaturo che potrebbe aiutare a combattere l'infiammazione e tenere sotto controllo i livelli di colesterolo. I semi di lino (Linum usitatissimum) sono considerati i “semi della salute” per le notevoli proprietà benefiche e protettive. Scopriamo perché sono importanti nella nostra alimentazione. «La ricerca ha anche dimostrato che gli omega 3 possono aiutare a migliorare l'umore e contribuire a migliorare i disturbi dell'umore come la depressione», precisa Brigitte Zeitlin, MPH, RD, CDN. Alleato di corpo, e in particolare intestino, aiuta a contrastare la stitichezza. I semi di lino favoriscono la motilità e la regolarità intestinale, contrastando costipazione e gonfiore. Oltre a favorire la funzione depurativa dell’intestino, infatti, antiossidante. Sono positivi anche per la salute del cuore e della circolazione. Il suggerimento è quello di mangiare i semi di lino. Non interi, poiché l’organismo, al contrario, non sarebbe in grado di assimilare le sostanze. Un’alternativa sicuramente migliore per assumere i semi di lino, è quella di assumerli crudi tritati: farina, olio o integratore. «I semi di lino – continua - sono una buona fonte di proteine che favoriscono il mantenimento in salute di muscoli e ossa e, al contempo, rafforzano la funzione cognitiva aumentando anche le capacità di concentrazione». «Usali per aumentare l'apporto proteico» suggerisce Zeitlin. Inoltre, sono considerati potenti antinfiammatori: «L'infiammazione può portare a malattie cardiache - precisa Zeitlin -, obesità e malattie croniche».

Nell’impasto o sulla crosta tostata. Ancora più buono e salutare. È il turno del pane con la farina di semi di lino. Non solo per il pane, ma anche per le classiche preparazioni lievitate, mescolata con altre farine low carb, o per i dolci come le crostate. Tra le altre proprietà di questa farina, non dimentichiamo che può essere utilizzata anche per preparare impacchi contro i reumatismi, per ridurre tosse e bronchite e per il trattamento di dermatiti, psoriasi e infezioni cutanee. Inoltre, i semi di lino sono una preziosa fonte di fibre, utili per promuovere una migliore salute intestinale. «La fibra solubile può aiutare ad abbassare i livelli di colesterolo LDL (quelli cattivi) nel sangue. Può anche ridurre la velocità di assorbimento degli alimenti, il che aiuta con la sazietà e il controllo della glicemia» evidenzia Daniela Novotny, RD. Ecco alcuni altri benefici per la salute del consumo di più fibre. Oltre alla fibra solubile, quella insolubile che «aiuta ad aggiungere volume alle feci, il che facilita il movimento all’interno del sistema gastrointestinale» spiega l’esperta. Quindi anche un valido alleato «per le persone che soffrono di costipazione». Notevole anche la sua azione anti rughe e anti acne. «I semi di lino sono ricchi di lignani – sottolinea Zeitlin -, un tipo di antiossidanti che possono aiutare a combattere le malattie croniche ed i segni prematuri dell'invecchiamento come rughe sulla pelle» e in grado di bloccare lo sviluppo delle cellule tumorali. Importanti anche nella prevenzione di malattie cardiache: «Gli acidi grassi omega 3 possono aiutare a ridurre la pressione sanguigna, nonché a migliorare i livelli di colesterolo, valido supporto nel contrasto alle malattie cardiache» spiega Novotny.

Dalla pelle al cuore: i semi del benessere

Ricchi di minerali, proprietà emollienti e protettive questo super food è un vero e proprio toccasana per l’intestino e la digestione oltre ad essere un depurativo per l’organismo. L'alto contenuto di proteine e grassi insaturi, in particolare omega 3 rendono questo alimento importante per la nostra salute. Aiutano il cuore e rinforzano il sistema immunitario. Sono, inoltre, fonte di minerali e vitamine tra cui fosforo, rame, magnesio e manganese, oltre a vitamine del gruppo B, vitamina C, E, K e vitamina F che aiuta la formazione delle membrane cellulari, combatte l'invecchiamento, le infezioni e aiuta ad abbassare il colesterolo cattivo nel sangue. I semi di lino aiutano, quindi, a proteggerci da infiammazioni interne, come la cistite, o esterne, che interessano soprattutto l’epidermide. La presenza di lecitina poi, assicura il buon funzionamento del cervello e del sistema nervoso. Inoltre, le proprietà emollienti e protettive del loro derivato vengono impiegate soprattutto in cosmesi per bellezza e salute di pelle e capelli. Ma quello che non tutti sanno è che, questi semi, facilitano la perdita di peso: aiutano a bruciare i grassi convertendoli in energia. Insomma, l’alimento ideale da inserire in una dieta poiché, contribuisce anche a prolungare il senso di sazietà.

