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E’ la nuova strategia terapeutica messa a punto dai ricercatori dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano: reiniettando una molecola, appena scoperta, si induce il suicidio delle cellule del cancro. Si può bere fino a morirne? Sì, e non accade solo alle persone, succede anche alle cellule: in condizioni particolari (il processo si chiama ‘metuosi’), si riempiono di liquido extracellulare, gonfiandosi fino a scoppiare. Un meccanismo di suicidio delle cellule – ne esiste un altro, si chiama apoptosi e funziona in modo differente – che ha recentemente ispirato gli oncologi perchè, se indotto a comando, può essere sfruttato per costringere le cellule tumorali ad autodistruggersi.

La strada è stata percorsa, in Italia, dai ricercatori dell’Istituto nazionale dei tumori (Int) di Milano, con uno studio in vitro (non sull’uomo) sulle cellule del carcinoma papillare della tiroide, la neoplasia più diffusa che colpisce la ghiandola tiroidea. I ricercatori coordinati da Maria Grazia Borrello, biologa dell’Unità meccanismi molecolari del Dipartimento di oncologia sperimentale e medicina molecolare presso il centro lombardo, hanno scoperto che reiniettando nelle cellule cancerose la molecola ‘miR-199a-3p’, prodotta in minime quantità dal tumore stesso, si riesce a ‘ubriacarle’ fino a farle scoppiare. Una strategia per eludere i meccanismi con cui il tumore si difende dagli attacchi delle terapie, «essendo le cellule tumorali frequentemente resistenti all’apoptosi, l’identificazione di un meccanismo alternativo per indurne la morte è di sicuro interesse anche per altre patologie tumorali», commenta la ricercatrice. Lo studio, finanziato dall’AIRC, è stato pubblicato sulla rivista scientifica Oncotarget e presentato ieri al congresso europeo dell’EACR, European Association for Cancer Research di Monaco. Questa potenziale opzione terapeutica è in corso di studio anche per altre forme tumorali, come il glioblastoma che colpisce il cervello, di cui sono state ottenute dimostrazioni di efficacia.

Fonte: OK Salute e Benessere

Martedì, 08 Luglio 2014 00:00

Scoperto il potere afrodisiaco del cocomero

Gli inglesi lo chiamano "watermelon" e mai nome fu più azzeccato. Infatti, oltre il 90 % della sua polpa è acqua, una dolcissima acqua, fatta apposta da Madre Natura per rinfrescare e dissetare nella stagione più calda dell'anno. Ma c'è di più, il cocomero nasconde altri benefici doni, sottoforma di minerali, vitamine e antiossidanti. Il cocomero è originario dell’Africa. I primi a coltivarlo furono gli Egizi. Rappresentazioni di questo frutto si trovano in alcuni dipinti risalenti all’epoca dell’Antico Regno (2686-2181 a C). Questo popolo apprezzava il cocomero sia come alimento sia come medicina. Secondo loro, il cocomero era stato generato direttamente dal seme del dio Seth. Era tenuto in tale considerazione che veniva regolarmente posto nelle tombe dei faraoni. Nel X° secolo raggiunse la Cina, che attualmente è il maggiore produttore di cocomeri al mondo, mentre nel XIII° secolo si diffuse in Europa ad opera dei mori. In alcune regioni semidesertiche dell’Africa, il cocomero è stata ed è ancora una importante fonte di acqua per le popolazioni indigene nei periodi di siccità. Alcuni esploratori hanno raccontato di essere riusciti a sopravvivere per sei settimane bevendo solo il succo di cocomero. In Iraq, in Egitto e molte regioni africane, la polpa del cocomero viene anche utilizzata come alimento principale per gli animali d’allevamento . Nelle regioni meridionali della Russia con il cocomero si produce anche una birra, attraverso la fermentazione del succo zuccherato e bollito.

Indicazioni e benefici

Caldo, disidratazione, sete - Nessuna meraviglia che questo succoso frutto fosse così apprezzato nelle regioni Africane e Mediterranee. E’ un frutto che matura quando il caldo della stagione è ai suoi massimi e fornisce tanti liquidi (oltre il 90 % della polpa), vitamine e minerali. Nella Medicina tradizionale Cinese è indicato per combattere una condizione morbosa chiamata “calore estivo”, caratterizzata da sudorazione eccessiva, sete, febbre, oliguria, diarrea, irritabilità e collera. Il succo e la polpa del cocomero alleviano questi sintomi, aumentando la produzione di urina e drenando i reni. Disfunzioni erettili, ipertensione - Recentemente si è scoperto che una sostanza presente nel cocomero può aiutare a migliorare la libido e i disturbi erettili. Si tratta della citrullina, che possiede notevoli proprietà rilassanti sui vasi. E’ contenuta nella polpa (16,7 mg/g/peso secco) e soprattutto nella buccia (24.7mg/g/peso secco). Con il concorso di alcuni enzimi, viene trasformata nel nostro corpo in arginina, un amminoacido che stimola il sistema immunitario e protegge quello cardiovascolare. L’arginina entra nel ciclo dell’urea ed è utilizzata per rimuovere l’ammoniaca dal corpo. Inoltre, le cellule dei vasi la impiegano per produrre ossido di azoto, che ha un’azione vasodilatatoria, meccanismo sfruttato anche dal Viagra. Uno studio ha mostrato che l’assunzione di una tazza (226 ml) di succo di cocomero per 3 volte al giorno e per 3 settimane è in grado di aumentare l’arginina nel sangue dell’11%. Se invece le tazze diventano 6 al giorno, l’aumento è del 18%. Per altro, l’arginina è in grado di migliorare la sensibilità dell’insulina nei soggetti obesi e affetti da diabete II con insulino resistenza.

