Gli scienziati sono stati sorpresi dai notevoli benefici per la salute connessi con il resveratrolo. Questo nutriente unico trovato nella buccia dell’uva ha un potente effetto sull’espressione genetica dei mitocondri all’interno di ogni cellula. Il resveratrolo ha dimostrato di favorire positivamente la funzione mitocondriale, aiutare nella prevenzione del cancro, malattie cardiache e altre condizioni metaboliche. I ricercatori hanno indagato per anni su quello che è stato tradizionalmente chiamato il paradosso francese e si riferisce a quanti nativi francesi sono in grado di fumare sigarette e bere alcol, mantenendo una buona salute. I ricercatori hanno osservato che queste persone bevono regolarmente vini fermentati e hanno trovato che il composto attivo nel vino rosso, chiamato resveratrolo, ha straordinari benefici per la salute. Il resveratrolo è un unico antiossidante polifenolico che si trova nelle bucce e semi di uva e in alcune bacche. Esso svolge un ruolo fondamentale nel sistema di difesa naturale della pianta contro gli infortuni, infezioni e malattie.
Il resveratrolo ha dimostrato di avere un’influenza incredibile sulla espressione genica,con profondi effetti anti-invecchiamento. Esso imita gli effetti positivi della restrizione calorica ed estende la durata della vita. La maggior parte delle persone sono intimidite dalla restrizione calorica estrema e preferiscono ottenere gli stessi benefici anti-invecchiamento da una dieta ricca di antiossidanti e integratori come il resveratrolo. Un studio della Harvard del 2003 ha scoperto che il resveratrolo ha potenziato la durata della vita delle cellule di lievito del 70 per cento. Hanno poi ottenuto risultati simili con test sui nematodi e moscerini della frutta. La ricerca ha dimostrato che il resveratrolo è il primo composto riconosciuto, che possiede benefici anti-invecchiamento. Scienziati italiani nel 2006 hanno dimostrato che il resveratrolo potrebbe estendere la vita di oltre il 50 per cento in più specie avanzate di pesci.
Il resveratrolo ha dimostrato di attivare un gruppo di proteine mitocondriali della famiglia sirtuine in particolare (SIRT1). Diversi studi hanno dimostrato che l’attivazione di sirtuine determina un aumento del livello di mitocondri nel corpo. Questo gioca un ruolo importante nella produzione di energia, grassi e zuccheri e nella stabilità delo zucchero nel sangue. Con il miglioramento della glicemia, il corpo è maggiormente in grado di regolare l’insulina e altri ormoni che riducono l’infiammazione e migliorano la combustione dei grassi. I mitocondri controllano la funzione metabolica delle cellula. La capacità del resveratrolo di ridurre lo stress infiammatorio sui mitocondri e regolare il numeri mitocondriale, ha un impatto enorme sul tutto il corpo.
Gli integratori di resveratrolo dovrebbero essere assunti in dosi da 20 a 100 mg, per ottenere gli stessi benefici osservati nella maggior parte di questi studi. Il dosaggio di 20 mg al giorno è appropriato per adulti sani, mentre gli individui con cancro avanzato dovrebbero ottenere dosaggi nel range di 100-200 mg. Un grammo di vino rosso in media contiene circa 90 microgrammi di resveratrolo. Questo è 220 volte inferiore alla dose minima (20 mg) di supplementazione di resveratrolo: ci vorrebbero 41 bicchieri di vino rosso per ottenere il dosaggio supplementare minimo di resveratrolo utilizzato in questi studi.
