×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 905

Visualizza articoli per tag: sito

Attenzione a quegli alimenti che contengono troppo zucchero aggiunto: un consumo frequente di dolci e bevande zuccherate può triplicare il rischio di malattie cardiache. Sono ormai numerosi gli studi che evidenziano le insidie che si possono nascondere dietro a un eccessivo consumo di zucchero, dopo aver scoperto che lo zucchero può avere effetti sulla linea e sul cervello, un recente studio ne evidenzia la pericolosità anche per il cuore. La nuova correlazione è stata individuata nel corso di un'indagine condotto presso il Centers for disease control and prevention di Atlanta (Georgia). I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Jama Internal Medicine (Added Sugar Intake and Cardiovascular Diseases Mortality Among US Adults - doi: 10.1001 / jamainternmed 2013 13563 - Febbraio 2014).

Secondo quanto scoperto dai ricercatori, un apporto calorico giornaliero costituito per il 25 per cento da zucchero triplicherebbe, rispetto a quelle persone il cui apporto calorico da zucchero costituisce solo il 10 per cento, il rischio di problemi cardiovascolari. Il maggior rischio è legato in particolar modo a quegli alimenti che hanno dello zucchero aggiunto, come bibite e dolci, ma non quello contenuto in frutta fresca e verdure.
Gli esperti spiegano che già con una bevanda zuccherata al giorno si corre il rischio di superare il quantitativo di zucchero raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità. L'Oms ha fissato al 10 per cento la percentuale di calorie giornalieri provenienti da zucchero e, anche se le aziende alimentari non sono d'accordo, sta pensando di aggiornare le linee-guida sull'apporto di zuccheri. Considerando l'impatto che gli zuccheri hanno sull'obesità, si sta valutando di dimezzare il consumo giornaliero raccomandato di zuccheri aggiunti negli alimenti passando dall'attuale quantitativo, corrispondente a dieci cucchiaini, a cinque cucchiaini al giorno.
Bere ogni tanto una bevanda zuccherata o mangiare uno snack dolce non comporta di certo particolari problemi per la salute, se però questi alimenti sono presenti tutti i giorni nella nostra dieta i rischi sono notevoli. In una latina di aranciata, gassosa, coca-cola ecc. sono contenuti circa 35 grammi di zucchero, corrispondenti a 6 cucchiaini, uno snack dolce come potrebbe essere il Mars contiene invece l'equivalente di 5 cucchiaini. Secondo gli esperti della Società italiana di diabetologia (Sid), il limite massimo del consumo di zucchero è di 8 cucchiaini al giorno (circa 50 grammi per gli uomini, e 40 per le donne), se in una sola lattina di una qualsiasi bevanda zuccherata sono contenuti già 6 cucchiaini, è facile capire che il limite giornaliero può essere superato facilmente. Va bene quindi il consumo occasionale di certi alimenti ma attenti a non esagerare.

FONTE: http://www.universonline.it/_sessoesalute/salute/14_02_07_a.php

Pubblicato in Informazione Salute
Giovedì, 24 Aprile 2014 00:00

Melatonina nella malattie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari sono oggi la principale causa di morte in Spagna come in molti altri paesi sviluppati. Vi è una forte evidenza scientifica sul ruolo benefico della melatonina sulla salute cardiovascolare e dei processi fisiopatologici, avendo dimostrato le funzioni di anti-infiammatori, antiossidanti, anti-ipertensivi e antilipidemics. I pazienti con malattia coronarica hanno una bassa produzione di melatonina e la loro concentrazione nel sangue è correlata alla gravità della malattia, cioè c'è una maggiore riduzione della produzione di melatonina in pazienti con aumentato rischio di infarto miocardico o morte improvvisa.

