La vitamina C (o acido ascorbico) svolge un ruolo importante nel normale funzionamento del sistema immunitario e il suo utilizzo nella prevenzione e nella cura delle infezioni ha attirato l'interesse di medici e ricercatori per quasi un secolo. Numerosi sono gli articoli pubblicati sull’argomento, sebbene sia noto che una carenza di vitamina C dovuta a un basso apporto nutritivo porti a una maggiore suscettibilità alle infezioni. Inoltre, come tutti sanno, un apporto maggiore di vitamina C, per contro, potenzia il sistema immunitario e l'uso degli integratori è considerato un rimedio, soprattutto invernale, per prevenire le malattie infettive. Oltre all’influenza c’è di più. Difatti, a peggiorare lo scenario, anche la rapida diffusione mondiale della SARS-CoV2 e la conseguente emergenza pandemica riconosciuta dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) richiede urgentemente uno sforzo globale per identificare tutto ciò che può curare i sintomi e ridurre i decessi. 46.509.232 milioni di contagiati e oltre 1.200.361 di morti nel mondo, numero in costante aumento. E anche se attualmente, nessuna terapia antivirale specifica è stata approvata per la cura del Covid-19, è importante proteggersi e prevenire questo virus con tutti i mezzi a disposizione.
VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici
Tuttavia, è anche vero che una dieta equilibrata capace di soddisfare l'assunzione giornaliera di vitamina C influisce positivamente sul sistema immunitario e contribuisce, di conseguenza, alla riduzione della suscettibilità alle infezioni. Lo studio “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19”, pubblicato su Frontiers in Immunology, rivista ufficiale dell’International Union of Immunological Societies (IUIS), nasce con lo scopo di riassumere il ruolo immunologico della vitamina C, analizzando i suoi potenziali effetti se utilizzata come integratore alimentare, sui meccanismi coinvolti durante le infezioni virali respiratorie oltre a evidenziare gli effetti di questo prezioso nutriente nel trattamento della sepsi grave e delle condizioni di ARDS (Sindrome da distress respiratorio acuto). L’indagine mette in luce anche l’alto rischio che nelle categorie come obesi, diabetici, cardiopatici, anziani, etc…, l'integrazione con vitamina C potrebbe ridurre i marcatori dell'infiammazione, quindi di conseguenza la suscettibilità all’infezione e l'eventuale sviluppo della malattia stessa. Inoltre, in queste categorie di persone un'integrazione di vitamina C potrebbe modulare l'infiammazione, con potenziali effetti positivi sulla risposta immunitaria alle infezioni. Tuttavia, anche se l'impatto di un'assunzione orale maggiore di vitamina C sulla durata del raffreddore e sulla prevenzione o il trattamento della polmonite è ancora in discussione, dall'altra parte appare ormai confermata quella che prima era solo un'ipotesi: l'infusione di vitamina C nel trattamento per COVID-19 sui pazienti ricoverati in ospedale tra cui anziani o con importanti patologie. In sostanza, riassumendo gli studi più rilevanti dalla prevenzione e cura delle comuni patologie respiratorie all'uso della vitamina C in condizioni di malattia critica, con l'obiettivo di chiarirne la potenziale applicazione durante un'infezione acuta da SARS-CoV2, un'integrazione di vitamina C potrebbe modulare l'infiammazione, con potenziali effetti positivi sulla risposta immunitaria alle infezioni.
Il comune raffreddore è una delle infezioni virali delle alte vie respiratorie (URTI) più diffuse, caratterizzata da tosse, stanchezza, febbre, mal di gola e dolori muscolari, che persistono per un periodo che va da pochi giorni a non più di 3 settimane. Con "raffreddore comune" si fa generalemente riferimento a una sindrome aspecifica causata da diversi virus, sebbene il rinovirus sia il patogeno coinvolto più frequentemente, essendo presente nel 30-50% dei malati. Le evidenze scientifiche secondo cui un apporto molto elevato di vitamina C potrebbe portare a una minore suscettibilità alle infezioni delle vie respiratorie ha origine dalle teorie di Linus Pauling pubblicate negli anni Settanta. Secondo Pauling, un'assunzione giornaliera di vitamina C di 1.000 mg può ridurre l'incidenza del raffreddore di circa il 45% e l'assunzione giornaliera ottimale di vitamina C per vivere in modo sano e prevenire le malattie dovrebbe essere di almeno 2,3 g. Il COVID-19 è una nuova forma di polmonite virale riconosciuta a livello mondiale, causata dall'infezione da SARS-CoV2. La sintomatologia spesso inizia entro 2 settimane dal contagio e comprende principalmente febbre, affaticamento, tosse e mancanza di respiro. Le attuali conoscenze suggeriscono che mentre la maggior parte dei soggetti infetti (80% -90%) mostra sintomi lievi o può essere asintomatica, circa il 5% può sviluppare polmonite, ARDS e disfunzione multiorgano che porta alla morte. Premesso questo è indiscutibile che uno stato nutrizionale ottimale riduca efficacemente l'infiammazione e lo stress ossidativo, migliorando la regolazione del sistema immunitario. Inoltre, un'integrazione di vitamina C potrebbe essere efficace per migliorare lo stato di salute dei pazienti considerati ad alto rischio di infezioni virali, ovvero delle categorie già citate.
Nella figura il meccanismo schematico in cui una IA di vitamina C potrebbe modulare funzioni specifiche dei neutrofili (ROS e TNFα, mediata da IL-1β), inibendo le vie coinvolte nella formazione della trappola extracellulare dei neutrofili (NETosis) e riducendo la produzione incontrollabile di citochine infiammatorie nell'alveolare spazio. Potenziali effetti sulla riduzione della produzione di citochine sono stati ipotizzati anche nei linfociti e nei macrofagi. ROS, specie reattive dell'ossigeno; NFkB, fattore di trascrizione nucleare kappa B; ┴, stimolo di inibizione; freccia tratteggiata, effetto o produzione ridotti.
Ma non è tutto. Infatti, un'integrazione di vitamina C potrebbe modulare l'infiammazione, con potenziali effetti positivi sulla risposta immunitaria alle infezioni. Soprattutto in casi particolari. Tra questi, la sepsi, una disfunzione d'organo pericolosa per la vita causata da una ridotta risposta dell'ospite all'infezione, caratterizzata da un drammatico fallimento del sistema circolatorio, metabolico e immunitario e riconosciuta come la causa principale di morte per infezione: i pazienti che sviluppano shock settico possono avere tassi di mortalità fino al 50%. In queste condizioni cliniche la letteratura mostra che alte dosi di vitamina C per infusione endovenosa possono ridurre la produzione di citochine infiammatorie connesse e potenzialmente migliorare i risultati importanti quali la durata del tempo di ventilazione meccanica e mortalità. Ciò è di particolare importanza poiché la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) è una delle condizioni gravi più frequenti registrate nei pazienti COVID-19. L'ARDS è una sindrome grave e, in alcuni casi fatale, caratterizzata da una forte risposta infiammatoria con massiccio danno alveolare e insufficienza multiorgano, che richiede un trattamento in unità di terapia intensiva (ICU). Gli autori dell'indagine hanno poi riportato una percentuale di casi di ARDS di circa il 15% tra i pazienti ospedalizzati con infezione da SARS-CoV2.
La vitamina C è un nutriente essenziale che deve essere assunto attraverso l'alimentazione poiché gli esseri umani non sono in grado di sintetizzarlo. Il nostro corpo, nel corso del tempo, ha così sviluppato un efficace sistema di adattamento che mantiene le riserve organiche di vitamina C e ne previene la carenza dovuta a un basso apporto alimentare. Questi adattamenti includono una maggiore capacità di assorbimento e riciclaggio della vitamina C rispetto ad altre specie animali (ad esempio capre e rettili), che normalmente sono in grado di produrla. Negli esseri umani, al contrario, il muscolo scheletrico rappresenta il principale contenitore di vitamina C. L'omeostasi della vitamina C è finemente regolata da almeno quattro meccanismi: assorbimento intestinale, trasporto ai tessuti, riassorbimento renale ed escrezione di urina, regolati principalmente da una famiglia di proteine denominate trasportatori di vitamina C dipendenti dal sodio (SVCT). Oltre a un'ampia gamma di percorsi biochimici in cui è coinvolta la vitamina C, partecipa anche alla risposta del sistema immunitario innato e adattativo.