Fonte: Medi Magazine
Verso la metà del 19° secolo il medico Britannico Alfred Garrod scopre che l’acido urico è la causa della gotta, una malattia caratterizzata da attacchi di artrite acuta. L’acido urico si accumula nel sangue e precipita sotto forma di cristalli aghiformi di urato nei tessuti molli delle articolazioni delle estremità, classicamente quella dell’alluce, causando intensa infiammazione e dolore. Fino al 17° secolo questa malattia era appannaggio quasi esclusivo delle classi più ricche e benestanti. Nobili e borghesi potevano permettersi pasti regolari e spesso copiosi. Tra le altre cose, consumavano decisamente più carne. Siccome l’acido urico è un prodotto delle proteine, per oltre 130 anni si è creduto che la gotta fosse causata da un consumo eccessivo di carne. Tuttavia, l’associazione tra carne e gotta è tuttaltro che dimostrata in modo convincente: così come il colesterolo alimentare ha pochissima influenza sulla colesterolemia e il sale alimentare ne ha poca sulla ipertensione, una dieta povera di purine ha poco effetto sull’uricemia. Una dieta vegetariana, per esempio, è in grado di abbassare i livelli di acido urico del sangue del 15% rispetto ad una dieta abituale, ma non è in grado di riportare questi livelli alla normalità. Inoltre è dimostrato che una dieta ricca di proteine è in grado di ridurre i livelli di acidi urici nel sangue in seguito ad una aumento della loro escrezione: i reni automaticamente eliminano più acido urico quando la dieta è ricca di purine.
Quindi, è probabile che coloro che soffrono di gotta siano dei “ridotti escretori di acido urico” e che una dieta ricca di proteine non sia la causa della gotta in assoluto. Verosimilmente, quindi, il problema sta in un aumentata produzione di acidi urici a livello del fegato e una riduzione della loro eliminazione renale. Stando agli studi, certamente le bevande alcoliche fermentate hanno un sicuro e documentato effetto negativo su questa malattia. Un’altra ipotesi che si è fatta strada e quella che lega questa malattia ad un eccesso di carboidrati nella dieta. Dopo tutto, nel passato la gotta colpiva i nobili e i borghesi che non mangiavano solo più carne, ma anche più dolciumi, pane e soprattutto bevevano parecchie bevande alcoliche, in modo non dissimile da quello che oggi fa la maggioranza della popolazione del mondo occidentalizzato. Una dieta ricca di carboidrati può portare all’obesità, cui spesso è associata la gotta, e alla resistenza insulinica, che incide non poco nell’andamento di questa malattia. Secondo alcuni studi, e anche secondo la mia esperienza clinica, una dieta a basso impatto di carboidrati e ricca di proteine e fibre abbassa i livelli di acido urico, LDL, trigliceridi e insulina molto meglio di una dieta convenzionale per la gotta, basata su quantità illimitate di carboidrati e restrizione di alimenti proteici ricchi di purine. L’iperinsulinemia causata da una dieta ricca di carboidrati ridurrebbe l’escrezione di acidi urici a livello urinario.
Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi
Eurosalus si batte da anni per la valorizzazione delle uova, un'economica fonte proteica che per anni è stata a torto additata come la causa di tutte le nefandezze più terribili per la salute. In realtà non solo si scopre che non interferiscono con l'aumento del colesterolo (ne genera molto di più un pacchettino di cracker), ma per il loro ottimo contenuto di proteine bilanciano perfettamente il rapporto con i carboidrati che troppo spesso sono in eccesso, e grazie al tuorlo, apportano una buona quantità di Vitamina D3. Un articolo appena apparso sul British Medical Journal sancisce, attraverso una metaanalisi molto ben documentata che nel soggetto sano l'assunzione di un uovo al giorno non provoca alcun aumento di patologia cardiovascolare.