Ecco perchè gli "Omega 6" sono un pericolo per la nostra salute

«I semi di lino contengono acidi grassi monoinsaturi come l’acido oleico, e grassi saturi come l’acido stearico e palmitico, mucillagini emollienti, proteine, sali minerali e lignani che sono un genere di polifenoli antiossidanti capaci di contrastare funghi e batteri e, secondo gli studi fitologici, di esercitare un effetto preventivo contro le patologie correlate allo stile alimentare come il diabete di tipo II» spiega il biologo Christian Orlando. «Gli acidi grassi dei semi di lino – prosegue l’esperto - hanno una potente azione antinfiammatoria e immunostimolante e intervengono nella formazione delle membrane cellulari, rinforzandole e contrastando i processi infettivi e degenerativi e l’invecchiamento dei tessuti. Per questo è consigliato spesso come coadiuvante in tutte le patologie croniche, come le artriti, l'asma e le emicranie ricorrenti». «Sono la fonte vegetale più ricca di omega 3 – evidenzia Orlando -, esercitano un benefico effetto sul sistema cardiovascolare perché promuovono l'espulsione del colesterolo LDL, favorendo la sintesi del colesterolo buono HDL, regolarizzando il battito cardiaco e prevenendo l’insorgere di malattie cardio-vascolari. Inoltre aiutano a smaltire i trigliceridi, mantenendo le arterie pulite e regolando la pressione sanguigna».

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Il biologo mette poi in evidenza un altro aspetto. «L'effetto anti-degenerativo dei semi di lino si estende anche al cervello e al sistema nervoso: oltre a proteggere le arterie cerebrali dalla sclerosi, contengono vitamine del gruppo B, vitamina C ed E, sali minerali come magnesio, calcio, potassio, zinco, ferro, manganese, rame, fosforo e selenio e acidi grassi essenziali come la fosfatidilcolina - un componente delle membrane cellulari - che aiutano a proteggere le cellule cerebrali dalle malattie neurodegenerative, migliorando anche le prestazioni cognitive». E ancora, tra le altre proprietà di questi semi preziosi, sottolinea «l'azione antinfiammatoria e lenitiva dell'olio di semi di lino è un molto utile per le mucose dello stomaco, che sfiamma e protegge dal rischio di gastriti e ulcere. Inoltre contiene mucillagini dolcemente lassative che regolano le funzioni intestinali, liberando l'organismo dalle scorie e contrastando disturbi come la stipsi e il colon irritabile, con un effetto emolliente e preventivo contro le intolleranze alimentari di origine tossica o infiammatoria». «L'olio di semi di lino regola le mestruazioni e contribuisce a contrastare sia i disturbi menopausali che i sintomi della sindrome dell'ovaio policistico, come l'aumento di peso, le irregolarità mestruali, l'infertilità, l'acne e la proliferazione di peli (irsutismo)» conclude l’esperto.

OMEGA 3, ecco perchè è importante integrarli per la nostra salute

Combattono il diabete, aiutando a tenere sotto controllo anche i livelli di colesterolo e trigliceridi, e sono utili contro l'ipertensione. Contribuiscono, inoltre, a ridurre i fastidi causati dalla menopausa. E ancora le loro proprietà rimineralizzanti che lo rendono, insieme alla presenza di vitamina K, un alimento ideale per prevenire l'osteoporosi. Fonte per antonomasia di omega 3, stimolano e rinforzano il sistema immunitario, prevenendo anche le intolleranze, grazie agli acidi grassi omega 3 e omega 6. Inoltre, questi semi, prevengono la formazione di placche nelle arterie riducendo il rischio di malattie dell'apparato cardiocircolatorio e stabilizzano i battiti cardiaci limitando le probabilità di infarto. Dunque, tirando le somme, i semi di lino sono importanti contro la stipsi, per la loro azione anti rughe e anti acne, per curare tosse, bronchite e raffreddore, per alleviare dolori mestruali e sintomi della menopausa, per curare le infiammazioni dei tessuti, per combattere il diabete e l’ipertensione, per rinforzare il sistema immunitario, per abbassare il colesterolo, per favorire la digestione, per la pulizia del colon, per la salute di cuore e capelli.