Cancro - Negli anni passati si è fatto un gran parlare delle proprietà antiossidanti e anticancerogene del licopene, inizialmente scoperto nei pomodori. In tempi più recenti si è visto che il cocomero ne contiene molto di più (8-20 mg per una porzione di 180 g). Tra i carotenoidi il licopene è il migliore antiossiodante che si conosca. Le proprietà antiossidanti e anticancerogene del licopene sono state oggetto di numerose ricerche. Studi sull’uomo hanno mostrato che è in grado di proteggere da numerosi tumori: prostata, mammella, endometrio, polmone e intestino. Il licopene protegge le cellule e il DNA dall’assalto dei radicali liberi. L’unico problema è che il licopene è liposolubile ed è meglio assorbito in presenza di grassi. Il pomodoro lo possiamo condire con olio extraverigne, mentre il cocomero viene spesso consumato da solo. La cosa migliore è inserirlo in insalate o abbinarlo a piatti grassi, a base di carni e di pesce. Altri fattori antiossidanti presenti nel cocomero sono gli antociani, la vitamina C, il beta-carotene e modeste quantità di vitamina E (più nella buccia che nella polpa). Una tazza di cocomero fornisce il 24,3 % del fabbisogno giornaliero di vitamina C e l’11,1% di vitamina A. Pare che le modalità di conservazione influenzi il contenuto di carotenoidi: la conservazione ad una temperatura costante di 21°C per 14 giorni fa aumentare dell’11-40 % il contenuto di licopene e del 50-139 % di beta-caortene, mentre a temperature inferiori queste variazioni non si verificano.

I principali effetti 

Effetti metabilici - Il cocomero è ricco di vitamine B necessarie per la produzione di energia. Particolarmente rappresentata è la B6, ma anche la B1. Oltre a queste vitamine, sono anche presenti magnesio e potassio. L’estrema acquosità del cocomero e la buona presenza di minerali e vitamine, ne fanno un frutto che fornisce molti nutrienti con poche calorie. L’indice glicemico del cocomero è 55. Effetto diuretico – Il cocomero è un efficace attivatore della diuresi, in quanto agisce attraverso un meccanismo iperglicemico, per via del fruttosio presente in notevole percentuale e della grande quantità di acqua di vegetazione, ricca di potassio e povera di sodio. Il volume dell’urina aumenta, ma non si verificano perdite di minerali corporei. Aiuta il fegato e rene ad eliminare le scorie azotate. Fer sfruttare al meglio l’effetto diuretico, è preferibile consumare il cocomero entro le ore pomeridiane. Diabete – Per lungo tempo è stato un frutto vietato ai diabetici. Attualmente viene proposto in modeste quantità a questi pazienti perché la sua componente dolce è rappresentata soprattutto dal ciclamato di sodio, più che dal fruttosio.  Colon irritabile - Tra i pazienti affetti da infiammazione cronica dell’intestino e cocnomitanti sintomi di colon irritabile, il cocomero si è dimostrato uno dei frutti meglio tollerati. Medicina Ayurvedica - Secondo la millenaria medicina vedica, il cocomero è classificato come frutto dolce e rinfrescante. Riduce Pitta, ma può aumentare Vata e Kapha. In estate (stagione Pitta), disseta e “raffredda” il corpo. Ottimo nelle febbri che si accompagnano ad intensa sete, agitazione e irritabilità. A coloro che soffrono di difficoltà digestive e reflusso esofageo si consiglia di non consumare il cocomero alla fine dei pasti. 

Principali nutrienti
per 100g
Acqua 91,45 g
Energia 30 Kcal
Proteine 0,61 g
Grassi totali 0,15 g
Fibre 0,4 g
Zuccheri totali 6,20 g
Saccarosio 1,21 g
Glucosio 1,58 g
Fruttosio 3,36 g
Maltosio 0,06 g
Calcio 7 mg
Ferro 0,24 mg
Magnesio 10 mg
Fosforo 11 mg
Potassio 112 mg
Sodio 1 mg
Zinco 0,10 mg
Rame 0,042 mg
Manganese 0,038 mg
Fluoro 1,5 mcg
Selenio 0,4 mcg
Vitamina C 8,1 mg
Folati totali 3 mcg
Colina 4,1 mg
Vitamina E 0,05 mg
Carotene beta 303 mcg
Licopene 4532 mcg
Tiamina 0,033 mg
Riboflavina 0,021 mg
Niacina 0,178 mg
Acido Pantotenico 0,221 mg
B 6 0,045 mg
Luteina + Zeaxantina 8 mcg