In questa revisione, il Dr. Alberto Dominguez-Rodriguez, e Pedro Gonzalez, Abreu ha fatto una presentazione sugli effetti della melatonina osservati in studi diversi, molti dei qualidel loro gruppo di ricerca presso l'Ospedale Universitario di La Cuesta e l'Università di la Laguna a Tenerife nelle Canarie. Essi concludono che la melatonina ha molti effetti benefici sulla funzione cardiovascolare in relazione a quei problemi legati al diabete, ipertensione e dislipidemia ischemia-riperfusione, e praticamente non ha alcuna tossicità, giustificando la continuazione degli studi clinici di eseguire, soprattutto in visti i dati positivi ricavati dagli studi condotti fino ad oggi .

Fonte: Melatonina.it

Pubblicato in Informazione Salute
Giovedì, 24 Aprile 2014 00:00

Abbronzati e in salute con la vitamina D

La vitamina D sembra avere numerosi effetti benefici per il nostro organismo. Un vero e proprio riscatto per questa vitamina che, fino a poco tempo fa, era ritenuta addirittura tossica se assunta in eccesso. Oggi, invece, la vitamina D è stata rivalutata e si conoscono gli effetti positivi per la salute ed il benessere. Tra tutti, quello più conosciuto, è la capacità di stimolare la melanina, incrementare l’abbronzatura e regalare una pelle luminosa.

La vitamina D è legata al sole: il 90%, infatti, viene prodotto grazie all’azione dei raggi solari e solo una piccola percentuale proviene invece dall’alimentazione. Pesce, uova, verdure a foglia verde sono gli alimenti principali in cui trovare questo concentrato di benessere. Se è conosciuto il suo effetto benefico per l’abbronzatura, solo ultimamente si è scoperto che la vitamina D è in grado di prevenire l’osteoporosi e le fratture, favorendo la densità ossea, aumentare la forza muscolare, combattere il dolore muscolare e migliorare la capacitò di equilibrio. La capacità immunostimolante ed antinfiammatoria della vitamina consentirebbe di diminuire lo stress muscolare e favorire un rapido recupero. Una sua carenza, invece, potrebbe essere tra le cause di eventuali infortuni e lesioni. Uno studio austriaco pubblicato su Hormone Metabolic Research, (43: 223-225, 2011) ha evidenziato una forte correlazione tra il quantitativo di vitamina D presente nell’organismo e la produzione di testosterone, l’ormone maschile responsabile, tra le altre cose, dell’incremento di massa magra. Tutti benefici che risultano utili sopratutto per chi pratica molta attività fisica.Inoltre, la combinazione divitamina D e calcio sembrerebbe facilitare lo smaltimento dei grassi di desposito, favorendo così il dimagrimento. Questa vitamina è responsabile anche della regolazione del colesterolo e del metabolismo degli zuccheri.

Si raccomanda, quindi, di prendere sole e passare tempo all’aria aperta per fare il pieno di vitamina D che sarà immagazzinata dall’organismo anche durante i mesi invernali. I vegetariani, che spesso soffrono di carenze di micronutrienti, o le persone che praticano molte attività fisica, invece, potrebbero assumere, dietro consiglio medico, un integratore.

Fonte: IlFitness.com

LEGGI ANCHE:  Sistema immunitario debole e malattie associate alla carenza di Vitamina D: ecco i principali segnali

Puoi trovare ed ordinare Vitalife D chiamando lo 06 62286090 o cliccando qui

Pubblicato in Informazione Salute
Giovedì, 24 Aprile 2014 00:00

L'indurimento delle arterie predice l'Alzheimer

Le arterie indurite potrebbero essere il campanello d'allarme per l'insorgenza della malattia di Alzheimer negli anziani senza sintomi di demenza. Ad affermarlo è una ricerca dell'Università di Pittsburgh pubblicata su Neurology. Secondo gli esiti dello studio, l'indurimento delle arterie aumenterebbe le probabilità di avere placche di beta-amiloide nei vasi arteriosi cerebrali, il tipico segno che preannuncia l'arrivo dell'Alzheimer.
Il coordinatore della ricerca Timothy Hughes, che lavora presso l'Institute for Clinical Research Education dell'ateneo americano, spiega: “nella patogenesi dell’Alzheimer la deposizione di placche di beta-amiloide è una delle caratteristiche neuropatologiche più precoci, potendo comparire anche una o più decadi prima della diagnosi. Identificare quindi i principali fattori di rischio che favoriscono la formazione di questi depositi può fornire preziose fornire preziose informazioni sulla suscettibilità dei vari individui, specie i più anziani, a sviluppare l'Alzheimer, consentendo di sviluppare strategie preventive”.

