È ormai noto il ruolo fondamentale del sistema immunitario, nella cura e nella prevenzione. E di conseguenza anche della funzione svolta dai micronutrienti (come le vitamine) che ne costituiscono la principale linea di difesa e di attacco nella lotta contro le infezioni. Infatti, da sempre, la nostra unica e principale difesa natura è proprio questo sofisticato sistema di allarme che, per buona parte (circa il 70%), si trova nel nostro intestino. Messo a dura prova e indebolito da una serie di fattori esterni quali inquinamento di aria e acqua, alimentazione sbilanciata, stress e l’abuso dei farmaci. Secondo i dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il sistema immunitario della popolazione a livello mondiale e, ancora più, di quella del mondo occidentale, è stato pericolosamente indebolito, soprattutto quello della fascia over 65. Detto e fatto, questo crollo delle difese apre le porte ai microrganismi patogeni, virus inclusi, spianando la strada alle pandemie.
Come dimostrano anche gli studi di Luc Montagnier, medico, biologo, virologo e docente all’Istituto Pasteur e co-scopritore del virus dell’AIDS e premio Nobel per la medicina nel 2008, emerge, in modo evidente, che sostenere e favorire le capacità del sistema immunitario dei singoli individui permette la protezione dai virus, talvolta capaci di mantenersi asintomatici. E quindi perché non dovrebbe essere lo stesso anche per il Covid-19? «Sostenere il Sistema Immunitario sembra comunque una scelta logica, se non addirittura essenziale, e questo, avrebbe dovuto essere il primo gesto di prevenzione da compiere e da diffondere, prima di pensare alle misure di barriera che – lo ripeto per non essere frainteso – sono certamente utili, ma restano ahimè misure troppo deboli e tardive di fronte a un’epidemia così grave, aggressiva e rapida» spiega Philippe Lagarde, medico specializzato in oncologia, conosciuto in tutto il mondo per le sue idee e tecniche innovative di applicazione delle cure per il cancro e per il suo impegno sociale verso le persone affette dalla malattia.
Vediamo ora in che modo interviene il nostro sistema immunitario nel contrasto alle infezioni. «Il nemico numero 1 – ricorda Lagarde riportando le parole del biologo francese Jean-Marie Pelt, scomparso qualche anno fa del nostro sistema immunitario sono i radicali liberi (frammenti di molecole altamente reattive, ndr) che non devono accumularsi in alcun modo. Il corpo deve distruggerli perché sono iper-tossici. Sono quelli che sono coinvolti nella genesi delle malattie, ma sono anche quelli che promuovono le infezioni batteriche o virali». Infatti, secondo Lagarde, il primo scudo contro la pandemia è proprio il sistema immunitario. Ad agire, per il medico francese, una volta assorbiti, sarebbero i micronutrienti, come appunto le vitamine, gli oligoelementi, i polifenoli, etc.... «Essi agiscono in sinergia tra loro - prosegue l’esperto -, ma anche assieme agli enzimi e ai sistemi antiossidanti della cellula per neutralizzare i radicali liberi costantemente sviluppati all’interno delle cellule». «Questa sinergia è essenziale – continua Lagarde -, eppure viene totalmente trascurata nella lotta alle infezioni, in particolare contro quelle virali». «Le vitamine C, E, A, il selenio, lo zinco, l’acido lipoico, il glutatione e suoi precursori, i carotenoidi (flavonoidi, antociani, tannini) agiscono in sinergia e sono il “nutrimento” di cui il sistema immunitario ha bisogno» conclude il noto oncologo francese.
