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Giovedì, 22 Maggio 2014 00:00

Il potere antinfiammatorio della curcuma

La curcuma si è dimostrata un potente antinfiammatorio senza effetti collaterali. Contrastando le infiammazioni, si interviene sui fenomeni da esse provocate come artriti, osteoartriti, artrosi in fase acuta (previene le ricadute), dolori muscolari, sindrome del tunnel carpale, dito a scatto, dolori mestruali, dolori post-chirurgici, congiuntivite, morbo di Crohn, emorroidi durante la fase congestizia.

La curcuma sembra svolgere un ruolo importante nell’insorgenza del tumore: il prestigioso National Cancer Institute statunitense annovera la curcuma come sostanza preventiva per il cancro intestinale poiché in grado di neutralizzare le sostanze tossiche presenti nei cibi. La curcuma ha inoltre un’azione protettiva nei confronti di ulcera gastrica e duodenale o peptica derivata dall’assunzione di farmaci e/o anti-infiammatori. Spesso causate da un batterio, l’Helocobacter pylori (presente nel 90% delle ulcere duodenali e nelle gastrite), i disturbi a livello gastrico vengono contrastati preventivamente nella fase di formazione ulcerosa, introducendo un significativo incremento del muco. L’aggiunta di pepe nero all’assunzione di curcuma, anche solo del 3% in peso rispetto alla curcuma, determina un notevole potenziamento degli effetti della curcuma.

Fonte: L'altra medicina

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Evitare alla pineale di invecchiare pare quindi ritardare l'invecchiamento dell'intero organismo. Il livello di melatonina contenuto nel sangue declina rapidamente con l'ètà. Nell'uomo il trapianto di pineale è arduo in quanto ci sono enormi problemi di rigetto. Ovviamente la rimozione della ghiandola pineale è comunque un estremo rimedio.

Un intervento anti età costante nel tempo, grazie all'opera graduale di una molecola come la melatonina sarebbe possibile. La melatonina potrebbe rendere del tutto inutili una certa parte di farmaci attualmente in circolazione.Date le proprietà della melatonina di essere sia idrosolubile che liposolubile (proprietà rara in natura), la molecola è in grado di diffondere in ogni parte dell'organismo, superando persino la barriera ematoencefalica del cervello e quella placentare, proteggendo dunque qualsiasi cellula del corpo. Ciò la rende di gran lunga versatile ed è la più potente rispetto agli antiossidanti conosciuti. Inoltre, la melatonina è presente in concentrazioni relativamente elevate nel nucleo cellulare, associandosi strettamente alla molecola di DNA: pur non conoscendo la modalità di questo legame, si è scoperto che la melatonina possiede una capacità senza pari di proteggere le molecole di DNA dai radicali liberi.

Potrebbe quindi risultare un fattore chiave nella prevenzione del cancro. La melatonina protegge la ghiandola pineale dall'invecchiamento, avendo una potente azione antinvecchiamento sulla ghiandola. Questo è dimostrato sui topi da studi scientifici. In caso di somministrazione di melatonina dall'esterno, la ghiandola pineale invecchia meno rapidamente, rallentando tutto il programma di deterioramento dell'organismo. La ghiandola pineale mantenuta giovane rallenta l'invecchiamento dell'intero organismo ----> la melatonina rallenta l'invecchiamento della pineale mettendola a riposo, la quale sembra impartire l'ordine di invecchiare, questo in evidenza il concetto. Infatti se la melatonina è somministrata dall'esterno, la ghiandola pineale non ha più bisogno di produrla, rallentando il proprio invecchiamento e adempiendo per intero alla produzione di altre importanti sostanze come ad es. il TRH

E' dimostrato che la melatonina non presenta effetti tossici neppure se venisse somministrata in quantità di diversi cucchiai al giorno! Se il livello di melatonina risulta basso, la somministrazione esogena (dall'esterno) rimpiazza la carenza; se il livello endogeno (già presente nell'organismo) risulta alto, la somministrazione ulteriori di melatonina non ha alcun effetto, l'organismo trattiene la dose sufficiente, eliminando con le urine il resto. Da studi scientifici si è dimostrato inoltre che la melatonina normalizza i livelli di zinco nell'età avanzata. Pare altresì che assumendo melatonina ogni parametro risulta migliorato. La melatonina servirebbe quindi anche a non invecchiare.