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Per approfondimenti:

Fanpage "Semi di lino: proprietà benefiche, come assumerli e controindicazioni"

Il Giornale del Cibo "SEMI DI LINO: PROPRIETÀ E USI IN CUCINA"

Corriere della Sera "Omega-3"

Codice Paleo "Acidi grassi polinsaturi Omega-3 ed Omega-6: rischi e benefici"

Donna Moderna "Omega 3: benefici e controindicazioni"

URV "A study identifies the mechanism by which eating fish reduces the risk of cardiovascular disease"

Notizie Scientifiche "Omega-3 del pesce riduce rischio di malattie cardiovascolari modulando lipoproteine"

Ragusa News "Omega-3: perché inserirli nella dieta"

Journal of the American Heart Association (JAHA) "Habitual Fish Consumption, n‐3 Fatty Acids, and Nuclear Magnetic Resonance Lipoprotein Subfractions in Women"

Il Fatto Alimentare "Omega 3: guida al consumo degli acidi grassi essenziali molto presenti nel pesce azzurro e nel salmone e pochissimo nei filetti di sogliola"

Il Giornale "Gli integratori omega 3 salvano cuore, mente e portafogli"

Prima Lodi "Che cosa sono gli Omega 3 e a cosa servono"

Prima Milano Ovest "I benefici degli Omega 3, fra pesce, frutta e verdura"

LEGGI ANCHE: Omega 3 contro omega 6: salutari se il rapporto è minore o uguale a 4

Semi di lino: tutte le proprietà di un super alimento

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Ricercatori: per infiammazione e depressione, consigliata integrazione con Omega 3

 

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La primavera, i pollini e le allergie. Arriva la stagione della “febbre da fieno”. Raffiche di starnuti e occhi gonfi sono le inevitabili conseguenze che si ripetono ad ogni stagione. In questo periodo dell’anno, le allergie da pollini colpiscono tra il 10 e il 20% delle persone. Tuttavia, quest’anno, in piena pandemia e, ancor più, in un clima generale di allarmismi potrebbe essere scambiato per coronavirus. E anche se, almeno in apparenza, i sintomi potrebbero sembrare gli stessi, tra i due ci sono differenze sostanziali. Queste diversità sono fondamentali per capire se è il caso di preoccuparsi, a cominciare proprio dalla febbre che, raramente si presenta nelle reazioni allergiche spiega Greg Poland, direttore del Mayo Clinic's Vaccine Research Group. «La questione con le allergie stagionali è che colpiscono il naso e gli occhi - spiega l'esperto - tendono ad essere nasali e la maggior parte dei sintomi è localizzata nella testa, a meno che non si abbia uno sfogo cutaneo». «Il coronavirus, come anche l'influenza, sono più sistemici, colpiscono tutto il corpo» sottolinea Poland.

Sia il Covid-19 sia l'influenza, colpiscono le basse vie respiratorie. «Probabilmente non si avrà il naso che cola - aggiunge Poland -, ma si potrebbe sentire la gola infiammata, tosse, febbre e respiro corto. Bisogna prestare attenzione alla temperatura, è molto improbabile che le allergie diano febbre. Di solito non causano neanche respiro corto, a meno che non si abbia una condizione preesistente come l'asma». Nonostante questo e soprattutto nella fase iniziale, i sintomi delle due malattie potrebbero essere facilmente confusi. «Ecco perché bisogna fare attenzione soprattutto a vedere se i sintomi persistono, soprattutto se si è in un gruppo a rischio» conclude l’esperto. Anche gli specialisti di Auxologico fanno chiarezza su differenze e analogie, proponendo una sorta di vademecum con differenze e similitudini tra i sintomi delle allergie stagionali e il coronavirus.