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

Sono senza dubbio uno degli alimenti più nutrienti che si conoscano. Sono un concentrato di proteine di altissimo valore, di vitamine, di minerali, di omega-3 e di antiossidanti. Queste sostanze vitali non solo migliorano la salute in generale, ma contribuiscono a mantenere sane ed efficienti la muscolatura, le articolazioni, le ossa e perfino le funzioni mentali. Le raccomandazioni di limitarne il consumo sono solo ridicole e frutto della perversa propaganda anticolesterolo di questi ultimi 50 anni. Le uova fanno bene, grazie alle numerose e preziose sostanze che contengono. Vediamo quali sono: Proteine – Le proteine delle uova hanno un perfetto assortimento di amminoacidi e in percentuale vengono assorbite in maggiore quantità rispetto a quelle di altri alimenti animali. Sono di grande valore non solo per i bambini durante la crescita, ma anche per gli anziani, che devono mantenere il loro patrimonio muscolare e osseo (le ossa non sono fatte solo di calcio!). Recentemente i ricercatori dell’Università di Alberta (Canada) hanno scoperto che alcune proteine delle uova sono in grado di abbassare la pressione arteriosa.  Colina – La lecitina delle uova (fosfatidilcolina) è composta da glicerolo, da fosfato e colina. La colina, da cui deriva l’acetilcolina, è una sostanza molto importante per le cellule nervose e per gli impulsi che queste trasmettono. Inoltre, influenza lo sviluppo del cervello e la memoria. La donna in gravidanza e durante l’allattamento ha un aumentato fabbisogno di colina. I neonati hanno livelli di colina nel sangue che sono più alti di 7 volte e il latte materno ne è molto ricco. I fabbisogni giornalieri di colina sono: 550 mg per le donne che allattano; 450 mg per le gravide, 550 mg per gli uomini adulti e i bambini oltre i 14 anni; 425 mg per le donne adulte e le ragazze oltre i 19 anni e 375 mg per gli adolescenti. Le fonti più importanti di colina sono le uova (circa 250 mg %), il fegato di pollo (circa 280 mg%) e di manzo (oltre 400 mg %). Carotenoidi – Gli studi indicano che la luteina e la zeaxantina che si assumono con gli alimenti aiutano a conservare la salute degli occhi durante l’invecchiamento. Soprattutto, proteggono contro la degenerazione maculare e la formazione della cataratta (1) L’aggiunta di 1,3 tuorli d’uovo al giorno alla dieta di 11 soggetti di mezza età è stato sufficiente per aumentare i loro valori plasmatici di luteina (del 38%) e di zeaxantina (del 128%). In particolare, la luteina ha proprietà antinfiammatorie e antiossidanti. Quella delle uova è assorbita dal nostro organismo molto meglio di quella che si trova negli spinaci. Le uova contengono 331 mcg % di luteina-zeaxantina. Uova di galline ruspanti sono decisamente più ricche di tutti questi carotenoidi. 

Vitamine - Tra le vitamine liposolubili spicca la A (487 UI %), ma sono anche presenti la E (tutti e quattro i tocoferoli per un totale di 1,51 mg %), la D (35 UI %) e la K (0,3 mcg %). Le uova sono ricche di vitamine del gruppo B, soprattutto l’acido pantotenico (1,438 mg %), la riboflavina (0,478 mg %) e la B12 (1,29 mg %). In particolare, il tuorlo è una delle fonti naturali più ricche di biotina (fino a 25 mcg), vitamina necessaria a tutte le cellule in via di sviluppo, in quanto partecipa al metabolismo degli zuccheri, delle proteine e dei grassi. Le uova di gallina ruspante sono più ricche di vitamine e nutrienti rispetto a quelle di galline stabulate: il 40 % di vitamina A e il 400 % di omega-3 in più. Minerali - Le uova sono ricche di importanti minerali. Hanno un buon contenuto di ferro (1.83 mg %), fosforo (191 mg %), potassio (134 mg %), selenio (31,7 mcg %), zinco (1,11 mg %), oltre che di rame, magnesio e manganese. Il tuorlo ha tra il 50 e l’80% di tutto il rame, il selenio e il manganese presente nell’uovo. Omega 3 – Il rapporto omega-6/omega-3 delle uova di galline ruspanti è di 1,5:1, mentre quello delle galline stabulate è di 20:1. In alcuni studi, si è visto che la concentrazione di omega 3 delle uova di gallina ruspante può aumentare anche del 400 %. Il libero accesso a erbe, germogli e insetti fa la differenza. Particolarmente ricca di acido alfa-linolenico è la portulaca, un’erba selvatica comune e apparentemente insignificante. Si calcola che per avere un uovo dalle qualità superiori, le galline dovrebbero consumare questi alimenti per almeno il 30% del loro bisogno nutrizionale. Le galline di allevamenti intensivi invece sono nutrite esclusivamente con mangimi a base di cereali e legumi e le loro uova hanno un pericoloso eccesso di omega 6. Colesterolo – Le uova contengono una percentuale di colesterolo relativamente alta rispetto ad altri alimenti di origine animale. Un uovo ne ha in media 213 mg. Per questo motivo è stato uno dei cibi più calunniati dai sostenitori della Teoria Lipidica. Nonostante i tentativi di dimostrare che le uova fanno male al cuore, nessuno ancora ci è riuscito. Per esempio, in uno studio, la somministrazione ad adulti sani di due uova al giorno per sei settimane non ha minimamente alterato i parametri che indicano un danno ai vasi arteriosi. Inoltre, proprio lo scorso anno è stato pubblicato sulla rivista American Journal of Clinical Nutrition uno studio che ha ulteriormente confermato l’innocuità di questo alimento per quanto riguarda il rischio cardiovascolare. Gli autori non solo affermano che il colesterolo contenuto nelle uova non fa male, ma che si possono tranquillamente consumare 6 uova a settimana.

