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Lo zucchero raffinato è tra i maggiori imputati dell’insorgere di quelle che vengono definite come malattie del benessere: diabete, obesità, problemi legati al metabolismo, ipertensione, danni a livello del fegato. Secondo studi recenti lo zucchero raffinato sarebbe da considerare tra le cause che ogni anno provocano la morte di 35 milioni di persone, con particolare riferimento al diabete ed alle malattie cardiocircolatorie. Uso e abuso di un alimento nocivo e di largo consumo presente nella nostra alimentazione. La presenza dello zucchero è del 14% nella canna, del 17,20% nella barbabietola, insieme a clorofilla, microelementi e minerali. In questa concentrazione e composizione, lo zucchero, è un alimento di alto valore nutrizionale poiché contiene in forma organica molte sostanze nutritive necessarie alla vita. Alimento che assumiamo in modo alterato attraverso dolci, caramelle, bevande commerciali, conserve, liquori, prodotti salati, ecc, è il prodotto finale di una lunga trasformazione industriale (circa 9 lavaggi chimici!) che uccide e sottrae tante sostanze vitali, come le vitamine presenti appunto nella barbabietola o nella canna da zucchero. Le sostanze zuccherine sono alimenti importantissimi della nostra dieta poiché rappresentano la fonte primaria per la produzione di energia necessaria all’organismo e per questo motivo devono essere completi di tutto ciò che la natura ha loro fornito per cedere al nostro corpo, la loro ricchezza.

Perché lo zucchero bianco è una sostanza nociva?

Lo scienziato Dr. M.O. Bruchner, specialista delle malattie interne, primario dell’ospedale Eben Ezer, LemgoLippe, (Germania), dopo diverse ricerche scientifiche sostiene che l’uomo necessita di carboidrati “zuccheri” per la sua attività vitale, quali fattori di energia. Di conseguenza viene da pensare: lo zucchero è uno degli alimenti più favorevoli per produrre energia, insieme ad altri zuccheri derivati da farina bianca come pane, pasta, riso, patate. Gli zuccheri industriali, quindi le farine bianche come pure lo zucchero d’uva, il fruttosio, l’aspartame, il saccarosio per esempio fabbricati sinteticamente, nel corpo agiscono ben diversamente. Per la loro decomposizione e disposizione necessitano delle stesse vitamine, sostanze minerali ed enzimi come tutti gli zuccheri di frutta e amidi naturali, ma questi ultimi contemporaneamente li forniscono, mentre gli altri ne privano il corpo (andando a pescare nelle ossa, nelle cartilagini, nelle strutture tendinee ecc.) impoverendolo da un lato e disorientando le sue funzioni dall’altro. Purtroppo la scienza ha sempre voluto trascurare questo problema che è alla base di molte malattie a carattere infiammatorio autoimmunitario. Dove passa lo zucchero che distrugge, arriva la medicina che tenta di riparare curando gli effetti del diabete, del colesterolo, della pancreatite, della iperglicemia ecc. Il consumo abituale dello zucchero bianco distrugge in gran parte le vitamine del gruppo B. La vitamina B1 d’altro canto è necessaria per l’assimilazione dei carboidrati.

La vitamina B

Quanto più zucchero viene introdotto, tanto maggiore è il fabbisogno di Vitamina B1, poiché esso l’asporta, causando: Lesioni ai tessuti nervosi; dato l’alto fabbisogno di vitamina B1, essi perdono assai presto la loro capacità di funzionamento. Permette, in presenza di magnesio, la così importante decomposizione dell’acido lattico (prodotto di degradazione del glicogeno [glucosio immagazzinato]). Per mancanza di vitamina B1 aumenta il contenuto di questi acidi nel sangue e nei tessuti e ne sono soprattutto coinvolte l’ attività cerebrale e cardiaca. Regola il giusto scambio dell’insulina nel corpo. La sua carenza è causa di diabete. La carenza di B1, causa inoltre una modifica nell’economia fosforica (ricordo che il fosforo è un minerale molto importante ai fini di molti processi metabolici) e un’elaborazione insufficiente del glucosio, che si manifestano con malattie cardiache croniche. La B1, regola lo scambio dell’albumina (proteina del plasma prodotta dal fegato che regola in un certo senso i liquidi cellulari e le varie pressioni all’interno della cellula) e dei nuclei cellulari. La sua presenza abbatte gli stadi preliminari dell’acido urico prevenendo malattie degenerative come gotta, artrite ecc. La carenza di B1 causa anormalità nella pressione del sangue, e nella sudorazione. Necessaria per la sintesi degli acidi grassi essenziali (i famosi Omega 3 – Omega 6), che hanno il potere di arrestare l’arteriosclerosi. La carenza di B1 causa disturbi nella formazione dell’acido cloridrico (prodotto per la digestione) nello stomaco, l’affievolimento e la degenerazione della muscolatura intestinale ed anche la degenerazione dei vasi sanguigni capillari, con conseguenti dilatazioni, ed emorragie. La carenza di B1 fa sentire il bisogno di stimolanti come alcool, carne, caffè, tè, cioccolato, tabacco, poiché determina l’indebolimento degli effetti stimolanti dell’adrenalina. Questi sono soltanto degli effetti più gravi causati dalla carenza di vitamina B1.

