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Oltre a un'azione diretta sulle cellule endoteliali, il Covid-19, induce una risposta infiammatoria scatenata dall'infezione, con aumento del pericolo di trombosi ed embolie, sia a carico delle arterie che delle vene. «Se è vero che i dati provenienti da tutto il mondo, a partire dalla Cina per giungere fino alle osservazioni dell'Istituto Superiore di Sanità sui decessi in Italia, indicano come la presenza di comorbilità cardiovascolari (ipertensione o cardiopatia ischemica in testa) rappresentano fattori di rischio specifici in termini di mortalità per i pazienti ricoverati per Covid-19, è altrettanto innegabile che l'infezione induce direttamente una serie di alterazioni nella coagulazione del sangue» spiega Claudio Cuccia, direttore del dipartimento Cardiovascolare della Fondazione Poliambulanza di Brescia.

«Nel nostro ospedale – continua Cuccia -, che vista l'elevatissima richiesta è particolarmente impegnato nel trattamento dei pazienti che hanno sviluppato l'infezione, stiamo appunto vedendo come proprio le problematiche cardiovascolari, anche in soggetti più “giovani”, sia spesso alla base di complicazioni al decorso del quadro, anche indipendentemente dalla situazione respiratoria. Non per nulla i dati dell'Istituto superiore di sanità sui decessi in Italia dicono proprio che nell'11,6% dei pazienti deceduti si è osservato un danno miocardico acuto, a riprova dell'interessamento cardiovascolare l'infezione». Insomma, il virus Sars-Cov-2-, porterebbe a uno squilibrio nelle vie della coagulazione, sia con una probabile azione diretta sconosciuta del virus sia attraverso l'infiammazione.

Problemi cardiovascolari, alterazioni e altri fattori

«Il nostro processo di coagulazione del sangue – precisa Cuccia - si svolge fondamentalmente attraverso due diverse vie: la prima, quella della fibrinolisi spontanea, porta al dissolvimento di possibili coaguli, l'altro termina invece con la formazione di fibrina, che è la costituente di base di un trombo». «L'infiammazione indotta dal virus – aggiunge il professore - e probabilmente un'azione non ancora compresa, ma legata alla presenza del Sars-Cov-2 , portano a uno squilibrio nella regolazione di questi sistemi, che nel soggetto normale operano in equilibrio». «A questa alterazione si aggiunge anche l'azione diretta del virus sull'endotelio delle arterie e il risultato finale del processo è un eccesso di coagulazione che si ripercuote in un incremento del rischio di formazione di trombosi arteriose e di tromboembolie venose. Sul piano clinico questo si può tradurre nel maggior rischio di comparsa di infarti del miocardio, anche in soggetti più giovani, e di embolie polmonari» conclude l’esperto.

A sostegno di tale ipotesi, la ricerca condotta dall'equipe di Ning Tang del Laboratorio del Tongji Hospital di Wuhan, su 183 pazienti con Sars-Cov2-19 in Cina, pubblicato su Journal of Thrombosis and Haemostasis. L’indagine dimostra come nell'11,5% dei soggetti deceduti è stato rilevato un aumento di un particolare parametro, il D-Dimero, rispetto a quelli che sono sopravvissuti. «Questo è un prodotto di degradazione della fibrina – sottolinea Claudio Cuccia - e quanto più è elevato, tanto più il sangue tende a coagulare all'interno dei vasi. Per questo, come accade per altre patologie, nella valutazione del paziente con Covid-19 e individuarne il rischio sotto questo aspetto, occorre prendere in considerazione uno score clinico definito Sofa che si basa sostanzialmente su quattro elementi: il valore del D-dimero, lo stato mentale alterato, la frequenza respiratoria (il cut off è fissato a partire dai 22 atti respiratori al minuto) e il livello della pressione arteriosa sistolica, cioè la massima, inferiore a 100 millimetri di mercurio».

Dall'infiammazione all'infarto miocardico

Tuttavia, oltre a queste alterazioni dell’apparato cardiovascolare, entrano in gioco anche altri fattori. «Covid-19 non ha le stesse conseguenze dell'influenza stagionale sul cuore» sostiene Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia (Sic) -. Infatti, secondo il presidente del Sic, il «Covid-19 può interessare il cuore con due diverse presentazioni: la prima con una predominate interessamento respiratorio con aumento dei marcatori di miocardionecrosi (cioè di morte delle cellule del miocardio, simili a quello che si osserva dopo un infarto) associato a un aumento degli indici di infiammazione sistemica. La seconda è, invece, un predominante interessamento cardiaco con anomalie all'elettrocardiogramma, dolore toracico tipico e/o ipotensione causata da una miocardite, cardiomiopatia da stress o un vero e proprio infarto miocardico». «Il rischio cardiovascolare è più alto dopo alcuni giorni dall'inizio dei sintomi di Covid-19» precisa Indolfi. In ultimo, ma non meno importante, soprattutto in questo periodo alle prese con pandemia e quarantena, la lotta a stress, ansia e depressione. Questi, sono tra i fattori di rischio cardiovascolare. Un studio pubblicato su The Lancet individua per la prima volta un collegamento diretto tra stress cerebrale e problemi cardiocircolatori: a fare da 'ponte', il sistema immunitario.

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Per approfondimenti:

Il Sole 24Ore "Covid-19, perché è pericoloso per la coagulazione e per il cuore"

Cronaca Torino "Coronavirus, da Fondazione Poliambulanza arriva il decalogo per i cardiopatici"

Corriere Nazionale "Coronavirus: dieci regole per i cardiopatici"

LEGGI ANCHE:

Coronavirus: stress, ansia e depressione. I 7 consigli anti-panico

 

 

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«Fa che il cibo sia la tua medicina» raccomandava Ippocrate. È ormai noto che una dieta non equilibrata renda il nostro sistema immunitario incapace di fronteggiare l’attacco di agenti patogeni, virus inclusi. Pertanto, con questa nuova infezione, è bene non sottovalutare l’importanza di un’alimentazione sana, ricca e consapevole. Lei Zhang e Yunhui Liu due ricercatori dell’ospedale dell’Università Medica di Shenyang, in Cina, sostengono che «in assenza di un trattamento specifico per questo nuovo virus, vi sia una urgente necessità di trovare una soluzione alternativa per prevenire e controllare la replicazione e la diffusione del virus». Questi docenti, considerano fondamentali e non trascurabili i risultati delle ricerche effettuate su altre infezioni virali come l’influenza, l’Aids, e le due infezioni del 2003 e del 2012, rispettivamente la sindrome respiratoria acuta grave (Sars) e la sindrome respiratoria mediorientale (Mers), causate entrambe dai coronavirus Sars-CoV e Mers-CoV.

Gli scienziati ipotizzano due tipi di trattamenti per combattere il nuovo coronavirus: interventi di carattere nutrizionale e terapie di cui è stata già evidenziata un’attività antivirale. Inoltre, fanno notare che, ad oggi, non è stata data la giusta rilevanza al ruolo che svolge il sistema nutrizionale nella difesa contro le malattie, in particolar modo, di quelle infettive. Questo accade nonostante sia ormai acclarato che le carenze nutrizionali possano compromettere la nostra capacità di difesa dagli agenti patogeni. Come avvenne, ad esempio tra il 1918 e 1920, con l’influenza spagnola dove, la maggior parte dei morti, presentava carenze nutrizionali. Secondo Zhang e Liu, i nutrienti che potrebbero svolgere un ruolo determinante nella difesa contro il COVID-19 sono le vitamine A, B2, B3, B6, C, D ed E, oltre ai micronutrienti come selenio, zinco e ferro e agli acidi grassi polinsaturi omega 3. Questi nutrienti partecipano al corretto funzionamento del sistema immunitario. Una battaglia, quella contro il nuovo coronavirus, che si potrebbe combattere anche con le sostanze dotate di potere virucida. In primis, diventa fondamentale per far fronte a questa pandemia, sopperire all'ipovitaminosi D (carenza di vitamina D), considerata come una delle cause di maggiore frequenza dell’infezione da coronavirus. Questa vitamina aiuta il nostro organismo nel contrasto alle infezioni virali respiratorie e ancora meglio se con un alleato come lo zinco che rinforza il corpo contro l’assalto di virus e malattie dell'apparato respiratorio.