Ma c’è dell’altro. Per il professor Lagarde, tuttavia, questo non è sufficiente a far funzionare a dovere il sistema immunitario, «non basta cioè consumare la sola vitamina C, anche se in dosi elevate o per via venosa, per far sì che agisca, che sia davvero efficace, dobbiamo farla ‘lavorare’ insieme con tutte le altre molecole antiossidanti: in collaborazione e dunque in sinergia con loro». E quindi, per funzionare, devono appunto lavorare insieme. Da questa premessa emerge chiaramente il legame fondamentale tra salute e qualità dell’alimentazione. Per cui, un’alimentazione sana ed equilibrata, sarebbe la soluzione ideale, alla portata di tutti. A confermare l’ipotesi anche un report dell’OMS: «L’83% della popolazione con più di 40 anni è carente di micronutrienti». Per sommi capi, le difese immunitarie delle persone sono sempre più indebolite e, di conseguenza, meno resistenti alle aggressioni. Su quanto detto, il dottor Lagarde ci da un consiglio: «dai ‘cibo’ alle tue difese, apri gli occhi, se ciò non ti impedirà di incontrare il virus lungo la strada, ti consentirà perlomeno di resistere molto meglio all’infezione».
La difesa dell'organismo contro l'aggressione dall'esterno da parte di microrganismi patogeni (virus, batteri, protozoi, funghi) formano nel loro complesso il sistema immunitario. Costituito principalmente da globuli bianchi o leucociti. I leucociti, che derivano da cellule staminali presenti nel midollo osseo e nel tessuto linfoide, intervengono in modi differenti nella difesa dell'organismo: alcuni sono in grado di inglobare l'agente esterno e distruggerlo (fagociti), altri agiscono indirettamente liberando diverse sostanze. «Il nostro corpo è attaccato continuamente dall’esterno da virus, batteri, funghi e solo la nostra pelle riesce a difenderci efficacemente» scrive Adriano Panzironi nel libro “Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti”. «Tali microrganismi patologici – continua nel libro - cercano in ogni modo di entrare nel nostro organismo, utilizzando le ferite o le abrasioni, oppure tramite la bocca e il naso o anche l’intestino, dove colonie di batteri patogeni, presenti nel colon, si scontrano con le nostre difese immunitarie».
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Una dieta chetogenica, a basso contenuto di carboidrati, potrebbe aiutare a lenire l'asma. Lo conferma uno studio dell'Università di Bonn pubblicato sulla rivista scientifica Immunity. Secondo la ricerca, condotta sulle cavie, che sono passate a questo tipo di regime alimentare, hanno registrato un’infiammazione notevolmente ridotta del tratto respiratorio. I pazienti asmatici, spiegano gli studiosi tedeschi, reagiscono con una grave infiammazione dei bronchi a basse concentrazioni di alcuni allergeni. Questo stato è anche accompagnato da una maggiore produzione di muco, che rende la respirazione ancora più difficile. Un ruolo centrale qui è svolto dalle cellule del sistema immunitario innato, linfoidi innate (ILC). Infatti, sono loro a svolgere un'importante funzione protettiva nei polmoni rigenerando le mucose danneggiate. Per questo producono messaggeri infiammatori dal gruppo di citochine, che stimolano la divisione cellulare della mucosa e che promuovono la produzione di muco.
"La prevalenza di asma è aumentata drammaticamente negli ultimi decenni forse, questo è anche correlato a una dieta sempre più comune ad alto contenuto di zuccheri e grassi", ipotizza Christoph Wilhelm, esperto di chimica e farmacologia clinica dell’Università di Bonn. I ricercatori hanno alimentato alcuni topi asmatici con una dieta a base di grassi e quasi priva di carboidrati o proteine. Con questo regime alimentare, noto anche come dieta chetogenica, il metabolismo cellulare cambia: le cellule ora ottengono l'energia di cui hanno bisogno per bruciare i grassi. Tuttavia, ciò significa che mancano di acidi grassi, di cui hanno bisogno per la formazione di nuove membrane durante la divisione cellulare. Secondo i risultati dell’indagine, una dieta chetogenica potrebbe prevenire l’infiammazione delle vie aeree, e quindi, attacchi di asma. Le cellule linfoidi innate (ILC) svolgono un ruolo importante nel controllo e nel mantenimento del sistema immunitario. Tuttavia, l'attivazione cronica di ILC si traduce in patologia immuno-mediata. Limitare il glucosio nella dieta alimentando i topi con una dieta chetogenica ha arrestato l'infiammazione delle vie aeree compromettendo il metabolismo degli acidi grassi e la formazione di goccioline lipidiche. Insieme, questi risultati rivelano che le risposte patogene di ILC2 richiedono il metabolismo lipidico e identificano la dieta chetogenica come una potente strategia di intervento per trattare l'infiammazione delle vie aeree.