Spesso a stati carenziali metabolici come i problemi relativi al calo delle difese immunitarie, il medico dietologo, integra l’alimentazione con le vitamine del gruppo “B”, ma non consiglia al paziente di “abolire” lo zucchero bianco e limitare l’uso delle farine bianche; è come dire all’obeso di continuare a mangiare come fa di solito ma con la sola eccezione di mettere la saccarina nel caffè oppure consigliare l’aspirinetta o altro “come per esempio il doppler alla carotide” al cardiopatico che divora ogni giorno quantità ingenti di cibo e magari sta morendo! Ma non è finita… La carenza di vitamina “B” causa disturbi nell’assimilazione degli zuccheri, crampi e ostacola pure la formazione dei globuli rossi, poiché i composti del ferro sono male utilizzati. Gli occhi non distinguono i colori e perdono la potenza visiva all’imbrunire; spesso è ostacolato il normale sviluppo del feto, con conseguenti malformazioni, accorciamento delle ossa delle braccia e delle gambe, della mandibola, fusione delle dita e delle costole, fenditure del palato e persino aborti, parti prematuri e nati morti. Consideriamo inoltre ciò che può ancora causare lo zucchero quale distruttore dell’Acido Nicotinico, altro membro del gruppo delle vitamine B. Esso aiuta a promuovere le ossidazioni, vale a dire la combustione e la scomposizione dei prodotti intermedi del ricambio, degli zuccheri. Inoltre esso è di aiuto nell’utilizzazione dei grassi e delle proteine, nella trasformazione di sostanze minerali e degli ormoni, e partecipa in modo determinante alla respirazione cellulare, vale a dire allo scambio di assunzione dell’ossigeno e di eliminazione dell’acido carbonico nelle cellule (un prodotto del metabolismo cellulare). Vanno ancora aggiunti come effetti nocivi all’uso abituale di zucchero bianco i più svariati quadri morbosi, fra cui: stanchezza, insonnia, debolezza nervosa, stati depressivi, mal di testa, disturbi nel ritmo del sonno, facile sudorazione, crampi e intorpidimento delle estremità, debolezza muscolare, inappetenza o bulimia (appetito insaziabile), stitichezza, atonia gastrica e intestinale, assenza di succhi gastrici, bruciori di stomaco, dismenorree (mestruazione dolorosa), metrorragie (perdita di sangue di origine uterina), aborti e parti prematuri, disturbi cardiaci e circolatori, anemia, disfunzioni ghiandolari, pruriti, infiammazioni della lingua, delle gengive e della laringe. ecc.

Lo zucchero raffinato ci sottrae anche l’acido pantotenico facente parte del gruppo “B”

La sua mancanza blocca addirittura l’effetto delle altre vitamine e ostacola la giusta rigenerazione del sangue e delle mucose. L’acido pantotenico agisce inoltre quale epatoprotettore (protettore del fegato) e aiuta la funzione della tiroide. I bruciori ai piedi e alla pianta dei piedi, con dolori passeggeri, fulminei agli arti inferiori, combinati ad arrossamento o colore bluastro della pelle, come pure la formazione della forfora sono, altri sintomi di carenza di questa vitamina. Lo zucchero raffinato per poter essere utilizzato sottrae inoltre anche altre vitamine e sostanze minerali importanti tra le quali vitamina E, H, con possibili altri danni causati da queste carenze. Come viene prodotto lo zucchero bianco? Meno di due secoli fa lo zucchero bianco non esisteva e l’unica fonte dolce, oltre al miele e alla frutta, era rappresentata dallo zucchero di canna integrale importato dai tropici. Come conseguenza delle guerre napoleoniche, l’Europa smise di importare lo zucchero dalle Americhe. Napoleone ebbe allora la brillante idea di estrarre lo zucchero dalla barbabietola. Essendo il prodotto dell’estrazione poco gradevole al gusto, si completò l’opera con un processo di raffinazione il quale, come avviene anche per la farina bianca, provoca la perdita di vitamine e minerali producendo una sostanza chimica pura e morta, ma bianca. Il succo zuccherino proveniente dalla prima fase della lavorazione della barbabietola o della canna da zucchero, viene sottoposto a complesse trasformazioni industriali: prima viene sottoposto a depurazione con latte di calce che provoca la perdita e la distruzione di sostanze organiche, proteine, enzimi e sali di calcio; poi, per eliminare la calce che è rimasta in eccesso, il succo zuccherino viene trattato con anidride carbonica. Il prodotto quindi subisce ancora un trattamento con il velenosissimo acido solforoso per eliminare il colore scuro e successivamente viene sottoposto a cottura, raffreddamento, cristallizzazione e centrifugazione. Si arriva così allo zucchero grezzo.