Perché impedisce al "centro di smistamento" nella ghiandola pineale (che in realtà una ghiandola non è) di non deteriorarsi, e quindi a non poter far più partire gli impulsi che regolano i ritmi naturali del giorno e della notte, quelli che ci mantengono sincronizzati ogni istante, tramite il sistema ormonale, con l’ambiente in cui viviamo. Se ci allontaniamo da questo ambiente naturale, invecchiamo più rapidamente. La realtà del mondo in cui si vive ci sfugge in quanto ne siamo una parte integrante. Noi navighiamo in una dimensione della quale ignoriamo la natura ed i confini, ed i nostri unici punti di riferimento sono solo i ritmi scanditi dal giorno, dalla notte e dalle stagioni. Si scrive che è del tutto innocua anche a dosi altissime e per periodi lunghissimi. Esistono lavori documentatissimi, ma non vengono mai citati. Tuttavia bastano pochi milligrammi di melatonina (al massimo 3) per mettere la pineale " a riposo " durante la notte e proteggere quindi la pineale, il nostro centro di smistamento ormonale, dalla senescenza. Non invecchiando la pineale, non possiamo invecchiare o, almeno, il processo dell’invecchiamento non sarà mai più come lo abbiamo visto e vissuto fino ad ora.

Fonte: Anagen.net

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Il finocchio è una pianta erbacea che appartiene alla famiglia delle Ombrellifere, probabilmente originaria dell’Asia Minore ma diffusa in tutta l’area del Mediterraneo e già nota presso gli egizi, i greci e gli arabi.

L’aroma peculiare del finocchio si deve alla consistente presenza di anetolo, un’essenza che viene adoperata per la preparazione di liquori quali la sambuca, il pastis e l’anisette in Francia o l’anis in Spagna.
Questa pianta viene usata in cucina in virtù della sua capacità di conferire, grazie agli oli essenziali che essa contiene, sapori e odori forti alle pietanze.
È opportuno fare distinzione tra finocchio selvatico e coltivato. Le due varietà fanno parte della stessa famiglia, ma mentre quello selvatico cresce in maniera spontanea e viene usato come pianta aromatica, quello coltivato, o comune, dispone di una parte edibile, detta grumolo, costituita dalla parte basale delle foglie e caratterizzata da un sapore più dolce e meno pungente rispetto a quello del finocchio selvatico.
Questo ortaggio ha un contenuto calorico molto ridotto, circa 31 calorie per ogni etto, è povero di grassi ma molto ricco di fibre, quindi è un alimento particolarmente indicato per chi tiene alla propria linea.
Il finocchio è molto ricco di sali minerali, soprattutto potassio, calcio e fosforo, utili per rinforzare le ossa e per prevenire crampi e stanchezza. Contiene molte vitamine, in particolare la vitamina A, essenziale per proteggere e mantenere sana la pelle e per regolare il funzionamento della retina e della vista, la vitamina B, elemento fondamentale per il corretto funzionamento del sistema nervoso e dell’apparato cardiocircolatorio, e la vitamina C, sostanza molto importante nella prevenzione di numerose patologie perché rafforza il sistema immunitario e svolge un’efficace azione antiossidante.
Il buon contenuto di fitoestrogeni rende il finocchio un ottimo equilibrante naturale dei livelli degli ormoni femminili, il che lo rende particolarmente utile nello stimolare la produzione di latte nelle donne alle prese con l’allattamento, nel ridurre i disturbi che precedono il ciclo mestruale e nell’alleviare i sintomi della menopausa.
Anche il fegato trae giovamento dal consumo di finocchi, che rappresentano dei validi disintossicanti e che contribuiscono al miglioramento delle funzioni epatiche. Inoltre, il finocchio ha effetti diuretici, favorendo la produzione di urina e, di conseguenza, l’eliminazione delle tossine da parte dell’organismo, ed è indicato in caso di inappetenza, dato che stimola l’appetito e la secrezione gastrica attraverso l’azione dei suoi principi aromatici.
Come erba officinale, il finocchio costituisce un ottimo rimedio per i problemi di digestione, in quanto contrasta i processi fermentativi che avvengono nell’intestino crasso e contribuisce all’eliminazione dell’aria che si accumula nello stomaco e nell’intestino, lenendo in tal modo anche i dolori causati dalle coliche gassose nei neonati.