Tuttavia, la presenza delle placche aumenta anche il rischio di ipertensione, associata a sua volta a una maggiore rigidità arteriosa, verificata attraverso il metodo caviglia-braccio, noto anche come Ankle brachial index (Abi). “L’Abi misura in modo simultaneo la pressione sistolica a braccia e caviglie, e nei soggetti sani la seconda è maggiore della prima”, spiega il ricercatore. Gli scienziati hanno studiato il rapporto fra rigidità arteriosa e placche amiloidi nei vasi cerebrali di 91 soggetti con età media di 87 anni privi di segni sintomatici collegati alla demenza. Ne è scaturito che le persone con le arterie rigide avevano anche maggiori quantità di placche amiloidee. Per ogni aumento dell’Abi di una unità raddoppiava il rischio di placche amiloidee nelle arterie cerebrali, combinate a una iperintensità della sostanza bianca. “Queste due condizioni possono essere un doppio colpo che contribuisce al futuro sviluppo di demenza nei soggetti asintomatici”, conclude Hughes.

A soffrire di demenza in Italia sono quasi otto milioni di persone, con un'incidenza ovviamente più alta fra gli over 85, sebbene siano in aumento i casi fra i più giovani. La buona notizia è che, oltre a sperimentare nuove modalità per la diagnosi precoce, i ricercatori stanno anche sperimentando nuovi possibili trattamenti preventivi. Un team della Saarland University di Homburg, in Germania, ha studiato in tal senso l'efficacia degli steroli vegetali: “gli steroli vegetali sono presenti in varie combinazioni in noci, semi e oli vegetali. Gli steroli vegetali sono gli equivalenti del colesterolo animale e intervengono nei principali processi metabolici in cui è coinvolto il colesterolo. Siccome abbassano i livelli di colesterolo, essi sono ampiamente utilizzati nel settore alimentare e come integratori alimentari”, spiega Marcus Grimm, Capo del Laboratorio di Neurologia Sperimentale presso la Saarland University. Nello specifico, i ricercatori hanno analizzato l'efficacia di un particolare tipo di sterolo denominato stigmasterolo, che parrebbe in grado di inibire la formazione delle proteine coinvolte nello sviluppo del morbo di Alzheimer, ma anche di ridurre l'attività enzimatica e alterare la struttura delle membrane cellulari. Questo complesso di azioni sarebbe alla base della capacità dello stigmasterolo di diminuire in maniera significativa la produzione delle beta-amiloidi.

Fonte: Italia Salute

Pubblicato in Informazione Salute
Giovedì, 24 Aprile 2014 00:00

Il colesterolo: rischio di demenza e Alzheimer

L'accumulo di LDL aumenta l'incidenza delle malattie. Un colesterolo sotto controllo non fa bene soltanto al cuore, ma anche al cervello. L'accumulo del colesterolo cattivo, l'LDL, aumenta infatti il rischio di sviluppare una forma di demenza, secondo quanto emerso da una ricerca pubblicata sull'International Journal of Cardiology. Stando ai risultati dello studio della National Taipei Medical University e della National Yang-Ming University di Taiwan, le statine riuscirebbero a ridurre del 25 per cento il rischio di sviluppare la demenza senile, il che presuppone un effetto negativo prodotto dal colesterolo. I ricercatori asiatici hanno scoperto che un uso regolare dei farmaci riduce del 22 per cento il rischio rispetto a quelle persone che non assumono le statine, con una percentuale ancora più favorevole per le donne, il 24 per cento.