Da qui si passa alla seconda fase di lavorazione: lo zucchero viene filtrato e decolorato con carbone animale e poi, per eliminare gli ultimi riflessi giallognoli, viene colorato con il colorante blu oltremare o con il blu idantrene (proveniente dal catrame e quindi cancerogeno). Il prodotto finale è una bianca sostanza cristallina che non ha più nulla a che fare con il ricco succo zuccherino di partenza e viene venduta al pubblico per zuccherare (avvelenare) gran parte di ciò che mangiamo. Che cosa è rimasto del primo succo scuro ricco di vitamine, sali minerali, enzimi, oligoelementi che avrebbero dato tutto il loro benefico apporto, di energia e di salute? Nulla! Anzi, per poter essere assimilato e digerito, lo zucchero bianco ruba al nostro corpo vitamine e sali minerali (in particolare il calcio e il cromo) per ricostituire almeno in parte quell’armonia di elementi distrutta dalla raffinazione. Le conseguenze di tale processo digestivo sono la perdita di calcio, nei denti e nelle ossa, con l’indebolimento dello scheletro e della dentatura. Ciò favorisce la comparsa di malattie ossee (artrite, artrosi, osteoporosi, ecc.) e delle carie dentarie che affliggono gran parte della civiltà occidentale. Cosa provoca il tossico zucchero bianco a livello intestinale? A livello dello stomaco del pancreas e del duodeno provoca quello che tutti i giorni o quasi riscontro a studio: processi fermentativi con produzione di gas e tensione addominale e l’alterazione della flora batterica con tutte le conseguenze che ciò comporta (coliti, stipsi, diarree, formazione e assorbimento di sostanze tossiche, ecc.). Come faccio ad asserire questo? Semplice, chiedo alle persone che si sottopongono ai miei trattamenti il loro stile alimentare e puntualmente mi confermano che adottano un’alimentazione “zuccherina”! Quindi questo prodotto così trasformato è necessario alla buona salute? È stato ampiamente verificato che le popolazioni non raggiunte dalla cosiddetta “civiltà bianca” non sono soggette a carie o altre malattie dei denti. Con l’arrivo dei bianchi e dei loro prodotti alimentari raffinati (zucchero, dolciumi, alcool, pane, pasta…), gli aborigeni dell’Australia, i Maori della Nuova Zelanda, gli Indios del Perù e dell’Amazzonia, i Pellerossa del Nordamerica ecc. hanno anch’essi cominciato ad essere soggetti alle stesse malattie dei bianchi; l’incidenza della carie, che prima era una malattia a loro del tutto sconosciuta, è arrivata a colpire fino al 100% cosi come le altre malattie dell’organismo dall’artrite reumatoide all’osteoporosi, alle malattie autoimmuni ecc ecc.

Il pericoloso zucchero bianco ha una grossa influenza sia sul sistema nervoso sia sul metabolismo, creando prima stimolazione poi depressione. In realtà si crea una vera forma di dipendenza, come avviene con la droga, a tutti gli effetti! Ciò è causato dal rapido e violento assorbimento dello zucchero nel sangue che fa salire la cosiddetta glicemia. Di fronte a tale subitanea salita, il pancreas (l’organo per eccellenza che gestisce gli zuccheri) risponde immettendo insulina nel sangue e ciò provoca una brusca discesa del tasso glicemico detta “crisi ipoglicemica” caratterizzata da uno stato di malessere, sudorazione, irritabilità, aggressività, debolezza, bisogno di mangiare per sentirsi di nuovo su di tono (il classico stato down che avverte il tossicodipendente). La conseguenza di questa caduta degli zuccheri è l’immissione in circolo, da parte dell’organismo, di altri ormoni atti a far risalire la glicemia. Questi continui “stress” ormonali con i loro risvolti psicofisici determinano un esaurimento delle energie con l’indebolimento di tutto l’organismo e impoverimento del sistema immunitario.
Quando mangiamo 50 gr. di zucchero bianco, la capacità fagocitaria dei globuli bianchi si riduce del 76% (ossia la capacità di questi organi a combattere le infezioni) e questa diminuzione del sistema di difesa dura circa 7 ore. Le gravi malattie che oggi affliggono l’umanità (cancro, AIDS, sclerosi, malattie autoimmuni, ecc.) nascono proprio da un indebolimento immunitario del quale lo zucchero bianco e l’alimentazione raffinata sono senz’altro tra i maggiori responsabili. I danni dello “squisito veleno” bianco sono tanti altri ancora e a tutti i livelli, per esempio, circolatorio (con l’aumento di colesterolo e danni alle arterie), epatico, intestinale, ponderale (con l’aumento di peso e l’obesità), cutaneo ecc., ecc. Ipotizziamo, ad esempio, di bere quattro tazzine di caffè zuccherato nell’arco della giornata: 40 g di zucchero corrispondono a 160 kcal che noi assumiamo come calorie vuote, prive di vitamine e minerali. Sarebbe molto diverso se le stesse 160 kcal le assumessimo sotto forma di riso integrale avena, orzo, miglio, o frutta dove risulterebbero accompagnate da fibre, enzimi, vitamine e sali. Se a questi primi 40 g di saccarosio aggiungiamo biscotti o marmellata o brioche o corn-flakes per colazione, un bel bicchiere di una qualche bibita gassata a pranzo, un gelato o uno snack al cioccolato o una brioche al pomeriggio, il gioco è fatto. Non dimentichiamoci però le salse (ketchup, maionese, cocktail…), i cibi inscatolati (piselli, mais), gli aperitivi: anche loro contengono saccarosio nascosto. Se sommiamo tutto questo zucchero, senza esagerare, arriviamo addirittura a 500 kcal. Ciò significa che delle 2000 kcal circa che dovremmo quotidianamente introdurre, solo 1500 sono rappresentate da cibi veri e propri, il resto sono calorie vuote, con una carenza del 25% circa del fabbisogno giornaliero di vitamine e minerali.

L’uomo moderno, di fronte agli zuccheri ma anche ai grassi, assume un atteggiamento pressoché identico a quello dell’uomo preistorico. Anticamente l’umanità viveva alla ricerca continua di cibo con cui sfamarsi e il reperimento di frutta matura o di un favo di miele veniva vissuto come un’occasione da non lasciarsi sfuggire: di fronte a tali leccornie l’atteggiamento era quello di sfruttarle al massimo, rimpinzandosi per bene così da accumulare più energia possibile, in previsione di tempi di magra. La mente e il corpo dell’uomo del ventunesimo secolo non sono cambiati molto e di fronte a torte farcite, brioche alla crema e dolci al cioccolato ragioniamo e ci comportiamo esattamente nello stesso modo: nasce dentro di noi un desiderio incontrollabile che ci spinge a grandi abbuffate nel tentativo di farci delle scorte, come se un’altra occasione non dovesse capitarci mai più e dimenticando che la nostra dispensa è colma di altrettante schifezze. Per chi ha occhi per vedere, orecchie per sentire, nonché un cervello che funzioni, tutto questo dovrebbe essere sufficiente per portarlo a riesaminare le sue abitudini “dolcificanti” e a correggerle per una vita migliore.

