Dal sanguinamento gengivale alla vitamina C, scoperto il legame tra carenza e aumento del rischio di questa patologia. Non solo una malattia paradontale, ma anche un indicatore di un’assunzione insufficiente. Secondo quanto rilevato dallo studio condotto all’Università di Washington e pubblicata su Nutrition Reviews, i ricercatori hanno mostrato che il sanguinamento delle gengive e quello negli occhi, o emorragia retinica, legati anche a problemi generali nel sistema microvascolare, erano associati a bassi livelli di acido ascorbico nel sangue. Per contro, l’équipe di ricercatori ha scoperto che l'aumento dell'assunzione giornaliera in persone con bassi livelli plasmatici di vitamina C ha contribuito alla riduzione dei problemi di sanguinamento delle gengive. La ricerca ha analizzato 15 studi clinici in sei paesi diversi, che hanno coinvolto 1.140 partecipanti prevalentemente sani e i dati di 8.210 residenti negli Stati Uniti intervistati per il Centers for Disease Control and Prevention's Health and Nutrition Examination Survey. Insomma, uno studio che lancia un messaggio forte e chiaro, un’alimentazione corretta migliora la salute in generale e, di conseguenza, anche quella orale. Tra cause e rimendi, al via con il trattamento naturale alla grave infezione gengivale che danneggia i tessuti molli e le ossa che sostengono il dente. Difatti, carenze alimentari o forme di alimentazione non equilibrata possono compromettere il corretto turn over cellulare e debilitare le difese immunitarie. Tra le vitamine una che ha sicuramente un ruolo fondamentale è la vitamina C (acido ascorbico), nota anche vitamina antiscorbuto.
PARADONTITE, ecco come guarire ed evitare la caduta dei denti
Laggot et al., tra gli altri, indagarono la relazione tra la variazione di apporto di vitamina C, lo stato parodontale e la microflora subgengivale, notando che il sanguinamento gengivale aumentava in corrispondenza di una dieta povera di vitamina C e che ritornava alla normalità con una dieta equilibrata (Leggott PJ, Robertson PB, Rothman DL, Murray PA, Jacob RA. "The effect of Controlled ascorbic acid depletion and supplementation on periodontal health" J Periodontol, 1986). Esiste comunque un elevato bisogno di vitamina C durante i processi di cicatrizzazione e di guarigione nei 15 giorni successivi a qualsiasi intervento orale (Pierce HB, Newhall CA, Merrow SB et al. "Ascorbic acid supplementation Response of burn tissue" Am J Clim Nutr, 1990). I pazienti che hanno avuto una supplementazione di vitamina C in associazione al trattamento parodontale hanno mostrato una guarigione più veloce dei tessuti parodontali con una riduzione maggiore dell’indice di sanguinamento al sondaggio rispetto ai pazienti che si sono sottoposti al solo trattamento. I pazienti con una alimentazione carente di vitamina C mostrano maggiore tendenza al sanguinamento gengivale e maggiore predisposizione alla malattia parodontale. Si potrebbe concludere che una somministrazione di elevati livelli di vitamina C favorisce la guarigione dei tessuti gengivali con riduzione della tendenza al sanguinamento. A tal fine, la vitamina C è disponibile anche sotto forma di integratori naturali. Se assunta in questo modo la vitamina C di origine naturale è da preferire, perché possiede un importante fattore di utilizzo da parte dell’organismo, infatti è costituita da 2 tipi: C1 e C2, che si completano e migliorano l’utilizzo e l’assorbimento. In quella di sintesi è presente solo la C1.
Commenta i risultati dell'indagine la dottoressa Silvia Anna Masiero della Società italiana di parodontologia e Implantologia (SIdP):
La Gengivite e ancora di più la parodontite, sono processi infiammatori che sono influenzati da una serie di fattori sistemici legati anche alla dieta e allo stile di vita. Mentre non è sorprendente che una dieta corretta, insieme alle manovre di igiene orale, possa avere un ruolo nel migliorare la salute di denti e gengive [...]. La carenza cronica di vitamina C porta ad una condizione specifica: lo Scorbuto. Una malattia nota già dal 1500 che affliggeva gli esploratori europei nei loro viaggi attorno al globo poiché durante la navigazione non era possibile approvvigionarsi di frutta e verdura fresca ricca di vitamina C. Uno dei segni classici dello scorbuto era il sanguinamento gengivale. Inoltre, anche l’OMS raccomanda una dieta che preveda l’assunzione di corrette quantità di vitamina C.