Inoltre evidenzia che nel soggetto gravemente diabetico l'aumento del consumo di uova porta forse ad un lieve incremento della malattia coronarica ma ad una netta riduzione dei fenomeni di emorragia cerebrale (Rong Y et al, BMJ. 2013 Jan 7;346:e8539. doi: 10.1136/bmj.e8539). Insomma, sembra che le uova stiano andando verso una assoluzione totale. Noi suggeriamo serenamente l'utilizzo di un numero anche più elevato di uova al giorno, proprio perché ci rendiamo conto che la parziale cecità del mondo accademico è quella che per anni ha posto come concessione estrema il limite di due uova alla settimana, verificando oggi la totale inesattezza di quanto indicato. Non sono convinto che ci si fermerà qui: a breve troveremo che anche tre uova al giorno non sono deleterie (facendo attività fisica, mangiando frutta e verdura in abbondanza e usando cerali integrali). Sappiamo già da oggi che i veri colpevoli delle ipercolestrolemie non sono certo le uova ma i carboidrati raffinati in eccesso e gli zuccheri aggiunti.Pronti a rimangiare quella fantastica frittata (fatta al forno) che porterà solo benessere e salute...
Fonte: Eurosalus
Ora che si avvicina la "prova bikini" la maggior parte delle persone pone un occhio di riguardo al proprio aspetto fisico. Dimagrire sì, ma il problema sembra non tanto quello di preoccuparsi dei chili di troppo, quanto di dove sono localizzati, perchè questo può compromettere non solo la silhouette, ma anche il nostro stato di salute. Il dubbio è stato sollevato da una ricerca del centro medico Kaiser Permanente di Oakland, in California, pubblicata da Neurology, rivista della società americana di neurologia, secondo cui persone di mezza età con un addome di notevoli dimensioni hanno una possibilità tre volte maggiore di andare incontro alla demenza senile, rispetto alle persone con peso e pancia nella norma (RA Whitmer et al, Neurology 2008 Mar 26 [Epub ahead of print]).
Ma l'aspetto più rilevante della scoperta è che il rischio di demenza è alto anche in quelle persone che, pur mantenendo il proprio "peso forma", accumulano tutto il grasso intorno al giro vita. Una possibile ragione è che questo tipo di tessuto adiposo, chiamato grasso viscerale, può produrre una serie di adipochine e di altri agenti ormonali come la leptina, che interferiscono sulla funzione ormonale e possono determinare infiammazione cronica del tessuto cerebrale. Le condizioni alimentari che provocano questo tipo di reazione sono le stesse che generano resistenza insulinica. Avere la pancetta quindi significa mettere a rischio la salute del nostro cervello? Secondo Leonore Launer, capo della divisione di neuroepidemiologia del National Institute of Aging, è troppo presto per arrivare a questa conclusione ed è necessario portare avanti ulteriori ricerche per osservare che ruolo gioca l'obesità sulle funzioni cerebrali delle persone che invecchiano.
Il suo parere, palesemente difensivo, è contrastante con i dati clinici, sempre più evidenti, sulla relazione tra alimentazione squilibrata, insulinoresistenza e Parkinson od Alzheimer. Come scoprire se abbiamo una pancetta a rischio demenza? Chiunque può farsi un'idea di quanto grasso in eccesso ha sulla pancia: la misurazione, conosciuta come diametro addominale sagittale (SAD), è l'altezza dell'addome quando una persona è distesa ed è considerata un buon indicatore di grasso addominale, come lo è in genere la misurazione del giro vita. Secondo gli studiosi, un giro vita maggiore di 80 cm per le donne e di un metro per gli uomini è generalmente indice di troppo grasso addominale.
La buona notizia è che questo tipo di grasso dipende dalla paura dell'organismo di non avere abbastanza da mangiare. È sufficiente quindi impostare una modalità alimentare orientata allo stimolo del metabolismo per riequilibrare pancia e salute. Dobbiamo mantenere una forte attenzione all'esercizio fisico e controllare l'alimentazione. Chi pensa di ridurre l'apporto calorico per ridurre questa pancetta va invece contro se stesso, perché la riduzione del metabolismo determina proprio la conservazione del grasso in quella sede. Le maniglie dell'amore piacciono a molte donne, si sa, ma se eliminarle significa invecchiare in salute, proviamoci subito.