Fonte: DioniDream

Il limone fa parte della famiglia delle Rutacee, cui appartengono anche arance, mandarini, bergamotti, cedri, pompelmi. Le varietà principali di limoni sono: il Femminello, tipico della Sicilia, dal frutto di forma oblunga, la polpa succosa e molti semi. Esiste però anche il Femminello apireno, molto pregiato, poiché è quasi privo di semi; dai Femminelli Santa Teresa provengono i migliori verdelli; il Monachello, resiste poco alla conservazione ed è utilizzato, principalmente, per la produzione di verdelli. L’Interdonato, dal frutto grosso, ma poco succoso, utilizzato per la produzione del primofiore. I limoni giungono a maturazione in tre diversi periodi dell’anno, la prima fruttificazione, chiamata invernale o primofiore, giunge a maturazione in Ottobre; la seconda fruttificazione avviene a Marzo (i limoni di questo tipo – conosciuti anche come bianchetti – sono di minor pregio commerciale); nel corso della terza fruttificazione, tra Giugno e Luglio, maturano i limoni verdelli, così chiamati per il colore della buccia, che è particolarmente compatta e aderente alla polpa. 

Il limone è ricco di oli essenziali, il principale dei quali è il limonene, concentrato prevalentemente nella scorza. Gli oli essenziali del limone hanno un elevato potere antibiotico e disinfettante. Applicati sulla pelle, svolgono anche un’azione revulsiva (richiama il sangue in superficie) e per tale motivo risultano utili in caso di reumatismi, inoltre, sono cicatrizzanti. Il limone (assieme al pomodoro) è il vegetale con il più alto contenuto di acido citrico, una sostanza essenziale per il ricambio energetico delle cellule. Contiene inoltre citrati di sodio e di potassio, che hanno un notevole potere depurativo. Dal limone lo scienziato ungherese Albert Szent-Gyorgy riuscì per primo a isolare la vitamina C, di cui il frutto è particolarmente ricco.  Anche in questo caso, come spesso accade, non è tanto la presenza di questo o di quell’elemento a essere efficace, quanto piuttosto l’armonico contributo di diverse sostanze che interagiscono tra loro (è proprio grazie alla relazione con altre sostanze che la vitamina C contenuta nel limone cura lo scorbuto: la stessa vitamina, ottenuta in laboratorio, risulta inefficace).

Discreto è l’apporto di vitamine del gruppo B e della vitamina P. Nella scorza si trova un’altissima quantità di flavonoidi. Riduce i livelli di colesterolo e contrasta l’arteriosclerosi: grazie all’azione fluidificante dei citrati di sodio e di potassio, il sangue circola più liberamente nelle arterie e passa facilmente attraverso le pareti dei capillari, apportando alle cellule una maggiore quantità di sostanze nutritive. Se bevuto abitualmente e in quantità significative, il succo di limone aumenta i livelli di colesterolo HDL, il cosiddetto ‘colesterolo buono’ e abbassa il livello di colesterolo LDL, ‘quello cattivo’. Riduce inoltre i livelli di omocisteina messa in relazione con alti rischi d’infarto. Combatte reumatismi, artrite e gotta: il limone contiene oligoelementi che sciolgono i cristalli di acido urico. L’acido citrico, inoltre, ha un effetto depurativo. Allevia i sintomi di mal di gola, raffreddore e influenza: per le loro proprietà antivirali e antibatteriche gli oli essenziali del limone sono efficaci nel contrastare le malattie infettive. Per stroncare un raffreddore sul nascere, ai primi sintomi, quando la gola inizia a pizzicare, si consiglia di mangiare un limone intero, buccia e semi compresi (di produzione biologica); in caso di mal di gola, si consiglia di fare gargarismi con il succo di limone. Se il naso è otturato, instillate alcune gocce di succo di limone direttamente nel naso. Aiuta a digerire i grassi: il limone si è dimostrato utile a chi ha tendenza a formare calcoli alla cistifellea. Uno dei sintomi più frequenti è la difficoltà a digerire i grassi, dovuta alla presenza di piccoli calcoli. A digiuno o lontano dai pasti, bevete il succo di almeno tre limoni nell’arco della giornata. Cura le affezioni della pelle: per le sue proprietà antivirali e antisettiche, il succo di limone favorisce la guarigione in caso di verruche, foruncoli, vescicole, afte, pustole, ferite e piaghe. Si consiglia di mettere sulla zona interessata qualche goccia di limone, due o tre volte il giorno. Disinfetta: in caso di punture d’insetti (zanzare, pulci o altro) strofinate sulla zona interessata una fettina di limone.

Nello svezzamento: come tutti gli agrumi, il limone può essere introdotto nell’alimentazione del bambino all’ottavo mese. Una o due gocce di questo frutto possono però essere offerte anche nei mesi precedenti, in caso di singhiozzo. Si fa tuttavia eccezione a tali indicazioni se in famiglia vi sono predisposizioni alle allergie: in questi casi per offrire gli agrumi è bene aspettare dopo l’anno, anche qualora il bambino abbia il singhiozzo e comunque, sentire prima il proprio pediatra. Grazie alle sue mucillagini, il succo di limone ammorbidisce la pelle e la nutre con gli oligoelementi di cui è ricco. Inoltre, grazie al suo contenuto di vitamina C, di acidi citrico e malico, la tonifica, riduce la secrezione di sebo e mantiene la giusta acidità.