Nella lista della spesa: vitamine e minerali

La miglior difesa inizia dalla tavola. Sull'importanza di vitamine e minali e della scelta degli alimenti per vivere in salute, sarebbe opportuno ricordare il ruolo svolto da questi nutrienti e micronutrienti nella prevenzione e nel contrasto alle infezioni. La vitamina A è considerata la vitamina antinfettiva per antonomasia, la sua assunzione riduce la mortalità in differenti infezioni. Le vitamine B2, B3 e B6, influenzano la risposta immunitaria contro batteri e virus. La vitamina C è un antiossidante che riduce la durata e l'intensità dei raffreddori e contrasta le infezioni respiratorie di origine virale. La vitamina D svolge un ruolo rilevante nella modulazione della risposta immunitaria e una sua carenza aumenta il rischio e la gravità delle infezioni, in particolare di quelle del tratto respiratorio. Il selenio influenza differenti tipi di risposta immune. Nei bambini affetti da morbillo, lo zinco riduce la morbilità e la mortalità dovuta alle infezioni respiratorie. La combinazione di zinco e piritione a basse concentrazioni inibisce la replicazione di diversi virus a RNA, compreso il coronavirus SARS-CoV2. Il ferro, quando carente, aumenta rischio di infezioni acute del tratto respiratorio. Infine, gli omega 3, dotati di proprietà antinfiammatorie, inibiscono la replicazione del virus dell’influenza A e ne riducono la mortalità .

Vitamine e minerali

Ormai, viviamo in balia tra la paura di uscire, col rischio di essere contagiati e lo stare a casa, con l’attività fisica ridotta al minimo, e quindi, con la certezza di mettere su qualche chilo di troppo. L’isolamento sta mettendo a dura prova sia il nostro sistema nervoso che il nostro stomaco. Dalla fame nervosa a chi mangia per noia. E poi, a peggiorare una situazione già critica di suo, le ricette estremamente elaborate che, con la scusa di ingannare il tempo non aiuto di certo. «Un sistema immunitario efficiente — sottolinea Annamaria Colao in uno studio pubblicato sull’European Journal of Clinical Nutrition  — è importantissimo per difenderci da malattie e virus e passa anche per una nutrizione corretta». La resistenza alle infezioni può essere, quindi, migliorata e facilitata grazie agli antiossidanti, che aiutano il nostro organismo a difendersi dall’attacco dello stress ossidativo. Via libera a tavola, quindi, agli agrumi e a tutti i cibi ricchi di vitamina C, considerata da sempre l’antiraffreddore per eccellenza.

Mangiare in quarantena, tra salute e "comfort food"

«Per evitare di perdere il controllo – spiega in un’intervista a Fanpage, Renata Bracale, ricercatrice e docente in nutrizione umana presso l’Università degli Studi del Molise  – è bene fissare alcune regole alimentari semplici, ma rigorose e che, in qualche modo, ci faranno riscoprire anche delle abitudini e dei piaceri che abbiamo perso a causa della nostra vita frenetica». La nutrizionista sottolinea l’importanza, mai come ora in cui siamo impegnati in questa lotta al virus, di tutti quegli alimenti, come frutta e verdura, a cui dovremmo attingere per rafforzare il nostro sistema immunitario. Nell’articolo, l’esperta spiega l’importanza della scelta di alimenti ricchi di vitamine, minerali e antiossidanti: «La regola da tenere presente è che è importantissimo mangiare colorato. I colori nascondono dietro di sé dei segreti importanti: ad ognuno corrisponde una vitamina, un minerale, un antiossidante. Una volta fatta la spesa possiamo lavare e tagliare le verdure e congelarle, sia crude che cotte. Possiamo preparare il dado fatto in casa, un minestrone o una vellutata e conservare tutto nel nostro freezer. A differenza delle preparazioni industriali sicuramente avranno anche meno sale». «L'importante è avere una dieta quanto più varia possibile, anche restando in casa e riducendo al minimo le uscite per la spesa» raccomanda la nutrizionista.

Ecco perché l'integrazione alimentare è un valido aiuto per la nostra salute

E dopo il dovere arriva sempre il piacere! Quando le ore che scandiscono le nostre giornate in quarantena sembrano interminabili e non riusciamo a resistere fino al pasto successivo possiamo concederci dei peccati di gola con i cosiddetti comfort food. Al via con lo “scaccia tristezza” per antonomasia: il cioccolato. Concesso, quindi, anche l’uovo di Pasqua, come da tradizione. «Scegliamo una tavoletta fondente – suggerisce Renata Bracale a Fanpage - che abbia una percentuale di cacao almeno del 70%». La nutrizionista spiega che il cioccolato è ricco di triptofano, un aminoacido precursore della serotonina, l'ormone della felicità, che ci dà quella sensazione di essere sempre di buonumore. In alternativa, possiamo sempre ripiegare sulla frutta secca: «La frutta secca è ricca di omega 3, vitamina B6, acido folico e anche triptofano – aggiunge l’esperta - poi contiene il magnesio, che è importante per i muscoli, ma anche per riequilibrare i ritmi circadiani, ovvero il ritmo sonno-veglia, che in questo momento, a causa delle abitudini sballate potrebbe essere messo a dura prova».

Anche le banane rientrano nella categoria dei comfort food: «Sono ricche di potassio, vitamina A, vitamina C, B6, ferro, ma soprattutto di fosforo, che fa benissimo alla nostra memoria. In questo momento infatti il cervello potrebbe essere un po' ‘indolenzito’, per questo un attivatore come le banane è un ottimo rimedio». Infine un cereale: l'avena. «Ricca di fibre – continua nell’articolo, possiamo usarla come sostituto della pasta, inoltre, contiene anche tantissimo zinco, un minerale utile per contrastare la fatica e stimolare la serenità». Ovviamente, oltre a cioccolato, noci, mandorle e tutti gli altri comfort food, c’è anche una soluzione per i nostalgici dell’aperitivo. Da evitare categoricamente il cibo spazzatura e puntare su una vasta selezione di verdure meglio se fresche e da consumare crude come finocchi, cetrioli, carote, ravanelli e sedano. «Possiamo farle diventare delle simpatiche crudités per fare un piccolo aperitivo salutare tra le nostre quattro mura» consiglia la nutrizionista.

Alimentazione Life 120: verdure consigliate e le loro proprietà

 

Non solo acqua: l'importanza dell'idratazione

In ultimo, Renata Bracale, sottolinea l’importanza di bere molta acqua: «Sono soprattutto gli anziani a correre questo rischio, perché con l'età si perde lo stimolo della sete.». Non dimentichiamo poi che per preservare la giusta idratazione, possiamo ricorrere a piccoli stratagemmi, sicuramente più gustosi dell’acqua stessa. Parliamo proprio delle tisane: «Il nostro fabbisogno di liquidi può essere soddisfatto anche con delle tisane». «Istituiamo questo nuovo rituale – propone l’esperta -, visto che abbiamo del tempo a disposizione, possiamo farci una tisana digestiva, oppure una tisana prima di andare a letto». «Con il cambio di stagione chi soffre di reflusso potrebbe prepararsi una tisana a base di malva o di melissa, o ancora, si può preparare il classico canarino con acqua calda e buccia di limone. Ottima anche quella al finocchietto e chi ha problemi di digestione, ma non soffre di pressione alta, potrebbe prepararsi una tisana a base di liquirizia» conclude la nutrizionista.

 

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Per approfondimenti:

 Journal of Medical Virology "Potential Interventions for Novel Coronavirus in China: A Systemic ReviewLei Zhang e Yunhui Liu

 Fanpage "Dieta in quarantena: i 5 consigli della nutrizionista per mangiare bene ed evitare gli eccessi"

Corriere della sera / Corriere del mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"

Il fatto alimentare "Coronavirus: dieta e trattamenti terapeutici naturali proposti da docenti di medicina"

Ministero della Salute "Cosa mangiare ai tempi dell'isolamento""Cosa mangiare ai tempi dell'isolamento"

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LEGGI ANCHE: Cibo e smart working: cosa mangiare ai tempi della quarantena

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«La vitamina C per via endovenosa è un antivirale sicuro, efficace e ad ampio spettro» è la rivelazione di Richard Z. Cheng, MD, PhD, medico specialista cinese-americano. Dopo Shanghai e New York, è la volta di Palermo. Anche in Italia si parte con la sperimentazione di alte dosi di vitamina C somministrate per endovena ai soggetti positivi al coronavirus. Lo studio, sarà condotto nell’Ospedale Nazionale di Rilevanza Arnas Civico, di Cristina Benfratelli, nel palermitano. Nell’indagine saranno inclusi tutti i pazienti ricoverati con esito positivo al tampone e polmonite interstiziale o sottoposti a intubazione. Saranno successivamente raccolte, sui soggetti, una serie di informazioni tra cui informazioni personali e anamnestiche, risultati clinici e di laboratorio come genere, età, etnia, comorbidità, droghe, azoto ureico nel sangue, creatinina, elettroliti, conta delle cellule del sangue, clearance dei lattati, PCR, PCT, Punteggio SOFA, funzionalità epatica, coagulazione, analisi dei gas nel sangue, pressione arteriosa sistolica e diastolica, Sp02, glicemia, indice di massa corporea (BMI). Sarà poi registrata per ciascuno anche la durata della degenza. Previa autorizzazione, ai soggetti verranno poi somministrati 10 gr di vitamina C in 250 ml di soluzione salina con una frequenza di 60 gocce al minuto.