Come spesso amo dire, una vita "al Curry" (che contiene Curcuma in gran percentuale) ha meno Alzheimer, meno Parkinson, meno cancri, meno diabete, umore migliore, meno malattie autoimmuni, meno allergie e meno malattie cardiache.Non è una battuta, perché emerge dalle precise indicazioni scientifiche studiate sulla Curcuma e sul suo uso alimentare. Nel 2009, solo per fare un esempio, il congresso annuale dell'American Institute of Cancer Research (in pratica il Bethesda) ha dedicato un'intera sessione del convegno all'uso antitumorale delle spezie, valorizzando in modo specifico l'azione dei curcuminoidi presenti appunto nella Curcuma come attivo farmaco naturale utile per molte forme tumorali e attivo sul metabolismo.
Già allora, grazie agli studi di Bharat Aggarwal (responsabile degli studi farmacologici antitumorali della Texas University a Houston), si era definita la forte azione antitumorale della curcuma in forme altrimenti non trattabili con la chemioterapia, come il cancro del pancreas. Oggi anche il Regno Unito sta sviluppando questo tipo di ricerca e la curcumina sta trovando, come riferito dall'articolo della BBC, un possibile impiego nel trattamento delle forme metastatiche del cancro intestinale. In genere, quando questo tipo di cancro si diffonde, è necessario l'uso di almeno tre differenti cure chemioterapiche e nonostante questo, una alta percentuale di soggetti non risponde al trattamento. Grazie alla curcuma invece, la sensibilità al farmaco aumenta ed è possibile usare farmaci a dosaggio minore con effetti finalmente verificabili ed utili. La curcuma è uno dei più importanti strumenti "di segnale" che ci siano. Induce risposte sul fattore nucleare kB (NF-kB) agendo così sul metabolismo, sulla resistenza insulinica e sulla modulazione dell'infiammazione. Non si tratta della scoperta di un nuovo farmaco antitumorale, si tratta invece della evidenza della efficacia di una forma di terapia tradizionale, la cui importanza ha vissuto lunghi anni di rimozione dalla sfera dell'ufficialità. Si aprono nuove speranze per la terapia e la prevenzione del cancro, ma soprattutto dell'equilibrio che ordina qualsiasi essere vivente e che va interpretato su una scala diversa da quella del "farmaco sintomatico".
Per noi nessuna sorpresa, ma chi si occupa di respiro probabilmente ha un balzo sulla sedia e dovrà ricredersi almeno un po', vista l'intensa contestazione degli ultimi anni. Un bellissimo lavoro pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology (Brandt EB et al, J Allergy Clin Immunol 2006 Aug;118(2):420-7) precisa una situazione che da tanti anni noi già affrontiamo con cognizione di causa, tanto da proporre comunque in ogni caso di tosse persistente, anche una analisi dei livelli di IgG verso gli alimenti (che spesso si dimostra risolutiva) oltre che ovviamente quella delle allergie respiratorie.
La sequenza del lavoro scientifico è veramente interessante: i ricercatori statunitensi hanno studiato cosa succedeva ai polmoni dei topini (sensibilizzati all'uovo) cui veniva fatto mangiare dell'uovo. Fino a 12 giorni dopo un carico alimentare di cibo contenente uovo si poteva vedere ancora la presenza di una infiammazione e di una reazione irritativa del sistema respiratorio. Polmoni, trachea, bronchi e naso erano stimolati a reagire da sostanze diffusissime come acari e polveri verso cui precedentemente non avevano mai manifestato “antipatia”. In pratica se trasportassimo l'esempio su un normale bambino italiano intollerante al latte, ci troveremmo ad avere un piccolo paziente che semplicemente perché supera il livello di soglia della sua reattività mangiando un gelato o uno yogurt si trova ad avere la tosse, l'asma e la rinite. Di solito prima che qualcuno ragioni in termini di alimentazione il bambino si è fatto mesi di antibiotici ripetuti ed ha rischiato di diventare diabetico per le tonnellate di sciroppi per la tosse che ha dovuto ingurgitare.