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Per approfondimenti:
Frontiers in Immunology “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19”
PubMed "Evolution and the need for ascorbic acid"
MDPI "Vitamin C and Immune Function"
Il Messaggero "Covid, influenza stagionale e coronavirus: come distinguere i sintomi in caso di febbre"
Centro meteo italiano "Coronavirus, influenza stagionale e raffreddore, come distinguerli: i sintomi e le caratteristiche"
Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"
Salute Prevenzione "Nella guerra contro i Virus la scienza si dimentica sempre del Sistema Immunitario"
Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"
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8 pazienti su 10 ricoverati per Covid con carenza di vitamina D. Lo dimostra indica lo studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism e condotto in Spagna, dal gruppo di José Hernández, dell'Università della Cantabria a Santander. Difatti, questo prezioso nutriente è fondamentale per il corretto funzionamento del sistema immunitario, prima linea di difesa nel contrasto agli agenti esterni. Un dato rilevante, anche se riferito a un solo ospedale spagnolo, a conferma dei precedenti studi epidemiologici secondo cui la carenza di vitamina D è più diffusa in quei Paesi dove il coronavirus ha mostrato una carica virale maggiore, provocando di conseguenza più vittime. L’équipe di ricercatori ha riscontrato che oltre 8 pazienti su 10 ricoverati per Covid nell'ospedale spagnolo durante la prima ondata di contagi erano carenti di vitamina D. Tra questi, sono soprattutto uomini ovvero, quelli con una mortalità maggiore rispetto alle donne. Inoltre, dall’indagine condotta è emerso che, più marcata era la carenza vitaminica, maggiori erano i marcatori infiammatori legati a grave infezione nel sangue dei pazienti.
In sostanza, «se il ruolo protettivo della vitamina D contro la sindrome Covid 19 fosse confermato dal trial clinico attualmente in corso in Gran Bretagna – evidenzia Hernández -, un approccio preventivo contro questo virus potrebbe essere quello di sopperire all’ipovitaminosi D, in particolare per le persone più a rischio come anziani, pazienti con altre patologie come il diabete ed il personale sanitario nei presidi di lunga degenza, ovvero tutte le popolazioni più a rischio di ammalarsi di COVID-19 in forma grave e con complicanze». A sostenere la tesi che le persone con bassi livelli di vitamina D potrebbero essere più vulnerabili al coronavirus, anche lo studio pubblicato sul Journal of American Medical Association Network Open e condotto dagli esperti dell'Università di Chicago che hanno esaminato la relazione tra i livelli di vitamina D e la maggiore probabilità di contrarre COVID-19 . «La vitamina D svolge un ruolo importante nel sistema immunitario, assicurando la salute delle cellule T e dei macrofagi, che combattono le infezioni» spiega David Meltzer dell'Università di Chicago. L’esperto sottolinea che anche indagini precedenti avevano già evidenziato un legame tra livelli più bassi di vitamina D e tassi più elevati di malattie respiratorie, come asma, tubercolosi o infezioni virali capaci di compromettere la regolare attività polmonare. «Secondo i nostri dati, tuttavia - continua lo scienziato -, la vitamina D, […] sembra essere collegata a una minore probabilità di infezione in forma grave». L'équipe di ricercatori ha sottolineato che chi era carente aveva un rischio 1,77 volte superiore rispetto a chi aveva livelli adeguati.
Da sempre tra i principali fattori di rischio. Tra le diverse patologie associate a una maggiore esposizione al Covid, viene allocata sin dall’esordio di questa pandemia, anche l’ipovitaminosi D. Ora, un altro studio, sembrerebbe confermare l’aiuto offerto contro la SARS-CoV-2 da livelli adeguati di questa vitamina. Pertanto, come evidenziato dagli scienziati «è stato riscontrato che il trattamento con vitamina D riduce l'incidenza di infezioni virali delle vie respiratorie, specialmente nei pazienti con carenza di vitamina D». Inoltre, studi precedenti, in particolare quello di un team di ricerca britannico composto da scienziati del The Queen Elizabeth Hospital Foundation Trust e dell’Università dell’East Anglia avevano trovato un’associazione tra tasso di decessi superiore per COVID-19 e popolazioni con vitamina D carente, mentre i professori Giancarlo Isaia dell’Accademia di Medicina di Torino ed Enzo Medico dell'Università degli Studi di Torino avevano rilevato una “elevatissima prevalenza di Ipovitaminosi D” nei pazienti con COVID-19 ricoverati nel capoluogo piemontese.
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Questa vitamina rafforza l'immunità innata, quindi potrebbe portare a una riduzione dell’infezione. Tuttavia, la quantità di vitamina D presente in quello che mangiamo non è sufficiente, poiché bisognerebbe mangiare questi alimenti in quantità troppo elevata. «La sintesi di essa da parte dell’organismo, attivata dall’esposizione alla luce solare, contribuisce all’80-90% dell'apporto di vitamina D. La sua assunzione con gli alimenti copre il 10–20 % del fabbisogno. Ne consegue che l’assunzione con la sola dieta non è generalmente sufficiente a mantenere il giusto apporto di vitamina D» spiega Renato Masala, endocrinologo della piattaforma di esperti di Top Doctors. Per questo è importante ricorrere al supporto di integratori alimentari per ovviare a questo deficit vitaminico. «La vitamina D è fondamentale per il nostro sistema immunitario perché coordina l’attività di tutte le sue cellule: sia quelle coinvolte nell’immunità innata che quelle dell’immunità adattativa» spiega Christian Orlando, biologo. «Il recettore per la Vitamina D – continua l’esperto - è particolarmente sviluppato nelle cellule del sistema immunitario. L’azione della Vitamina D è quella di modulare la risposta del nostro sistema immunitario ad esempio riduce il rischio di allergie, aumenta la protezione verso le infezioni ed ha anche un ruolo importante nella prevenzione delle patologie autoimmuni».
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Inoltre, evidenzia Orlando: «La letteratura scientifica, infatti, ha confermato la capacità della vitamina D di agire sulle cellule immuno-competenti, attivandole e studi recenti dimostrano come i livelli ematici di vitamina D influenzino la funzionalità dei macrofagi, cellule dell’immunità innata. A livello polmonare, in particolare, la presenza di un virus o batterio attiva i macrofagi, che inviano stimoli per promuovere l’attivazione della vitamina D e l’espressione dei suoi recettori VDR: in questo modo induce la produzione di citochine e varie molecole coinvolte nell’infiammazione, con lo scopo di eliminare il microrganismo invasore». «Per quanto riguarda l’immunità adattativa, invece la vitamina D, accumulata nelle cellule del tessuto adiposo (gli adipociti), passa nel circolo linfatico e raggiunge i linfonodi. Qui lega i propri recettori VDR all’interno dei linfociti B, stimolando la produzione di anticorpi» conclude il biologo.
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ANSA "Covid: carenza vitamina D per oltre 80% pazienti ricoverati"
Leggo "Covid, 8 pazienti su 10 ricoverati in ospedale erano carenti di vitamina D"
Giornale di Brescia "Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti ricoverati"
Corriere del Ticino "Carenza di vitamina D nell’80% dei pazienti COVID"
JAMA Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"
Corriere della Sera "La carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo in Covid-19?"
AGI "Le carenze di vitamina D potrebbero aumentare la vulnerabilità al Covid"
Fanpage "La vitamina D riduce il rischio di COVID-19, lo conferma un nuovo studio"
Dire "Il 60% dei bambini ha carenza di vitamina D"
Corriere Nazionale "Il 60% dei bambini soffre di carenza di vitamina D"
Huffington Post "Bagni di sole e camminate nei boschi per difendervi dal virus. I consigli del Trinity College"
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Dal Medio Oriente al Mediterraneo. Conosciuto già nell’Antico Egitto per sue notevoli peculiarità. Un concentrato di acidi grassi essenziali, omega 3 e omega 6, ma anche sali minerali, lipidi e fibre. Toccasana per la salute, l’olio di semi di lino è una vera miniera di sostanze benefiche e proprietà antiossidanti di cui già Ippocrate ne raccomandava l’uso. Quindi, già dall’antichità veniva consigliato il consumo di quest’olio ricchissimo di grassi fondamentali per preservare l’integrità delle nostre membrane cellulari. Tra le altre proprietà, ottimo rimedio naturale per la cura di bruciori e problemi allo stomaco. Ma le proprietà di questo ingrediente non finiscono qui. Difatti, la notevole presenza di omega 3, rinforza il sistema immunitario e in tal modo lo rendono più forte e in grado di contrastare il proliferare delle cellule cancerogene. Ulteriore contributo è quello della vitamina E, un potente antiossidante che interviene anche sulle malattie degenerative e, più in generale, sulla degenerazione cellulare.