Lo studio condotto in Germania dimostra il successo di una cosiddetta dieta chetogenica. Quindi, una dieta ‘speciale’ potrebbe aiutare in alcuni casi di asma. I pazienti asmatici reagiscono anche a basse concentrazioni di allergeni con grave infiammazione dei bronchi. Questo è anche accompagnato da una maggiore produzione di muco, che rende la respirazione ancora più difficile. Un ruolo centrale qui è svolto soprattutto dalle cellule del sistema immunitario innato, di recente scoperta, le cellule linfoidi innate (ILC). Svolgono un'importante funzione protettiva nei polmoni rigenerando le mucose danneggiate. A tal fine producono messaggeri infiammatori dal gruppo di citochine, che stimolano la divisione delle cellule della mucosa e promuovono la produzione di muco. Questo meccanismo consente al corpo di riparare rapidamente ai danni causati da agenti patogeni o dalle sostanze nocive. «Con l’asma, tuttavia, la reazione infiammatoria è molto più forte e più lunga del normale» spiega il professor Christoph Wilhelm, Institute for Clinical Chemistry and Clinical Pharmacology e membro del Cluster of Excellence ImmunoSensation dell’Università di Bonn, Germania. Lo studio si è focalizzato «sui processi metabolici attivi negli ILC quando passano alla modalità di riproduzione» sottolinea Fotios Karagiannis, altro autore dello studio. «Abbiamo cercato di bloccare queste vie metaboliche – aggiunge il collega di Wilhelm) - e, quindi, ridurre la velocità con cui le cellule si dividono». Vedi il grafico: L'immagine mostra due cellule linfoidi (ILC; i nuclei contrassegnati in blu), che hanno immagazzinato acidi grassi esterni in piccole goccioline di grasso (goccioline lipidiche, verde).
Con il termine asma si indica una patologia infiammatoria cronica delle vie aeree che si caratterizza per l'ostruzione, generalmente reversibile, dei bronchi. Come conseguenza del processo infiammatorio, essi si contraggono, si riempiono di liquido e producono un eccesso di muco, riducendo così nel complesso gli spazi disponibili per la libera circolazione dell'aria. Si spiegano, dunque, in questo modo manifestazioni quali mancanza o difficoltà di respirazione, tosse, senso di oppressione al torace e respiro fischiante o sibilante. In Italia, ne soffre il 5% degli adulti e circa il 10% dei bambini. A questi dati andrebbero poi aggiunti tutti quei casi in cui il soggetto non è consapevole di essere affetto da questa patologia. Ad oggi, non è ancora possibile definirne con certezza la causa. Tuttavia, esistono una serie di fattori di rischio che ne predispongono la comparsa. Studi dimostrano che la componente ereditaria incide per il 30-60%. Senza dimenticare poi, l'ipersensibilità a particolari sostanze, ma non solo, come polline, acari, inquinamento, fumo, betabloccanti e batteri. Questi, provocano un'infiammazione delle vie respiratorie e sono in grado di scatenare vere e proprie crisi asmatiche.