Il fatto che la reattività alimentare possa dare asma nell'81% dei casi è un dato già riferito da Hugh Sampson (il massimo esperto mondiale di allergia alimentare) fin dal 2002, ma il problema severo resta quello della ottusità di chi si ostina a pensare che il cibo è solo un elemento “da digerire” senza riuscire a vederne le profonde azioni sul sistema immunitario. Oggi abbiamo la conferma che per tanti anni abbiamo percorso una strada corretta. Sappiamo che la ricerca di una ipersensibilità alimentare (allergia o intolleranza alimentare che sia) diventa un passaggio necessario (e molto frequente) nella ricerca delle cause di un problema respiratorio. Ma andando oltre, anche di qualsiasi problema infiammatorio non causato direttamente da virus o batteri. E sappiamo che il medico che prima “derideva” e oggi “non ci pensa”, potrebbe essere chiamato a rispondere, scientificamente, di omissione e di negligenza. Quando il vostro medico vi dirà che tossite perché state mangiando male, non pensate che sia impazzito: probabilmente sta iniziando a riflettere più profondamente sulla globalità di funzionamento del vostro sistema immunitario.
I movimenti salutistici e vegetariani sorti alla fine dell’800 hanno dato il via ad una campagna, spesso dai toni aggressivi e terroristici, contro il consumo di carne, che ha trovato poi eco negli studi scientifici più o meno attendibili degli ultimi cinquant’anni e che in tempi più recenti è stata rafforzata dalla minaccia che gli allevamenti di bovini costituirebbero per gli equilibri ecologici del Pianeta. Non voglio per il momento addentrarmi nei risvolti ecologici o etici che implica il fatto di nutrirsi di carne. A questi dedicherò un articolo a parte. Mi interessa piuttosto affrontare l’annoso problema della presunta pericolosità di questo cibo ancestrale. La carne causa il tumore del colon o no ?
Vediamo alcuni dati:- una recente review pubblicata sulla rivista European Journal of Clinical Nutrition ha preso in esame 44 importanti studi sul legame carne-tumore del colon ed è emerso che la maggioranza di questi (ben 31) non confermano per nulla questa relazione (1).- uno studio pubblicato sulla rivista American Journal of Clinical Nutrition (2) ha confrontato varie categorie di consumatori: coloro che mangiano carne e pesce, quelli che mangiano pesce e non la carne, i vegetariani e i vegani. E’ emerso che i vegetariani e i vegani avevano un rischio maggiore (dal 39 al 49 % in più) di contrarre il tumore del colon rispetto alle altre categorie, diciamo “carnivore”.- un’ altra review pubblicata sulla rivista American Journal of Clinical Nutrition ha analizzato diversi studi che hanno preso in considerazione il legame tra il consumo di proteine e grassi animali e il rischio di tumore del colon senza trovare nessuna associazione significativa (3).Quindi, sulla base dei dati attualmente disponibili, la risposta alla nostra domanda è no, mangiare carne non aumenta il rischio di tumore al colon.
Il recente scandalo della carne di cavallo ha avuto un certo impatto sulla nostra passione per i prodotti a base di carni conservate. Per chi era già nauseato dali'idea di mangiare carne, queste disgustose rivelazioni sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso. “È sufficiente per farti diventare vegetariano," dicono. Quello che è accaduto è andato a vantaggio delle vendite di cibi vegetariani in generale e dei prodotti sostitutivi della carne. Infatti, sul mercato esiste un’ampia gamma di sostituti della carne; dal "salame piccante" all’ "‘arrosto tipo agnello", al "tacchino senza carne", alle "filetto di pesce", al "paté d’anatra", alla "carne trita vegetariana", quasi tutto fatto con la soia. La scorsa settimana il capo della catena alimentare Asda, Andy Clarke, ha affermato che un maggior numero di acquirenti sta comprando pasti vegetariani a seguito dello scandalo della carne di cavallo. Anche nella catena di cibo macrobiotico Holland & Barrett le vendite degli hamburger vegetariani sono salite del 17%, mentre quelle dell’ “arrosto di manzo’” vegetariano sono salite del 50%. Il principale ingrediente dei prodotti di finta carne è un moderno tipo di soia, prodotto per la prima volta per uso alimentare nel 1959. Etichettata come proteina vegetale, proteina vegetale ristrutturata, è ricavata da alcuni tipi di farina di soia altamente processati, chiamata ‘isolati’ o ‘concentrati’.