Tabella riassuntiva degli studi più significativi sulla superiorità nutritiva delle uova di gallina libera (Free range)
1974 – uno studio pubblicato nella rivista British Journal of Nutrition ha dimostrato che le uova di galline ruspanti hanno il 50% in più di acido folico e il 70% in più di B12, rispetto alle galline da batteria.
1988 - Artemis Simopoulos, autore del volume "The Omega Diet", ha scoperto che in Grecia le uova di galline allevate in modo tradizionale contenevano 13 volte più omega-3 delle uova industriali prodotte in America.
1998 – uno studio pubblicato sulla rivista tecnica Animal Feed Science and Technology ha dimostrato che le uova di gallina libera hanno un maggiore contenuto di omega-3 e vitamina E.
1999 – uno studio ha dimostrato che le uova di gallina libera hanno il 10% in meno di grasso, il 34% in meno di colesterolo, il 40% in più di vitamina A e 4 volte gli omega-3 delle uova di allevamenti intensivi.
2003 - uno studio della Pennsylvania State University ha dimostrato che le uova di gallina libera hanno 3 volte più omega-3, 220 volte più vitamina E ed il 62% in più di vitamina A, rispetto alle uova di gallina stabulata.
2005 – uno studio condotto dalla Mother Earth News ha mostrato che le uova di gallina appartenenti ad una razza brada che si alleva in Kansas avevano la metà del colesterolo delle uova di gallina della grande industria e, sempre rispetto a queste, il 50% in più di vitamina E e tre volte più carotene.
2007 – un ulteriore studio della Mother Earth News, che ha coinvolto 14 produttori tradizionali, ha confermato la superiorità delle uova di gallina free-range. Rispetto alle uova convenzionali, hanno 1/3 in meno di colesterolo, ¼ in meno di grassi saturi, 2/3 in più di vitamina A, 2 volte più omega-3, 3 volte più vitamina E, 7 volte più beta-carotene e, udite e udite, dalle 4 alle 6 volte più di vitamina D.

Allevate a terra?

Le uova sono quindi un super alimento, a torto criminalizzato, ma non tutte le uova sono uguali. Infatti, dai dati che ho esposto si evince che le uova di gallina libera (free-range) sono superiori. Purtroppo, la maggioranza delle uova in commercio proviene invece da allevamenti intensivi specializzati, dove le galline sono mantenute per tutto il ciclo produttivo in apposite gabbie, al chiuso, con illuminazione controllata… in modo che producano di più… e alimentate a pastoni, spesso medicati con farmaci. La densità raggiunta è di 12 o più galline per m2. In sostanza, veri e propri campi di concentramento. E non fatevi ingannare dalla dicitura “allevate a terra” messa in bella posta e con orgoglio in molte confezioni di uova, perché l’equazione non cambia (come si vede dalle foto qui sotto). “ A terra” non vuol dire sulla terra, ma su lettiere all’interno di capannoni. Come ho già detto, la gallina per fare un uovo dalle qualità superiori deve trovare da sola, razzolando, almeno una parte di quello che mangia. Inoltre, le galline che vivono all’aperto sono razze rustiche, più robuste, che si ammalano di meno e quindi non vengono imbottite di farmaci. Se volete il massimo dalle uova che consumate, vi consiglio di non acquistare uova di categoria 3 (allevate in gabbia) o 2 (allevate a terra), ma orientarvi su quelle di categoria 0 (biologiche) o al massimo di categoria 1 (allevate all’aperto). E’ chiaro che le uova di gallina allevata in modo libero hanno un prezzo superiore a quelle di gallina stabulata, ma, come abbiamo visto, hanno anche un valore salutistico diverso. Inoltre, comprare uova dei grandi allevamenti intensivi significa contribuire a forme di allevamento a volte crudeli, ma sempre innaturali e penalizzare invece le produzioni biologiche e i produttori più tradizionali.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

Semi di lino, i tuoi assi nella manica
Si trovano in erboristeria e sono indispensabili in autunno: utili contro i raffreddori, abbassano il colesterolo e spengono le infiammazioni
Il lino fa parte della dieta dell’uomo sin dagli albori della civiltà: gli archeologi hanno scoperto nelle città mesopotamiche di 7000 anni or sono sistemi di irrigazione utilizzati proprio per la sua coltura. I semi di lino contengono sostanze nutritive molto salutari: il 20% di proteine, il 40% di grassi e il 28% di fibre. Utilizzati interi o tostati, i semi di lino possono essere aggiunti ai cereali della prima colazione, alle verdure saltate in padella e alla farina di frumento utilizzata per preparare pane e focacce. Se conservati a temperatura ambiente non perdono la loro efficacia per oltre un anno. Dopo averli tostai è però consigliabile riporli in frigorifero e utilizzarli nell’arco di un mese.