Proprio in considerazione di queste sue virtù benefiche nei confronti dell’apparato digerente, tisane, decotti e infusi preparati con i semi di questo ortaggio possono essere molto utili per coloro che abbiano problemi di gonfiore addominale e di aerofagia.
Infine, avendo anche proprietà espettoranti, i prodotti fitoterapici a base di semi di finocchio costituiscono dei rimedi naturali particolarmente indicati in caso di tosse, mal di gola e infiammazioni ai bronchi.

FONTE: http://curarsinaturalmente.blogspot.it/

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L'artrosi è la forma più comune di affezione reumatica. E' caratterizzata dalla progressiva perdita delle cartilagini delle articolazioni ed è legata all'età, all'obesità, a precedenti traumi ed è più frequente nelle donne. Ricercatori dell' Ankara Physical Medicine and Rehabilitation Training and Research Hospital hanno di recente pubblicato uno studio dove risulta evidente il legame tra i livelli di vitamina D3 e il rischio di sviluppare l'artrosi.

Un adeguato apporto di vitamina D è necessario per un rinnovamento ottimale della cartilagine e precedenti ricerche epidemiologiche hanno mostrato che bassi livelli di vitamina D sono associati all'artrosi delle ginocchia (gonartrosi). Anche bassi livelli delle altre vitamine liposolubili (A, E, K) sono associati ad un maggiore rischio di artrosi. Per queste ragioni, i ricercatori turchi hanno deciso di approfondire ulteriormente il legame vitamina D/artrosi. Hanno reclutato 80 donne tra i 20 e i 45 anni di età che non presentavano dolori o problemi alle ginocchia. Le donne sono state divise in tre gruppi sulla base dei loro valori di vitamina D:
<10 ng/mL
>10 ng/mL but < 20 ng/mL
>20 ng/mL

Poi è stato misurato lo spessore delle cartilagini delle ginocchia tramite un ecografo. Nel gruppo <10ng/mL la cartilagine era più sottile in tutti i punti misurati rispetto a quella degli altri gruppi di donne. Questa è quindi un'ulteriore conferma che bassi livelli di vitamina D possono essere associati ad un maggiore rischio di artrosi. Inoltre, uno studio indiano pubblicato lo scorso anno ha mostrato che l'integrazione di vitamina D è in grado di migliorare sensibilmente il dolore associato alla gonartrosi, confermando ancora una volta l'importanza della vitamina D nell'artrosi.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

LEGGI ANCHE: Sistema immunitario debole e malattie associate alla carenza di Vitamina D: ecco i principali segnali

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Basta con le diete imposte. Basta con la paura di mangiare un po’ più grasso. Basta con i sensi di colpa. Uomini e donne con un po’ di “maniglie” sui fianchi è il momento della rivincita. E non ve lo dice un sondaggio qualsiasi o un gastronomo incallito. “Mangia grasso e vivi bene” è il titolo (e a questo punto anche il felice slogan di chi ha qualche chilo in più) di un interessante, sorprendente (per certi versi) libro scritto dal medico Francesco Perugini Billi.