Del resto, il legame fra colesterolo e malattie neurodegenerative era già stato evidenziato da una da una ricerca dell'Università della California, che ha dimostrato il rapporto inversamente proporzionale fra il livello elevato di colesterolo HDL (quello “buono”), basso livello di LDL e rischio di insorgenza del morbo quantificato in base ai depositi di placca amiloide nel cervello. Il dott. Bruce Reed, principale autore dello studio, spiega: “il nostro studio mostra che entrambi i livelli più elevati di colesterolo HDL (o buono) e più bassi livelli di colesterolo LDL (cattivo) nel sangue sono associati a più bassi livelli di depositi di placca amiloide nel cervello. Modelli insani di colesterolo potrebbero essere la causa diretta di più alti livelli di amiloide, noti per contribuire alla malattia di Alzheimer, nello stesso modo in cui tali modelli promuovono le malattie cardiache”, ha aggiunto Reed. I ricercatori hanno pubblicato lo studio sulla versione online di JAMA Neurology. Sono stati coinvolti 74 soggetti di entrambi i sessi con età media di 70 anni che partecipavano a una serie di gruppi di supporto o erano in cura presso l'Alzheimer Disease Center all'interno dell'ateneo californiano. Dei 74 pazienti, 3 erano affetti da demenza lieve, 33 erano sani a livello cognitivo e 38 presentavano un declino cognitivo lieve. I medici hanno misurato i livelli di amiloide dei partecipanti attraverso un tracciante che si lega alle placche e scansioni cerebrali per immagini PET, scoprendo i termini dell'associazione fra livelli di colesterolo e deposito di placche amiloidi.

“Questo studio fornisce un buon motivo per continuare il trattamento del colesterolo nelle persone che stanno sviluppando perdita di memoria, a prescindere dalle preoccupazioni per quanto riguarda la loro salute cardiovascolare. E suggerisce anche un metodo per abbassare i livelli di amiloide nelle persone di mezza età, quando tale accumulo è appena agli inizi. Se la modifica nei livelli di colesterolo nel cervello durante i primi anni di vita si dimostra efficace nel ridurre i depositi di amiloide più avanti nella vita, potremmo potenzialmente creare una differenza significativa nel ridurre la prevalenza dell’Alzheimer, che è l’obiettivo di una enorme quantità di sforzi nella ricerca e lo sviluppo di farmaci”, ha affermato il dott. Reed.

Fonte: Italia Salute

Pubblicato in Informazione Salute
Venerdì, 25 Aprile 2014 00:00

Omega 3 e demenze

Gli omega 3 ritardano l'atrofia cerebrale

Le persone con alti livelli di omega-3 provenienti da una dieta a base di pesce hanno maggiori volumi cerebrali in età avanzata. In altri termini, l’apporto di acidi grassi polinsaturi rallenta di uno o due anni la perdita di massa cerebrale dell’anziano. «L'invecchiamento aumenta il rischio di demenza e di compromissione cognitiva, e sulla base dei dati dello studio Framingham una donna nordamericana di mezza età ha il 20 per cento di probabilità di sviluppare una demenza nell’arco della vita futura» esordisce James Pottala, internista alla Sanford School of Medicine dell’Università del South Dakota a Sioux Falls, coautore dello studio. E nella demenza di Alzheimer l’atrofia cerebrale è frequente, come quella dell’ippocampo, implicato nei processi mnemonici. «Gli omega-3 da fonti marine, tuttavia, potrebbero avere un ruolo importante nel mantenimento della struttura e della funzione cerebrale con l'avanzare dell'età» riprende il ricercatore, sottolineando che il 30-40% degli acidi grassi della materia grigia corticale è fatto da acido docosaesaenoico (Dha), che raggiunge elevate concentrazioni specie nelle membrane sinaptiche, mentre il Dha forma solo il 4% della materia bianca. Da qui è nata l’ipotesi di una correlazione tra omega-3 marini e volume cerebrale, e per verificarla Pottala e colleghi hanno misurato i gli acidi grassi polinsaturi nei globuli rossi di 1.111 partecipanti al Women’s Health Initiative Memory Study, eseguendo una risonanza magnetica cerebrale a tutte le donne otto anni più tardi, quando avevano una media di 78 anni. I risultati?