Importantissimo in ambito nutrizionale. Ricavato dai semi della pianta Linum Usitatissimum, noti per l’elevata presenza di lipidi, proteine e sali minerali. L’olio di semi di lino è costituito da una grossa percentuale di acido alfa-linolenico (ALA) e da acido oleico, glicosidi e lignani. Grazie all’acido alfa-linolenico, infatti, caratterizzato dalla presenza di omega 3, gode di preziose proprietà antiossidanti e vasoprotettive che lo rendono un vero e proprio concentrato di benessere. A questo prodotto vengono associate inoltre proprietà anti-aterogene e antinfiammatorie, rendendolo un efficace rimedio utile anche alla prevenzione nella cura della stitichezza, di problemi cardiovascolari e ipertensione. Oltre alle patologie autoimmuni e ai tumori, come dimostrato nei recenti studi scientifici, grazie soprattutto alle proprietà dell’acido alfa-linolenico, conosciuto anche per le sue capacità immunoregolatorie. Senza trascurare poi la sua importante funzione anti-aging nella riduzione dell’invecchiamento di cellule. Perfetto quindi anche come antirughe! Prezioso alleato della chioma, non solo nel contrasto alla formazione delle doppie punte, ma perfetto anche per idratare i capelli.
Ricchi di minerali, proprietà emollienti e protettive questo super food è un vero e proprio elisir per l’intestino e la digestione oltre ad essere un ottimo depurativo per l’organismo. L'alto contenuto di proteine e grassi insaturi, in particolare omega 3 rendono questo alimento importante per la nostra salute. Aiutano il cuore e rinforzano il sistema immunitario. Sono, inoltre, fonte di minerali e vitamine tra cui fosforo, rame, magnesio e manganese, oltre a vitamine del gruppo B, vitamina C, E, K e vitamina F che favoriscono la formazione delle membrane cellulari, combatteno l'invecchiamento, le infezioni e aiutano ad abbassare il colesterolo cattivo nel sangue. «Dai semi di lino - particolarmente ricchi di sali minerali, proteine e soprattutto lipidi - è possibile estrarre un olio costituito per il 40-60% da acido alfa-linolenico (ALA), noto precursore degli acidi grassi essenziali della serie omega 3, per il 15% da acido oleico e in piccola parte da altre molecole biologicamente attive, come i lignani e i glicosidi» spiega Christian Orlando, nutrizionista. «All'olio di semi di lino – continua l’esperto - vengono classicamente attribuite proprietà antinfiammatorie, anti-aterogene, anti-trombotiche ed antiproliferative». «Per questi motivi, l'olio di semi lino è utilizzato nella prevenzione e nel trattamento della stitichezza, delle dislipidemie, dell'ipertensione e delle complicanze cardiovascolari» precisa il biologo.
OMEGA 3, ecco perchè è importante integrarli per la nostra salut
«Recenti studi avrebbero inoltre dimostrato l'utilità dell'olio di semi di lino nella gestione di patologie complesse, come le patologie autoimmuni e il cancro. Uno dei più importanti ambiti di applicazione dell'olio di semi di lino è quello cardiologico» evidenzia Orlando. Secondo l’esperto, la letteratura attribuirebbe sia all'ALA che ai lignani, di cui l'olio di semi di lino è particolarmente ricco, funzioni cardioprotettive e vasoprotettive. «Tali attività – sottolinea il biologo - si espleterebbero attraverso meccanismi diversi, tra i quali l’inibizione dell'aggregazione piastrinica, e minor tendenza a formare trombi; l’azione antinfiammatoria nei confronti dell'endotelio; l’azione ipocolesterolemizzante; e l’azione antipertensiva». «All'olio di semi di lino viene tradizionalmente attribuita una funzione importante anche sul mantenimento della normale funzionalità intestinale, tale attività, oltre all'effetto emolliente dell'olio sulle feci, sarebbe ancora una volta riconducibile alla presenza dei lignani, che oltre a normalizzare la peristalsi, eserciterebbero una funzione protettiva nei confronti della mucosa intestinale» conclude. I semi di lino aiutano, quindi, a proteggerci da infiammazioni interne, come la cistite, o esterne, che interessano soprattutto l’epidermide. La presenza di lecitina poi, assicura il buon funzionamento del cervello e del sistema nervoso. Inoltre, le proprietà emollienti e protettive del loro derivato vengono impiegate soprattutto in cosmesi per bellezza e salute di pelle e capelli. Ma quello che non tutti sanno è che, questi semi, facilitano la perdita di peso: aiutano a bruciare i grassi convertendoli in energia. Insomma, l’alimento ideale da inserire in una dieta poiché, contribuisce anche a prolungare il senso di sazietà.
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Dalla paura dell’influenza a quella per il Covid. Con l’inverno ormai alle porte, è importante non farsi trovare impreparati e la prima cosa da fare è quella di aumentare la nostra difesa immunitaria. Al via con un potente alleato: il cibo. Tassello prezioso nella lotta contro i virus è proprio l’alimentazione. «In teoria il nostro sistema immunitario dovrebbe produrre tutte le difese che ci riparano dai virus. Per questo dobbiamo lavorare sul sistema immunitario combattendo gli stress ossidativi. Un discorso che riguarda soprattutto chi pratica sport a livello intenso, ma non solo», spiega a Gazzetta Act!ve la dottoressa Emanuela Russo, dietista INCO (Istituto Nazionale per la Cura dell’Obesità) dell’IRCCS Policlinico San Donato di Milano. E ancor più chi, una dieta ricca di antiossidanti, è consigliata soprattutto a chi pratica quotidianamente attività fisica ed è sottoposto a un articolare stress ossidativo. Queste persone, infatti, dovrebbero prestare maggiore attenzione all’alimentazione. «Quando ci si allena intensamente si provoca uno stress ossidativo importante, che può esporre maggiormente ai virus».
La nutrizionista suggerisce innanzitutto di includere nella dieta una componente fondamentale per potenziare il nostro sistema immunitario: gli antiossidanti. «Proprio per contrastare lo stress ossidativo bisogna lavorare prima di tutto sugli antiossidanti. Fondamentale è la vitamina C o acido ascorbico. Questa vitamina va a lavorare in maniera positiva a livello di difese immunitarie perché va a ridurre la produzione di radicali liberi. Dovremmo assumerne almeno un grammo al giorno tutti i giorni». Questo nutriente è noto per il suo effetto antiossidante e immunomodulante. Un concentrato di proprietà nutritive benefiche per il nostro organismo. rinforza le difese immunitarie, contrasta i radicali liberi e protegge dalle infezioni. La vitamina C interviene nella formazione di ossa, pelle e denti, sostiene l’attività muscolare, partecipando alla produzione di energia a livello cellulare. «La vitamina C è fondamentale per il mantenimento dell’integrità delle barriere mucosali, ad esempio nel tratto gastrointestinale e respiratorio – spiega Salamone – supporta infatti la sintesi del collagene e protegge le membrane cellulari allo stress ossidativo. È coinvolta nella regolazione delle cellule immunitarie, potenzia l’azione dei linfociti natural killer e l’attività dei macrofagi, e promuove la sintesi di anticorpi».