1. Tonico per pelli grasse: massaggiate il viso due volte il giorno (la mattina e la sera), con un batuffolo di ovatta imbevuto di succo di limone (avendo l’accortezza di evitare gli occhi). Lasciate seccare e poi ripetete l’operazione. Alla fine lavate il viso con acqua fredda.
2. Maschera per pelli grasse: sbattete un tuorlo d’uovo con due cucchiai di miele liquido, aggiungete due cucchiai di olio extra vergine d’oliva, amalgamate bene aggiungendo – se necessario – altro olio e infine due/tre cucchiai di succo di limone. Ungete il viso con questa crema e lasciatela seccare. Poi, lavatevi con acqua tiepida.
3. Per ottenere denti bianchi: ogni giorno – per una settimana – affondate i denti in un grosso spicchio di limone (completo di buccia), assicurandovi che penetrino nella polpa e nella parte bianca, quindi passate lo spicchio avanti e indietro per tutta la dentatura.
4. Per rafforzare le unghie fragili: spremete il succo di due/tre limoni in 50 ml di olio di avocado (si trova in erboristeria), miscelate bene e ogni sera ungete le unghie con questo miscuglio. Per evitare, di macchiare la biancheria, indossate guanti di cotone bianco.


Il limone deve avere buccia soda, sottile, liscia, senza macchie e di colore brillante. Per verificare che sia fresco controllate che la rosetta a cui è attaccato il picciolo sia di colore verde. Una buccia rugosa e spessa, macchie verdi, deformità, ammaccature e cicatrici, dovute a grandine o ad attacchi di parassiti, sono da considerarsi difetti. Utilizzate limoni maturi, più ricchi di aroma. Al momento dell’acquisto accertatevi che i frutti non siano trattati in superficie con una sostanza che impedisce lo sviluppo delle muffe, detta ‘difenile’ o ‘bifenile’. Nel corso di esperimenti di laboratorio condotti su animali, il difenile non si è dimostrato nocivo, ma altera il sapore del frutto. Qualora vogliate utilizzare la scorza, soprattutto se a scopi curativi, si consiglia di acquistare limoni non trattati. Per conservare i limoni maturi la temperatura ideale è di 0 – 4°C, mentre i limoni verdi possono essere mantenuti a una temperatura di 11 – 14°C. E’ consigliabile, quindi, tenere i limoni maturi in frigorifero, mentre i limoni verdi possono rimanere in un ambiente fresco.  Attenzione: chi soffre d’irritazione allo stomaco o dei postumi di un’ulcera può risultare insofferente al limone. In questi casi bisogna iniziare ad assumere il limone gradualmente. Alcuni sopportano meglio il succo di mezzo limone diluito in acqua fredda, preso prima dei pasti. Altri preferiscono assumerlo dopo il pasto, disciolto in acqua calda addolcita con un po’ di miele.

Inoltre, è del tutto priva di fondamento la credenza, piuttosto diffusa, che il limone possa togliere calcio alle ossa (rendendole fragili), al contrario, l’acido citrico contenuto nel frutto favorisce l’assimilazione del calcio da parte dell’intestino. È buona abitudine grattugiare un po’ di scorza di limone sulle verdure e sulle insalate, oltre a dare sapore al piatto, la scorza è particolarmente ricca di limonene; è anche possibile sostituire il limone all’aceto di vino nel condire le insalate. Il limone ha un aroma meno aggressivo dell’aceto, si adatta a vivande delicate come pesci, crostacei o verdure di gusto non accentuato. Il succo di limone ha la capacità di ‘cuocere’ le carni, ammorbidendone le fibre e rendendole più digeribili.
· La scorza grattugiata del limone conferisce un aroma gradevole a dolci, gelati, paste frolle e lievitate, creme, carni e salse (grattugiarne solo la parte gialla e non quella bianca che è amara).
· Per evitare che i carciofi puliti anneriscano, immergeteli in acqua acidulata con succo di limone.
· Aggiungete una fettina di scorza di limone al caffè (secondo la tradizione popolare, aiuta la digestione di un pasto ‘pesante’).
· Per eliminare l’odore del cavolfiore, durante la bollitura, mettete mezzo limone nell’acqua di cottura.
· Nella preparazione delle marmellate, durante la cottura della frutta, aggiungete succo di limone. Impedisce che le marmellate inacidiscono (nonostante il limone abbia un sapore acidulo).

Fonte: Disinformazione.it

Oltre a essere antiossidante, efficace contro i radicali liberi e protettivo nei confronti della vista, ha anche proprietà anti-obesità: a sostenere le proprietà del resveratrolo, composto naturale presente nell'uva, è uno studio pubblicato dai ricercatori della University of Texas Health Science Center di San Antonio (Texas) sul Journal of Biological Chemistry. 

Il resveratrolo, spiegano i ricercatori, stimola l'espressione dell'adiponectina, un ormone che provvede all'immagazzinamento del grasso: "L'adiponectina ha una vasta gamma di effetti benefici sulle complicanze mediche associate all'obesità", spiega Feng Liu, docente di farmacologia e membro del Barshop Institute dell'UT Health Science Center, che ha supervisionato la ricerca. Lo studio, condotto in laboratorio su modelli cellulari e animali, ha confermato le ipotesi dei ricercatori: sia l'adiponectina che il resveratrolo hanno mostrato proprietà anti-obesità e anti-invecchiamento, oltre ad aver dimostrato di contrastare l'insorgenza del diabete di tipo 2, facilitando l'attività dell'insulina. "I risultati di questo studio dovrebbero essere di grande interesse per tutti coloro che sono obesi o soffrono di diabete, ma anche per chi si sta avvicinando all'età della vecchiaia - continua Liu - e dovrebbero anche fornire informazioni importanti per lo sviluppo di nuovi farmaci terapeutici per il trattamento di queste malattie".