Definito da Ippocrate come “ileo ematite”, lo scorbuto è conosciuto anche come il "morbo dei marinai" o la "malattia dei pirati”. Premesso che le riserve di vitamina C del corpo umano sono limitate e si esauriscono entro 1–3 mesi, lo scorbuto era comune tra gli equipaggi impegnati nelle lunghe traversate oceaniche, e quindi, non avevano scorte alimentari fresche e sufficienti. Insomma, lo scorbuto è una malattia dovuta a carenza alimentare o a insufficiente assorbimento intestinale di vitamina C, caratterizzata da un estremo deperimento dell'organismo, oltre che da manifestazioni emorragico-ulcerose della cute, delle mucose e degli organi interni. E anche se in passato colpiva i marinai o comunque le categorie più disagiate, oggi torna nei Paesi ricchi a causa della cattiva alimentazione. Da qui, l'importanza di questo nutriente. Fondamentale per il nostro organismo, la vitamina C è un potente antiossidante, importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario e la sintesi di collagene, il costituente primario di vasi sanguigni, pelle, muscoli, ossa, articolazioni e legamento parodontale che fornisce le proprietà elastiche e di resistenza a organi e tessuti e compone il 75% della nostra pelle e il 30% del nostro corpo. Inoltre, è una proteina essenziale per la riparazione e la guarigione di quasi tutti i tessuti del nostro corpo. La vitamina C, quindi, ha un ruolo rilevante nella rimarginazione delle ferite e delle ustioni perché facilita la formazione del tessuto connettivo della cicatrice, aumenta la resistenza dell’organismo, aumenta la produzione di anticorpi, stimola la biosintesi della carnitina, distrugge i radicali liberi, partecipa ai processi di respirazione cellulare, interviene nella sintesi del collagene, favorisce l’assorbimento del ferro incrementando il tasso di emoglobina. Inoltre, contrasta gli effetti tossici della nicotina, delle radiazioni ionizzanti, inattiva le tossine batteriche, interviene nel trasporto dell’ossigeno, indispensabile per le attività vitali di tutte le cellule e per la produzione di energia soprattutto muscolare; previene l’accumulo di istamina (responsabile di allergie), modula le prostaglandine (mediatori dei processi infiammatori), previene la degenerazione cellulare (fra cui il processo di invecchiamento). E poiché il nostro corpo non è in grado di sintetizzarla è necessario un rifornimento continuo.
VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici
Fondamentale per numerosi processi, la vitamina C supporta tantissime funzioni importanti per la nostra salute:
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Per approfondimenti:
Ansa "Gengive che sanguinano, può dipendere da poca vitamina C?"
Leggott PJ, Robertson PB, Rothman DL, Murray PA, Jacob RA. "The effect of Controlled ascorbic acid depletion and supplementation on periodontal health" J Periodontol, 1986
Pollack RL, Kravitz E. "Nutrition in oral health and disease" Philadelphia: Lea & Febiger, 1985
Pierce HB, Newhall CA, Merrow SB et al. "Ascorbic acid supplementation Response of burn tissue" Am J Clim Nutr, 1990
La gazzetta del Mezzogiorno "Lo scorbuto, malattia del passato, nota come morbo dei marinai"
Affari Italiani "Scorbuto, allarme. Poca vitamina C e ci si ammala di scorbuto. Rischio morte"
La Stampa "Così lo “scorbuto” dei marinai del ’500 venne sconfitto con gli agrumi"
Frontiers in Immunology “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19”
PubMed "Evolution and the need for ascorbic acid"
MDPI "Vitamin C and Immune Function"
LEGGI ANCHE: Tra vitamina C e scorbuto: come prevenire il "morbo del marinaio"
Storia della vitamina C: dalla prevenzione del raffreddore al trattamento del Covid
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Circondati e dipendenti dagli zuccheri. Tra snack e cibi già pronti, passando poi per la dieta mediterranea caratterizzata dagli alimenti composti per la gran parte da zuccheri come pane, pasta, riso, pizza e biscotti. Oltre ai dannosi picchi glicemici, lo zucchero innesca nel nostro corpo sonnolenza e inerzia, senza trascurare il rischio di serie patologie come l’invecchiamento precoce, il diabete, l’obesità, la carie e varie tipologie di tumore, stati infiammatori e, secondo alcuni, anche depressione causata dai cosiddetti picchi insulinici. Dannoso per la salute e se consumato in alte dosi produce dipendenza, proprio per questo viene considerato, da vari nutrizionisti come una vera e propria droga. Dal diabete alla steatosi epatica, fino ad alcuni tipi di tumore. Da non sottovalutare le conseguenze di una dieta ricca di zuccheri. Perché gli zuccheri fanno così male?