I semi di lino nelle verdure: l’anticolesterolo da tavola
Ricchi di acidi grassi polinsaturi, i semi di lino possono essere considerati tra le più ricche fonti naturali di acido alfa-linoleico (ALA), un acido grasso omega-3 che ha la capacità di abbassare i livelli di colesterolo. La componente fitoestrogena dei semi di lino (SDG) ha benefici effetti nell’abbassare il colesterolo sierico, nell’aumentare il colesterolo HDL, quello “buono” e nel ridurre il rischio di arterio-sclerosi. Dosi: Assumete tutti i giorni 50 g di semi di lino, dividendo la razione nei due pasti principali. Si trovano nei negozi di alimentazione bio e nelle erboristerie.
Contro bronchiti, raffreddori e affezioni delle vie respiratorie
I semi di lino hanno anche proprietà emollienti e rinfrescanti nella cura di tutte le affezioni respiratorie: bronchiti, tosse, raffreddori.
Come usarli: Uno dei modi più antichi è la “pappetta della nonna”: due pugni di farina di semi di lino (se non si ha la farina, usare due pugni di semi di lino e farli cuocere in un poco d’acqua finché assumono la consistenza di una polentina) messi a bollire con un po’ d’acqua, fino ad ottenere la consistenza di una pappetta. Allargarla poi con uno spessore di almeno un centimetro, su una garza, ripiegata in due e porla sul petto, coprendo poi con un drappo di lana, che conserva il calore. Tenere sul petto per almeno 20 minuti.
Il rimedio flash: Per un rimedio più veloce, consigliamo il decotto – mettere a bollire 8 grammi di semi di lino in 100 gr di acqua, far cuocere per 15 minuti, filtrare e bere, due volte al dì.
Il consiglio in più: Il potere antinfiammatorio dei semi di lino torna utile anche in caso di gastrite e colite. Prendete il decotto (sempre due tazze al giorno) prima dei pasti.
Spegne le infiammazioni cutanee

Sempre l’acido grasso omega-3 ha la capacità di ridurre le reazioni infiammatorie, soprattutto delle pelle. In caso di dermatiti, psoriasi, infezioni cutanee, ascessi e ferite è ottimo l’impiastro di semi di lino, che è una cura efficacissima anche contro la caduta dei capelli.
L’impacco pelle-capelli: A seconda dell’estensione della superficie cutanea da curare, mettere alcuni cucciai di semi di lino in un sacchetto di cotone bianco e fateli bollire in acqua per venti minuti. Una volta intiepiditi, applicateli per un quarto d’ora sulla ferita, tenendoli ben coperti. Ripetete il trattamento due volte al dì. Lo stesso impiastro, tolto dal sacchetto, è un ottimo rimedio per contrastare la caduta dei capelli: da applicare ogni giorno, per venti minuti, sul cuoio capelluto.

Riza.it

Quasi esplosivo, nella sua applicazione pratica, il lavoro presentato a Vancouver dalla dottoressa austriaca Erika Jensen-Jarolim dell'Università di Vienna, nota per la sistematica e sempre attenta documentazione dei suoi lavori. Chi usa antiacidi, antiulcera anti H2 o antiulcera inibitori, corre un grave e documentato rischio di sviluppare allergie o intolleranze alimentari, soprattutto se introduce proteine o alimenti “nuovi” per la propria dieta. Si tratta di un numero enorme di persone, compreso tra il 10 e il 20% della popolazione.

In modo molto sofisticato e preciso il gruppo di lavoro della Jensen-Jarolim ha documentato che lo stomaco e la sua acidità hanno una funzione importantissima di barriera nei confronti delle sostanze alimentari che assumiamo. La digestione ciò consente di trasformare le proteine allergizzanti presenti in ogni cibo di cui ci si nutre, in sostanze innocue.
L’acidità dello stomaco è una delle parti più importanti di questo processo, e consente infatti di modificare la forma delle proteine pericolose in modo che non possano più provocare la sensibilizzazione allergica. Nel giro di pochi secondi un cibo ben masticato e messo a contatto con la soluzione acida dello stomaco perde la caratteristica allergizzante delle proprie proteine e mantiene solo il suo carattere nutrizionale.
Questa via di difesa dell’organismo esiste anche nei confronti di proteine pericolosissime dal punto di vista allergologico come quelle delle noccioline americane (peanuts) e di qualunque altra. Quando viene inibita questa capacità digestiva, le proteine passano immodificate nella seconda parte del tratto digestivo dove possono determinare con altissima percentuale la sensibilizzazione e quindi la successiva allergia.
È da notare che questo non avviene se le sosanze introdotte fanno parte della dieta abituale in persone non già allergiche o intolleranti. Persone che abbiano un'ottima tolleranza nei confronti dei cibi che già mangiano, non corrono rischi anche usando dei farmaci antiulcera, ma chi usa invece antiacidi e antiulcera anziché rieducare il proprio sistema digestivo proprio allo scopo di poter mangiare stranezze senza risentirne, corre gravi rischi di sensibilizzarsi, solo per fare qualche esempio, nei confronti della frutta esotica che non hanno mai usato, del pesce crudo che non fa parte della loro dieta abituale, e di cibi e bevande (vale anche per i coloranti delle bibite o per gli additivi delle merendine) che assaggiano per la prima volta.
Nuove ricerche, antichi rimedi
Viene da sorridere se si pensa che una delle soluzioni possibili per ridurre il problema delle intolleranze alimentari è semplicemente quella di seguire il vecchio consiglio ripetuto dai nostri nonni, di masticare bene i nostri cibi e di lasciare alla digestione il tempo che le serve!