Fonte: Il Sole 24Ore

La vitamina E svolge molte funzioni importanti all’interno del nostro organismo. Dà un contributo rilevante nella cura dell’acne e dell’eczema, aiuta in caso di disturbi oculari, rafforza le difese immunitarie. Previene il declino cognitivo e combatte i problemi che interessano il sistema cardiovascolare. Ecco perché non dovrebbe mai mancare. Di conseguenza non dobbiamo trascurare di consumare quegli alimenti che ne abbondano, per rifornire il corpo di un nutriente di non poco conto. Via libera quindi alla frutta secca, ai semi di girasole, all’olio d’oliva e al germe di grano. Naturalmente non bisogna esagerare, per non incorrere negli effetti collaterali costituiti da eventuali sanguinamenti o ictus emorragico.

Dove si trova

Quali alimenti dobbiamo mangiare, per assicurarci un buon apporto di vitamina E? Non possono sicuramente mancare nella nostra dieta gli oli vegetali, come quello di semi di girasole, di oliva o di germe di grano, e la frutta secca, soprattutto noci, nocciole e mandorle. Tra la frutta anche l’avocado e i pistacchi. Una certa dose è presente anche nel latte di mucca, sia intero che parzialmente scremato e nei derivati: yogurt, grana, provolone, ricotta, mozzarella di bufala. In ogni caso non dobbiamo dimenticare che questa vitamina può essere danneggiata dal congelamento e dalla cottura eccessiva. Per questa ragione sarebbe opportuno evitare, per esempio, di friggere i cibi a lungo nello stesso olio. Ricordiamoci che il dosaggio giornaliero consigliato corrisponde a 4 mg per i neonati e per i bambini, fino a 14 anni. Oltre questa età dovremmo disporre di 15 mg di vitamina E al giorno.

A cosa serve

La sostanza in questione riesce a mettere in atto diversi benefici per la pelle, infatti è utilizzata come componente essenziale di molte creme. In particolare riesce a rivelarsi utile per trattare l’acne e l’eczema. La vitamina E è composta da degli antiossidanti, i quali si rivelano molto importanti per contrastare gli effetti dannosi determinati dallo stress ossidativo in relazione a disturbi oculari, come la cataratta e la degenerazione maculare.
Inoltre riesce ad esercitare un’azione di prevenzione nei confronti delle malattie che coinvolgono il cuore e il sistema cardiovascolare. In effetti la vitamina E impedisce la creazione di coaguli, che possono provocare attacchi di cuore o fenomeni di tromboembolismo venoso. Da non dimenticare che questo nutriente, rallentando l’ossidazione, riduce il rischio di sviluppare il colesterolo. E’ anche efficace contro il declino mentale. Vengono combattuti gli effetti dei radicali liberi sul cervello, che determinano le malattie cognitive, come l’Alzheimer.

Fonte: Tanta salute

Secondo un recente studio condotto su moltissime donne, l'80% delle over 65 sarebbe a rischio osteoporosi. Dati davvero molto preoccupanti per la diffusione di questa malattia molto comune soprattutto nel genere femminile. La Fondazione per l'Osteoporosi, in collaborazione con la Città della Scienza e della Salute, ha condotto a livello internazionale una ricerca sulla diffusione dell'osteoporosi, che poi è stata presentata ufficialmente a Torino: si tratta di uno studio che ha voluto indagare sull'impatto che questa malattia invalidante ha sulla popolazione. I dati parlano chiaro: l'80 per cento delle donne over 65 è a rischio osteoporosi (il 33% è colpito da osteoporosi e il 47% da osteopenia, mentre il 17% ha subito una frattura non traumatica). L'incidenza sulla popolazione femminile è davvero impressionante: in Italia circa 18mila pazienti ogni anno diventano disabili per fratture al femore causate dall'osteoporosi e queste fratture sono destinate ad aumentare.

Lo studio, che è stato pubblicato sulla rivista “Calcified Tissue International”, testimonia quella che viene definita come una pandemia sileziosa, che colpisce moltissime donne e che ha un alto costo sanitario, oltre che un impatto notevole sulla società. Claudia Matta, presidente della Fondazione per l'Osteoporosi Piemonte, commenta così i dati: Il dato che emerge è sorprendente, soprattutto perché rivela con certezza che molte donne non sono consapevoli di essere a rischio. La sensibilizzazione sulla malattia è quindi fondamentale. È questa la mission della nostra Fondazione: fare informazione per richiamare l’attenzione sulla malattia e stimolare la prevenzione precoce. L’osteoporosi ha infatti un’enorme rilevanza sociale ed economica, perché comporta un alto rischio di fratture che, tra gli anziani, sono tra le maggiori cause di mortalità. Inoltre, il 50% delle persone con frattura di femore subisce una forte riduzione della propria autosufficienza e, in circa il 20% dei casi, richiede un’ospedalizzazione a lungo termine, con oneri economici per il sistema sanitario. E non sono solo le donne a esserne colpite. Prevenzione e cure efficaci sembrano essere la risposta da dare nell'immediato, per cercare di ridurre l'incidenza e anche i costi per la sanità e per la popolazione.