Il parere dell'esperto

Dottore, perché il grasso non fa male? E perché ci hanno detto fino allo sfinimento che fanno male certi cibi? “I grassi sono stati sempre presenti nella dieta dell’uomo fin dai primordi. Pensiamo solo al maiale, animale “grasso” per antonomasia, che ha giocato un ruolo fondamentale nella dieta dell’Europa medievale ed è ancora tanto presente nelle tradizioni culinarie delle nostre regioni. Per quanto riguarda la paura del colesterolo, questa è nata negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’50. Si tratta di una storia fatta d’interessi economici, industriali e politici, nulla a che fare con la salute della gente. La demonizzazione di pancetta, uova e burro è stata una manna per l’industria degli oli di semi e delle margarine, e successivamente dei cibi dietetici, mentre lo spauracchio del colesterolo lo è stato per le industrie del farmaco. Peccato che 50 anni di ricerche e tanti soldi spesi non sono stati in grado di dimostrare che una dieta povera di grassi allunga la vita, né che il colesterolo provoca l’infarto”.

Oggi siamo arrivati al punto che si spende di più per dimagrire che per mangiare bene.. “E’ curioso come negli ultimi decenni abbiano fatto di tutto per “sgrassare” la nostra dieta e mangiare male e senza gusto. Non solo non sono state debellate le malattie coronariche, ma sono aumentati il diabete e l’obesità, che sono l’anticamera di quelle stesse malattie cardiovascolari di cui ci si voleva liberare. Rifuggiamo i grassi come la peste e poi ci ingozziamo di zuccheri e farine raffinate. Il corpo ha bisogno di una certa quantità di calorie. Se gli neghiamo i grassi, allora li cercherà sotto forma di carboidrati. Il problema è che questi, a differenza dei grassi, creano dipendenza, possono provocare insulinoresistenza e più facilmente portare al sovrappeso. Quindi, spendere i propri soldi in alimenti “scremati”, “magri” e “light” non è la risposta giusta. Non solo non fanno dimagrire, ma non sono neanche salutari”.

Qual è secondo lei una dieta per stare bene? “Oggi si fa un gran parlare della “dieta mediterranea”. Gli esperti ci vogliono far credere che si tratti di una dieta povera di grassi animali, ricca di pesce, cereali e legumi. Forse nei loro sogni! Sì perché una tale dieta nel Mediterraneo non esiste. Tra i popoli che si affacciano su questo antico mare il consumo di grasso e carne è molto diffuso ed estremamente variabile da zona a zona. In Calabria, ad esempio, ci sono decine di succulenti e pingui piatti a base di maiale, mentre i Sardi, che sono tra i popoli più longevi al mondo, hanno sempre mangiato poco pesce, preferendo i formaggi e le carni, come quelle di maialino, di pecora e di capra. Cosa voglio dire con questo? Che la differenza di mortalità per cause cardiovascolari tra gli americani e i popoli mediterranei che tanto colpì i ricercatori negli anni ’60 non era dovuta al diverso consumo di grassi animali, ma piuttosto al fatto che nel mediterraneo ancora si mangiavano cibi locali, freschi, così come la terra li aveva prodotti, mentre oltreoceano già imperversavano i cibi manipolati dall’industria”.

Ci può fare un esempio di prodotti che secondo la teoria lipidica fanno male ed invece vanno recuperati? “Tra gli alimenti più colpiti dagli anatemi dei grassofobici ci sono sicuramente le uova e il burro. Non c’è nulla di male in questi alimenti, piuttosto dovremmo occuparci della loro provenienza. Vale il detto “sei quello che i tuoi animali mangiano” e purtroppo oggi la maggior parte degli animali vengono nutriti con pastoni industriali, compostri da soia e cereali, che abbassano di molto i fattori protettivi per la salute presenti negli alimenti”. Il fatto che sia sorta Slow Food con i presidi e che sia in atto una riscoperta dei prodotti tipici sono conferme alle sue teorie? “Sì, bisogna recuperare le razze autoctone, i modi di produzione artigianale e proteggere le piccole realtà produttive che non possono competere con la schiacciante politica della grande industria alimentare la cui filosofia è quella del “tanto a poco prezzo” ”.