È chiaro che una dieta chetogenica può essere una terapia efficace per alcune malattie. Ad esempio, i pazienti con determinate forme di epilessia sono trattati con questo metodo. E si dice anche che il cambiamento nella dieta sia anche d’aiuto con alcuni tumori. Lo dimostra lo studio "Ketogenic diets for drug-resistant epilepsy", presentato in occasione del Convegno “Dieta Chetogenica. In questo regime dietetico il 90% della razione alimentare è composta da lipidi, il 7% da proteine e solo il 2-3% da glucidi. All'opposto di quella mediterranea che prevede, in linea di massima, il 10% di proteine, il 65% di carboidrati e 25% di lipidi. La dieta chetogenica è una dieta che induce nell’organismo la formazione di sostanze acide definite "corpi chetonici" come il beta-idrossibutirrato, l’acido acetacetico e l’acetone. La produzione di corpi chetonici avviene quando si assume una quantità molto bassa o nulla di zuccheri ad esempio in caso di digiuno o di dieta molto ricca di grassi. In questo caso l’organismo e il cervello, in particolare, utilizzano i corpi chetonici come fonte di energia. La dimostrazione, già negli anni ’20 del Novecento, che il digiuno poteva sedare le crisi epilettiche ha portato alla messa a punto di un tipo particolare di dieta chetogenica che viene utilizzata nell’epilessia. Oggi, la dieta chetogenica è l’unico trattamento conosciuto per la sindrome da deficienza del Glut 1.
Immunity "Lipid-Droplet Formation Drives Pathogenic Group 2 Innate Lymphoid Cells in Airway Inflammation"
Universität Bonn "Researchers suggest a special diet against asthma"
Il Messaggero "Una dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"
Ansa "Dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"
Il Giornale "Asma, una dieta con pochi carboidrati potrebbe essere di aiuto"
Di Lei "Dieta con pochi carboidrati: dimagrisci e potresti proteggerti dall’asma"
Centro Meteo Italiano "Dieta chetogenica, può avere effetti benefici nelle persone che soffrono di asma"
Di Lei "Dieta chetogenica: a chi fa bene"
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West Virginia University: l'Asma dipende dall'alimentazione ricca di zuccheri
Sovrappeso, diabete di tipo 2, problemi al cuore e carie sono i pericoli a cui va incontro chi mangia troppo zucchero. Le cellule tumorali si nutrono di glucosio e muoiono in assenza perché, da sole, non riescono a sintetizzare lo zucchero. Lo dimostrano gli esperimenti condotti in laboratorio. Se non possiamo dare per certo che lo zucchero favorisca la crescita di tumori, possiamo affermare, tuttavia, che gli studi mostrano la relazione tra un alto consumo di cibi che alzano l'indice glicemico e la produzione di molecole che promuovono infiammazione e crescita cellulare.
A tal proposito, una spiegazione esaustiva sull’argomento viene fornita dall’AIRC: «Le cellule utilizzano il glucosio come fonte energetica e questo ha dato origine all'ipotesi che un consumo eccessivo di zuccheri possa fungere da “benzina” per i tumori, aumentando sia il rischio di ammalarsi sia la gravità della malattia». «Il glucosio e il fruttosio – si legge nel comunicato dell’AIRC - sono in grado di aumentare la concentrazione di insulina nel sangue. L’insulina è responsabile della produzione di fattori che favoriscono l’infiammazione e la crescita delle cellule, e queste condizioni a loro volta possono stimolare lo sviluppo di tumori».
L'insulina è l'ormone prodotto dal nostro organismo in risposta all'aumento di zuccheri nel sangue (glicemia) e per questo è considerata un ormone chiave nella relazione tra cibo e cancro. Inoltre favorisce la produzione di un altro fattore di crescita (IGF-1), fertilizzante per le cellule cancerose. Alcuni tumori, come per esempio quello del seno, risultano quindi, in alcuni studi, più strettamente legati al consumo di zuccheri. Infatti, le cellule cancerose utilizzano il glucosio in modo diverso, attraverso un processo chiamato glicolisi che avviene al di fuori dei mitocondri. E, proprio per questo, il glucosio è considerato come il carburante cellulare. Proprio per questo si consiglia di evitare il consumo di dolci o caramelle. E oltre ai benefici a livello generale è sicuramente un buon modo per combattere l'obesità.