Fonte: Benessereblog.it

I cibi ad alto indice glicemico possono attivare le stesse aree cerebrali coinvolte nella dipendenza dalle sostanze d'abuso. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sull'American Journal of Clinical Nutrition da un gruppo di ricercatori del Boston Children's Hospital guidati da David Ludwig, esperto del New Balance Foundation Obesity Prevention Center (Boston, Stati Uniti), secondo cui limitare il consumo di questo tipo di alimenti potrebbe aiutare le persone obese ad evitare le abbuffate.

L’indice glicemico è un parametro che misura la velocità alla quale aumenta la concentrazione di glucosio nel sangue dopo aver assunto dei carboidrati. I risultati di Ludwig e collaboratori, ottenuti misurando la glicemia, l'appetito e l'attività cerebrale di 12 uomini obesi o in sovrappeso di età compresa tra i 18 e i 35 anni, indicano che il consumo di carboidrati altamente processati, caratterizzati da un elevato indice glicemico, è associato a una fame eccessiva e attiva la regione del cervello coinvolta nei meccanismi di ricompensa e nella ricerca di cibo. “Questa zona del cervello è anche associata all'abuso e alla dipendenza da sostanze – spiega Ludwig – fatto che fa chiedere se alcuni cibi possano creare dipendenza”.

Monitorando tramite risonanza magnetica l'attività cerebrale dei partecipanti nelle 4 ore successive dopo il pasto – un periodo fondamentale per determinare l'appetito al pasto successivo – gli scienziati hanno scoperto che i cibi ad alto indice glicemico causano un iniziale aumento nei livelli di zuccheri, seguito da una rapida diminuzione nelle ore successive. Questa riduzione della glicemia è risultata essere associata ad un appetito eccessivo e ad un'attivazione intensa del nucleus accumbens, area cerebrale che partecipa ai fenomeni di dipendenza. Tale fenomeno non dipende dalle calorie presenti nel cibo, ma solo dal suo indice glicemico.
Secono Ludwig “questi risultati suggeriscono che limitare i carboidrati ad alto indice glicemico, come il pane bianco e le patate, potrebbe aiutare le persone obese a ridurre la ricerca di cibo e a controllare il bisogno di mangiare troppo”.

Fonte: Il Sole 24Ore

Il fatto che siano facilmente reperibili e a basso costo non significa che siano meno utili per mantenersi in salute. Anzi. Ricordiamo alcune notizie riguardanti la prevenzione dei tumori.

Tumore al polmone
Nei fumatori, uno studio suggerisce che mangiare carote almeno più di una volta alla settimana abbatte di tre volte il rischio di sviluppare un tumore polmonare rispetto a chi non le mangia mai.
Lo studio era italiano, con la partecipazione di Franco Berrino*.

Tumore colorettale
Un recente studio giapponese segnala che il consumo regolare di carote (e zucche) abbatte il rischio di polipi colorettali nei maschi, e di polipi e tumori colorettali nelle donne**.
Tumore della prostata
Un importante studio di Harvard*** rilevava come una dieta ricca in beta-carotene, presente nelle carote, possa avere un ruolo protettivo contro alcune forme di cancro prostatico. Non solo il licopene presente per esempio nei pomodori.

Leucemia
Uno studio dell’università di Sheffield**** dimostrava come gli estratti di carota siano in grado di arrestare la proliferazione delle cellule leucemiche. Gli autori scrivevano: «Questi risultati suggeriscono che le carote possano essere una eccellente fonte di sostanze bioattive per il trattamento della leucemia».
Questi risultati non si estendono automaticamente alla supplementazione con alte dosi di beta-carotene. Al contrario, diverse ricerche segnalano un maggior rischio tumorale con la supplementazione. Come mai?
In genere, i ricercatori spiegano questo fenomeno affermando che è l’insieme di tutte le sostanze naturali presenti nelle carote (e nei vegetali) a produrre l’effetto protettivo. Isolare un singolo composto e magari assumerlo ad alte dosi può persino interferire sull’assorbimento delle altre sostanze protettive. Alla fine si avrebbe un risultato negativo, nocivo per la salute.
E in effetti, nelle carote oltre al beta-carotene sono state identificate altre sostanze con una potenziale attività preventiva sui tumori. In particolare, l’interesse si concentra sul falcarinolo, e composti correlati: queste sostanze sono prodotte naturalmente dalle carote per difendersi dai funghi.

FONTE: http://www.laltramedicina.it/nutrizione-naturale/499-carote-e-prevenzione-dei-tumori.html

Giovedì, 22 Maggio 2014 00:00

Il potere antinfiammatorio della curcuma

La curcuma si è dimostrata un potente antinfiammatorio senza effetti collaterali. Contrastando le infiammazioni, si interviene sui fenomeni da esse provocate come artriti, osteoartriti, artrosi in fase acuta (previene le ricadute), dolori muscolari, sindrome del tunnel carpale, dito a scatto, dolori mestruali, dolori post-chirurgici, congiuntivite, morbo di Crohn, emorroidi durante la fase congestizia.

La curcuma sembra svolgere un ruolo importante nell’insorgenza del tumore: il prestigioso National Cancer Institute statunitense annovera la curcuma come sostanza preventiva per il cancro intestinale poiché in grado di neutralizzare le sostanze tossiche presenti nei cibi. La curcuma ha inoltre un’azione protettiva nei confronti di ulcera gastrica e duodenale o peptica derivata dall’assunzione di farmaci e/o anti-infiammatori. Spesso causate da un batterio, l’Helocobacter pylori (presente nel 90% delle ulcere duodenali e nelle gastrite), i disturbi a livello gastrico vengono contrastati preventivamente nella fase di formazione ulcerosa, introducendo un significativo incremento del muco. L’aggiunta di pepe nero all’assunzione di curcuma, anche solo del 3% in peso rispetto alla curcuma, determina un notevole potenziamento degli effetti della curcuma.