 SOS febbre da fieno

Tra i sintomi propri o riconducili alle allergie annoverano raffreddore “acquoso” e lacrimazione profusa che, per contro, non appartengono al Covid-19. Al contrario, invece, di tosse e congiuntivite. Questi sintomi, purtroppo potrebbero trarre in inganno e confondere poiché tipici di entrambe le patologie. Altra differenza sostanziale, l’assenza di febbre nelle forme allergiche che è invece quasi un tratto caratteristico proprio dell’infezione virale. Infatti, la febbre è solo una conseguenza dell’infezione e non dell’allergia, pertanto rappresenta un segnale distintivo importante tra l’una e l’altra. Tuttavia, è bene ricordare che ci sono sempre delle eccezioni e questo è il caso dei cosiddetti asintomatici, i pazienti che consapevoli o meno di aver contratto il virus SARS-CoV2, e quindi dall’esame del tampone, non presentano comunque i principali sintomi. Particolare attenzione per chi soffre di asma. E anche se non è un fattore che predispone al contagio, si rischia comunque un’acutizzazione dell’infezione esistente con il rischio di gravi complicazioni. Allergy UK pubblica una guida per chi soffre di allergie: «I sintomi del coronavirus in genere includono tosse persistente e febbre alta e talvolta causano mal di testa e dolori muscolari. Questi non sono sintomi riconducibili a quelli dovuti alla febbre da fieno. I sintomi della febbre da fieno sono infatti persistenti ma relativamente prevedibili, a seconda della concentrazione di pollini nell’aria».

Le vere cause delle allergie

 

Anche il sistema sanitario nazionale britannico sottolinea che i principali sintomi del coronavirus siano febbre alta e continua tosse secca. «In questo periodo dell’anno ci aspettiamo di ricevere segnalazioni di un gran numero di pazienti affetti da sintomi di rinite allergica, una reazione allergica a vari tipi di polline. In genere, i pazienti che soffrono di febbre da fieno avvertono sintomi come naso che cola o ostruito, con starnuti, dolori diffusi e lacrimazione. Non è rara anche l’insorgenza di tosse. Alcuni di questi fastidi, in particolare la tosse, potrebbero però anche essere sintomi di Covid-19». Martin Marshall presidente del Royal College of General Practitioners (RCGP). «Non deve quindi sorprendere che – aggiunge Marshall -, data la sovrapposizione tra alcuni sintomi della febbre da fieno e del coronavirus, le persone si preoccupino». «I sintomi dell’allergia – continua l’esperto - tendono ad essere più lievi e a variare d’intensità a seconda dell’ora del giorno, poiché i livelli di polline sono spesso più alti nel pomeriggio e nella sera». In questo periodo dell’anno sono praticamente all’ordine del giorno i casi di allergie da polline. «Nei casi in cui un paziente sperimenti una deviazione significativa da questo tipo di sintomi, come una tosse persistente e una temperatura corporea elevata, dovrebbe immediatamente autoisolarsi e contattare il sistema sanitario nazionale».

Allergie e altri disturbi respiratori

Non solo pollini e graminacee. Ricordiamo anche chi soffre di fastidi di altra natura come l’inquinamento o gli acari della polvere. Tra i disturbi respiratori causati da questi allergeni figurano in primis le riniti. Il 50% delle riniti che colpiscono la popolazione sono allergiche «possono essere legate a un periodo preciso dell’anno, ad esempio quando fioriscono le graminacee, e quindi, passeggere oppure possono essere persistenti se legate ad allergeni a cui siamo esposti sempre, come gli acari della polvere» spiega Alberto Macchi, dirigente della clinica di otorinolaringoiatria ASST Sette Laghi di Varese e presidente Accademia Italiana di Rinologia (IAR). Un 30% fa riferimento, invece, a quelle non allergiche, come il comune raffreddore. «Le chiamiamo riniti vasomotorie o cellulari» sottolinea il presidente IAR. Il restante 20% poi, si divide in forme specifiche meno frequenti, come le riniti gravidiche tipiche delle donne in attesa o quelle che colpiscono prevalentemente gli anziani.