In Occidente si mangia troppo zucchero: ecco tutti i rischi per la salute. È ormai acclarato che lo zucchero faccia male e non poco. Tra le maggiori (cor)responsabilità di questa sostanza possiamo annoverare l’obesità, il diabete, i disturbi cardiovascolari, le carie ai denti. E poi, come se non bastasse, provoca dipendenza! Quindi, sarebbe buona cosa, iniziare a cambiare le nostre abitudini alimentari. Cos'è lo zucchero? Lo zucchero è un tipo di carboidrato presente in natura in moltissimi alimenti, tra cui frutta, verdura e latticini. Ma è anche aggiunto artificialmente a moltissimi altri, tra cui pane, bevande analcoliche, salse, snack e condimenti. Lo zucchero aumenta significativamente l’apporto calorico degli alimenti senza aumentarne alcun le proprietà nutritive.
Nel 2016, un’interessante ricerca pubblicata sul British Medical Journal, dimostrava come l’assunzione di zuccheri o di bevande zuccherate fosse un fattore determinante nell’aumento del peso. Inoltre, lo zucchero sembra avere influenza anche sui meccanismi biologici che regolano l’appetito. Avendo la capacità di digerire molto velocemente gli alimenti e le bevande contenenti zuccheri, lo stimolo della fame tende a tornare più frequentemente, innescando così un circolo vizioso. Ovvero, l’organismo scompone tutti i carboidrati nei loro elementi costitutivi e ciò che resta è il glucosio che viene poi metabolizzato grazie all’insulina. Quest’ultima permette l’apporto di zuccheri alle cellule sotto forma di energia. In sintesi, più zuccheri mangi, più insulina verrà prodotta. E di conseguenza, un consumo eccessivo di zuccheri altera il livello di insulina nel sangue facendolo aumentare drasticamente. Dopo aver ridotto la combustione del grasso corporeo, il tasso di insulina scende al minimo, causando così, un nuovo attacco di fame.
Altra correlazione evidenziata è quella tra il consumo di bevande zuccherate e il diabete di tipo 2. Attenzione, stando alle ricerche condotte fino ad oggi: lo zucchero, in sé, non provoca l’insorgenza del diabete, ma ne aumenta il rischio. Uno studio pubblicato nel 2010, condotto su un campione di oltre 300mila persone, ha svelato che i soggetti che consumano 1 o 2 bevande zuccherate al giorno hanno un rischio di sviluppare il diabete maggiore del 26% rispetto a quelli che ne consumano meno, o non ne consumano affatto. Ancora una volta, quindi, la raccomandazione è di evitarle.
Tra le causa più comuni di morte precoce associate al consumo di bevande zuccherate sono le malattie cardiovascolari. A risentire della dieta ad alto contenuto di zuccheri, anche il cuore aumentando, di conseguenza, il rischio di disturbi cardiovascolari. Scientificamente dimostrato dall’American Heart Association , altresì che, chi segue un’alimentazione ricca di zuccheri può soffrire di malattie cardiache con frequenza significativamente maggiore rispetto a chi ne assume meno. La ricerca dimostra che le persone che bevono abitualmente bevande zuccherate corrono maggiori rischi rispetto a chi le consuma sporadicamente. Le donne poi, sembrano essere più a rischio degli uomini.
Non dimentichiamo poi che i batteri presenti nella bocca reagiscono con la sostanza zuccherata ingerita e formano uno strato di placca sui denti: questa reazione provoca il rilascio di un acido che, a lungo andare, danneggia i denti, provocando carie e cavità dentali. Per prevenirle è necessaria una corretta e frequente igiene dentale oltre, ovviamente a evitare dolci e bibite zuccherate.
Fondazione AIRC "Lo zucchero favorisce la crescita dei tumori?"