Purtroppo moltedelle persone che prendono antiacidi o antiulcera devono questo bisogno alla pratica dei fast food e del “rapido snack a pranzo”, degna sequenza di un volante “cappuccio e brioche” trangugiato al bar per “fare presto”. Ne deriva ancora una volta che i comportamenti sono all'origine di tante ipersensibilità e allergie, ma in questo particolare caso, il lavoro scientifico di Erika Jensen-Jarolim (Untersmayr E et al, J Allergy Clin Immunol 2003 Sep;112(3):616-23) lancia un forte messaggio alla popolazione. Ci auguriamo che venga recepito anche dalle autorità sanitarie, considerato il fatto che parliamo di prodotti molto usati, sia tra gli antiacidi da banco, sia tra gli anti H2 o gli inibitori di ultima generazione (i cosiddetti antiulcera come il lansoprazolo). Si tratta di prodotti che usati bene danno ottimi risultati, ma di cui oggi si abusa spesso, e che sono in molti casi in liberissima vendita.

La cautela quindi diventa importante, non tanto per evitare l'uso di prodotti magari ben prescritti, quanto per ricordarsi che il rispetto del processo digestivo ha un senso e un significato. E quando l'organismo segnala che non sta funzionando è importante ragionare su ciò che ci comunica e cercare soluzioni che non siano sempre e necessariamente farmacologiche.

Eurosalus

Continuando la serie di articoli dedicati alle patologie cardiovascolari. Eurosalus questa settimana si occupa di colesterolo e del suo significato clinico.
In moltissimi casi il colesterolo viene descritto come un fattore di rischio determinate nell’insorgenza delle malattie cardiache quasi a mettere in secondo piano fattori decisamente più influenti come il fumo, una vita sedentaria e l’ipertensione. Questo non significa che valori alterati della concentrazione di colesterolo nel sangue debbano essere trascurati ma impone al medico di non fermarsi al colesterolo, ma di considerare in modo molto attento anche tutti gli altri fattori di rischio.

Bisogna inoltre ricordare che il colesterolo totale non rappresenta di per sé un fattore di rischio. Quando si leggono gli esami del sangue è importante valutare il rapporto tra colesterolo totale e colesterolo HDL: se il rapporto è compreso tra 4 e 4,5 entro i 40 anni e tra 4 e 5 dopo i 40 anni, non ci sono problemi.
Prima di ricorre all’utilizzo di farmaci come le statine è importante modificare il proprio stile di vita e la propria alimentazione. La maggior parte delle persone (e purtroppo anche molti medici) è convinta che per ridurre il colesterolo sia necessario ridurre l’assunzione alimentare di grassi. L’eccesso di colesterolo nel sangue è dovuto alla produzione endogena di questo lipide e non alla sua assunzione con la dieta, al punto che recentemente si è arrivati alla rivalorizzazione delle uova anche in presenza di ipercolesterolemia.
L’enzima chiave nella catena di produzione endogena del colesterolo (HMG-reduttasi) viene inibito dalla presenza di colesterolo mentre è stimolato dalla eccesiva concentrazione di zuccheri. Detto questo è facile comprendere come una dieta anticolesterolo debba puntare sul controllo delle fluttuazioni insuliniche piuttosto che sul semplice controllo dei grassi. Ricordiamo che l’insulina è l’ormone più importante nella gestione del metabolismo degli zuccheri ematici.
Proprio per questo un’alimentazione che rispecchi le indicazioni di DietaGIFT permette di ottenere ottimi risultati contro l’ipercolesterolemia. Applicare DietaGIFT significa anche riconoscere l’importanza dell’attività fisica come parte integrante della propria quotidianità: l’attivazione metabolica indotta dal movimento risulta di fondamentale importanza nel riequilibrare il quadro lipidico del sangue.
In sostegno al cambio di stili di vita è possibile utilizzare Oximix 6+ che permette di integrare manganese, zinco, rame e soprattutto cromo che rivestono un ruolo importante nella gestione della resistenza insulinica. Si assumerà un misurino a cene anche per lunghi periodi.

In aggiunta è possibile utilizzare anche inositolo (vitamina essenziale nella salute del fegato) eventualmente associato a delle capsule di olio di pesce importante per i suo contenuto in Omega 3. Anche il coenzima Q10 riveste un ruolo fondamentale nella possibile integrazione soprattutto se si stanno utilizzando delle statine.
Ultima raccomandazione: una persona con livelli di colesterolo oltre la norma deve categoricamente evitare di assumere grassi vegetali idrogenati e quindi sono banditi dalla dieta cracker, grissini, dolci industriali e naturalmente la margarina.

Eurosalus

Nella considerazione generale, una volta che il cancro si sviluppa sarebbe meglio scoprirlo al più presto per prendere decisioni terapeutiche nel giro di poco tempo. Ma non sempre è così. I risultati di una ricerca statunitense pubblicata sul Journal of Urology nel marzo 2008 (Yin M et al, 2008 Mar;179(3):892-5; discussion 895. Epub 2008 Jan 22) ha analizzato il ritrovamento assolutamente casuale di tumori della prostata in persone decedute per tutt'altri motivi e senza alcuna storia prostatica alle spalle, in una percentuale enormemente più elevata della effettiva incidenza clinica di cancro prostatico, a testimoniare che evidentemente nella realtà molte persone, senza neanche saperlo, sono in grado di guarirsi il cancro senza alcuna forma di terapia.