A, B, C e D. Tra gli altri nutrienti importanti non poteva certo mancare la “vitamina del sole”. «La vitamina D, che sappiamo essere contenuta in pochi alimenti come latte, formaggi, tuorlo d’uovo, olio di fegato di merluzzo, pesci grassi (come sgombro, sardina, salmone) – spiega la nutrizionista nell’intervista alla Gazzetta Act!ve -, ma la abbiamo soprattutto esponendoci al sole, oppure attraverso integrazioni. Un livello di vitamina D basso porta anche ad una maggiore predisposizione ad alcune patologie come la dermatite atopica o il morbo di Crohn: alti livelli di vitamina D riducono le recidive e tengono sottotono la parte acuta di queste patologie. Questo nutriente è, infatti, indispensabile per rafforzare la risposta immunitaria contro gli attacchi esterni, ma anche per rendere più forti e sani sia i denti che le ossa. Inoltre favorisce la prevenzione di numerose malattie cronico-degenerative oltre al metabolismo del calcio. La vitamina D è quasi sempre insufficiente e spesso va integrata separatamente. Proprio per questo può essere assunta come alimento solo in minima parte, il resto è prodotto grazie all’esposizione alla radiazione solare, in particolare ai raggi UVB. Quindi, non dimentichiamo di stare al sole il più possibile per fare il pieno di questa preziosa vitamina. È poi importante la vitamina E. E ancora: il betacarotene, precursore della vitamina A. E’ presente nell’olio di fegato di merluzzo, nelle carote, nella zucca, nelle albicocche secche, nel cavolo verde, nel broccolo, nel cavolfiore e nelle verdure a foglia larga».
Oltre alle vitamine c’è di più! Contribuiscono a rinforzare le nostre difese anche due preziosi minerali come lo zinco e il selenio. «Zinco e selenio sono minerali importanti per la loro attività antiossidante e anche la glutammina e l'arginina, aminoacidi che lavorano proprio contro lo stress ossidativo». Altro importante modulatore della risposta immunitaria è proprio lo zinco a cui si attribuisce la capacità di rimarginare rapidamente le ferite (comprese le ulcere e i danni alle arterie), di aiutare a prevenire i raffreddori (migliora la risposta immunitaria), di migliorare la vista, di migliorare l’odore corporeo, di combattere l’acne e l’ingrossamento prostatico» si legge nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti di Adriano Panzironi. E ancora, il nostro sistema immunitario necessita anche dell’apporto giornaliero di selenio. «[…] utilizzato per fluidificare il sangue, regolare, regolare le prostaglandine e la viscosità delle piastrine, prevenendo malattie coronariche, l'ictus e l'insufficienza cardiaca. Tale minerale è funzionale per il sistema immunitario» si legge nel libro.
INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico
A tal proposito, e ancor più, per evitare di incorrere in queste carenze, sarebbe buona abitudine giocare d’anticipo, bilanciando la dieta con determinati nutrienti e con i preziosi integratori alimentari al fine di fornire al nostro corpo la "benzina" necessaria. Ovviamente, «non esiste una regola per l’assunzione, l’integratore va usato finché ce n’è bisogno (ovvero, laddove necessario, anche per sempre). Normalmente si assumo con dei cicli, [...] ma bisogna essere consapevoli che i benefici non durano per sempre, ma solo durante l’integrazione» spiega a Vanity Fair, Filippo Ongaro, ex medico degli astronauti ed esperto in nutrizione ed integratori. Anche se non ci sono integratori stagionali, né quelli maggiormente indicati per l’estate o per l’inverno, non dimentichiamo che ci sono, tuttavia, integratori alimentari specifici per colmare particolari carenze oltre, ovviamente, ai segnali che emette il nostro corpo in risposta alle diverse condizioni esterne. Questi integratori ci aiutano ad avere valori sempre ottimali, e quindi, l’organismo ben protetto e, il valore ottimale di alcuni nutrienti nell'organismo è fondamentale per avere un sistema immunitario capace di proteggerci anche da virus e influenze stagionali. «I principali micronutrienti classici che sostengono il normale funzionamento del sistema immunitario e le difese naturali sono vitamina C, vitamina D, zinco, selenio e magnesio», spiega Maurizio Salamone, direttore scientifico di Metagenics Italia. «Oltre a questi, numerosi studi clinici hanno mostrato che alcuni principi attivi contenuti negli estratti di piante come la curcuma e l’echinacea possono modulare o stimolare le difese immunitarie».
Gazzetta Act!ve "Cosa mangiare per aumentare le difese immunitarie? La dietista: “Vitamina C, D, ma anche zinco e…"
Vanity Fair "Gli integratori per rinforzare il sistema immunitario"
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Non solo colpa del “periodo delle castagne”. Sempre più diffuso soprattutto durante la stagione autunnale. La fastidiosa caduta dei capelli non risparmia proprio nessuno. Infatti, secondo l’Italy Report Beauty Track, è tra le principali preoccupazioni delle millennials: l’80% delle donne tra i 25 e 34 anni dichiara di perdere i capelli. Le cause? Dallo stress all’alimentazione disordinata, dall’inquinamento all’uso eccessivo di piastre e phon. Questi, tra i principali fattori che contribuiscono a indebolire il bulbo pilifero e a danneggiare, di conseguenza, la fibra capillare provocandone la rottura o la caduta. Tuttavia, sono soprattutto, fattori biologici come lo stress emotivo, i cambiamenti ormonali, abitudini alimentari e la routine ad influenzare il ciclo di vita dei nostri capelli agendo alla sua radice che, si indebolisce sempre più fino a lasciarlo cadere. I fattori esterni o di stress quotidiani, invece, come ad esempio lo styling termico, potrebbero causare l'indebolimento della fibra stessa. I capelli continueranno a crescere, nonostante la rottura della fibra causata dalle aggressioni cosicché questi finiranno per spezzarsi e diventare sempre più fragili.
Dalla caduta dei capelli alla CALVIZIE, cause e rimedi naturali
«Ci sono due ragioni per cui si ha una caduta temporanea di capelli: da un lato si tratta di una reazione allo stress, dall’altro è un processo progressivo legato ad un indebolimento del bulbo alla radice», spiega in un’intervista a D Repubblica l’hairstylist David Lucas. «Noi perdiamo tra i 40 ai 100 capelli al giorno quindi non c’è nulla da temere. I capelli si rinnovano costantemente. D’altro canto, se i capelli sono fragili, l’uso frequente di spazzola o phon o anche l'attrito con un asciugamano può sensibilizzarli ancora di più. Anche gli elastici possono danneggiarli!». Un consiglio? «Oltre a utilizzare i prodotti per il giusto trattamento è necessario massaggiare regolarmente il cuoio capelluto in modo da stimolare la microcircolazione» conclude. Non dimentichiamo comunque che il capello ha un ciclo vitale che si sviluppa in tre fasi prima di essere sostituito da un nuovo capello: nascita e sviluppo (fase anagen), crescita (catagen) e caduta (telogen). Quindi anche i capelli hanno un proprio ciclo vitale che va dai 2 ai 7 anni e che si ripete circa 20 volte. Perdere fino a 100 capelli al giorno, per le chiome folte, è da considerarsi naturale ricambio fisiologico.
«È fisiologico che le persone perdano da 50 a 200 capelli al giorno. Poiché ciascun capello ha uno suo ciclo di vita, è normale che i capelli cadano in modo casuale nelle diverse zone della testa», spiega a D Repubblica la dermatologa, Laura Scott. «Se i capelli cadono più della normale quantità giornaliera, oppure la caduta è concentrata in un’area specifica della testa, allora siamo di fronte ad un’anomalia e bisogna intervenire. Inoltre, la caduta temporanea dei capelli prima dei 35 anni è molto diffusa, sia per cause legate alla salute del bulbo, sia per la sensibilizzazione del fusto. Non c'è motivo per cui i capelli cadano di più con l'invecchiamento, ma la caduta può derivare da effetti collaterali dei farmaci, malnutrizione, depressione e malattie, che sono più comuni in quelli in età avanzata». L’esperta poi, si legge nell’intervista, spiega la relazione con un fattore cruciale come lo stress. «Non ci sono studi che colleghino in maniera diretta la qualità del sonno con la perdita dei capelli ma esiste sicuramente un legame tra la qualità del sonno e i livelli di ormoni dello stress i quali, a loro volta, influenzano il follicolo pilifero e possono portare alla caduta occasionale dei capelli».