RINITE ALLERGICA, ecco come stare meglio cambiando stile di vita

«Il periodo in cui si manifesta l’allergia dipende dal tipo di polline verso cui si è sensibilizzati. Le graminacee, per esempio, iniziano a fiorire ora e per questa primavera la previsione è legata a minori crisi allergiche» sostiene Gianenrico Senna, presidente della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC). «Inoltre, l’uso diffuso delle mascherine, può aiutare ad evitare che gli allergeni, di dimensioni maggiori a quelle di un virus, possano raggiungere le vie aeree» conclude il presidente del SIAAIC.

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Per approfondimenti:

AGI "Come distinguere i sintomi delle allergie da quelli del coronavirus

Ansa "Coronavirus: tornano allergie, possibile confondere sintomi"

Adnkronos "Coronavirus, ecco come distinguerlo dalle allergie"

Il Mattino "Coronavirus, gli allergici non rischiano più di altri ma la mascherina è fondamentale"

Torino Today "Covid-19 e allergie: primavera, come non confondere i sintomi"

Focus Tech "Coronavirus: ecco come distinguerlo dalla rinite allergica stagionale"

LEGGI ANCHE:  Dieta senza carboidrati: un toccasana per asma e altre patologie

Asma, difficoltà respiratoria? La scienza conferma che dipende da quello che si mangia

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Una dieta chetogenica, a basso contenuto di carboidrati, potrebbe aiutare a lenire l'asma. Lo conferma uno studio dell'Università di Bonn pubblicato sulla rivista scientifica Immunity. Secondo la ricerca, condotta sulle cavie, che sono passate a questo tipo di regime alimentare, hanno registrato un’infiammazione notevolmente ridotta del tratto respiratorio. I pazienti asmatici, spiegano gli studiosi tedeschi, reagiscono con una grave infiammazione dei bronchi a basse concentrazioni di alcuni allergeni. Questo stato è anche accompagnato da una maggiore produzione di muco, che rende la respirazione ancora più difficile. Un ruolo centrale qui è svolto dalle cellule del sistema immunitario innato, linfoidi innate (ILC). Infatti, sono loro a svolgere un'importante funzione protettiva nei polmoni rigenerando le mucose danneggiate. Per questo producono messaggeri infiammatori dal gruppo di citochine, che stimolano la divisione cellulare della mucosa e che promuovono la produzione di muco.

Cellule linfoidi innate

"La prevalenza di asma è aumentata drammaticamente negli ultimi decenni forse, questo è anche correlato a una dieta sempre più comune ad alto contenuto di zuccheri e grassi", ipotizza Christoph Wilhelm, esperto di chimica e farmacologia clinica dell’Università di Bonn. I ricercatori hanno alimentato alcuni topi asmatici con una dieta a base di grassi e quasi priva di carboidrati o proteine. Con questo regime alimentare, noto anche come dieta chetogenica, il metabolismo cellulare cambia: le cellule ora ottengono l'energia di cui hanno bisogno per bruciare i grassi. Tuttavia, ciò significa che mancano di acidi grassi, di cui hanno bisogno per la formazione di nuove membrane durante la divisione cellulare. Secondo i risultati dell’indagine, una dieta chetogenica potrebbe prevenire l’infiammazione delle vie aeree, e quindi, attacchi di asma. Le cellule linfoidi innate (ILC) svolgono un ruolo importante nel controllo e nel mantenimento del sistema immunitario. Tuttavia, l'attivazione cronica di ILC si traduce in patologia immuno-mediata. Limitare il glucosio nella dieta alimentando i topi con una dieta chetogenica ha arrestato l'infiammazione delle vie aeree compromettendo il metabolismo degli acidi grassi e la formazione di goccioline lipidiche. Insieme, questi risultati rivelano che le risposte patogene di ILC2 richiedono il metabolismo lipidico e identificano la dieta chetogenica come una potente strategia di intervento per trattare l'infiammazione delle vie aeree.