Si trattava di persone decedute in età spesso giovanile per incidenti d'auto, per traumi diversi, per eventi accidentali o per cause comunque non correlate a problemi prostatici e i cui parenti avevano deciso di concedere la donazione di organi. In questa popolazione lo studio della prostata era partito per altri motivi, ma il ritrovamento di una elevata presenza di cancro maligno della prostata (adenocarcinoma della prostata nel 12% dei donatori e neoplasia intraepiteliale ad alto grado di malignità nel 10,6% dei donatori) ha posto alcuni problemi importanti. La frequenza di tumore maligno prostatico in una percentuale di circa il 15% dei soggetti (giovani) senza che questa forma tumorale abbia poi un riscontro nella pratica clinica porta a pensare che esista in ogni uomo (e presumibilmente in ogni donna) la capacità di controllare e distruggere le proprie cellule tumorali in modo efficace e completo senza alcun intervento esterno.

Probabilmente la messa in atto delle varie potenzialità di controllo, dall'esercizio fisico alla corretta terapia dietetica o l'uso di alcuni potenti antiossidanti naturali, affiancata al riequilibrio della relazione mente/corpo porta a ricondurre la "malignità" del tumore sotto controllo e a determinare la guarigione. In modo del tutto inconsapevole ma evidentemente efficace perchè la incidenza di cancro prostatico è solo di circa lo 0,9 per mille, ben distante da questi dati che rilevano almeno il 10% di persone malate. Siamo cioè a un rapporto almeno di 1/100. Starebbe a significare che 100 persone sviluppano il cancro, e senza fare nessuna terapia particolare 99 se lo autoguariscono. Molto più efficace di qualsiasi terapia classica. Forse varebbe la pena di considerare anche opzioni diverse nel trattamento terapeutico delle forme trovate, o di cambiare il paradigma razionale con cui queste vengono affrontate. Il lavoro negli anni futuri sulle possibilità reali dell'autoguarigione, e dei modi per favorirla, darà sicuramente più soddisfazioni di quelle fornite dalle attuali tecniche terapeutiche

Fonte: Eurosalus

Il telomero è la regione terminale del cromosoma, da cui deriva il nome stesso, composta di DNA altamente ripetuto, che non codifica per alcun prodotto proteico. Ha un ruolo determinante nell'evitare la perdita di informazioni durante la duplicazione dei cromosomi. La DNA polimerasi, infatti, non è in grado di replicare il cromosoma fino alla sua terminazione; se non ci fossero i telomeri, che quindi vengono accorciati ad ogni replicazione, la replicazione del DNA comporterebbe in ogni occasione una significativa perdita di informazione genetica. Vi sono prove che questo progressivo accorciamento dei telomeri sia associato all'invecchiamento della cellula e dell'intero organismo. La lunghezza dei telomeri è quindi un indicatore dell’invecchiamento dell’organismo. La disfunzione dei telomeri è associata alle patologie cardiovascolari, Parkinson, Alzheimer e patologie tumorali. Un recente lavoro pubblicato su The Journal of Nutritional Biochemistry mostra che si può aumentare la lunghezza dei telomeri e rallentare l’invecchiamento, riducendo lo stress ossidativo, l’infiammazione cellulare e migliorando il processo di metilazione del DNA (La metilazione del DNA è essenziale per il normale sviluppo e questa è associata con alcuni processi chiave, tra cui l’imprinting genomico, l’inattivazione del cromosoma X, la soppressione di elementi ripetitivi e la carcinogenesi). 

Infatti, la nostra espressione genetica non è rigida, ma continuamente sotto l’influenza dell’ambiente, dello stile di vita e delle nostre scelte alimentari. Per quanto riguarda l’alimentazione, ogni boccone di cibo potrebbe risultare in un’alterazione negativa o positiva dell’espressione dei nostri geni. La metilazione è un processo chiave nel mantenimento dell’integrità del DNA e della lunghezza dei telomeri. Alimenti in grado di donare gruppi metilici sono quindi essenziali per lo svolgersi corretto di questo processo e di prevenire mutazioni che possono provocare il cancro. In un articolo pubblicato su The Journal of Nutrition viene riportato che gli uomini con i più alti livelli di acido folico nel sangue hanno i telomeri più lunghi, rispetto a quelli con i valori più bassi. Inoltre, l’assunzione di acido folico (800mcg al giorno), vitamina B12 (500-1000 mcg al giorno) e l’intero complesso B è associata a telomeri più lunghi. Altri nutrienti importanti: magnesio e zinco sono fondamentali per la corretta replicazione del DNA; vitamina C: l’assunzione regolare di 1-3 g al giorno (ben al di sopra della dose ufficialmente raccomandata) è in grado di rallentare la perdita di telomeri nelle cellule vascolari umane, aspetto importante nella prevenzione delle malattie cardiovascolari; vitamina E: l’assunzione di tocotrienoli (400mg al giorno) è in grado di riparare i danni del DNA e allungare i telomeri e quindi direttamente intervenire su quei processi che sono alla base dell’invecchiamento; polifenoli: resveratrolo, curcumina, quercitina, gingerolo, catechine, ecc. aiutano a ridurre i livelli di infiammazione nel nostro corpo e a conservare la lunghezza dei telomeri. Si trovano nella frutta e negli ortaggi colorati. proteine ricche di zolfo: importanti donatori di metili. Si trovano nelle carni, uova, pesce, legumi, broccoli, ecc. Non dimentichiamoci che anche lo stress prolungato e le infiammazioni croniche sono due fattori che riducono la lunghezza dei telomeri, facilitando e anticipando i processi di invecchiamento e quindi devono essere tenuti sotto stretto controllo. Pertanto, oltre all’alimentazione anche un corretto stile di vita incide sui processi di invecchiamento.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