Insomma, stress, sonno e alimentazione. La caduta dei capelli potrebbe dipendere da una serie di fattori non trascurabili. Nel caso della perdita di capelli durante il cambio di stagione le cause sono da ricondursi a fenomeni fisiologici. Spesso l'alimentazione è tra i primi fattori da considerare. Difatti, la carenza di alcuni elementi nutritivi potrebbe rendere il capello più debole e provocarne la caduta. Viste le principali cause scopriamo ora come prevenirla! Innanzitutto cominciamo con la giusta alimentazione e la corretta integrazione. Particolare attenzione alla dieta! Nel contrasto alla caduta dei capelli è fondamentale uno stile alimentare sano ed equilibrato, ricco di vitamine e minerali. l cibi, infatti, sono fondamentali per la salute della nostra chioma. Non dimentichiamo poi che le proteine aumentano la crescita. La vitamina B12, inoltre, contenuta in uova, carne e pollame, è fondamentale sia per la crescita che per il benessere, mentre i cibi ricchi di ferro come i broccoli o il lievito di birra ne combattono la perdita. La biotina poi, presente nel fegato e nel tuorlo d'uovo, è essenziale per la naturale crescita dei capelli, ma anche la caffeina che favorisce e stimola la crescita. Per aumentare i sali minerali nell'organismo è importante mangiare frutta e verdura di stagione, meglio se cruda. E ancora il miglio, che fortifica la chioma. Gli alimenti ricchi di betacarotene, trasformato in vitamina A, sono indispensabili. Preziosi per il benessere della nostra chioma anche la vitamina C che promuove la produzione di collagene e che troviamo negli agrumi, nell'insalata, nelle patate, nei pomodori, oltre che nei mirtilli, nelle more e nelle fragole.
CALVIZIE: dalla caduta dei capelli all'alimentazione
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Le persone con bassi livelli di vitamina D potrebbero essere più vulnerabili al coronavirus. È quanto evidenzia lo studio pubblicato sul Journal of American Medical Association Network Open e condotto dagli esperti dell'Università di Chicago che hanno esaminato la relazione tra i livelli di vitamina D e la maggiore probabilità di contrarre COVID-19 . «La vitamina D svolge un ruolo importante nel sistema immunitario, assicurando la salute delle cellule T e dei macrofagi, che combattono le infezioni» spiega David Meltzer dell'Università di Chicago. L’esperto sottolinea che anche studi precedenti avevano già evidenziato un legame tra livelli più bassi di vitamina D e tassi più elevati di malattie respiratorie, come asma, tubercolosi o infezioni virali capaci di compromettere la regolare attività polmonare. «Secondo i nostri dati, tuttavia - continua lo scienziato -, la vitamina D, […] sembra essere collegata a una minore probabilità di infezione in forma grave». L'équipe di ricercatori ha sottolineato che chi era carente aveva un rischio 1,77 volte superiore rispetto a chi aveva livelli adeguati.
Inoltre, non dimentichiamo che, la vitamina D viene sintetizzata attraverso la luce solare. «I livelli più alti di melanina – osserva ancora il ricercatore - sono associati a una maggiore difficoltà di assorbire la vitamina D, per cui abbiamo voluto verificare la correlazione tra la tonalità della pelle e l'incidenza di coronavirus». L’indagine è stata condotta su un campione di 489 persone, il 68% delle quali non aveva la pelle bianca. Dai risultati è emerso che il 25% (124 partecipanti) dei soggetti presentava livelli più bassi di vitamina D, sufficiente il livello registrato per il 59% (287 partecipanti) e incerto per il 16% (78 partecipanti). «Tra coloro che avevano tassi più elevati di vitamina D - prosegue l'autore - il 15% (71 partecipanti) è risultato positivo al coronavirus, mentre nel gruppo dei partecipanti con livelli più bassi la percentuale saliva al 19%». Inoltre, gli esperti della Mayo Clinic, un'organizzazione non-profit per la pratica e ricerca medica statunitense, raccomandano di assumere almeno 600 unità di vitamina D, prendendo il sole o assumendo integratori. «La sola vitamina D non rappresenta certamente un fattore influente al 10%, ma potrebbe svolgere un ruolo nell'organismo che ancora non comprendiamo» precisa Meltzer. Il risultato positivo è stato poi associato con altri fattori di rischio quali l'aumento dell'età, razza non bianca.
Da sempre tra i principali fattori di rischio. Tra le diverse patologie associate a una maggiore esposizione al Covid, viene allocata sin dall’esordio di questa pandemia, anche l’ipovitaminosi D. Ora, un nuovo studio, sembrerebbe confermare l’aiuto offerto contro il SARS-CoV-2 da livelli adeguati di questa vitamina. Pertanto, come evidenziato dagli scienziati nell’abstract dello studio «è stato riscontrato che il trattamento con vitamina D riduce l'incidenza di infezioni virali delle vie respiratorie, specialmente nei pazienti con carenza di vitamina D». Studi precenti, in particolare quello di un team di ricerca britannico composto da scienziati del The Queen Elizabeth Hospital Foundation Trust e dell’Università dell’East Anglia avevano trovato un’associazione tra tasso di decessi superiore per COVID-19 e popolazioni con vitamina D carente, mentre i professori Giancarlo Isaia dell’Accademia di Medicina di Torino ed Enzo Medico dell'Università degli Studi di Torino avevano rilevato una “elevatissima prevalenza di Ipovitaminosi D” nei pazienti con COVID-19 ricoverati nel capoluogo piemontese. I dettagli della nuova ricerca americana sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica JAMA Open Netowrks.
Se la vitamina D riduce l'incidenza di COVID-19, si è tentati di considerare che forse potrebbe ridurre anche la sua trasmissione. Questa vitamina rafforza l'immunità innata, quindi potrebbe diminuire di conseguenza l’infezione. Inoltre, influisce anche sul metabolismo dello zinco, che riduce la replicazione dei coronavirus. Tuttavia, prevenire l’ipovitaminosi D è possibile. Le fonti naturali di approvvigionamento di vitamina D sono sostanzialmente due: la luce solare e gli alimenti. Il cibo è la seconda fonte: succo d’arancia, uova, fegato e olio di merluzzo. Tuttavia, la quantità di vitamina D presente in quello che mangiamo è di per sé insufficiente ad ovviare questo deficit vitaminico, poiché bisognerebbe mangiare questi cibi in quantità troppo elevata. Da qui la necessita di avvalersi del prezioso sostegno degli integratori. «La sintesi di essa da parte dell’organismo, attivata dall’esposizione alla luce solare, contribuisce all’80-90% dell'apporto di vitamina D. La sua assunzione con gli alimenti copre il 10–20 % del fabbisogno. Ne consegue che l’assunzione con la sola dieta non è generalmente sufficiente a mantenere il giusto apporto di vitamina D» spiega Renato Masala, endocrinologo della piattaforma di esperti di Top Doctors.
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Al via con il decalogo della vitamina D. «Il 60% dei bambini italiani ha una ipovitaminosi: una carenza di vitamina D. Una percentuale molto alta che deve far riflettere noi clinici. I fattori di rischio sono: ridotta esposizione alla luce solare, elevata pigmentazione cutanea, allattamento al seno esclusivo senza profilassi, adolescenza e obesità» spiega in un’intervista a Dire Giuseppe Saggese, professore ordinario di Pediatria all’Università di Pisa (Unipi) e direttore responsabile di ‘Sipps’, la rivista ufficiale della Società italiana di Pediatria preventiva e sociale. Non solo l’infanzia, infatti, anche l’adolescenza è una fase a rischio ipovitaminosi D. Questo fenomeno è dovuto soprattutto dall’elevato numero di ore, nell’arco della giornata, che i ragazzi trascorrono a casa tra social network e serie televisive a discapito delle passeggiate all'aria aperta e sotto al sole. Altro fattore di rischio e strettamente correlato con l’ipovitaminosi è l’obesità. Infatti, l’insuccesso della perdita di peso potrebbe essere dovuto a una carenza di vitamina D. Numerosi studi dimostrano che i soggetti obesi o in sovrappeso presentano bassissimi valori di vitamina D nel sangue. In altre parole, riportare la vitamina D a livelli ottimali promuove la perdita di peso, potenzia gli effetti di una dieta ipocalorica e migliora il profilo metabolico. Quindi, «tutte le persone obese dovrebbero controllare i propri livelli di vitamina D e, in caso di deficit, assumere supplementi» spiega Luisella Vigna, a capo dell’indagine e responsabile del Centro Obesità e Lavoro del Dipartimento di Medicina Preventiva, Clinica del lavoro dell’Ospedale Maggiore Policlinico. Inoltre, aggiunge l’esperto nell’intervista a Dire «la vitamina D svolge un’azione precisa e specifica a livello scheletrico e, in caso di carenza, possono presentarsi problemi di rachitismo e un difetto di acquisizione di massa ossea».