L’uso di questi ingredienti di soia non è ristretto ai sostituti della carne. Anche se non evitate la carne, quasi sicuramente mangiate la soia in una certa quantità di prodotti, dalla crema di formaggio alla panna vegetale, dalle barrette proteiche al gelato. Analizzate l’etichetta di un hamburger di manzo industriale, per esempio, e spesso scoprirete che contiene isolato di proteine della soia — un additivo economico per addensare la carne.I semi di soia sono coltivati in tutto il mondo e le più grandi forniture provengono dagli U.S.A. e dal Brasile. Una volta estratto l’olio, la parte solida che rimane viene lavorata per ottenere proteina pura. Fino agli anni ottanta le proteine della soia erano considerate semplicemente un sottoprodotto dell’industria dell’olio di soia, ma in seguito le aziende statunitensi del settore cercarono di farne un prodotto redditizio promuovendolo come cibo macrobiotico salutistico. Sostenevano che il consumo di soia poteva rafforzare le ossa, controllare i sintomi della menopausa (vampate di calore e sudori notturni) e ridurre la probabilità di sviluppare tumori al seno, al colon e alla prostata. Queste affermazioni erano fondamentalmente basate su ricerche sponsorizzate dalle compagnie produttrici di soia e su studi epidemiologici che mostravano associazioni tra la soia e la prevenzione di alcune patologie. Per esempio, siccome il tasso di cardiopatie è più basso nella maggior parte dei Paesi asiatici rispetto ai Paesi occidentali, le compagnie produttrici di soia sostenevano che ciò era dovuto al fatto che gli asiatici consumavano più soia. Pertanto, la soia fu lanciata sul mercato come il cibo delle meraviglie, il rimedio dell’Oriente ai problemi di salute dell’Occidente. Tuttavia, le virtù salutari attribuite alla soia furono presto messe in dubbio dai ricercatori. Nel 2006, per esempio, una pubblicazione dell’American Heart Association relativa a uno studio decennale sui supposti benefici della soia metteva in dubbio il preteso ‘effetto salutare sul cuore’ e concludeva che la soia non riduce le vampate di calore nelle donne né aiuta a prevenire il cancro.