COVID-19 e Vitamina C: Anche Palermo si muove

Dieci giorni fa, gli ospedali di New York, iniziavano a curare i malati di Covid-19 con alti dosaggi di vitamina C. La notizia si diffonde in fretta, il primo a pubblicarla il New York Post in un articolo: «Nel più grande sistema ospedaliero dello stato di New York, i pazienti gravemente malati di coronavirus, ricevono dosi massicce di vitamina C». Andrew G. Weber, pneumologo e specialista in terapia intensiva del Northwell Health a Long Island, un’intervista al NYP, spiega che per curare il virus e limitarne le complicanze stava somministrando, ai pazienti, in terapia intensiva, affetti da coronavirus, 1.500 milligrammi di vitamina C tre o quattro volte al giorno. Tuttavia, l’uso dell’acido ascorbico contro le polmoniti e le infezioni polmonari è una pratica nota dagli anni '30. Infatti, già nel 1936 Gander e Niederberger, due medici tedeschi scoprirono che la vitamina C aveva la capacità di abbassare la febbre e riduceva il dolore nei pazienti affetti da polmonite (Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936). Sempre lo stesso anno, un altro esperto tedesco otteneva risultati positivi con la somministrazione di 500 milligrammi di vitamina C, ogni novanta minuti, ai pazienti affetti da polmonite (Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936). Era il '44 quando due medici americani, Slotkin & Fletcher, curarono con l’acido ascorbico un paziente che aveva sviluppato una grave infezione polmonare a seguito di un intervento (Slotkin & Fletcher, "Acido ascorbico in complicanze polmonari a seguito di chirurgia prostatica” Jour. Urol. , 52: 6 novembre 1944). Due anni dopo, la vitamina C veniva usata abitualmente dai chirurghi del Millard Fillmore Hospital, a Buffalo, come profilassi contro la polmonite. Inoltre, i medici militari curavano le polmoniti dei soldati con l’acido ascorbico iniettato per endovena.

Dalla scomparsa dei sintomi alla riduzione della mortalià

Dal trattamento clinico per i contagiati alla misura di prevenzione per contrastare il virus, Ken Walker Gifford-Jones lancia il suo j'accuse contro la mancanza di intervento dei governi degli Stati colpiti dall'emergenza e dei rispettivi sistemi sanitari: «L'efficacia della vitamina C, nel ridurre la mortalità dovuta all'infezioni virali, è ampiamente stata dimostrata, non somministrarla ai pazienti affetti da COVID-19 è uguale all'omicidio». A sostegno della sua tesi, Lendon H. Smith autore della Clinical Guide to the Use of Vitamin C che riprende la ricerca del Dr. Frederick R. Klenner, pioniere nell'utilizzo della vitamina C e nella sua applicazione, con successo, a varie malattie virali e batteriche. Diverse ricerche hanno dimostrato, infatti, che l’acido ascorbico (vitamina C) influenza positivamente lo sviluppo e la maturazione dei linfociti T, in particolare le cellule NK (Natural Killer) coinvolte nella risposta immunitaria agli agenti virali. Contribuisce, inoltre, all’inibizione della produzione di ROS e alla rimodulazione della rete di citochine tipiche della sindrome infiammatoria sistemica. I recenti studi, poi, hanno anche dimostrato e confermato l’efficacia della somministrazione di vitamina C in termini di riduzione della mortalità, ai pazienti con sepsi ricoverati nei reparti di terapia intensiva, di scomparsa dei sintomi e di modifica dello stato del tampone. In considerazione dell’attuale emergenza SARS-CoV-2, è stato predisposto questo studio sui pazienti ospedalizzati con polmonite Covid-19.

Dopo la sua comparsa in Cina, il coronavirus, si è diffuso nel resto del mondo, trasformandosi, in pochi mesi, in una pandemia, tramutando in un lazzaretto, Paese dopo l’altro. Di pari passo alla diffusione di questo nuovo virus si registra anche un aumento del numero di polmoniti identificate con il termine “polmonite infettata da coronavirus” (2019-nCoV) (NCIP), caratterizzata da febbre, astenia, tosse secca, linfopenia, prolungata tempo di protrombina, elevata deidrogenasi lattica e imaging tomografico indicativo di polmonite interstiziale (vetro smerigliato e ombre irregolari). La decisione di adottare l’uso della vitamina C per via endovenosa, in aggiunta alla terapia convenzionale, deriva dall’evidenza sperimentale delle sue proprietà anti-infiammatorie e antiossidanti. La vitamina C, infatti, provoca una maggiore proliferazione di assassini naturali senza comprometterne la funzionalità. Inoltre, la vitamina C riduce la produzione di ROS (specie reattive dell’ossigeno) che contribuiscono all’attivazione dell’infiammosomi e, in particolare, della NLRP3 che influenza la maturazione e la secrezione di citochine come IL1beta e IL-18 che sono coinvolte nella sindrome sistemica infiammatoria che ha caratterizzato la sepsi. La vitamina C blocca l’espressione di ICAM-1 e l’attivazione di NFKappaB. Ed è proprio per questo motivo che l’uso dell’acido ascorbico potrebbe essere efficace in termini di riduzione della mortalità e di risultati positivi sulle eventuali complicanze.

Cina, pioniera nell’uso dell’acido ascorbico

«Il dosaggio della Vitamina C somministrato negli ospedali di New York è troppo basso» spiega Richard Z. Cheng, MD, PhD, leader internazionale del team di supporto medico epidemico della vitamina C in Cina.  Sulla smentita di FB Fact Check, in merito alla raccomandazione ufficiale da parte del governo di Shanghai di somministrare la vitamina C ad alte dosi per il trattamento del coronavirus, chiarisce Cheng: «Non solo Shanghai, ma anche Guangzhou, nella provincia del Guangdong, un’altra grande città della Cina, ha approvato ufficialmente IVC ad alte dosi per il trattamento di Covid-19». Il dottor Cheng ritiene necessario un intervento immediato oltre a un trattamento efficace e sicuro per salvare vite umane e limitare la diffusione del virus e, quindi, di conseguenza il contagio

«La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) – scrive Cheng in un articolo pubblicato su Science Direct - è un fattore chiave di mortalità. Lo stress ossidativo significativamente aumentato dovuto al rapido rilascio di radicali liberi e citochine è il segno distintivo di ARDS che porta a lesioni cellulari, insufficienza d’organo e morte». «L’uso precoce di antiossidanti ad alte dosi – prosegue l’articolo -, come la vitamina C (VC), può diventare un trattamento efficace per questi pazienti. Gli studi clinici dimostrano anche che il VC orale ad alte dosi fornisce una certa protezione contro l’infezione virale». «Né la somministrazione endovenosa né orale di VC ad alte dosi è associata a significativi effetti collaterali. Pertanto, questo regime deve essere incluso nel trattamento di COVID-19 e utilizzato come misura preventiva per le popolazioni sensibili come gli operatori sanitari con rischi di esposizione più elevati» conclude Cheng.

Using vitamin C as a treatment

Il coronavirus e l’influenza sono tra i virus pandemici che possono causare lesioni polmonari letali e morte per ARDS. Le infezioni virali potrebbero evocare una ‘tempesta di citochine’ che porta all’attivazione delle cellule endoteliali dei capillari polmonari, all’infiltrazione dei neutrofili e all’aumento dello stress ossidativo (specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto). L’ARDS, caratteristica dell’ipossiemia grave, è generalmente accompagnata da infiammazione incontrollata, lesioni ossidative e danni alla barriera alveolare-capillare. L’aumento dello stress ossidativo è un grave insulto nella lesione polmonare, inclusa la lesione polmonare acuta (ALI) e l’ARDS, due manifestazioni cliniche di insufficienza respiratoria acuta con morbilità e mortalità sostanzialmente elevate.

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Per approfondimenti:

 U.S. National Library of Medicine "Use of Ascorbic Acid in Patients With COVID 19"

Treatment for severe acute respiratory distress syndrome from COVID-19

Science Direct - Medicine in Drug Discovery "Can early and high intravenous dose of vitamin C prevent and treat coronavirus disease 2019 (COVID-19)?"

Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936

Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936

LEGGI ANCHE: Coronavirus, New York come Shanghai: somministrati alti dosaggi di vitamina C

COVID-19, la verità da Oriente: Vitamine C e D nella prevenzione delle malattie polmonari

Duro j'accuse di Gifford-Jones: "Il coronavirus e le vite che potevano essere salvate"

 

 

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La carenza di vitamina D è tra i principali fattori di rischio per l'infezione causata dal SARS-CoV-2, il nuovo coronavirus scoppiato in Cina. Sul possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D per contrastare il COVID-19, arriva la ricerca dell’Università degli Studi di Torino. Giancarlo Isaia (docente di Geriatria e Presidente dell'Accademia di Medicina di Torino) e Enzo Medico (ordinario di Istologia), nel loro studio, richiamano l’attenzione su un aspetto di prevenzione: l’ipovitaminosi D. «Sulla base di numerose evidenze scientifiche e di considerazioni epidemiologiche, sembra che il raggiungimento di adeguati livelli plasmatici di Vitamina D sia necessario anzitutto per prevenire le numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, ma anche per determinare una maggiore resistenza all’infezione COVID-19 che, sebbene con minore evidenza scientifica, può essere considerata verosimile. Tale compenso può essere raggiunto anzitutto con l’adeguata esposizione alla luce solare, poi alimentandosi con cibi ricchi in Vitamina D».

Lo studio di Isaia e Medico nasce proprio dai dati raccolti negli ultimi giorni a Torino tra i pazienti ricoverati per Coronavirus. E il denominatore comune tra i soggetti positivi al virus era proprio la carenza di vitamina D. «Questa raccomandazione - spiegano i due ricercatori - è utile per la popolazione generale, ma è particolarmente pregnante per i soggetti già contagiati, i loro congiunti, il personale sanitario, gli anziani fragili, gli ospiti delle residenze assistenziali, le donne in gravidanza, le persone in regime di clausura e tutti coloro che per vari motivi non si espongono adeguatamente alla luce solare. Inoltre, potrebbe essere considerata la somministrazione in acuto del calcitriolo per via endovenosa in pazienti affetti da COVID-19 con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa»

Dott. Paolo Giordo - Le verità nascoste sulla vitamina D

 

Tra sole e cibo: al via la scorta di vitamina D

Cibo, sole e corretta integrazione. Gli esperti spiegano poi le due modalità di assunzione di questa importante vitamina che può essere sintetizzata dalla cute, per effetto delle radiazioni ultraviolette emanate dalla luce solare oppure tramite gli alimenti. A tal proposito, nell’indagine dell’Università degli Studi di Torino, viene proposta anche una “top ten” degli alimenti in cui è maggiormente presente (vedi figura). Quindi, mangiare molto pesce e prendere tanto sole. Così, la lotta al Covid-19 si combatte tra il terrazzo e la cucina. L’esposizione alla luce solare e un sano stile alimentare, ricco soprattutto di cibi che contengono vitamina D, diventano i nostri principali alleati in questa grande battaglia. Per sommi capi, i due professori suggeriscono, al sistema sanitario, di garantire adeguati livelli di vitamina D sia per le persone già contagiate, sia per il resto della popolazione. In primis, ovviamente, ai soggetti in terapia intensiva e a tutte quelle persone che sono maggiormente a rischio (pazienti oncologici o con altre patologie pregresse, anziani e personale sanitario).

 

vita D

Dott. Luca Avoledo - Vitamina D: perché è così importante? In quali alimenti si trova?

 

L'italia, tra i Paesi con prevalenza di ipovitamininosi D

L'Italia, è uno dei Paesi europei, insieme a Spagna e Grecia, con maggiore prevalenza di ipovitaminosi D. E nel Nord Europa poi, la prevalenza è minore per l’antica abitudine di addizionare cibi di largo consumo con vitamina D. Nella nostro Paese, è stato dimostrato che il 76% delle donne anziane presentano carenza di vitamina D. Da non trascurare poi che la maggioranza delle persone in terapia intensiva sono soprattutto anziani e sono proprio questi (ma non solo) a rischiare le complicanze maggiori. Tra i rischi annoverati nel report: «Le concentrazioni ridotte di 25(OH)D aumentano il rischio di osteoporosi e delle cadute dell’anziano, ma si associano anche a tumori, malattie cardiovascolari, malattie autoimmuni, infezioni croniche dell’apparato respiratorio, diabete mellito, malattie neurologiche e ipertensione. Queste patologie causano maggiore mortalità, soprattutto se questi pazienti si ammalano di COVID-19»

Intervista a Cristiana Stellato - Effetti della vitamina D sul sistema respiratorio

 

Inoltre, «la ridotta incidenza di Covid-19 nei bambini - sottolineano gli esperti - potrebbe essere attribuita alla minore prevalenza di ipovitaminosi D conseguente alle campagne di prevenzione del rachitismo attivate in tutto il mondo dalla fine dell’Ottocento». Per cui, concludono i docenti: «L'insorgenza di un focolaio in Piemonte in un convento di suore di clausura, popolazione a più elevato rischio di ipovitaminosi D, costituisce un altro elemento suggestivo sul possibile ruolo protettivo della vitamina D sulle infezioni virali". Mentre la distribuzione geografica della pandemia "sembra potersi individuare maggiormente nei Paesi situati al di sopra del tropico del cancro, con relativa salvaguardia di quelli subtropicali».

Prof. Diego Peroni (Pediatria Università di Ferrara) - Ruolo della vitamina D sul sistema immunitario

 

La scienza e gli effetti 'antinfettivi' della vitamina D

In ultima analisi, ma non meno importante, l'aspetto della prevenzione contro il coronavirus. Nello specifico, la vitamina D fornirebbe un valido aiuto per ridurre l’incidenza di infezioni delle vie respiratorie e dei casi di influenza. Ad avvalorare la testi, le ricerche precedenti che dimostrano un ruolo attivo della Vitamina D sulla modulazione del sistema immune, la stretta correlazione dell’Ipovitaminosi D con una lunga serie di patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita, ancor più in caso di infezione; un effetto della Vitamina D nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus, oltre alla sua capacità di limitare il danno polmonare da iperinfiammazione. Ecco, alcune delle motivazioni scientifiche a supporto:

1) Concentrazioni ridotte di 25(OH)D aumentano il rischio di osteoporosi e delle cadute dell’anziano, ma si associano anche a tumori, malattie cardiovascolari, malattie autoimmuni, infezioni croniche dell’apparato respiratorio, diabete mellito, malattie neurologiche e ipertensione. Queste patologie causano maggiore mortalità, soprattutto se questi pazienti si ammalano di COVID-19. 

2) Ruolo immunomodulatore della Vitamina D e anche un suo effetto antagonista sulla replicazione virale nelle vie respiratorie.

3) Nel 2014, una review “Vitamin D: a new anti-infective agent?”, esamina le interazioni fra la Vitamina D, il sistema immunitario e le patologie infettive, sottolineando l’associazione tra l’ipovitaminosi D e le infezioni respiratorie ed enteriche, l’otite media, le infezioni da Clostridium, le vaginosi, le infezioni del tratto urinario, la sepsi, l’influenza, la dengue, l’epatite da attribuire alla capacità della vitamina D di incrementare peptidi antimicrobici (catelicidina e beta-defensine) dotati di attività antivirale e immunomodulatoria.

4) Uno studio condotto in Sud Corea ha evidenziato valori ridotti di 25(OH)D (14 ±8 ng/ml) in pazienti con polmonite acuta acquisita in comunità.

5) In pazienti con malattie infiammatorie intestinali è stato evidenziato che, in presenza di livelli di 25(OH)D < a 20 ng/ml, la somministrazione di vitamina D3 (500 U/die) riduce di due terzi l’incidenza di infezioni delle alte vie respiratorie.

6) Una concentrazione di 25(OH)D superiore a 38 ng/ml si associa al dimezzamento del rischio di infezioni respiratorie acute.

7) Una metanalisi del 2017 ha considerato 25 studi randomizzati, evidenziando che la supplementazione di Vitamina D riduce di due terzi l’incidenza di infezioni respiratorie acute nei soggetti con livelli di 25(OH)D inferiori a 16 ng/ml

8) Il Calcitriolo si è dimostrato efficace nei ratti nel ridurre il danno polmonare acuto indotto nei ratti da lipopolisaccaridi attraverso un effetto sul sistema renina-angiotensina

9) Particolarmente attuale ed importante, “Vitamin D Supplementation Could Prevent and Treat Influenza, Coronavirus, and Pneumonia Infections” nel quale viene sottolineato un possibile ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento anche della malattia da coronavirus. Vi si legge che la Vitamina D riduce il rischio di infezioni respiratorie attraverso tre meccanismi:

➢ Mantenimento delle tight junctions, e della barriera polmonare:
➢ Incremento dell’espressione di peptidi antimicrobici quali la catelicidina e beta-defensine: Da notare che questi peptidi sono dotati di attività antivirale:
➢ Stimolo dell’attività immunoregolatoria, potenzialmente rilevante rispetto al rischio di tempesta citochinica e di polmonite, osservata in pazienti con COVID-19:

Dott. Piergiorgio Pietta - Difese Immunitarie: l'importanza dei fermenti lattici e della vitamina D

 

«Una buona difesa, quindi utile anche contro il coronavirus, si ha assumendo vitamina C e D e in generale prendendo tutto ciò ciò che combatte i processi ossidanti che mandano in crisi il sistema immunitario [...] bisogna difendersi, ma in maniera ordinata» sostiene Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008, in un'esclusiva realizzata da Pandora Tv. Ricordiamo che il sistema immunitario è una sorta di barriera protettiva dagli agenti esterni. Un'interessante spiegazione viene presentata nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. «Il nostro corpo è attaccato continuamente dall’esterno da virus, batteri, funghi e solo la nostra pelle riesce a difenderci efficacemente. Tali microrganismi patologici cercano in ogni modo di entrare nel nostro organismo, utilizzando le ferite o le abrasioni, oppure tramite la bocca o il naso. Un altro terreno di scontro all’interno del nostro corpo è l’intestino, dove colonie di batteri patogeni, presenti nel colon, si scontrano con le nostre difese immunitarie. Il nostro corpo è difeso da un esercito definito sistema immunitario, perché composto da gruppi differenziati di globuli bianchi, ognuno dei quali pronto ad assolvere specifici compiti».