Un’alimentazione povera di carboidrati è il modo migliore di prevenire le malattie. È quello che scrive Enzo Soresi, primario emerito di pneumologia dell’Ospedale Ca’ Granda, Niguarda di Milano. Nella sua lunga carriera di medico ne ha affrontate tante, per gran parte raccolte nei sui libri, oggi, si racconta, ancora una volta e fornisce un interessante spunto di riflessione con le sue considerazioni sull'emergenza Covid-19. Partendo dall’assunto largamente condiviso che il virus influenzale induce una severa immunodepressione che favorisce, in un secondo momento, la complicanza batterica polmonare con germi spesso resistenti agli antibiotici, le sperimentazioni in corso, prima in Cina e poi a Napoli, forniscono un barlume di speranza per il controllo della polmonite interstiziale.
Soresi porta alla nostra attenzione su due aspetti importanti. Il primo riguarda proprio l’anticorpo monoclonale da anni somministrato, sottocute, ai pazienti affetti da artrite reumatoide, malattia autoimmune scatenata dalla interleuchina 6 (IL6), una delle citochine flogogene più aggressive. Poiché nei pazienti che finiscono in rianimazione è proprio questa IL6 che porta alla insufficienza respiratoria un uso tempestivo di questo anticorpo, noto con il nome di Tocilizumab, potrebbe essere di possibile aiuto. Le sperimentazioni sono in corso e sembrano promettere bene. Mentre, il secondo, punta tutto sull’alimentazione, quella povera di carboidrati, come modo più efficace nella prevenzione delle malattie.
Il Dottor Soresi fornisce qualche consiglio su come tenersi in forma in questo periodo di quarantena. «Attività fisica moderata, se non potete uscire organizzatevi in casa oppure fate 2 piani di scale (in salita) 4 volte al giorno, equivalgono a circa 8.000 passi». In ultimo, raccomanda l’esperto, l’integrazione di vitamina C per rinforzare le immunità del nostro organismo contro virus e batteri.
Inoltre, ricorda l’esperto, in un supplemento del Corriere della Sera, Io Donna: “Occhio all’indice glicemico”si legge che la guerra ai tumori si combatte e si vince a tavola: i cibi ad alto indice glicemico, come pane e pasta non integrali, dolci, biscotti, alcol, aumentano di circa il 50% la probabilità di ammalarsi di tumore al colon ed alla vescica. Tematica peraltro già trattata in un capitolo nel libro “Guarire con la nuova medicina integrata” scritto in collaborazione con Edoardo Rosati ed il coblogger Pierangelo Garzia, dove veniva affrontato «il principio della glicazione e dell’importanza di una alimentazione il più possibile lontana dagli zuccheri per ridurre il principale fattore di rischio di tutte le malattie che è l’infiammazione».
Il primo passo verso un'alimentazione antinfiammatoria è l'addio agli zuccheri e alla dieta mediterranea. «Come clinico - spiega Soresi - difronte a pazienti asmatici o affetti da broncopatie croniche correlate al fumo o all’inquinamento, la prima cosa che consegno ai pazienti è una sintesi di una alimentazione antinfiammatoria, il più possibile lontana dagli zuccheri. Quindi la prima regola della nostra alimentazione sarà quella di abbandonare la via metabolica del glucosio per attivare quella a minor rischio del fruttosio. La dieta mediterranea di conseguenza, ricca di carboidrati, non mi sembra oggi la migliore via da percorrere, a parte quella dell’uso dell’olio di oliva, sempre più alimento da proporre in ogni tipo di alimentazione».
«Quando mangiamo un piatto di 100 grammi di spaghetti - aggiunge l'esperto -, l’80% del loro peso è costituito da amido che, nell’arco di circa 3 ore viene trasformato in zucchero . Questo carico di zuccheri induce un innalzamento della glicemia e questo comporta un immediata increzione di ormone insulina la cui finalità è quella di eliminare lo zucchero con una serie di strumenti che cosi si possono riassumere: 1° indurre nel fegato la produzione di scorta di glucosio (intorno ai 70 grammi ) 2° stimolare le cellule muscolari, in particolare alcuni tipi di fibre, note come fibre bianche, ad assimilare più zucchero possibile, 3° indurre il fegato a produrre Vldl (Very Low Density Lipoprotein) che poi diventeranno le LdL del cosiddetto colesterolo cattivo».