Un piano dietetico-terapeutico

Lo studio condotto in Germania dimostra il successo di una cosiddetta dieta chetogenica. Quindi, una dieta ‘speciale’ potrebbe aiutare in alcuni casi di asma. I pazienti asmatici reagiscono anche a basse concentrazioni di allergeni con grave infiammazione dei bronchi. Questo è anche accompagnato da una maggiore produzione di muco, che rende la respirazione ancora più difficile. Un ruolo centrale qui è svolto soprattutto dalle cellule del sistema immunitario innato, di recente scoperta, le cellule linfoidi innate (ILC). Svolgono un'importante funzione protettiva nei polmoni rigenerando le mucose danneggiate. A tal fine producono messaggeri infiammatori dal gruppo di citochine, che stimolano la divisione delle cellule della mucosa e promuovono la produzione di muco. Questo meccanismo consente al corpo di riparare rapidamente ai danni causati da agenti patogeni o dalle sostanze nocive.  «Con l’asma, tuttavia, la reazione infiammatoria è molto più forte e più lunga del normale» spiega il professor Christoph Wilhelm, Institute for Clinical Chemistry and Clinical Pharmacology e membro del Cluster of Excellence ImmunoSensation dell’Università di Bonn, Germania. Lo studio si è focalizzato «sui processi metabolici attivi negli ILC quando passano alla modalità di riproduzione» sottolinea Fotios Karagiannis, altro autore dello studio. «Abbiamo cercato di bloccare queste vie metaboliche – aggiunge il collega di Wilhelm) - e, quindi, ridurre la velocità con cui le cellule si dividono». Vedi il grafico: L'immagine mostra due cellule linfoidi (ILC; i nuclei contrassegnati in blu), che hanno immagazzinato acidi grassi esterni in piccole goccioline di grasso (goccioline lipidiche, verde).

linfoidi e asma

La linea sottile tra asma e alimentazione

Con il termine asma si indica una patologia infiammatoria cronica delle vie aeree che si caratterizza per l'ostruzione, generalmente reversibile, dei bronchi. Come conseguenza del processo infiammatorio, essi si contraggono, si riempiono di liquido e producono un eccesso di muco, riducendo così nel complesso gli spazi disponibili per la libera circolazione dell'aria. Si spiegano, dunque, in questo modo manifestazioni quali mancanza o difficoltà di respirazione, tosse, senso di oppressione al torace e respiro fischiante o sibilante. In Italia, ne soffre il 5% degli adulti e circa il 10% dei bambini. A questi dati andrebbero poi aggiunti tutti quei casi in cui il soggetto non è consapevole di essere affetto da questa patologia. Ad oggi, non è ancora possibile definirne con certezza la causa. Tuttavia, esistono una serie di fattori di rischio che ne predispongono la comparsa. Studi dimostrano che la componente ereditaria incide per il 30-60%. Senza dimenticare poi, l'ipersensibilità a particolari sostanze, ma non solo, come polline, acari, inquinamento, fumo, betabloccanti e batteri. Questi, provocano un'infiammazione delle vie respiratorie e sono in grado di scatenare vere e proprie crisi asmatiche.

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È chiaro che una dieta chetogenica può essere una terapia efficace per alcune malattie. Ad esempio, i pazienti con determinate forme di epilessia sono trattati con questo metodo. E si dice anche che il cambiamento nella dieta sia anche d’aiuto con alcuni tumori. Lo dimostra lo studio "Ketogenic diets for drug-resistant epilepsy", presentato in occasione del Convegno “Dieta Chetogenica. In questo regime dietetico il 90% della razione alimentare è composta da lipidi, il 7% da proteine e solo il 2-3% da glucidi. All'opposto di quella mediterranea che prevede, in linea di massima, il 10% di proteine, il 65% di carboidrati e 25% di lipidi. La dieta chetogenica è una dieta che induce nell’organismo la formazione di sostanze acide definite "corpi chetonici" come il beta-idrossibutirrato, l’acido acetacetico e l’acetone. La produzione di corpi chetonici avviene quando si assume una quantità molto bassa o nulla di zuccheri ad esempio in caso di digiuno o di dieta molto ricca di grassi. In questo caso l’organismo e il cervello, in particolare, utilizzano i corpi chetonici come fonte di energia. La dimostrazione, già negli anni ’20 del Novecento, che il digiuno poteva sedare le crisi epilettiche ha portato alla messa a punto di un tipo particolare di dieta chetogenica che viene utilizzata nell’epilessia. Oggi, la dieta chetogenica è l’unico trattamento conosciuto per la sindrome da deficienza del Glut 1.