 

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Per approfondimenti:

The Lancet "Vitamin D supplementation and musculoskeletal health"

La Stampa "Sole e pesce alleati contro il rischio contagio da coronavirus"

La Repubblica "Coronavirus, studio dell'Università di Torino: assumere più vitamina D per ridurre il rischio di contagio"

Adnkronos "Coronavirus, l'ipotesi: carenza vitamina D può aumentare rischi"

Fanpage "Coronavirus, carenza di Vitamina D possibile fattore di rischio: lo studio italiano"

Leggo "Coronavirus, carenza di vitamina D aumenta il rischio? Lo studio italiano"

Corriere della Sera "Coronavirus: perché serve la Vitamina D"

Io Donna "Coronavirus: perché serve la Vitamina D"

Panorama "Combattere il Coronavirus a tavola: ecco la giusta alimentazione"

LEGGI ANCHE: Sistema immunitario debole e malattie associate alla carenza di Vitamina D: ecco i principali segnali

 

 

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New York, marzo 2020. Gli ospedali curano i malati di Covid-19 con alti dosaggi di vitamina C. Si legge in un articolo del New York Post «nel più grande sistema ospedaliero dello stato di New York, i pazienti gravemente malati di coronavirus, ricevono dosi massicce di vitamina C». Andrew G. Weber, pneumologo e specialista in terapia intensiva del Northwell Health a Long Island, ha raccontato in un’intervista al NYP che per curare virus e complicanze sta somministrando, ai pazienti, in terapia intensiva, affetti da coronavirus, 1.500 milligrammi di vitamina C tre o quattro volte al giorno.

Ognuna delle dosi somministrate è maggiore di 16 volte rispetto a quella consigliata dal National Institutes of Health di vitamina C, che è di soli 90 milligrammi per gli uomini adulti e 75 milligrammi per le donne adulte. Tuttavia, Weber sta adottando una terapia basata su trattamenti sperimentali somministrati a persone con il coronavirus a Shanghai, in Cina. «I protocolli terapeutici variavano per ogni paziente, la vitamina C viene largamente utilizzata come trattamento per il coronavirus in tutto il sistema sanitario anche se il dosaggio varia da paziente a paziente» spiega Jason Molinet portavoce del Northwell, il più grande fornitore di servizi sanitari dello Stato, con 23 ospedali in tutta New York, tra cui il Lenox Hill Hospital nell'Upper East Side di Manhattan. Molinet informa anche sul numero di pazienti ricoverati per il coronavirus: sono oltre 700.

Contrasto e prevenzione dei virus

Sull'importanza della vitamina C, anche il dottor Richard Cheng, esperto cinese di medicina ortomolecolare: «È fondamentale una dose tempestiva e sufficientemente elevata di vitamina C per via endovenosa». «La vitamina C - spiega l'esperto - non è solo un noto antiossidante, ma è anche parte attiva nel contrasto dei virus e nella prevenzione della replicazione degli stessi. L'importanza della vitamina C per via endovenosa ad alte dosi non è solo a livello antivirale». «È la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) da cui muoiono molte persone nelle pandemie indotte da coronavirus (SARS, MERS e ora NCP). L'ARDS è un percorso finale diffuso che porta alla morte» conclude Cheng. 

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La terapia dell’acido ascorbico negli anni ‘30

Tuttavia, l’uso dell’acido ascorbico contro le polmoniti ed infezioni polmonari non è poi una novità. Infatti, già nel 1936 Gander e Niederberger, due medici tedeschi scoprirono che la vitamina C aveva la capacità di abbassare la febbre e riduceva il dolore nei pazienti affetti da polmonite. I risultati della ricerca, furono poi pubblicati sul Munchner (Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936). Sempre lo stesso anno, un altro medico tedesco otteneva risultati simili somministrando ai pazienti 500 milligrammi di vitamina C ogni novanta minuti (Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936). Qualche anno dopo, nel 1944, Slotkin & Fletcher, due medici americani, curarono con l’acido ascorbico un paziente che aveva sviluppato una grave infezione polmonare, con ascesso polmonare e bronchite purulenta, a seguito di un intervento alla prostata (Slotkin & Fletcher, "Acido ascorbico in complicanze polmonari a seguito di chirurgia prostatica” Jour. Urol. , 52: 6 novembre 1944) 

vitamina C

COVID-19 e vitamina C: via libera a New York. E l'Italia?

 

Un report del 1946 segnala che la vitamina C veniva usata abitualmente e con ottimi risultati, dai chirurghi del Millard Fillmore Hospital, a Buffalo, come profilassi contro la polmonite. I medici militari curavano le polmoniti dei soldati con l’acido ascorbico iniettato per endovena, venivano somministrati 2 cc. Non sono certo mancate le contestazioni, nei decenni seguenti, sull’utilità dell’acido ascorbico nelle polmoniti anche virali. Hunt C et al. Hanno dimostrato gli effetti clinici della supplementazione di vitamina C nei pazienti ospedalizzati anziani con infezioni respiratorie acute. E ancora nel 2014, alcuni medici indiani pubblicano il loro studio che dimostrava l’efficacia della vitamina C nel ridurre la durata della polmonite nei bambini di età inferiore ai 5 anni. Gli esperti, chiedevano, di integrare la vitamina C nel protocollo per il trattamento della polmonite in modo tale da ridurne il tasso di mortalità . Un altra prospettiva è quella fornita da due studi randomizzati sulla vitamina C orale ad alte dosi, pubblicati sul National Cancer Institute

 COVID-19 e Vitamina C: Anche Palermo si muove

Anche a Palermo qualcosa si muove. Infatti, all’Arnas Civico di Cristina-Benfratelli è iniziato uno studio su pazienti positivi a SARS-CoV-2 con polmonite interstiziale. Dopo aver raccolto una serie di informazioni sui pazienti e previo loro consenso (o dei familiari), vengono somministrati 10 gr di vitamina C in 250 ml di soluzione salina a 60 gocce al minuto. Questi pazienti, saranno successivamente sottoposti ad ulteriori analisi al fine di valutare e confrontare il tasso di mortalità, riduzione dei livelli di PCR in comparazione con i livelli iniziali entro 72 ore dalla somministrazione, la durata della degenza, il miglioramento sulle eventuali complicanze oltre ai tempi di guarigione.

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Per approfondimenti:

New York Post "New York hospitals treating coronavirus patients with vitamin C"

Daily Mail "New York hospitals are treating coronavirus patients with high dosages of VITAMIN C after promising results from China"

Journal of Rawalpindi Medical College "Efficacy of Vitamin C in Reducing Duration of Severe Pneumonia in Children" Khan IM et al 18 (1): 55-57

National Center for Biotechnology Information "The clinical effects of vitamin C supplementation in elderly hospitalised patients with acute respiratory infections" Int J Vitam Nutr Res 1994; 64: 212-19

National Cancer Institute  "High-Dose Vitamin C (PDQ®)–Health Professional Version"

Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936

Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936

 

LEGGI ANCHE: Duro j'accuse di Gifford-Jones: "Il coronavirus e le vite che potevano essere salvate"

COVID-19, la verità da Oriente: Vitamine C e D nella prevenzione delle malattie polmonari

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Sana e senza rinunce. Oggi più che mai, a causa dell'emergenza COVID-19 e complice l'isolamento domiciliare che tutti noi stiamo vivendo, dobbiamo fare attenzione alla lista della spesa. A tal proposito, anche se non esistono particolorari diete capaci di tenere alla larga le infezioni virali, ci sono, tuttavia, cibi che aiutano a facilitare il processo di guarigione. Quindi, in tempi come questi, di mobilità ridotta, una corretta alimentazione ci aiuta a tenere lontani i chili di troppo. Alcune raccomandazioni in proposito arrivano proprio dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU):  «Essere attenti al proprio peso corporeo significa realizzare un'alimentazione saggia e razionale che non rinunci alla piacevolezza di sapori vari e gradevoli. Un risultato soddisfacente è garantito dalla somma di tante piccole e costanti attenzioni: non avere in casa pronti per il consumo, ad esempio, alimenti a elevata densità energetica, non assaggiare durante la preparazione dei pasti, portare a tavola solamente ciò che si vuol mangiare, etc...». Scopriamo come evitare il peggioramento metabolico