Mangiare grassi va bene ma con misura…

“Non bisogna avere paura dei grassi o dei cibi grassi, se questi non sono stati manipolati dai processi industriali. Il grasso là dove la natura l’ha messo va benissimo! Il grasso del cibo ci aiuta ad assorbire numerose vitamine, minerali e gli antiossidanti, oggi così di moda. Stiamo lontano dai grassi idrogenati, che ormai sono presenti in quasi tutti i prodotti da pasticceria e da forno commerciali e spesso anche artigianali. Questi sono i grassi che vi fanno male davvero. Per le nostre popolazioni, gli unici grassi storicamente coerenti sono lo strutto, il burro e l’olio extravergine. Usateli anche per cucinare. Sono tutti grassi che tengono bene le alte temperature e non si disgregano in radicali liberi, come fanno i tanto osannati oli di semi”. Ci sono alimenti che è meglio evitare? “Tra quelli veramente genuini, naturali, tradizionali, prodotti con metodi rispettosi dell’ambiente e degli animali, assolutamente nessuno!”

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

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I livelli di glucosio nel sangue possono modificare la frequenza cardiaca in maniera pericolosa, tanto che le persone che già soffrono di diabete di tipo 1 e tipo 2 rischiano la vita. Questo processo spiegherebbe il perché diverse persone muoiono durante il sonno
I livelli di zucchero nel sangue possono essere pericolosi, specie se divengono troppo bassi durante la notte.
Tra i tanti effetti avversi che possono avere i livelli di zuccheri nel sangue c’è anche quello di alterare la frequenza cardiaca. Alterazione che può essere causa di numerosi problemi e anche morte nel sonno, soprattutto nelle persone con diabete di tipo 1 e tipo 2. A essere pericolosa, in questo caso, è l’ipoglicemia. Condizione che diviene minacciosa in particolare di notte, quando si dorme.
Ecco quanto emerso da uno studio pubblicato sulla rivista Diabetes e condotto dai ricercatori dell’Università di Sheffield (Uk) coordinati dal dott. Simon Heller.

Heller e colleghi hanno trovato un legame tra la glicemia e i tassi di mortalità più elevati del previsto. Cosa che andrebbe anche a spiegare perché alcune persone altrimenti sane, con diabete di tipo 1, muoiono durante il sonno. Questa condizione, che è senza una causa apparente, è spesso chiamata “Sindrome della morte nel letto”.«Abbiamo scoperto che l’ipoglicemia era abbastanza comune – spiega il prof. Heller – e che gli episodi notturni, in particolare, erano generalmente caratterizzati da un modello in cui il glucosio è sceso a livelli bassi per alcune ore, durante le quali i pazienti dormivano».