Un gruppo di sostanze presenti nelle mele può proteggere il cervello dal tipo di danno che causa malattie degenerative come l’Alzheimer e il Parkinson, secondo due nuovi studi dell’Università di Cornell. Gli studi mostrano che la quercetina, definita un “fitonutriente”, è in grado di proteggere le cellule cerebrali di topo quando sottoposte a insulti ossidativi in esperimenti di laboratorio. I fitonutrienti, come l’acido fenolico e i flavonoidi, proteggono la mela contro i batteri, i virus e i funghi e sono responsabili delle proprietà antiossidanti e antitumorali del frutto. La quercetina è il flavonoide principale nella mela. Gli antiossidanti aiutano a prevenire il tumore, eliminando radicali liberi e inibendo la produzione di sostanze che danneggiano le cellule normali. “Gli studi mostrano che il consumo di mele non solo aiuta a ridurre il rischio di cancro, come hanno già mostrato studi precedenti, ma che una mela al giorno può fornire un’importante sostanza bioattiva che può giocare un ruolo fondamentale nel ridurre il rischio di malattie neurodegenerative” afferma Chang Y. "Cy" Lee, professore di scienza dell’alimentazione dell’Universtità di Cornell.

In uno studio, recentemente apparso online e che dovrà essere pubblicato sul numero di Novembre/Dicembre 2004 del Journal of Food Science (69 (9): S357-60), Lee e collaboratori hanno comparato il modo con cui due gruppi di cellule neuronali di topo reagivano all’esposizione di perossido di idrogeno, una comune sostanza stressogena. Solo uno dei due gruppi venne pretrattata con diverse concentrazioni di estratti fenolici di mela. I ricercatori hanno scoperto che più alta era la concentrazione di estratto fenolico e maggiore era la protezione della cellula nervosa nei riguardi dello stress ossidativo. “Quello che abbiamo scoperto è che i fenoli della mela, che sono antiossidanti naturali presenti nelle mele fresche, sono in grado di proteggere le cellule nervose da insulti neurotossici” ha detto Lee. In un altro studio Lee e il collaboratore Ho Jin Heo hanno approfondito l’azione della quercetina, concludendo che questa deve essere la principale sostanza benefica della mela. Infatti, hanno costatato che la quercetina è molto più efficace della vitamina C nel proteggere le cellule nervose dai danni da perossido di idrogeno. La quercetina è soprattutto presente nelle mele, nei mirtilli e nelle cipolle. Questo secondo studio sarà pubblicato sul numero di Dicembre della rivista Journal of Agricultural and Food Chemistry.

Anche altri precedenti studi hanno associato sostanze attive nella frutta e verdura con la riduzione del cancro e delle malattie cardiovascolari. Ben note sono anche le loro proprietà antiallergiche e antinfiammatorie. Sebbene il Dr Lee sottolinei che questi studi sono stati condotti in laboratorio e non sull’uomo, egli non esita a raccomandare un consumo di mele maggiore nella dieta di tutti i giorni, così come ortaggi e altra frutta fresca. “Davvero, ho motivo di credere che una mela al giorno toglie il medico di torno” afferma.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

Una semplice noce, oppure qualche seme oleoso, sono integratori naturali che possono arrestare il declino cognitivo e aiutare a prevenire l'Alzheimer e la demenza senile. L'importante è che siano al naturale, cioè non siano tostati o salati, procedimento che altera profondamente la ricchezza vegetale dei semi oleosi.
Sono ormai numerosi i lavori scientifici che stanno analizzando le interferenze positive degli oli vegetali sulla funzione cerebrale, tracciando le linee di comportamento nutrizionale che si possono seguire per prevenire in modo efficace le malattie degenerative cerebrali.

Uno studio molto recente pubblicato su Neurochemical research ha definito l'importanza di semi oleosi, noci, frutta e verdura nella prevenzione delle malattie degenerative, tra cui anche il Parkinson. Per le noci in particolare si è visto che questo fantastico gheriglio è in grado di rallentare e a volte opporsi alla progressione della demenza di Alzheimer (Essa MM et al, Neurochem Res. 2012 Sep;37(9):1829-42. doi: 10.1007/s11064-012-0799-9. Epub 2012 May 22).
L'azione contro l'Alzheimer sembra sia dovuta specificamente ad una azione di segnale intercellulare e contemporaneamente di controllo dell'infiammazione; tema che spiega ad esempio l'azione protettiva anche di sostanze come l'olio di pesce, la vitamina D3 o l'Olio di Perilla. Di recente sono stati definite azioni di protezione dalla degenerazione neuronale anche attraverso l'uso dell'olio di cocco.
Un lavoro precedente, pubblicato sul British Journal of Nutrition, segnalava che l'effetto protettivo sulla demenza non è legato al generico uso elevato di frutta e verdura, ma all'impiego di semi oleosi (noci in particolare), cavolo e radici (Nooyens AC et al, Br J Nutr. 2011 Sep;106(5):752-61. doi: 10.1017/S0007114511001024. Epub 2011 Apr 11).
Indubbiamente quindi, anche da questo lavoro olandese emerge che le noci hanno un'azione mirata sul cervello e sulla sua funzione. Sarà forse per la loro forma che ricorda gli emisferi cerebrali o semplicemente per l'analogia di composizione legata agli oli che la compongono.
Di fatto però, non usare semi oleosi di mattina per la prima colazione risulta essere una scelta svantaggiosa per il futuro... Buona noce a tutti.

FONTE: Eurosalus

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