Il valore aggiunto della sana alimentazione inizia dalla preparazione della colazione. «Vanno riconsiderati alcuni pregiudizi diffusi - si legge sul portale del SINU - e l’occasione di stare a casa e di non essere pressati da impegni mattutini è importante per imparare e riprendere a fare una buona colazione che contribuisce in maniera significativa ad aumentare gli apporti di minerali e vitamine utili per la protezione delle infezioni».  E poi non trascuriamo i bambini. «Per quanto riguarda l'infanzia - spiega la Società Italiana di Nutrizione Umana -, è fondamentale l'esempio offerto dai genitori; approfittate di questo momento per coinvolgere i bambini nella preparazione dei pasti ed aumentare la varietà dell’alimentazione. Il cibo deve essere sempre presentato in modo attraente e gradevole con l'offerta della massima varietà possibile di cibi e di preparazioni in termini di odore, sapore, colore e temperatura». A tal proposito, la SINU, poi diffusi anche in un comunicato del Ministero della Salute, propone 6 consigli per uno stile di vita alimentare corretto:

1. Per evitare un aumento di peso, porta in tavola solo quello che hai deciso di mangiare, serviti una porzione “giusta” di ogni portata e non aggiungere altro, riduci il consumo di bevande zuccherate e di altri prodotti ricchi di zuccheri.

2. Soprattutto consuma frutta e verdura, fonti di minerali e vitamine (particolarmente vitamina C e vitamina A) utili a rafforzare le difese immunitarie e la protezione delle vie respiratorie.

3. Sforzati di mantenere una regolare sia pur limitata attività motoria, ad es. cyclette, tapis roulant ma anche ginnastica a corpo libero 1 o 2 volte al giorno e cerca se possibile di esporre ogni giorno braccia e gambe al sole per 15-30 minuti per favorire la sintesi endogena di vitamina D.

4. Rifletti che la necessità di restare a casa e in famiglia può essere un’opportunità per dedicare maggiore attenzione e un po' più di tempo alla preparazione di cibi più salutari e più gustosi.

5. Non assaggiare durante la preparazione dei piatti e non mangiare mai in piedi e frettolosamente, ma apparecchia ogni volta la tavola: dedica tempo alla convivialità nei pasti perchè momento di aggregazione con la famiglia e di utilità per incoraggiare i ragazzi ad avere ogni giorno un’alimentazione varia.

6. Fai in modo che i bambini ti aiutino nella preparazione del cibo: in questo modo eviterai la noia e i capricci ed è sempre più divertente e più facile mangiare ciò che si è scelto e si è aiutato a preparare.

La salute comincia a tavola. Tirando le somme, quindi, secondo quanto suggerito sia dalla Società Italiana di Nutrizione Umana sia dal Ministero della Salute, fondamentale, non solo in questo periodo di quarentana e di scarsa attività motoria, l'attenzione per la giusta alimentazione e la conseguente selezione di quei cibi in grado contrastare le infezioni virali e rafforzare le difese immunitarie, oltre a proteggere le vie respiratorie con alimenti ricchi di vitamina C, vitamina A e minerali. Favorire, inoltre, la sintesi endogena di vitamina D. Per evitare un aumento di peso e per restare in salute limitare poi, al minimo, il consumo di zuccheri e di bevande zuccherate.

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Per approfondimenti: Ministero della Salute  e   Società Italiana di Nutrizione Umana 

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Morti in vano per il Covid-19 quando, forse, potevano essere salvati. Sulle inutili vittime di questo virus, si interroga Ken Walker Gifford-Jones. Anzi, ci spiega come, secondo lui, potrebbero essere salvate migliaia di vite. «Ai pazienti che risultano positivi al coronavirus - spiega l'esperto - dovrebbe essere somministrata la vitamina C per via endovenosa, e salverà vite umane. Il problema è che la maggior parte dei medici si rifiuta ancora di credere che l'IVC sia efficace». Poi, parla anche di prevenzione con le giuste dosi per rafforzare il sistema immunitario. Raccomanda di «iniziare con 2000 mg due volte al giorno per costruire l'immunità e se i sintomi dell'influenza si sviluppano, arrivare anche a 2.000 mg all'ora, ovviamente fino alla tolleranza intestinale, ma sempre su consiglio medico». Gifford-Jones mette in guarda dai possibili effetti collaterali di un sovradosaggio, ma «meglio sedersi su una toilette che sotto una lapide» sdrammatizza l'esperto.

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Dal trattamento clinico per i contagiati alla misura di prevenzione per contrastare il virus. Gifford-Jones condanna la mancanza di intervento sia da parte dei governi degli Stati colpiti dall'emergenza sia dei rispettivi sistemi sanitari. «La vitamina C è a buon mercato - scrive nel suo saggio Gifford-Jones -, innocua e ampiamente disponibile ed è ampiamente stata dimostrata la sua efficacia nel ridurre la mortalità dovuta all'infezioni virali». Poi, con un punta il dito contro i dottori inconsapevoli e si lancia in un duro j'accuse alla classe medica: «Non somministrarla ai pazienti affetti da COVID-19 è uguale all'omicidio». A sostegno della sua tesi cita Lendon H. Smith autore della Clinical Guide to the Use of Vitamin C che riprende la ricerca del Dr. Frederick R. Klenner, pioniere nell'utilizzo della vitamina C e nella sua applicazione, con successo, a svariate malattie virali e batteriche

 La vitamina C nei casi Coronavirus

Ad alcuni ricercatori della Orthomolecular Medicine News Service (OMNS), che studiano il potenziale degli integratori per combattere la malattia, è stato chiesto come tratterebbero il Coronavirus. Una selezione di risposte meritevoli di attenzione sono state riproposte dal dottor Ken Walker Gifford-Jones, sul suo blog. «Il coronavirus può essere drasticamente rallentato o fermato completamente con l'uso immediato diffuso di alte dosi di vitamina C che, assunto in razioni giornaliere diventa un antivirale senza eguali» spiega Andrew W. Saul, esperto internazionale di terapia vitaminica. «Il dr. Robert F. Cathcart - ricorda Saul -, che ha avuto una vasta esperienza nel trattamento delle malattie virali sostiene di non aver mai visto influenza che non sia stata curata con dosi massicce di vitamina C». Altra interessante teoria, quella del professor Victor Marcial-Vega della Caribe School of Medicine:«Dato il tasso relativamente elevato di successo della vitamina C endovenosa nelle malattie virali e la mia osservazione del miglioramento clinico entro 2 o 3 ore dal trattamento, credo fortemente che sarebbe la mia prima raccomandazione nella gestione del coronavirus». E aggiunge: «Ho anche usato la vitamina C per via endovenosa per trattare pazienti con influenza, febbre dengue e chikungunya, per 24 anni». Della stessa filosofia dei colleghi, anche Jeffery Allyn Ruterbusch, professore associato presso Central Michigan University«Credo che tutti noi siamo d'accordo sui notevoli benefici della vitamina C quando le persone sono poste a condizioni di stress». Poi, è la volta di Damien Downing, ex redattore del Journal of Nutritional and Environmental Medicine che spiega la correlazione tra il selenio e il sistema immunitario:«Influenza suina, influenza aviaria, e SARS, tutte sviluppati in Cina dove è carente il selenio. Quando ai pazienti contagiati è stato somministrato il selenio, i tassi di mutazione virale sono diminuiti e, nel complesso, le difese immunitarie sono migliorate». In sintesi, tutti i ricercatori sostengono non solo la validità e l'importanza del trattamento IVC nei casi di COVID-19, ma garantiscono anche un miglioramento a 2-3 ore dalla somministrazione.

Lannutti

Ma non sono i soli. Favorevole all'uso della vitamina C anche Elio Lannutti, giornalista, scrittore e portavoce M5S al Senato scrive su Twitter: «La vitamina C può aiutare a curare la polmonite e a prevenire la replicazione virale». Altri esperti sostengono che alte dosi di vitamina C, insieme a 3.000 IU di vitamina D, e 20 milligrammi di zinco, siano una buona combinazione per aiutare a combattere le malattie virali. È il caso di Carolyn Dean, e Thomas Levy, entrambi esperti nel panorama internazionale sul magnesio, hanno sottolineato che il minerale è coinvolto in 1.000 reazioni metaboliche e che mantenere livelli adeguati migliora l'immunità. Un'altra opinione overriding era che poche persone sanno che alte dosi di C aumentano l'immunità e sconfiggono le malattie virali. E secondo Ken Walker Gifford-Jones, queste informazioni non sarebbero nuove: «Durante la grande epidemia di poliomielite del 1949-50 il Dr. Frederick R. Klenner, un medico di famiglia in North Carolina, ha curato 60 malati di poliomielite con alte dosi di vitamina C per via endovenosa». In quell'occasione, non si sono registrati casi di paralisi. Questa scoperta avrebbe dovuto fare notizia in tutto il mondo, ma la notizia del dottor Klenner è caduta sulle orecchie dei sordi. Più tardi, Klenner ha dimostrato che alte dosi di C potevano anche essere efficaci nei trattamenti per meningite, polmonite, morbillo, epatite e altre malattie virali e batteriche. Anche per curare il morso di un serpente a sonagli. 