Chi aveva livelli più alti di omega-3 aveva anche i più alti volumi cerebrali e ippocampali otto anni dopo, equivalenti a uno o due anni di ritardo dell’atrofia cerebrale. «Lo studio, come diverse ricerche precedenti, suggerisce che elevati livelli tessutali di omega-3, ottenibili con adeguate modifiche dietetiche, siano in grado di ritardare l’atrofia cerebrale, e, forse, anche la demenza» conclude Pottala.

Fonte : AlzAlt

Pubblicato in Informazione Salute
Giovedì, 24 Aprile 2014 00:00

La Melatonina Previene il Diabete e l'Obesità

Il sonno è strettamente legato al peso forma. Non è la prima volta che uno studio mette in relazione i ritmi circadiani, ovvero quella sorta di orologio biologico che abbiamo dentro di noi e che ci permette di alternare con regolarità la veglia al sonno, e l’obesità. Sembrerebbe, infatti, che dormire male possa influenzare i chili di troppo. Gli studiosi dell’Università di Granada sono giunti però a conclusione che l’aumento di peso dipenda dalle quantità di un ormone, la melatonina. La melatonina, secondo gli esperti, previene alcune malattie come il diabete e l’obesità. Per dimostrare questa tesi, c’è stato un esperimento su topi diabetici e in sovrappeso. È emerso che la somministrazione di quest’ormone ha permesso la riduzione di alcuni parametri, come il colesterolo nel sangue o gli zuccheri. Ovviamente questa capacità riduttiva permette di allontanare il rischio diabete o comunque l’insorgere di malattie cardiocircolatorie.

Ora gli esperti devono verificare questa proprietà anche sull’uomo e chissà che non si possa sviluppare una terapia per tutti quei soggetti, potenzialmente a rischio. Questo non è stato l’unico studio che ha verificato quanto il ritmo sonno-veglia influenzi la salute del nostro corpo. Plamen Penev dell’Università di Chicago, in linea con la ricerca spagnola, ha verificato che dormire poco favorisce alcune patologie come il diabete, perché non riposare riduce la sensibilità al glucosio e, secondo alcuni esperti dell’Université Laval di Montreal, il recettore della melatonina – se non funziona correttamente – aumenta il rischio diabete del 20 percento. Per essere sani e magri è sufficiente dormire? Fosse vero, avremmo tutti un fisico da modelli. Ovviamente, non è sufficiente, ma sicuramente è un tassello importante all’interno di un quadro più ampio. Durante il sonno bruciamo calorie e il riposo ci permette di recuperare le forze: è molto importante quindi proteggere la nostra quiete notturna, conducendo nel corso della giornata uno stile di vita equilibrato e seguendo una dieta equilibrata. Evitate prodotti eccitanti la sera, soprattutto se avete la sindrome da “Principessa sul pisello”.

Fonte: Melatonina.it

Pubblicato in Informazione Salute

Tra gli adulti anziani residenti in comunità, un riposo notturno di breve durata e di scarsa qualità si associa a una maggiore deposizione di beta amiloide, un segno caratteristico della malattia di Alzheimer (AD). Sono queste, in sintesi, le interessanti conclusioni di uno studio svolto alla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health e pubblicato su Jama Neurology, «Numerosi studi hanno collegato il sonno disturbato al deterioramento cognitivo che può verificarsi negli anziani, tanto che i malati di AD passano più tempo a letto svegli e hanno un sonno più frammentato rispetto ai coetanei sani» dice Adam Spira ricercatore al Dipartimento di salute mentale della Bloomberg e primo firmatario dell’articolo.