Ovviamente non sono esclusivamente i più piccoli a soffrire di questo deficit. Ben il 70% degli italiani presenta una carenza di questo prezioso micronutriente con il conseguente rischio di osteoporosi. Percentuale che sale al 100% per le persone ospedalizzate. Prevenire l’ipovitaminosi D? Le fonti naturali di approvvigionamento di vitamina D sono due, la luce solare e gli alimenti. Il cibo è la seconda fonte: succo d’arancia, uova, fegato e olio di merluzzo. Tuttavia, la quantità di vitamina D presente in quello che mangiamo è di per sé insufficiente ad ovviare questo deficit, poiché bisognerebbe mangiare questi cibi in quantità troppo elevata. Da qui la necessita di avvalersi del prezioso sostegno degli integratori. «La sintesi di essa da parte dell’organismo, attivata dall’esposizione alla luce solare, contribuisce all’80-90% dell'apporto di vitamina D. La sua assunzione con gli alimenti copre il 10–20 % del fabbisogno. Ne consegue che l’assunzione con la sola dieta non è generalmente sufficiente a mantenere il giusto apporto di vitamina D» spiega Renato Masala, endocrinologo della piattaforma di esperti di Top Doctors. Inoltre, non dimentichiamo che, non solo la sua carenza è associata a un aumentato rischio di infarto miocardico e relativa insufficienza cardiaca acuta, ma ne peggiora addirittura gli esiti e le conseguenze.
1) La vitamina D è un fattore importante per la salute del bambino e dell’adolescente;2) La principale fonte di approvvigionamento di vitamina D è rappresentata dall’esposizione alla luce solare. La dieta fornisce quantità trascurabili di Vitamina D;3) La maggioranza degli organismi scientifici internazionali considera come sufficienti/normali i valori di vitamina D (25-OH-D) = 30 ng/m (=75 nmol/L), insufficienti i valori compresi tra 20 e 30 ng/ml (50 – 75 nmol/L) e come indicativi di deficit quelli =20 ng/ml (= 50 nmol/L), (deficit severo = 12 ng/ml: =30 nmol/L);4) E’ stata dimostrata un’elevata prevalenza di ipovitaminosi D (= 30 ng/ml = insufficienza + deficit) in età pediatrica. I principali fattori di rischio sono: ridotta esposizione al sole, elevata pigmentazione cutanea, allattamento al seno esclusivo senza profilassi, adolescenza, obesità, specifiche patologie (es. insufficienza epatica o renale), farmaci interferenti con il metabolismo della vitamina D (es.antiepilettici, corticosteroidi);5) La vitamina D svolge un’azione favorevole e ben definita a livello scheletrico. Il deficit di vitamina D influenza negativamente la salute ossea del bambino e dell’adolescente potendo determinare rachitismo e alterazione del processo di acquisizione della massa ossea;
Il 60% dei bambini ha carenza di vitamina D
6) La Vitamina D svolge diverse azioni extra-scheletriche, contribuendo in particolare alla regolazione del sistema immunitario. L’ipovitaminosi D è stata associata ad un aumentato rischio di infezioni respiratorie e a un peggiore controllo dell’asma. Al momento, nonostante l’interesse degli studi, l’eterogeneità degli stessi non permette di evidenziare un ruolo causale e/o terapeutico della vitamina D in tali condizioni patologiche;7) Il dosaggio della vitamina D non è indicato di routine, ma deve essere limitato ai casi con patologie scheletriche o altre condizioni in cui è clinicamente lecito sospettare una ipovitaminosi D. I risultati del dosaggio devono essere individualizzati nel singolo bambino in quanto sono influenzati da diversi fattori come il periodo dell’anno, l’esposizione al sole, l’ernia, l’indice di massa corporea, fattori genetici e la metodica di dosaggio;8) Nel primo anno di vita tutti i bambini devono ricevere la profilassi con 400 UI di Vitamina D, indipendentemente dal tipo di allattamento. Il nato pretermine (peso > 1.500 gr) necessita di dosi superiori (600-800 UI/die) fino al compimento di un’età post-concezionale pari a 40 settimane;9) Dopo il primo anno di vita, la profilassi (600 UI/die) deve essere individualizzata in base alla presenza o meno di fattori di rischio: durante il periodo invernale in Italia non è attiva la sintesi cutanea di vitamina D; particolare attenzione deve essere rivolta al periodo adolescenziale, quando si realizza il picco di massa ossea. Il mandato del pediatra è quello di valutare clinicamente (anamnesi, es. clinico) l’opportunità della supplementazione, in modo particolare da novembre ad aprile;10) L’assunzione di adeguati apporti di calcio è fondamentale per la salute ossea di bambini e adolescenti.
Numerosi studi dimostrano la maggiore efficacia della vitamina D nella prevenzione delle malattie. Nella lunga lista di patologie causate dalla deficienza di questa vitamina possiamo elencare: infezioni respiratorie acute, anafilassi, anemia, ansia, artrite, asma, arteriosclerosi, autismo, malattie autoimmuni, disordine bipolare, danni cerebrali, densità del tessuto mammario, fatica e dolore cronico, abilità cognitive, raffreddori, livelli della proteina C-reattiva, morbo di Crohn, fibrosi cistica, carie, depressione, diabete, dislessia, eczema, epilessia, fibromialgia, influenza, fratture, emicrania, problemi cardiaci, colesterolo alto, HIV/AIDS, ipertensione, disfunzioni del sistema immunitario, infiammazioni, infiammazioni intestinali, insonnia, patologie renali, leucemia, lombalgia, melanoma, meningite, sindrome metabolica, sclerosi multipla, miopia, dolori muscolari, obesità, osteoporosi, morbo di Parkinson, polmonite, psoriasi, schizofrenia, ictus, tubercolosi, etc…
Questo fondamentale nutriente ha un effetto benefico anche sulla longevità ed è fondamentale per il corretto funzionamento del sistema cardiocircolatorio e per la protezione di cuore e cervello, oltre ad essere utile per aumentare le difese del sistema immunitario, riducendo così il rischio di ammalarsi. Inoltre, previene gravi patologie tra cui diversi tipi di tumori ed è essenziale per il sistema nervoso. In ultimo, ma non meno importante, la vitamina D contribuisce anche alla riduzione di ansia e depressione. Quindi non solo per rinforzare la risposta, ma come miglior difesa contro ogni malattia e componente cruciale del nostro sistema immunitario.
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Non solo d’estate, ma anche in autunno. Con l’arrivo del freddo, il sistema immunitario viene messo a dura prova per proteggerci ed è costretto a lavorare il doppio per il nostro benessere. Il cibo, da solo, non sempre è sufficiente a colmare i nostri deficit alimentari. Da qui l’importanza della nutrizione potenziata per vivere in salute. Questo perché, i micronutrienti contenuti nei cibi che non sempre riescono ad arrivare al nostro organismo nelle quantità necessarie. Cosi, per assumere i tanto discussi integratori alimentari e potenziare, di conseguenza la propria dieta, non è necessario avere delle importanti carenze nutrizionali. Poiché la funzione principale degli integratori è quella di fornire sostanze biologiche importanti per avere non solo un corpo in ottima salute, ma anche per poter affrontare l’invecchiamento con una consistente riserva di nutrienti. Ovviamente, la scelta dell’integratore è soggettiva e varia in base alle esigenze e all’apporto di nutrienti da compensare, proprio come lo stile alimentare.