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Per approfondimenti:

Immunity "Lipid-Droplet Formation Drives Pathogenic Group 2 Innate Lymphoid Cells in Airway Inflammation"

Universität Bonn "Researchers suggest a special diet against asthma"

Il Messaggero "Una dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"

Ansa "Dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"

Il Giornale "Asma, una dieta con pochi carboidrati potrebbe essere di aiuto"

Di Lei "Dieta con pochi carboidrati: dimagrisci e potresti proteggerti dall’asma"

Centro Meteo Italiano "Dieta chetogenica, può avere effetti benefici nelle persone che soffrono di asma"

Di Lei "Dieta chetogenica: a chi fa bene"

LEGGI ANCHE: Al via con il digiuno terapeutico: previene le malattie e rallenta l'invecchiamento

West Virginia University: l'Asma dipende dall'alimentazione ricca di zuccheri

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Coronavirus, chi rischia di più? Scatta l’allarme per i diabetici. Il 43,9% dei soggetti deceduti avevano il diabete. Il report del 20 marzo, dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sui pazienti deceduti in Italia, conferma la probabilità di maggiore mortalità in presenza di diabete. Mentre, il 48,6% presentava 3 o più patologie croniche. Secondo il Current Diabetes Review «il diabete di tipo 2 può «aumentare l’incidenza delle malattie infettive e delle comorbilità correlate». E anche se questi non hanno maggiore probabilità di essere contagiati, rischiano sicuramente più degli altri di sviluppare gravi complicanze, una volta contratto il virus. È la conclusione di un équipe di ricercatori dell’Università di Padova. La ricerca, pubblicata sul Journal of Endocrinological Investigation, dimostra come i pazienti diabetici, soggetti a un aggravamento del quadro clinico in presenza di qualsiasi malattia acuta, nel caso di infezione da SARS-CoV2 hanno un rischio di prognosi peggiore della patologia, rispetto a quella degli altri soggetti infetti non diabetici.

I soggetti più a rischio sono «le persone anziane e le persone con condizioni mediche preesistenti, come ipertensione, malattie cardiache, malattie polmonari, cancro o diabete» rende noto l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). A conferma della teoria, una ricerca cinese, pubblicata sulla rivista scientifica Diabetes/Metabolism Research and Reviews, condotta nella Huazhong University of Scienze di Wuhan, sui pazienti con diabete di tipo 1 o di tipo 2 positivi al Covid-19. Lo studio ha registrato valori più elevati di alcuni indici coagulativi e di marcatori infiammatori nei diabetici con polmonite virale in atto, sottolineando come le eccessive risposte di ipercoagulabilità e di flogosi interstiziale a livello degli alveoli polmonari, legati ad una cattiva regolazione del metabolismo del glucosio, aggravassero di fatto il decorso della polmonite da Coronavirus, favorendo lo sviluppo di complicanze multiorgano, coinvolgenti il cuore, il fegato, i reni, l'apparato vascolare e neurologico. L’indagine dimostra che questi soggetti presentano un’infiammazione più acuta degli altri.

Diabete e obeità: maggiore aggressività del virus

L’interconnessione tra Covid-19 e diabete è dovuto all’enzima attraverso cui il virus entra nelle cellule delle vie respiratorie è lo stesso espresso nelle cellule del pancreas e del fegato, e il paziente portatore di entrambe le malattie presenta indici coagulativi, marcatori infiammatori e proteina C reattiva con più alti livelli nel sangue rispetto ai soggetti positivi al Coronavirus, ma senza diabete. Inoltre, le “abituali” complicanze causate dal diabete come neuropatie, retinopatie, arteriopatie e nefropatie, oltre a una maggiore predisposizione a contrarre patologie batteriche e virali durante la infezione Covid 19 si riacutizzano, peggiorando la già critica situazione clinica, esponendo così, il soggetto diabetico, a un elevato rischio di complicanze dei suoi organi vitali. Lo studio dimostra che non solo le persone con diabete, ma tutti i soggetti con valori alterati della glicemia sviluppano una serie di complicanze non trascurabili. Dei 20 pazienti positivi al virus e ricoverati in terapia intensiva, 15 avevano problemi di diabete o di obesità. Anche quest’ultima patologia predispone un’aggressività più alta dell’infezione SARS-CoV2 che attacca con maggiore facilità i soggetti con un sistema immunitario più debole.