Tirando le somme, quindi, il trucco dovrebbe essere quello di tornare a un'alimentazione che segua la via del fruttosio, proprio come facevano i nostri antenati. «Carne, pesce, frutta, vegetali, con aggiunta di olio d’oliva. La via del fruttosio è quella seguita dai nostri antenati basata essenzialmente sul consumo di questo zucchero. E qui, il primario del Ca’ Granda, si ricollega a una tesi già sostenuta da Adriano Panzironi con lo stile di vita Life 120.
«Il giornalista Adriano Panzironi - sottolinea Enzo Soresi - , in cui mi sono imbattuto durante gli zapping televisivi notturni, propone una piramide alimentare nel suo libro Vivere 120 anni molto lontana da quella classica della dieta mediterranea ma che a mio avviso rientra in pieno nel principio di abbandonare la via della glicazione allo scopo di ridurre il più possibile l’infiammazione nei nostri tessuti. Alla base della piramide troviamo carni e pesci più olio d’oliva da assumere ad ogni pasto, poi verdure ed uova quindi una porzione di frutta fresca più frutta secca, quindi formaggi stagionati ed alla fine vino rosso, cioccolato fondente e dolci in minima quantità. Una rivoluzione alimentare che cozza contro i vegetariani, i vegani e gli animalisti, ma che è da prendere in seria considerazione in un momento in cui l’obesità, nel mondo occidentale, si sta rivelando come una vera e propria epidemia. Su queste basi però ricordiamoci che il nostro libro Mitocondrio mon amour (Utet) ne è un documento fondamentale, l’importanza di una attività fisica non stressogena ma adeguata, anch’essa entrata a buon diritto nei percorsi di prevenzione dalle malattie infiammatorie e neoplastiche».
Leggi i saggi di Enzo Soresi (medico, pneumologo, oncologo e patologo) su Neurobioblo.com : "Le mie considerazioni sull'epidemia da coronavirus" e "A proposito di zucchero e salute"
In Italia, il tasso di mortalità per Coronavirus è pari al 6,6%. Dato importante e rilevante se comparato ai contagi nel resto del mondo. Bisognerebbe, quindi, interrogarsi sui fattori che contribuiscono, insieme al virus, a un numero così elevato di morti. La spiegazione potrebbe essere nei ceppi batterici resistenti agli antibiotici. E se gran parte dei decessi per coronavirus dipendessero veramente dai batteri presenti negli ospedali? E se questi batteri si annidassero nei corpi vulnerabili, e quindi, maggiormente esposti, delle persone infettate? Sono questi gli interrogativi sollevati dalla virologa Ilaria Capua in un articolo pubblicato su Fanpage. «Questi decessi sono un’anomalia che dobbiamo approfondire e studiare con cura e velocità». La virologa chiede così chiarezza per comprendere, una volta per tutte, cosa sia accaduto realmente nei corpi di tutte quelle persone che hanno perso la vita, con l’infezione addosso.