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Per approfondimenti: "More Research Is Killing COVID-19 Victims"   "People Are Dying Needlessly of Coronavirus" di W. Jifford-Jones

LEGGI ANCHE: Vitamina C: rafforza il sistema immunitario e combatte virus e malanni di stagione

Storia e segreti della VITAMINA C nella prevenzione di tante malattie

 


Vitamina C, un concentrato di proprietà e benefici

 

 

 

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SOS COVID-19: allerta per i pazienti oncologici. Sono proprio le persone con patologie pregresse, oltre agli anziani, a rischiare di più. La conferma arriva da uno studio sul Coronavirus e sui malati di cancro in Cina. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista Lancet Oncology, confermano un aumento del rischio di complicanze. Secondo lo studio, approvato dal comitato etico del First Affiliated Hospital dell'Università medica di Guangzhou, infatti, i pazienti con cancro sarebbero più suscettibili alle infezioni rispetto agli individui senza a causa del loro stato immunosoppressivo dovuto ai trattamenti antitumorali (come la chemioterapia). Pertanto, questi pazienti potrebbero essere ad aumentato rischio di COVID-19 e avere una quadro clinico peggiore degli altri.

Non è solo un’influenza

Anche l’Airc si è interrogata sui possibili rischi e ha chiesto a tre esperti di fare il punto sui rischi che corrono e sui suggerimenti da dare a chi è in cura per un tumore. «Alcune categorie di persone – gli anziani, gli immunodepressi, le persone con molte patologie concomitanti, i pazienti con grave deterioramento fisico – sono esposte a un rischio più elevato perché l’eventuale infezione causa con maggiore frequenza complicanze gravi»  spiega Michele Micella, direttore del Dipartimento di oncologia dell’Università di Verona.

Sulla gravità dell’emergenza sanitaria interviene anche Francesco Perrone direttore dell'Unità sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori di Napoli: «Il virus Covid-19, responsabile dell’attuale emergenza, è diverso dai virus influenzali, sia perché appartiene a un’altra famiglia di virus, sia perché è nuovo per gli esseri umani. Questo significa che il nostro sistema immunitario è impreparato a reagire a tale infezione rispetto all’influenza stagionale che, oltretutto, non provoca polmoniti tanto frequentemente quanto l’infezione da Coronavirus». 

I pazienti oncologici rischiano complicanze maggiori

«I pazienti oncologici di per sé rappresentano una popolazione più esposta al rischio di infezione e di eventuali complicanze, ma va ovviamente valutato anche il tipo di patologia tumorale, la condizione generale della persona e la terapia a cui è sottoposta». È questo l’allarme che lancia Giovanni Maga, direttore del laboratorio di Virologia molecolare presso l'Istituto di genetica molecolare del CNR di Pavia. «Per esempio – continua l’esperto -, le terapie immunosoppressive (che riducono l’efficienza del sistema immunitario) espongono a un maggiore rischio di contrarre qualunque infezione».

Figura The Lancet Oncology: Tipologie pazienti (A) e rischi di sviluppare complicanze (B) ICU = unità di terapia intensiva.

Covid oncologici

Precisa poi Maga sul pericolo di contagio: «Il rischio per un paziente oncologico di infettarsi non vale solo per il Covid-19, ma per tutte le malattie infettive. Anche in un paziente che non ha una riduzione di efficienza del sistema immunitario, una eventuale infezione può avere un decorso più difficoltoso o grave sulla base del grado e del tipo di tumore che lo affligge, proprio a causa di una condizione di salute già fragile e non ottimale. Verosimilmente, maggiore è la gravità del tumore sottostante e maggiore sarà il rischio di andare incontro a un decorso dell’infezione da Covid-19 più grave rispetto a una persona sana».

Tra immunoterapia e immunosoppressione

«L’andamento clinico della malattia può essere peggiore nei pazienti più anziani e in quelli affetti da importanti malattie croniche o debilitanti, incluse le malattie oncologiche. Per quanto riguarda i malati di tumore, non sappiamo se il fatto stesso di essere malati esponga a un rischio più alto di contrarre l’infezione rispetto a soggetti non ammalati di tumore. Tuttavia, è presumibile che sia così per i pazienti che, a causa del tumore, sono sottoposti a trattamenti come la chemioterapia che possono indurre immunosoppressione.

Inoltre, anche in assenza di studi scientifici sulle probabilità di contrarre il virus durante il trattamento di immunoterapia o immunosoppressione e di dati certi sulla possibilità della chemioterapia di incidere in maniera negativa sul quadro clinico dell’infezione, nei soggetti contagiati «È ragionevole pensare che – conclude Perrone -, in presenza di immunosoppressione da chemioterapia, ci possano essere più complicanze e che il loro andamento clinico possa essere peggiore».

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Per approfondimenti: Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro e The Lancet Oncology

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In Italia, il tasso di mortalità per Coronavirus è pari al 6,6%. Dato importante e rilevante se comparato ai contagi nel resto del mondo. Bisognerebbe, quindi, interrogarsi sui fattori che contribuiscono, insieme al virus, a un numero così elevato di morti. La spiegazione potrebbe essere nei ceppi batterici resistenti agli antibiotici. E se gran parte dei decessi per coronavirus dipendessero veramente dai batteri presenti negli ospedali? E se questi batteri si annidassero nei corpi vulnerabili, e quindi, maggiormente esposti, delle persone infettate? Sono questi gli interrogativi sollevati dalla virologa Ilaria Capua in un articolo pubblicato su Fanpage. «Questi decessi sono un’anomalia che dobbiamo approfondire e studiare con cura e velocità». La virologa chiede così chiarezza per comprendere, una volta per tutte, cosa sia accaduto realmente nei corpi di tutte quelle persone che hanno perso la vita, con l’infezione addosso.

Secondo un rapporto sull'uso di antibiotici pubblicato dal Ministero della Salute «l’antibiotico-resistenza rappresenta una delle principali problematiche di salute pubblica a livello globale. In ogni regione del mondo si stanno sperimentando nella pratica clinica gli effetti della resistenza, ovvero l’incapacità di un antibiotico, somministrato alle dosi terapeutiche, di inibire la crescita o la replicazione di un microrganismo. La perdita di efficacia degli antibiotici attualmente disponibili rischia di mettere in crisi i sistemi sanitari, causando sia l’aumento della mortalità per infezioni che maggiori costi sanitari e sociali». «La situazione italiana - si legge nel rapporto del Ministero della Salute - è critica sia per quanto riguarda la diffusione dell’antibioticoresistenza sia per il consumo degli antibiotici; infatti, nonostante il trend in riduzione, il consumo continua a essere superiore alla media europea, con una grande variabilità tra le regioni. Nelle mappe europee relative alla distribuzione dei batteri resistenti in Europa, l’Italia detiene insieme alla Grecia il primato per diffusione di germi resistenti. Una delle ragioni per cui si sta assistendo in Italia e nel mondo a questo aumento di resistenze batteriche è l’uso non sempre appropriato degli antibiotici. Utilizzare gli antibiotici con attenzione deve essere un impegno e un dovere per tutti».

grafico antibiotici

I ceppi batterici antibiotico resistenti

«Lo dico, perché in Italia –– spiega la virologa nell’articolo pubblicato su Fanpage - c’è un altro problema che continua a non avere l’attenzione che merita e di cui nessuno, a maggior ragione, ha parlato in questi giorni: l’Italia è in Europa, insieme a Cipro, il Paese che ha più ceppi batterici antibiotico resistenti. Cos’è esattamente l’antibiotico-resistenza? In poche parole, è la manifestazione della legge del più forte. O, se preferite, un meccanismo naturale attraverso il quale i microrganismi si evolvono. I batteri si modificano in presenza di una sostanza che è per loro “veleno”. Non solo diventano resistenti, quindi, ma sono anche in grado di trasmettere la resistenza alle future popolazioni batteriche. In dieci anni la proporzione di superbatteri resistenti è almeno decuplicata».