«Questi periodi di ipoglicemia – prosegue Heller – sono stati associati con un alto rischio di rallentamento delle frequenze cardiache [o bradicardia] accompagnate da battiti [del cuore] anormali. Abbiamo quindi identificato un meccanismo che potrebbe contribuire a un aumento della mortalità durante una terapia insulinica intensiva nei soggetti con diabete di tipo 2 e ad alto rischio cardiovascolare».
Il diabete, sebbene caratterizzato per gli elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia), si distingue anche per momenti in cui questi livelli di zuccheri nel sangue sono più bassi del normale (ipoglicemia), spesso proprio a causa dei trattamenti per la prevenzione dell’iperglicemia, come le terapie insuliniche.
Secondo il dott. Simon Fischer, che accompagna la pubblicazione dello studio con un editoriale, l’ipoglicemia può essere fatale, perché il corpo per funzionare correttamente e vivere ha bisogno di energia; e una troppo bassa energia causa diversi problemi, tra cui un malfunzionamento del cervello che può anche smettere di operare in caso di grave ipoglicemia.
Il prof. Heller ricorda che il problema del glucosio nel sangue è tipico dei pazienti affetti da diabete di tipo 1, i quali devono sottostare a iniezioni giornaliere di insulina, dato che il proprio pancreas non è più in grado di secernere l’ormone insulina. Tuttavia, la pericolosa condizione di ipoglicemia non viene in genere considerata significativa nelle persone con diabete di tipo 2. Ecco perché i ricercatori sono rimasti sorpresi nel vedere che i 25 partecipanti allo studio con diabete di tipo 2 avevano bassi livelli di zucchero nel sangue per circa il 10% del tempo.
La faccenda è emersa dopo che i ricercatori hanno monitorato per cinque giorni i partecipanti al fine di rilevare in modo costante i livelli di glucosio e l’attività cardiaca.

I dati acquisiti hanno permesso di rilevare che i pazienti hanno trascorso 1.258 ore di tempo con normali livelli di glicemia, 65 ore con elevati di zucchero nel sangue livelli e 134 ore con bassi livelli di zucchero nel sangue (una glicemia inferiore a 63 milligrammi per decilitro). In tutti questi casi, il rischio di un rallentamento del battito cardiaco durante la notte era 8 volte superiore rispetto a quando il livelli di zucchero nel sangue erano normali. E’ da notare che il rallentamento della frequenza cardiaca non è stato registrato durante la giornata. Anche le aritmie cardiache sono state significativamente più alte di notte.
Il dottor Fisher ritiene che, in base ai numerosi studi condotti sia su modello animale che sull’uomo, si possa a ragione ipotizzare che gravi aritmie indotte dall’ipoglicemia possano contribuire alla morte improvvisa nei pazienti con diabete e sotto trattamento insulinico.

«L’ipoglicemia notturna è un grave problema – sottolinea lo scienziato – Le persone hanno meno probabilità di svegliarsi e di trattare la loro ipoglicemia durante la notte. Sono meno propense ad ascoltare i normali sintomi premonitori dell’ipoglicemia, perché l’intera risposta [del sistema nervoso] simpatico è relativamente attenuata durante la notte».

FONTE: La Stampa

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Una delle conseguenze dell'invecchiamento è la progressiva perdita di massa muscolare, che si traduce soprattutto nella perdita di forza degli arti e un maggiore rischio di cadute e quindi di fratture. L' International Osteoporosis Foundation (IOF) Nutrition Working Group ha identificato alcuni stili di vita e abitudini nutrizionali che nel tempo sono in grado possono prevenire la condizione di perdita muscolare senile. L'attività fisica regolare e di un certo livello (resitance training) è ovviamente uno dei fattori fondamentali per mantenere il proprio patrimonio muscolare. Poi ce ne sono altri: Proteine – un'adeguata assunzione di proteine gioca un ruolo fondamentale per il metabolismo dei muscoli. Gli autori dello studio propongono 1,0 -1,2 g/kg al giorno. Le proteine rafforzano i muscoli e lo scheletro – purtroppo troppa gente è convinta che la salute delle ossa sia solo un fatto di calcio!