Secondo un rapporto sull'uso di antibiotici pubblicato dal Ministero della Salute «l’antibiotico-resistenza rappresenta una delle principali problematiche di salute pubblica a livello globale. In ogni regione del mondo si stanno sperimentando nella pratica clinica gli effetti della resistenza, ovvero l’incapacità di un antibiotico, somministrato alle dosi terapeutiche, di inibire la crescita o la replicazione di un microrganismo. La perdita di efficacia degli antibiotici attualmente disponibili rischia di mettere in crisi i sistemi sanitari, causando sia l’aumento della mortalità per infezioni che maggiori costi sanitari e sociali». «La situazione italiana - si legge nel rapporto del Ministero della Salute - è critica sia per quanto riguarda la diffusione dell’antibioticoresistenza sia per il consumo degli antibiotici; infatti, nonostante il trend in riduzione, il consumo continua a essere superiore alla media europea, con una grande variabilità tra le regioni. Nelle mappe europee relative alla distribuzione dei batteri resistenti in Europa, l’Italia detiene insieme alla Grecia il primato per diffusione di germi resistenti. Una delle ragioni per cui si sta assistendo in Italia e nel mondo a questo aumento di resistenze batteriche è l’uso non sempre appropriato degli antibiotici. Utilizzare gli antibiotici con attenzione deve essere un impegno e un dovere per tutti».
«Lo dico, perché in Italia –– spiega la virologa nell’articolo pubblicato su Fanpage - c’è un altro problema che continua a non avere l’attenzione che merita e di cui nessuno, a maggior ragione, ha parlato in questi giorni: l’Italia è in Europa, insieme a Cipro, il Paese che ha più ceppi batterici antibiotico resistenti. Cos’è esattamente l’antibiotico-resistenza? In poche parole, è la manifestazione della legge del più forte. O, se preferite, un meccanismo naturale attraverso il quale i microrganismi si evolvono. I batteri si modificano in presenza di una sostanza che è per loro “veleno”. Non solo diventano resistenti, quindi, ma sono anche in grado di trasmettere la resistenza alle future popolazioni batteriche. In dieci anni la proporzione di superbatteri resistenti è almeno decuplicata».
«È un fenomeno quello dell’antibiotico resistenza, che ha molte cause: le più riconosciute sono l’abuso di antibiotici in medicina umana e veterinaria, per l’appunto, e la scarsa igiene delle mani. L’effetto è che ormai questi superbatteri ce li possiamo prendere ovunque, dall’autobus, alla scuola dei figli. Questo cosa significa per il singolo cittadino? Significa, banalmente, che in Italia un paziente ha più probabilità di incorrere in complicazioni dopo interventi ospedalieri, come ad esempio in seguito a trapianti, ricovero in terapia intensiva o interventi chirurgici complessi. È un problema talmente grave, questo, che in molti altri paesi europei, al momento del ricovero i pazienti che hanno avuto contatti con ospedali italiani nei sei mesi precedenti vengono sottoposti a screening e immediatamente isolati» conclude Ilaria Capua, confidando nelle sanificazioni e nelle norme igieniche adottate per debellare sia il Covid-19, sia l’antibiotico resistenza.
Già nel 2017 il nostro Paese si era conquistato la maglia nera. Ogni anno, in Europa si registrano circa 4 milioni di infezioni da germi e 37 mila morti. E purtroppo, l'Italia, preceduta solo dalla Grecia. Secondo gli esperti, negli ospedali italiani, la situazione è veramente drammatica: le infezioni da germi antibiotico-resistenti colpiscono 300 mila pazienti e causano tra i 4500 e i 7 mila decessi. Stando alle stime dell'Oms, se non si interviene in tempo, nel 2050 le morti provocate da germi multi-resistenti potrebbero arrivare addirittira a 10 milioni, e quindi, superare quelle per i tumori. Il quadro degli ospedali e, ancor più nelle terapie intesive è, a dir poco, catastrofico. «Anche per un semplice problema di igiene di medici e personale: basterebbe lavarsi le mani passando da un paziente all'altro» è quanto sostiene Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell'Iss. «La realtà epidemiologica impone di ridurre l'uso inappropriato di antibiotici, sia nelle persone che negli animali, il miglioramento della diagnostica microbiologica e le prescrizioni inutili o fai da te - dice il presidente del Gisa e indica le vaccinazioni, tra le cause della situazione italiana nel calo del livello di protezione immunitaria.
Per approfondimenti: Rapporto sull'uso di antibiotici del Ministero della Salute