Fonte: L'altra medicina

L'esercizio fisico può dare benefici alle persone anziane con demenza, migliorando il loro funzionamento cognitivo e la capacità di svolgere le attività quotidiane. Questo è il risultato di una nuova revisione sistematica pubblicata nella Cochrane Library. Tuttavia gli autori della revisione non hanno visto alcun effetto evidente dell'esercizio sulla depressione nelle persone anziane con demenza e dicono che sono necessarie ulteriori prove per capire come l'esercizio potrebbe ridurre l'onere per i caregiver familiari e i sistemi sanitari. Poichè le persone vivono più a lungo, il tasso di demenza è destinato ad aumentare sensibilmente nei prossimi decenni. La demenza colpisce il cervello in modi diversi ed è associata ad effetti sulla memoria e sulla personalità. Si pensa che l'esercizio potrebbe essere utile nel trattamento della demenza o per rallentare la sua progressione, attraverso il miglioramento della capacità di svolgere le attività quotidiane e con effetti positivi sui processi mentali quali la memoria e l'attenzione, chiamati nell'insieme 'funzionamento cognitivo'. L'esercizio fisico può quindi dare benefici indirettamente ai caregiver famigliari e al sistema sanitario, riducendo alcuni degli oneri della demenza.

Lo studio aggiorna una revisione della Cochrane effettuata nel 2008, quando erano disponibili solo quattro studi sugli effetti dell'esercizio fisico nelle persone anziane con demenza. Nell'aggiornamento della revisione, i dati provenienti da otto studi condotti su 329 persone dimostrano che l'esercizio fisico potrebbe migliorare il funzionamento cognitivo. I dati di sei studi che hanno coinvolto 289 persone dimostrano che l'esercizio fisico potrebbe migliorare la capacità delle persone anziane con demenza di svolgere le attività quotidiane, come camminare per brevi distanze o alzarsi da una sedia. "Nella revisione precedente, non siamo riusciti a trarre conclusioni sull'efficacia dell'esercizio fisico nelle persone anziane con demenza, a causa di una carenza di prove appropriate", ha detto il ricercatore, Dorothy Forbes, professore associato di infermieristica dell'Università dell'Alberta di Edmonton, stato canadese di Alberta. "In seguito a questa nuova revisione, possiamo ora concludere che ci sono prove promettenti che i programmi di esercizio migliorano la cognizione e la capacità di svolgere le attività quotidiane. Tuttavia, dobbiamo ancora essere cauti sul modo di interpretare questi risultati". I ricercatori restano prudenti perché ci sono differenze sostanziali tra i risultati dei singoli esperimenti. Inoltre, non hanno trovato prove sufficienti per stabilire se l'esercizio migliora i comportamenti difficili o la depressione degli anziani con demenza. Non sono riusciti a trarre conclusioni sulla qualità della vita, o sui benefici per i caregiver familiari e per i sistemi sanitari, perché non ci sono prove sufficienti.

Tuttavia, i ricercatori suggeriscono che appena saranno disponibili altre evidenze, queste potrebbero aiutare ad affrontare la questione se l'esercizio fisico può aiutare le persone con demenza a rimanere a casa più a lungo. "E' chiaramente necessario fare ulteriori ricerche per elaborare orientamenti sulle migliori pratiche che consentano ai professionisti sanitari di dare consigli alle persone con demenza che vivono a casa o nelle strutture", ha detto la Forbes. "Abbiamo anche bisogno di capire qual è il livello e l'intensità dell'esercizio fisico utili per una persona con demenza".

Fonte: Associazione Alzheimer onlus 

Chi è in sovrappeso corre un rischio maggiore di soffrire di emicrania rispetto a chi è "in forma". È quanto emerge dallo studio pubblicato su American Academy of Neurology dai ricercatori del Drexel university college of medicine di Philadelphia, secondo cui il rischio di incorrere nel mal di testa aumenta in presenza di obesità addominale. In Italia sono 8 milioni le persone che soffrono di emicrania e cefalea, disturbi determinati da fattori quali l`età e il sesso ma anche, secondo gli specialisti americani, dall`ampiezza del giro vita.

Lo studio - La ricerca è stata condotta su 22.211 persone di entrambi i sessi, di età compresa tra i 20 e i 55 anni. Dall`analisi del loro peso e dal resoconto degli eventuali episodi di cefalea di cui avrebbero sofferto, è emerso che i giovani e gli adulti di mezza età obesi avevano maggiori probabilità di soffrire di emicrania o di altre forme mal di testa. In particolare, il 36,9% delle donne in sovrappeso aveva sperimentato frequenti episodi di cefalea rispetto al 28,2% di quelle magre, mentre tra gli uomini ne soffriva il 20,1% degli obesi rispetto al 15,9% dei normopeso. Tuttavia, dai risultati è anche emerso che al di sopra dei 55 anni l`associazione tra sovrappeso e mal di testa si ridurrebbe drasticamente in entrambi i sessi. Dalla bilancia alla testa - Secondo i ricercatori, lo studio ha dimostrato che, soprattutto in giovane età, esisterebbe un`associazione tra obesità e insorgenza di emicrania e che, dunque, perdere peso potrebbe risultare utile per alleviarne i sintomi, in particolare tra le donne.

Fonte: Il Sole 24Ore

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