Uno studio del 2008 effettuato dalla clinica per l’infertilità del Massachusetts General Hospital in cui agli uomini veniva chiesto di consumare vari prodotti a base di soia, inclusi il tofu, gli hamburger vegetali, il latte di soia e le bevande di proteine, scoprì che “la maggiore assunzione di cibi a base di soia è associata ad una minore concentrazione dello sperma”. L’impatto a lungo termine del consumo di soia è ancora tutto da valutare, ma ci sono motivi per stare in guardia. I semi di soia contengono tossine presenti in natura. Fra queste sono inclusi l’acido fitico, che riduce la nostra capacità di assorbire i minerali essenziali, come il ferro e lo zinco, e potrebbe causare quindi deficit di minerali, e gli inibitori della tripsina, che compromettono la capacità del corpo di digerire le proteine. Queste tossine si trovano anche in altri alimenti, come i ceci e il grano, ma in quantità minori. La lavorazione della soia è finalizzata sostanzialmente alla riduzione o all’eliminazione di tali tossine, ma possono rimanerne delle tracce. La soia contiene inoltre isoflavoni — potenti composti delle piante che imitano l’ormone femminile, l’estrogeno. Nel 2011 il comitato scientifico della European Food Safety Authority ha respinto le affermazioni fatte dall’industria della soia secondo le quali gli isoflavoni favoriscono la crescita dei capelli, attenuano i sintomi della menopausa, mantengono in salute il cuore e proteggono le cellule dai danni dell’ossidazione. Si è giunti così alla conclusione che “non è dimostrata” la relazione causa-effetto fra il consumo di prodotti di soia e i benefici per la salute. Nel frattempo sono state avanzate ipotesi secondo le quali, lungi dall’essere protettivo, il consumo di troppe proteine della soia può essere dannoso a causa del suo effetto ormonale. Nel 2003 la commissione del governo inglese per la tossicità ha identificato tre gruppi per i quali varie evidenze suggeriscono l’esistenza di un potenziale rischio derivante dal consumo di grandi quantità di soia: neonati nutriti con latte di soia, persone con tiroide poco funzionante (ipotiroidismo) e donne con diagnosi di cancro al seno.
Ma anche il carattere industriale della produzione delle proteine di soia fa sorgere preoccupazioni. Mentre alcuni cibi a base di soia, come il tofu, il miso, il latte di soia e lo yogurt sono poco trattati, le proteine pure della soia — quelle che si possono trovare nelle salsicce vegetariane, nel formaggio vegano e nella “carne” vegetariana — normalmente vengono estratte lavando la farina di soia nell’acido in cisterne di alluminio. Ciò aumenta la possibilità che l’alluminio, che è nocivo per il cervello e il sistema nervoso, possa filtrare nel prodotto. Un altro rischio potenziale è dato dall’esano, un solvente chimico - componente della colla e del cemento — che è usato per estrarre l’olio dai semi di soia. È conosciuto come veleno del sistema nervoso umano. A seguito di ripetute esposizioni, le persone possono sviluppare problemi neurologici simili a quelli che insorgono in chi abusa dei solventi. L’industria della soia afferma che solo tracce residue di esano passano nel prodotto finito. La lavorazione libera dalla soia anche acido glutammico, una sostanza che può scatenare reazioni allergiche. La soia è uno degli otto più comuni allergeni del cibo secondo la U.S. Food and Drug Administration. Un ulteriore problema di molti prodotti a base di soia non è la soia in sé, quanto ciò che viene aggiunto ad essa. Dato che le proteine della soia sono di colore chiaro, prive di odore e quasi senza gusto, molti fabbricanti si affidano a dolcificanti, aromi artificiali, sale e coloranti per rendere i loro prodotti più attraenti.
Non esistono prove scientifiche inequivocabili e definitive che il consumo di carne rossa faccia aumentare il rischio di tumore al colon, anzi alcuni recenti studi hanno messo in evidenza esattamente il contrario, cioè che il rischio è maggiore proprio in chi la carne non la mangia, come nel caso dei vegetariani e dei vegani. Per quanto riguarda il China Study si leggano bene anche le critiche. Intanto che la cosa venga chiarita una volta per tutte, in modo obiettivo, e così si smetta di terrorizzare la gente inutilmente, un recente studio ha messo in evidenza che zuccheri e alimenti ricchi di carboidrati aumentano le recidive del tumore del colon e aumentano la progressione di questo tumore in atto. Infatti, una dieta ricca di alimenti ad alto indice glicemico aumenta dell'80% il rischio di recidiva e di morte per tumore al colon, soprattutto nei pazienti già sovrappeso e obesi.