Queste osservazioni sono state confermate anche di recente da uno studio che associa la scarsa qualità del sonno a una minore performance cognitiva negli anziani residenti in comunità. «Tuttavia, rimane ancora da chiarire se la scarsità del riposo notturno possa contribuire ai cambiamenti neuropatologici sottostanti al declino cognitivo che si osserva, per esempio, nell’AD» continua Spira, ricordando che le placche di beta amiloide sono uno dei tratti distintivi dell’Alzheimer, e che le sue fluttuazioni nei livelli cerebrospinali aumentano con la veglia e calano con il riposo. «Ciò detto, la nostra ipotesi era che il sonno frammentato, di breve durata e di scarsa qualità potesse legarsi a una maggiore deposizione cerebrale di beta amiloide» sottolinea il ricercatore, che assieme ai colleghi ha usato i dati dei residenti in comunità partecipanti al Baltimora Longitudinal Study of Aging (Blsa), confrontando le caratteristiche del loro riposo con i depositi di ?ß misurati con la tomografia cerebrale a emissione di positroni (Pet). E i risultati gli danno ragione: un sonno breve e disturbato si lega in modo significativo a un maggiore accumulo di ?ß. «Alla luce di questi risultati servono ulteriori studi per capire se l'ottimizzazione del sonno può prevenire o rallentare la progressione dell’AD» conclude Spira

FONTE: http://www.alzalt.it/news/page/sonno-e-alzheimer

Pubblicato in Informazione Salute

L’assunzione di cibi ricchi di omega 3, contenuti in larga parte nel pesce azzurro, può contribuire a dare nuova energia all’organismo affaticato. Nello specifico, i ricercatori della National Cancer Institute degli USA, hanno osservato che delle 633 donne che avevano avuto e superato un cancro al seno, chi assumeva dosi giornaliere di omega 3 riusciva ad affrontare meglio la stanchezza tipica della malattia, soprattutto a causa delle pesanti terapie subite.

Così, i dati raccolti e pubblicati sul Journal of Clinical Oncology mettono in luce che il 42% delle pazienti esaminate, accusavano un forte senso di spossatezza anche a distanza di 3 anni dalla diagnosi di tumore. A questo proposito, la dottoressa Rachel Ballard Barbash, coordinatrice dello studio ha spiegato che per combattere la stanchezza che può colpire le pazienti in cura è necessario che queste “Consumino pesce almeno un paio di volte la settimana.”

Inoltre lei aggiunge che siano “Da preferire i grassi omega 3 agli omega 6, contenuti in margarinasnack preconfezionati, cibi da fast food e nella maggior parte degli olii vegetali.”Gli alimenti, quindi, consigliati sono quindi quindi sgombri, merluzzi e tonno e altri ancora più grassi come il salmone. In alcuni casi, suggerisce la dottoressa si può considerare anche la possibilità d’integrare nella propria dieta pillole di olio di pesce.


Fonte: Pianeta Donna

Pubblicato in Informazione Salute

Gli acidi grassi essenziali omega 3, contenuti in alcuni tipi di pesce e vegetali, svolgono un ruolo primario nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Lo conferma un nuovo grande studio che tuttavia non ritiene l’olio di pesce così indispensabile, al contrario del DHA e gli EPA Non solo pesce, ma anche vegetali come i semi di lino e l'olio che se ne ricava è ricco di acidi grassi essenziali omega-3 Si è fatto un gran parlare degli acidi grassi essenziali omega 3 e del loro ruolo nella salute di cuore e arterie. E sono numerosi gli studi che hanno cercato di stabilire se e come l’assumere integratori di olio di pesce, o il mangiare pesce azzurro o ancora alimenti vegetali ricchi di queste sostanze, potesse essere un modo per prevenire le malattie cardiache. I risultati di queste ricerche non sempre sono stati coerenti, tuttavia, una verità di fondo sull’utilità degli acidi grassi è sempre emersa.