La risposta immunitaria è la nostra prima linea di difesa contro gli attacchi di agenti esterni. Interviene in due modalità: tramite l’immunità innata e quella adattiva. Mentre la prima è presente sin dalla nascita e lavora per impedire agli agenti esterni di entrare nel nostro corpo, la seconda è acquisita a partire dal primo anno di vita e viene potenziata ed “educata” in risposta alle infezioni e agli agenti estranei in cui il corpo si imbatte giorno dopo giorno. Infatti, il nostro corpo memorizza virus e batteri già incontrati così essere in grado di attuare le difese necessarie nel caso si ripresentassero. Quindi, è vero sì che le nostre difese immunitarie sono pronte a intervenire in caso di necessità, ma è necessario aiutarle e rafforzarle con uno stile di vita sano e un’alimentazione equilibrata grazie all’apporto di vitamine, minerali e sostanze nutritive. Tra gli altri fattori che indeboliscono il nostro sistema immunitario anche lo stress con il conseguente calo dell’umore e l’affaticamento mentale.
A tal proposito, e ancor più, per evitare di incorrere in queste carenze, sarebbe buona abitudine giocare d’anticipo, bilanciando la propria dieta con determinati nutrienti e con i preziosi integratori alimentari al fine di fornire al nostro corpo la "benzina" necessaria. Ovviamente, «non esiste una regola per l’assunzione, l’integratore va usato finché ce n’è bisogno (ovvero, laddove necessario, anche per sempre). Normalmente si assumo con dei cicli, [...] ma bisogna essere consapevoli che i benefici non durano per sempre, ma solo durante l’integrazione» spiega a Vanity Fair, Filippo Ongaro, ex medico degli astronauti ed esperto in nutrizione ed integratori. Anche se non ci sono integratori stagionali, né quelli maggiormente indicati per l’estate o per l’inverno, non dimentichiamo che ci sono, tuttavia, integratori alimentari specifici per colmare particolari carenze oltre, ovviamente, ai segnali che emette il nostro corpo in risposta alle diverse condizioni esterne. Questi integratori ci aiutano ad avere valori sempre ottimali, e quindi, l’organismo ben protetto e, il valore ottimale di alcuni nutrienti nell'organismo è fondamentale per avere un sistema immunitario capace di proteggerci anche da virus e influenze stagionali. «I principali micronutrienti classici che sostengono il normale funzionamento del sistema immunitario e le difese naturali sono vitamina C, vitamina D, zinco, selenio e magnesio», spiega Maurizio Salamone, direttore scientifico di Metagenics Italia. «Oltre a questi, numerosi studi clinici hanno mostrato che alcuni principi attivi contenuti negli estratti di piante come la curcuma e l’echinacea possono modulare o stimolare le difese immunitarie».
Facciamo il pieno di vitamina C! Conosciuto anche come acido ascorbico, questo nutriente è noto per il suo effetto antiossidante e immunomodulante. Un concentrato di proprietà nutritive benefiche per il nostro organismo, non solo d’estate. Infatti, questo indispensabile nutriente rinforza le difese immunitarie, contrasta i radicali liberi e protegge dalle infezioni. La vitamina C, preziosa per il sistema immunitario, interviene nella formazione di ossa, pelle e denti, sostiene l’attività muscolare, partecipando alla produzione di energia a livello cellulare. «La vitamina C è fondamentale per il mantenimento dell’integrità delle barriere mucosali, ad esempio nel tratto gastrointestinale e respiratorio – spiega Salamone – supporta infatti la sintesi del collagene e protegge le membrane cellulari allo stress ossidativo. È coinvolta nella regolazione delle cellule immunitarie, potenzia l’azione dei linfociti natural killer e l’attività dei macrofagi, e promuove la sintesi di anticorpi». Altro prezioso nutriente per l’autunno, la vitamina “del sole”. Indispensabile per rafforzare la risposta immunitaria contro gli attacchi esterni, ma anche per rendere più forti e sani sia i denti che le ossa. Inoltre favorisce la prevenzione di numerose malattie cronico-degenerative oltre al metabolismo del calcio. La vitamina D è quasi sempre insufficiente e spesso va integrata separatamente. Può essere assunta come alimento solo in minima parte, il resto è prodotto grazie all’esposizione alla radiazione solare, in particolare ai raggi UVB. Quindi, non dimentichiamo di stare al sole e mangiare tanto pesce per fare il pieno di questa preziosa vitamina.
Altro importante modulatore della risposta immunitaria è proprio lo zinco a cui si attribuisce la capacità di rimarginare rapidamente le ferite (comprese le ulcere e i danni alle arterie), di aiutare a prevenire i raffreddori (migliora la risposta immunitaria), di migliorare la vista, di migliorare l’odore corporeo, di combattere l’acne e l’ingrossamento prostatico» si legge nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti di Adriano Panzironi. E ancora, il nostro sistema immunitario necessita anche dell’apporto giornaliero di selenio. «[…] utilizzato per fluidificare il sangue, regolare, regolare le prostaglandine e la viscosità delle piastrine, prevenendo malattie coronariche, l'ictus e l'insufficienza cardiaca. Tale minerale è funzionale per il sistema immunitario» si legge nel libro. Essenziali per il benessere psicofisico, e soprattutto contro stanchezza e crampi muscolari, anche potassio e magnesio. Questi minerali rinforzano ossa, muscoli e tessuti mobili. «Gli integratori sono degli alimenti pensati per colmare eventuali carenze nutrizionali», sostiene Alessandra Bordoni in un'intervista a Vanity Fair, docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna.
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Febbre, tosse, raffreddore e dolori muscolari o articolari. Differenze e analogie confondono milioni di italiani. Tra i temi più discussi con l’arrivo dell’autunno, e di conseguenza dei primi malanni causati dagli sbalzi di temperatura, come riconoscere e distinguere l’influenza stagionale dal Covid. Confuse spesso a causa delle sintomatologie assai simili, secondo uno studio condotto da Assosalute, presentata durante una conferenza online, «il timore più diffuso tra gli italiani è proprio quello di non essere in grado di saperle distinguere prontamente. A sostenerlo, ben il 33% degli intervistati. Seguono poi il timore di non poter ricevere cure adeguate (14,7%), soprattutto tra gli over 65, e la paura di un nuovo isolamento (14%), soprattutto tra i più giovani». Difatti, rispetto agli anni precedenti, l’atteggiamento delle persone rispetto all’influenza è cambiato radicalmente. Tra le principali differenze degne di nota, la perdita di gusto (ageusia) e olfatto (anosmia) tipiche della Sars-CoV2, al contrario dell’influenza. Anche la tosse, in caso di Covid è secca e persistente. Altra differenza va ricondotta ai sintomi iniziali, il coronavirus si manifesta quasi sempre con febbre a cui poi si associano tosse e dolori muscolari. Al contrario, invece, l’influenza inizia quasi sempre con la tosse. Per quanto riguarda le difficoltà respiratorie poi, in caso di Covid evolvono spesso in polmonite, questo perché il patogeno tende a scendere nelle basse vie respiratorie.
«Distinguere la normale influenza da Covid-19 non è così semplice – spiega in un’intervista al Messaggero Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Irccs Istituto ortopedico Galeazzi - Nonostante i due virus siano diversi, i sintomi che caratterizzano l'influenza stagionale e Covid-19 sono molto simili. L’unico modo certo per fare una diagnosi differenziale è quindi quello di eseguire il tampone. È bene ricordare che l’influenza con cui abbiamo a che fare tutti gli anni presenta sempre le medesime caratteristiche: insorgenza brusca di febbre oltre i 38 gradi, presenza di almeno un sintomo sistemico (dolori muscolari/articolari) e di un sintomo respiratorio (tosse, naso che cola, congestione/secrezione nasale, mal di gola). La momentanea perdita (anosmia) o diminuzione dell’olfatto (iposmia), la perdita (ageusia) o alterazione del gusto (disgeusia), sono invece tipici del Covid e non legati all’influenza stagionale. Attenzione anche ai bambini: se assistiamo al verificarsi di un unico sintomo respiratorio, è verosimile che siamo di fronte a malanni di stagione, se invece se ne verifica più di uno contemporaneamente, è bene fare ulteriori accertamenti» suggerisce il virologo.