Vitamina D – numerosi studi mostrano che la vitamina D ha un ruolo chiave nella formazione e nel mantenimento della massa muscolare e della sua funzione. Livelli ottimali di questa vitamina devono essere garantiti con una adeguata esposizione al sole o con appositi integratori. Purtroppo, la carenza di vitamina D è ormai epidemica tra la popolazione e non solo anziana. Equilibrio acido-base - le proteine sono estremamente utili per ossa e muscoli, ma dopo decenni propaganda ant-proteine animali molti anziani ne fanno un uso ridotto o inadeguato. E' vero che gli alimenti proteici (così come i cereali) hanno un'azione acidificante e possono impoverire le ossa di calcio, ma risolvere la questione riducendo le proteine non è una buona idea. Gli studi mostrano che l'assunzione di buone quantità di cibi proteici non influenza per nulla la perdita di calcio se contemporaneamente si fa un adeguato consumo di frutta e verdure, alimenti questi alcalinizzanti. B12 e acido Folico – sono due elementi molto importanti per la salute della muscolatura, come dimostrano recenti studi. Quindi, la combinazione di una corretta attività fisica e del giusto apporto di nutrienti può assicurare una muscolatura sana e forte e prevenire numerose disabilità fisiche tipiche dell'età avanzata

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

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In Italia quella di osteoporosi è una “grave pandemia silenziosa”. A svelarlo sono i dati emersi da una ricerca realizzata da Fondazione per l’Osteoporosi Piemonte e Città della Salute e della Scienza di Torino, pubblicati sulla rivista Calcified Tissue International, secondo cui l'80% cieca delle donne over 65 soffre di osteoporosi o di osteopenia, ma in molti casi non lo sa.

“Lo studio – spiega Giancarlo Isaia, coordinatore della ricerca – effettuato con la tecnica DXA, considerata il gold standard nella diagnosi dell’osteoporosi, rappresenta il primo approccio al problema della prevalenza della malattia in Italia”. Durato 4 anni, lo studio si è avvalso della collaborazione di 32 medici di base che hanno permesso di reclutare le mille donne che sono state sottoposte alle analisi densitometriche tramite DXA. Ne è emerso che più del 33% della popolazione over 65 è affetto da osteoporosi e il 47% circa di osteopenia. Non solo, circa il 17% delle italiane sopra i 65 anni ha dovuto affrontare una frattura non associata a un trauma, quindi attribuibile ad una fragilità ossea. “Il dato che emerge è sorprendente – commenta Claudia Matta, presidente della Fondazione per l’Osteoporosi Piemonte – soprattutto perché rivela con certezza che molte donne non sono consapevoli di essere a rischio. La sensibilizzazione sulla malattia è quindi fondamentale”. “In generale – aggiunge Isaia – il problema dell’Osteoporosi è in Italia ampiamente sottovalutato e di conseguenza, pur potendo disporre di farmaci estremamente efficaci nel prevenirne le conseguenze fratturative, molti Pazienti non hanno accesso ai trattamenti. La conseguenza è di constatare la presenza di numerose fratture, soprattutto di femore e di vertebre, che avrebbero potuto essere prevenute in presenza di una seria e diffusa campagna di prevenzione”.

Matta sottolinea la rilevanza sociale ed economica del problema, ricordando anche che “il 50% delle persone con frattura di femore subisce una forte riduzione della propria autosufficienza e, in circa il 20% dei casi, richiede un’ospedalizzazione a lungo termine, con oneri economici per il sistema sanitario”. I costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale per le fratture al femore associate all'osteoporosi ammonterebbero a 6,8 miliardi di euro ogni 5 anni, un onere che potrebbe essere ridotto sensibilmente grazie a una diagnosi precoce abbinata a una corretta terapia, che da sola fa scendere del 50-70% il rischio di fratture. “Lo studio – conclude Isaia - ha anche consentito di validare un nostro precedente lavoro relativamente ai criteri in base ai quali prescrivere la densitometria ossea con un più favorevole rapporto costi/benefici, considerando che non è assolutamente razionale prescrivere l’esame indiscriminatamente a tutte le donne in menopausa”.