«È un fenomeno quello dell’antibiotico resistenza, che ha molte cause: le più riconosciute sono l’abuso di antibiotici in medicina umana e veterinaria, per l’appunto, e la scarsa igiene delle mani. L’effetto è che ormai questi superbatteri ce li possiamo prendere ovunque, dall’autobus, alla scuola dei figli. Questo cosa significa per il singolo cittadino? Significa, banalmente, che in Italia un paziente ha più probabilità di incorrere in complicazioni dopo interventi ospedalieri, come ad esempio in seguito a trapianti, ricovero in terapia intensiva o interventi chirurgici complessi. È un problema talmente grave, questo, che in molti altri paesi europei, al momento del ricovero i pazienti che hanno avuto contatti con ospedali italiani nei sei mesi precedenti vengono sottoposti a screening e immediatamente isolati» conclude Ilaria Capua, confidando nelle sanificazioni e nelle norme igieniche adottate per debellare sia il Covid-19, sia l’antibiotico resistenza.

Italia, maglia nera da anni

Già nel 2017 il nostro Paese si era conquistato la maglia nera. Ogni anno, in Europa si registrano circa 4 milioni di infezioni da germi e 37 mila morti. E purtroppo, l'Italia, preceduta solo dalla Grecia. Secondo gli esperti, negli ospedali italiani, la situazione è veramente drammatica: le infezioni da germi antibiotico-resistenti colpiscono 300 mila pazienti e causano tra i 4500 e i 7 mila decessi. Stando alle stime dell'Oms, se non si interviene in tempo, nel 2050 le morti provocate da germi multi-resistenti potrebbero arrivare addirittira a 10 milioni, e quindi, superare quelle per i tumori. Il quadro degli ospedali e, ancor più nelle terapie intesive è, a dir poco, catastrofico. «Anche per un semplice problema di igiene di medici e personale: basterebbe lavarsi le mani passando da un paziente all'altro» è quanto sostiene Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell'Iss. «La realtà epidemiologica impone di ridurre l'uso inappropriato di antibiotici, sia nelle persone che negli animali, il miglioramento della diagnostica microbiologica e le prescrizioni inutili o fai da te - dice il presidente del Gisa e indica le vaccinazioni, tra le cause della situazione italiana nel calo del livello di protezione immunitaria. 

 

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Per approfondimenti: Rapporto sull'uso di antibiotici del Ministero della Salute

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Le vitamine combattono il Coronavirus. È questa la scioccante rivelazione che arriva dalla Cina. «La vitamina C non fa male alle persone ed è uno dei pochi, se non l'unico, agente che ha la capacità di pevenire e trattare l'infezione COVID-19» è il messaggio che manda al resto del mondo Richard Z. Cheng, MD, PhD, leader internazionale del team di supporto medico epidemico della vitamina C in Cina. D'accordo con i colleghi, anche i medici coreani dell'ospedale di Onvit che informano i cittadini sulle possibilità di aumentare il sistema immunitario contro il COVID-19. Infatti, gli specialisti, sostenendo l'importanza della prevenzione, spiegano come rafforzare il sistema immunitario e raccomandano di uscire il meno possibile, indossare le mascherine, lavarsi (spesso e bene) le mani, utilizzare disinfettante a base alcolica.

Secondo gli esperti, quindi, anche se il virus penetrasse nel corpo, non potrebbe in alcun modo moltiplicarsi e superare le difese del nostro organismo. I medici dell'Onvit sostengono la capacità di un uso estensivo di alte dosi di vitamina C di rallentare notevolmente e immediatamente il virus o fermarne la crescita. L'altra parte del lavoro viene poi affidata alla vitamina D. Gli specialisti coreani confermano il ruolo importante svolto nella prevenzione della crescita dei virus, stimolando le difese immunitarie dell’organismo oltre che per il suo fondamentale effetto antivirale diretto sul virus. Ad oggi, la Corea del Sud nonostante il numero importante di soggetti positivi al coronavirus, registra un basso tasso di decessi, pari allo 0,8% degli infettati, mentre, l'Italia, registra uno numero di morti nettamente superiore, pari al 6,6% dei contagiati. Come dimostra anche l'andamento esponenziale presentato nel grafico (v. di seguito) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (comunicato del 14 marzo 2020):

fig1 curva decessi

Vitamina C come potente antivirale

«Il COVID-19 - spiega il direttore del servizio di notizie di medicina ortomolecolare, Andrew W. Saul,con un articolo su Orthomolecular - dovrebbe essere trattato con elevate quantità di vitamina C per via endovenosa». Le raccomandazioni sul dosaggio variano in base alla gravità della malattia, da 50 a 200 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno fino a 200 mg / kg / giorno». Sui dosaggi interviente poi Atsuo Yanagisawa, MD, PhD, presidente del College of Intravenous Therapy di Tokyo ed esperto di terapia endovenosa: «Questi dosaggi sono approssimativamente da 4.000 a 16.000 mg per un adulto, somministrati per via endovenosa. Questo specifico metodo di somministrazione è importante, perché l'effetto della vitamina C è almeno dieci volte più potente per via endovenosa che se assunto per via orale». «La vitamina C per via endovenosa - aggiunge l'esperto - è un antivirale sicuro, efficace e ad ampio spettro». 

«Altro contributo importante - aggiunge il direttore del servizio di notizie di medicina ortomolecolare - è sicuramente quello fornito da Richard Z. Cheng, MD, PhD, medico specialista cinese-americano che ha lavorato a stretto contatto con le autorità mediche e governative in Cina. Ha contribuito a facilitare almeno tre studi clinici cinesi sulla vitamina C per via endovenosa attualmente in corso. Il dottor Cheng è attualmente a Shanghai, continuando i suoi sforzi per incoraggiare ancora più ospedali cinesi a implementare la terapia con vitamina C che incorpora alte dosi orali e C per IV».  In sintesi, sia il dottor Cheng che il dottor Yanagisawa, non solo ne confermano la rilevanza, ma raccomandano la vitamina C orale per la prevenzione dell'infezione da COVID-19».

Secondo quanto riportato in un comunicato dell'ospedale dell'Università di Xi'an Jiaotong: «Nel pomeriggio del 20 febbraio 2020, altri 4 pazienti con nuova polmonite coronavirale grave si sono ripresi dal reparto C10 dell'ospedale occidentale di Tongji. Negli ultimi giorni, 8 pazienti sono stati dimessi dall'ospedale [...]  raggiunto una dose elevata di vitamina C buoni risultati nelle applicazioni cliniche. Riteniamo che per i pazienti con polmonite neonatale grave e pazienti critici, il trattamento con vitamina C dovrebbe essere iniziato il prima possibile. Una rapida applicazione di dosi elevate di vitamina C può avere un forte effetto antiossidante, riduzione delle risposte infiammatorie e miglioramento della funzione endoteliale [...] Numerosi studi hanno dimostrato che la dose di vitamina C influenza il risultato del trattamento stesso. La dose di gh di vitamina C non può solo migliorare il quadro clinico, ma soprattutto può prevenire e curare lesioni polmonari acute (ALI) e difficoltà respiratoria acuta (ARDS)». 

La vitamina D contro la polmonite interstiziale

A tal proposito, citiamo lo studio riportato sul sito dell'Ordine Nazionale Biologi : «Il calcitriolo [1,25 (OH)2D3] viene di solito studiato l’effetto preventivo della vitamina D attivata contro la polmonite interstiziale. Sebbene il colecalciferolo (vitamina D3) possa essere facilmente ottenuto con la dieta e abbia un’emivita più lunga rispetto al calcitriolo, ci sono poche studi sui suoi effetti nella polmonite interstiziale. Abbiamo usato linee cellulari umane di fibroblasti polmonari (human pulmonary fibroblast cell lines, HPFC) e un modello murino di fibrosi polmonare indotta da bleomicina per valutare se la vitamina D3 fosse attivata nei polmoni e avesse un effetto preventivo contro la polmonite interstiziale. L’espressione del gene del recettore della vitamina D e dei geni per gli enzimi che metabolizzano la vitamina D è stata valutata in due linee cellulari di HPFC, come pure l’effetto soppressivo della vitamina D3 sull’induzione delle citochine infiammatorie.

L’espressione genica del recettore della vitamina D e degli enzimi che metabolizzano la vitamina D è stata studiata nelle linee cellulari di fibroblasti polmonari umani. Nelle cellule HPFC la vitamina D3 ha soppresso l’espressione indotta dalla bleomicina delle citochine infiammatorie e dei marcatori di fibrosi. Nei topi, i sintomi della fibrosi polmonare indotta dalla bleomicina sono migliorati e l’espressione dei marcatori di fibrosi e degli induttori della fibrosi è stata ridotta da una dieta ricca di vitamina D3. La vitamina D3 viene attivata localmente nei tessuti polmonari, il che suggerisce che un elevato apporto dietetico di vitamina D3 può avere un effetto preventivo contro la polmonite interstiziale».

 

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Per approfondimenti: 

1) Orthomolecular.org 

2) OrdineNazionaleBiologi.it 

3) RadiclBio.com

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