Noto è infatti, soprattutto tra le persone in sovrappeso, le difficoltà respiratorie e, sappiamo bene che, il coronavirus, aggredisce prevalentemente l’apparato respiratorio, e quindi, i polmoni. Proprio per questo, per tutte le persone affette da queste patologie o con problemi di glicemia, è importante la prudenza seguendo minuziosamente tutte le misure di prevenzione raccomandate dal Ministero della Salute, oltre a quelle igieniche e al distanziamento sociale, al fine di evitare il contagio. Il rischio poi, diventa più elevato se, a queste (e altre) patologie si aggiunge un altro fattore: l’età. Per queste persone, la sovrapposizione dell’infezione virale a un’altra malattia potrebbe essere fatale. Tra le altre patologie che rendono un soggetto maggiormente esposto e vulnerabile ricordiamo: cancro, malattie cardiovascolari, ipertensione, asma, cardiopatia, insufficienza renale e neuropatia. Secondo uno studio pubblicato sul Current Diabetes Review, la disfunzione della risposta immunitaria rende i diabetici più sensibili alle infezioni. L’iperglicemia nei diabetici potrebbe essere una causa di questa disfunzione che si manifesta in un mancato controllo della diffusione di agenti patogeni invasori, rendendo i soggetti affetti da diabete più sensibili alle infezioni. Riportando, in alcuni casi, anche danni al sistema circolatorio e, di conseguenza, ciò il rallentamento dell’irrorazione sanguigna.

Lo zucchero indebolisce il sistema immunitario

Il sistema immunitario svolge un ruolo importante nei soggetti con diabete che sviluppano gravi sintomi di coronavirus. «Alti livelli di zucchero nel sangue per un lungo periodo di tempo possono effettivamente deprimere il sistema immunitario, quindi non risponde più rapidamente al virus quando entra nel corpo e ha più tempo per replicarsi, scendere ai polmoni e causare i problemi legati alla respirazione che possono portare alla necessità di cure ospedaliere» spiega Amir Khan, affermato specialista ed esperto nella patologia del diabete di tipo 1 e 2. L’esperto fa poi riferimento ai dati diffusi dalla Cina che mostrano, nei primi 44.672 casi positivi, le persone che avevano malattie cardiovascolari, precedenti infarti o ictus, avevano un tasso di mortalità più alto  (10,5%). «In Cina, dove la maggior parte dei casi si è verificata finora, le persone con diabete avevano tassi molto più alti di complicanze gravi e morte rispetto alle persone senza diabete» spiega l’American Diabetes AssociationTuttavia, a peggiorare il quadro clinico, come evidenziato nel report dell’ISS, contribuiscono anche alcuni farmaci ad uso comune. Gli Ace inibitori, molecole con effetti antipertensivi che agiscono sulla funzionalità cardiaca ostacolando l'insorgenza della insufficienza renale, influenzano negativamente l’evoluzione dell’infezione.

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Per approfondimenti:

 Libero "Coronavirus, Melania Rizzoli: Perché chi soffre di diabete rischia più degli altri malati"

Giornale di Sicilia "Coronavirus: il diabete è un fattore di rischio"

Ok Benessere e Salute "Coronavirus: chi ha il diabete rischia di più di contrarre l’infezione?"

Blitz Quotidiano "Coronavirus, diabete fattore di rischio? Lo dice uno studio cinese"

Centro Meteo Italiano "Coronavirus, i sintomi più gravi potrebbero colpire chi soffre di diabete | Le parole dell’esperto"

Focus Tech "Covid-19 potrebbe causare sintomi peggiori sulle persone con diabete"

Tuo Benessere "CORONAVIRUS E DIABETE: C’È CORRELAZIONE?"

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Tutta l’amara verità sullo zucchero: dai rischi per la salute alla dipendenza

Il miracolo della vitamina D: aumenta il sistema immunitario da 3 a 5

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