Come già detto, con l’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus è cambiato anche l'atteggiamento degli italiani in caso di sintomi influenzali rispetto al passato. Come dimostra la ricerca Assosalute, infatti, «se nel 2019 il 55% degli intervistati dichiarava che il primo comportamento, in caso di febbre, sarebbe stato rimanere a casa, riposare e assumere farmaci da banco, oggi lo conferma soltanto il 37,1%. Aumentano coloro che si rivolgeranno subito al parere del medico di base: il 34,5% rispetto al 12,3% del 2019». Sempre dall'indagine emerge che sono «stabili rispetto all'anno scorso le figure di riferimento in caso di febbre: il 53% degli italiani continuerà a rivolgersi al medico di base, seguito dal 28,4% che invece si affiderà alla propria esperienza, curandosi con gli usuali farmaci di automedicazione, soluzione più diffusa a cui farà ricorso, se necessario, il 60,6% degli italiani; cala invece il numero di coloro che si rivolgeranno al farmacista: sono il 14,6% degli intervistati, rispetto al 23,2% del 2019».
In ultimo, la raccomandazione di Pregliasco è quella di non uscire in caso di sintomi ed evitare il contatto con gli altri. Inoltre, il virologo suggerisce anche di evitare gli sbalzi di temperatura, preferire un’alimentazione sana e corretta e rinforzare il sistema immunitario, prima linea di difesa contro i malanni stagionali. Tra le altre cause di influenze e sindromi parainfluenzali, gli ambienti affollati e poco areati che creano le condizioni per la diffusione di virus e batteri. Per cui, il modo migliore per difendersi dagli attacchi degli agenti patogeni è, primo tra tutti, quello di potenziare il nostro sistema di difesa con un’alimentazione sana ed equilibrata insieme al prezioso supporto di integratori alimentari, soprattutto di vitamine e minerali che danno al nostro organismo una marcia in più per combattere gli attacchi esterni. «Un sistema immunitario efficiente — sottolinea Annamaria Colao in uno studio pubblicato sull’European Journal of Clinical Nutrition — è importantissimo per difenderci da malattie e virus e passa anche per una nutrizione corretta». La resistenza alle infezioni può essere, quindi, migliorata e facilitata grazie agli antiossidanti, che aiutano il nostro organismo a difendersi dall’attacco dello stress ossidativo. Via libera a tavola, quindi, agli agrumi e a tutti i cibi ricchi di vitamina C, considerata da sempre l’antiraffreddore per eccellenza.
Attenzione poi a non trascurare i fattori che indeboliscono il nostro sistema immunitario. Primo tra tutti, il consumo smodato di alcolici inibisce il sistema immunitario e altera il microbiota intestinale, riduce inoltre le capacità dei globuli bianchi di circondare e distruggere batteri pericolosi. L’eccesso di alcolici, interferisce anche con la produzione di citochine, rendendo più sensibili alle infezioni. Da evitare assolutamente quando è in corso un’infezione virale o batterica che sia. E ancora, l’uso eccessivo di sale riduce le difese immunitarie, e quindi, la possibilità di contrastare le infezioni batteriche. Stesso meccanismo con l’introduzione di zuccheri in quantità elevate.
Salute e nutrizione. L’A, B, C per il benessere dei nostri amici a quattro zampe. Nella ciotola, al via con i liofilizzati per cani. Un cibo prezioso e grande alleato del migliore amico dell’uomo. Difatti, questi alimenti sono ottenuti con un particolare processo conservativo, che permette di preservare tutte le peculiarità di un alimento. Questo particolare procedimento di essiccazione, che prende il nome di liofilizzazione, permette di prolungare la conservabilità di un prodotto preservandone integralmente, al tempo stesso, tutte le caratteristiche nutritive e organolettiche. Un’alimentazione sana e corretta è la ricetta segreta che getta le basi per l’elisir di lunga vita. Da qui l’importanza nell’attenzione per la scelta dello snack giusto, rigorosamente in linea con uno stile alimentare appetitoso e ricco di proprietà nutritive. In primis, è fondamentale focalizzarsi sull’importanza della carne. Puntiamo quindi su un’alimentazione varia e ricca di proteine animali. Non dimentichiamo poi di scegliere sempre la carne di qualità, ancora meglio se ad elevato valore biologico e nutrizionale. Bollino nero per i cibi che contengono additivi: da evitare non solo per noi, ma anche per i nostri amici pelosi. Non trascuriamo, infine, quegli alimenti a bassa allergenicità così da ricompensare in tutta sicurezza anche i cani che soffrono di intolleranze alimentari. Autentico concentrato di benessere e salute, questi alimenti sono veri e propri superfood poiché posseggono un contenuto di nutrienti superiore alla media dei cibi comuni.
Nel maremagnum dei prodotti per cani, trovare l’alimento adatto è sempre più difficile. I parametri più importanti e in grado di aiutarci in quest’arduo compito sono sostanzialmente due: quello qualitativo e quello nutrizionale. Attenzione poi a non confondere i cosiddetti cibi “completi” da quelli “complementari”. I primi, “sono mangimi composti che, per la loro composizione, sono sufficienti per una razione giornaliera” mentre, i secondi, sono quei “mangimi composti con contenuto elevato di talune sostanze, ma che, per la loro composizione, sono sufficienti per una razione giornaliera soltanto se utilizzati in associazione con altri mangimi” e quindi, non sufficienti al fabbisogno giornaliero dei nostri piccoli amici. Inoltre, i cibi completi e bilanciati dovrebbero contenere tutti gli elementi nutritivi necessari, senza il bisogno di nessuna aggiunta. Per contro, i cibi complementari, non devono mai essere somministrati come unica fonte alimentare poiché porterebbero a gravi carenze e squilibri alimentari. Nel rispetto dei principi di un alimento salutare arriva PetLife, gustosi bocconcini liofilizzati di manzo e maiale realizzati esclusivamente con carne della Filiera Life 120, proveniente da allevamenti allo stato brado e semi brado, senza l'utilizzo di antibiotici. Per un nutrimento completo e bilanciato, con vitamine e minerali, Life120 propone un alimento liofilizzato con tutti i benefici di una dieta a crudo. Valore aggiunto: rigorosamente grain free, e quindi, adatti anche a eventuali intolleranze per i cereali.
Per liofilizzazione, o “freeze drying”, si intende l’essiccamento mediante un processo di sublimazione, o meglio, il passaggio diretto dallo stato solido (ghiaccio) allo stato di vapore (eliminazione dell’acqua). Questo metodo comprende sostanzialmente due trasformazioni fisiche: la surgelazione e la sublimazione. Mediante il congelamento, a temperature variabili tra –30° e -50°C, si ottiene la trasformazione della soluzione in un composto solido. L'acqua contenuta nel prodotto e segregata sotto forma di ghiaccio, viene poi estratta. Lo step successivo è quello dell’essiccamento, primario e secondario. Attraverso l’essiccamento primario (o sublimazione), che inizia intorno ai –20 °C, si aumenta la temperatura per ottenere la sublimazione dell’acqua congelata, in quello secondario (o desorbimento), invece, si porta la temperatura fino ai 40°C con il fine ultimo di asportare la quantità di acqua residua. In sostanza, la liofilizzazione detta anche crioessiccamento è un processo tecnologico che permette l'eliminazione dell'acqua da una sostanza organica con il minimo deterioramento possibile della struttura nonché dei suoi stessi componenti.
Inoltre, tra i numerosi vantaggi di questa tecnica, sono degni di nota: il contenuto pressoché inalterato, infatti, colore, sapore, odore e nutrienti vengono abbondantemente rispettati e questo, grazie soprattutto alle minime modifiche strutturali; una facile e veloce reidratabilità; conservazione a temperatura ambiente; maggiore garanzia della conservazione e facilità di asporto. Come recita un vecchio adagio "tra i due litiganti il terzo gode”. Quindi, tra essiccato e surgelato, il podio lo conquista il liofilizzato. Unica precisazione da fare, il costo leggermente superiore, dovuto alla quantità di energia necessaria al processo, quasi triplicata rispetto all'essiccazione, oltre all'ammortamento del costo degli impianti, nettamente superiore di quelli per l'essiccazione nelle stesse proporzioni. Come dimostra il grafico sopra, i dati, seppur approssimativi, forniscono un'idea sufficientemente significativa dei quantitativi di energia in gioco. Per quanto riguarda il confronto con il surgelato, invece, il fabbisogno energetico relativo a quest’ultimo è estremanente limitato. Insomma, un procedimento che si trasforma in garanzia di qualità. Questa tecnica di conservazione permette di non alterare la qualità del prodotto e, ad oggi, è l’unico metodo di essiccazione capace di preservare perfettamente la struttura molecolare delle diverse particelle che lo compongono.