Fonte: Il Sole 24Ore 

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Aumento della pressione del sangue, prima ancora che fosse clinicamente diagnosticato come‘ipertensione , è un fattore di rischio significativo per la malattia cardiovascolare e ictus. Aumenti di appena 3-5 millimetri di mercurio possono aumentare notevolmente il rischio di un attacco di cuore fatale o un evento cerebrovascolare. I ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine hanno pubblicato il risultato di uno studio che mostra l’importanza della vitamina C supplementare per abbassare la pressione del sangue, nella rivista American Journal of Clinical Nutrition . Autore dello studio, il Dott. Peter R. Miller ha commentato “La nostra ricerca suggerisce che una pressione sanguigna modesta è l’ effetto di riduzione con supplementazione di vitamina C. Inoltre dosi di vitamina C assunte quotidianamente, abbassano in modo efficace la pressione sanguigna e riducono il rischio di un attacco di cuore o ictus.

Supplementazione di vitamina C abbassa la pressione sanguigna per prevenire l’ictus e malattie cardiache. I ricercatori hanno scoperto che l’assunzione di una media di 500 milligrammi di vitamina C al giorno, circa cinque volte il requisito giornaliero raccomandato, riduce la pressione sanguigna di 3,84 millimetri di mercurio in breve termine. Tra le persone con diagnosi di ipertensione , il calo è stato di quasi 5 millimetri di mercurio .Anche se questi risultati possono non sembrare eccellenti, possono essere sufficienti a ridurre drasticamente il rischio cardiovascolare e ictus per i milioni di adulti con diagnosi di lieve ipertensione. Mangia Agrumi regolarmente o supplemento con vitamina C per abbassare il rischio vascolare. Il dott. Miller ha concluso “ Il team ha osservato che l’effetto ipotensivo di vitamina C era probabilmente dovuto ad effetti biologici e fisiologici del nutrienti. La vitamina C agisce come un diuretico, costringendo i reni ad eliminare più sodio e acqua dal corpo e ciò iuta a rilassare le pareti dei vasi sanguigni, riducendo così la pressione sanguigna”.+ La vitamina C è nota anche per migliorare la funzione endoteliale essenziale di delicate pareti arteriose, restituendo elasticità e risolvendo micro-fessure nei vasi che portano alla formazione di placca arteriosa. La maggior parte esperti di nutrizione consigliano fino a tre grammi di vitamina C al giorno per una protezione ottimale da ipertensione, malattie cardiovascolari e ictus.

Fonte: Medi Magazine

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Inibisce l'attivazione dell'enzima Ace, conosciuto per essere responsabile dell'aumento della pressione sanguigna: è questo il meccanismo che fa sì che il cioccolato fondente sia in grado di proteggere il cuore. Lo studio, pubblicato sul Journal of Cardiovascular Pharmacology, è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori sono state rivelate da un gruppo di ricercatori dell'Università di Linköping, in Svezia, diretti da Ingrid Persson. "Abbiamo già dimostrato - spiega la studiosa - che il tè verde inibisce l'enzima Ace, coinvolto nel bilancio dei liquidi del corpo e nella regolazione della pressione sanguigna. Ora abbiamo voluto studiare l'effetto del cacao, con le sue catechine e procianidine".

La ricerca è stata condotta su 10 uomini e 6 donne tra i 20 e i 45 anni - sani e non fumatori - ai quali sono stati fatti mangiare 75 grammi di cioccolato amaro con un contenuto di cacao del 72%. Per misurare il livello dell'enzima sono stati prelevati loro campioni di sangue prima del consumo del cioccolato e poi mezz'ora, un'ora e tre ore dopo. Dai dati è emerso che tre ore dopo l'assunzione del cioccolato è stata rilevata una significativa inibizione dell'attività dell'enzima - risultata inferiore, in media, del 18% grazie al cioccolato consumato - e, di conseguenza, della pressione alta. Per adesso, spiega Persson, non è in progetto alcuno studio per nuovi farmaci: "Ma i nostri risultati - conclude - indicano che i cambiamenti nello stile di vita con l'aiuto di alimenti che contengono grandi concentrazioni di catechine e procianidine possono prevenire le malattie cardiovascolari".

Fonte: Il Sole 24Ore

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