Oggi, i ricercatori del Linus Pauling Institute hanno pubblicato un nuovo largo studio revisionale sulle pagine del Journal of Lipid Research, in cui si suggerisce che gli acidi grassi essenziali omega 3 sono sì utili nella prevenzione dei problemi all’apparato cardiovascolare. «Dopo decenni di studi sugli acidi grassi omega-3, è chiaro che possiedono un valore nella prevenzione primaria delle malattie cardiache», commenta infatti nella nota LPI il principale autore dello studio dottor Donald Jump, professore all’OSU College of Public Health and Human Sciences. Forse non tutti lo sanno, ma sono molti gli alimenti ricchi di queste utili sostanze, e non solo il pesce come comunemente si crede: oltre dunque a salmone e pesce azzurro, gli omega 3 si trovano anche nei semi di lino (e il relativo olio), le noci (un po’ meno in nocciole e mandorle), nei cereali come l’avena o il germe di grano. Un po’ ne troviamo anche nelle verdure a foglia verde e, infine, buone quantità le ritroviamo nella soia e i suoi derivati, e anche nelle alghe.

La fonte invece più controversa di omega 3 è da sempre l’olio di pesce, utilizzato come integratore, che è stato oggetto di numerosi studi con conclusioni spesso contrastanti. «E’ meno chiaro quanto impatto abbiano gli oli di pesce nella prevenzione di ulteriori eventi cardiovascolari in persone che già presentino malattie cardiache – spiega Jump – Gli studi condotti da alcuni decenni hanno mostrato un valore anche per questa popolazione di pazienti, ma gli studi più recenti sono meno conclusivi . Crediamo che una spiegazione sia da ricondursi all’efficacia degli attuali validissimi trattamenti offerti». I primi studi sull’efficacia degli acidi grassi essenziali omega 3 furono condotti nei primi anni Settanta dopo che si era scoperto che tra la popolazione Inuit della Groenlandia vi erano i più bassi tassi di malattie cardiovascolari. Gli Inuit seguivano una dieta prevalentemente a base di pesce.

Da qui in poi, sono state molte le ricerche a essersi concentrate su questi elementi. I risultati hanno spesso mostrato che, in effetti, la dieta gioca un ruolo di primo piano nella prevenzione delle malattie cardiache. Tuttavia, secondo Jump e colleghi, lo stesso ruolo oggi lo giocano i farmaci utilizzati per ridurre il colesterolo e fluidificare il sangue, oppure quelli antinfiammatori – senza nulla togliere agli effetti positivi sulla quasi totalità dei rischi cardiovascolari offerti dagli omega 3. «Ad alcuni dei primi studi condotti sull’olio di pesce è stata data la priorità sui numerosi farmaci efficaci, che sono ampiamente disponibili e ampiamente utilizzati – sottolinea Jump – E la gente spesso dimentica che le sostanze nutrienti, come gli oli di pesce, sono meno potenti dei farmaci da prescrizione, e spesso hanno il loro miglior valore quando siano utilizzati per lunghi periodi. Quando così tante persone in questi studi stanno assumendo un regime di farmaci per affrontare gli stessi problemi su cui anche l’olio di pesce può incidere, è facile capire perché ogni vantaggio dagli oli di pesce sia più difficile da rilevare».

Chiusa la diatriba sull’olio di pesce, i ricercatori del Linus restituiscono tutto il loro valore agli acidi grassi omega 3 che non sarebbero utili solo nella prevenzione delle malattie cardiache, ma anche nel migliorare l’acuità visiva, la funzione cognitiva, e nel contrastare la demenza. Allo stesso modo riducono l’infiammazione generale dell’organismo (causa di numerose malattie) e, forse, anche alcuni tipi di cancro, come quello del colon. Uno degli acidi grassi più attivo e utile pare sia il DHA, che è ritenuto uno dei più indicati per la salute umana. «Crediamo ancora in concreto all’evidenza che il contenuto di EPA e DHA nei tessuti del cuore e nel sangue sia importante per la salute e per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Per soddisfare le attuali raccomandazioni per la prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari, si consiglia alle persone di consumare 200-300 milligrammi di combinato EPA e DHA al giorno», conclude Jump.

Fonte: La Stampa

Pubblicato in Informazione Salute