Secondo i ricercatori, un'alimentazione ricca di carboidrati aumenta la produzione di insulina e questo porta da una parte alla proliferazione delle cellule tumorali e dall'altra alla inibizione del fenomeno della apoptosi (morte cellulare) delle cellule metastatiche.Tanto per citare altri studi simili, qualche anno fa i ricercatori avevano anche notato che una dieta ricca di carboidrati e ricca di grassi accelerava la crescita del tumore della prostata nei topi da laboratorio, cosa che non succedeva con una dieta povera di carboidrati e ricca di grassi. Un altro dei diversi studi che scagionano i grassi dal causare ogni possibile malattia, come un certo tipo di dietologia ci vuole far credere. Anche in questo studio la causa del peggioramento del tumore è stata imputata all'aumento dell'insulinemia. Nell'uomo diversi studi hanno messo in correlazione l'iperinsulinemia e forme di tumore alla prostata più aggressive (5) e correlazioni esistono a che tra una dieta ad alto indice glicemico e rischio del tumore mammario.
La carne (rossa o bianca che sia) è un'importante fonte di aminoacidi. Essi, piccola parte delle più note proteine, sono indispensabili per la buona salute della pelle, delle ossa, dei tendini, e anche per la funzionalità del cervello e delle ghiandole che producono ormoni. Anche i più vanitosi conoscono inoltre le buone proprietà che le proteine e gli aminoacidi hanno sulla salute delle unghie e dei capelli, oltre che sul metabolismo. Aminoacidi o non aminoacidi, la carne rossa spesso è stata demonizzata per chi avesse i grassi nel sangue anche solo minimamente fuori norma. Vero che tra tutti i tipi di carne, quella rossa (tra cui comunque dal punto di vista funzionale si collocano anche quelle di maiale e vitello) contiene più grassi saturi e colesterolo, coinvolti nel danno alle arterie e al cuore. Tuttavia il ruolo di queste componenti è da analizzare in una logica un pochino più ampia. L'infiammazione generale, provocata tra le altre cose da un abuso di carboidrati non bilanciati con una parte proteica (pasta non bilanciata con bistecca), si è dimostrata provocare aumento del danno arterioso e della quota di colesterolo nel sangue. Un uso un pochino maggiore di carne (o altre proteine) può quindi compensare tale meccanismo.
Analisi anche recenti hanno inoltre ribadito quel fenomeno noto come "paradosso francese" per il quale mangiare più carne grassa e formaggi si traduce in una riduzione dei trigliceridi e del colesterolo cattivo nel sangue, quando abbinati all'uso di olio di semi, vino rosso e alle vitamine antiossidanti di frutta e verdura. Secondo un articolo pubblicato sul numero corrente di Medical Hypotheses, i grassi della carne rossa (mangiati insieme al resto della carne rossa), abbinati a una dose di omega-3, fanno addirittura bene, abbassando il livello di colesterolo, trigliceridi, e danno vascolare. L'azione descritta può essere considerata ad esempio nell'abbinamento ai carboidrati sopra descritto, nel quale i grassi della carne, abbassando l'impatto glicemico del pasto, riducono anche il livello infiammatorio di base e così i trigliceridi e il colesterolo.
Non sono solo le proteine a modulare l'impatto glicemico, ma anche i grassi, siano essi vegetali o animali (di carne rossa o pesce che sia). Quello che succede tuttavia, quando questi non sono abbinati a dell'olio extra vergine di oliva, a dell'olio di lino o a frutta o verdura fresca, è che agiscono come pro-infiammatori essi stessi e diventano, almeno un po', "cattivi". La soluzione a quel punto è facile: mangiare insieme frutta o verdura fresca o aggiungere degli oli vegetali o degli omega-3, con alto potenziale antiossidante, fa sì che solo le proprietà buone dei grassi facciano il loro ingresso nella pancia. Una buona notizia per chiunque abbia visto valori sballati nei propri esami e sia stato costretto da moglie, madre o cognato a una ferrea dieta a base di pollo e merluzzo: anche una bella bistecca può andar bene ogni tanto, l'importante è che ci sia sopra dell'olio e a fianco una mela.