«Questo perché abbiamo visto che gli zuccheri fanno più male dei grassi», sottolinea a Gazzetta Active la dottoressa Claudia Delpiano, dietista e biologa nutrizionista presso l’IRCCS Policlinico San Donato e il Policlinico San Pietro. Unica eccezione per la frutta: anche se contiene il fruttosio non fa male. «Sono gli zuccheri aggiunti che fanno male. Il fruttosio della frutta è presente nell’alimento insieme ad altri composti bioattivi: sali minerali, vitamine, acqua, fibra. E la fibra alimentare va a modulare l’assorbimento dello zucchero presente nel frutto, evitando picchi glicemici». Oltre alla frutta c’è di più. Consentiti anche il dolci! «Oltre alla frutta [...], si possono mangiare il cioccolato fondente almeno all’80%, […] la frutta fresca, la polvere di cacao amaro o di cannella, la frutta disidratata al naturale, - ma rigorosamente - senza zuccheri aggiunti».
L'amara verità dello ZUCCHERO: tutti i rischi per la nostra salute
Nel 2016, un’interessante ricerca pubblicata sul British Medical Journal, dimostrava come l’assunzione di zuccheri o di bevande zuccherate fosse un fattore determinante nell’aumento del peso. Inoltre, lo zucchero sembra avere influenza anche sui meccanismi biologici che regolano l’appetito. Avendo la capacità di digerire molto velocemente gli alimenti e le bevande contenenti zuccheri, lo stimolo della fame tende a tornare più frequentemente, innescando così un circolo vizioso. Ovvero, l’organismo scompone tutti i carboidrati nei loro elementi costitutivi e ciò che resta è il glucosio che viene poi metabolizzato grazie all’insulina. Quest’ultima permette l’apporto di zuccheri alle cellule sotto forma di energia. In sintesi, più zuccheri mangi, più insulina verrà prodotta. E di conseguenza, un consumo eccessivo di zuccheri altera il livello di insulina nel sangue facendolo aumentare drasticamente. Dopo aver ridotto la combustione del grasso corporeo, il tasso di insulina scende al minimo, causando così, un nuovo attacco di fame. Altra correlazione evidenziata è quella tra il consumo di bevande zuccherate e il diabete di tipo 2. Tuttavia lo zucchero, in sé, non provoca l’insorgenza del diabete, ma ne aumenta il rischio. Uno studio pubblicato nel 2010, condotto su un campione di oltre 300mila persone, ha svelato che i soggetti che consumano 1 o 2 bevande zuccherate al giorno avevano un rischio di sviluppare il diabete maggiore del 26% rispetto a quelli che ne consumano meno o non ne consumano affatto. Ancora una volta, quindi, la raccomandazione è di evitarle. Tra le causa più comuni di morte precoce associate al consumo di bevande zuccherate sono le malattie cardiovascolari. A risentire della dieta ad alto contenuto di zuccheri, anche il cuore aumentando, di conseguenza, il rischio di disturbi cardiovascolari. Scientificamente dimostrato dall’American Heart Association, altresì che, chi segue un’alimentazione ricca di zuccheri può soffrire di malattie cardiache con frequenza significativamente maggiore rispetto a chi ne assume meno. La ricerca dimostra che le persone che bevono abitualmente bevande zuccherate corrono maggiori rischi rispetto a chi le consuma sporadicamente. Le donne poi, sembrano essere più a rischio degli uomini. Non dimentichiamo poi che i batteri presenti nella bocca reagiscono con la sostanza zuccherata ingerita e formano uno strato di placca sui denti: questa reazione provoca il rilascio di un acido che, a lungo andare, danneggia i denti, provocando carie e cavità dentali.
Ma forse è meglio fare un passo indietro per capire quello che si nasconde dietro un alimento tanto contestato.
«Lo zucchero è un glucide composto da una o due unità, i saccaridi, che sono molecole base che compongono i carboidrati. Se ne abbiamo una o due unità abbiamo, appunto, uno zucchero. Gli zuccheri sono gli elementi base dei carboidrati, che possono essere monosaccaridi o zuccheri semplici (come fruttosio, glucosio e galattosio), disaccaridi (come saccarosio, lattosio e maltosio), o polisaccaridi o carboidrati complessi (come amidi e maltodestrine). Quando parliamo di zuccheri parliamo essenzialmente di glucosio e fruttosio».
Ecco perché lo ZUCCHERO potrebbe essere rischioso per la salute
Secondo quanto dimostra un’evidenza scientifica, la lavorazione industriale (estrazione, purificazione o alterazione) dei cosiddetti cibi ultraprocessati costituirebbe un rischio per salute. In particolare lo zucchero è responsabile del 40% dell’aumento di rischio. Catalogati come “nocivi”, parliamo proprio degli zuccheri semplici.
«Quello che davvero è nocivo è lo zucchero nascosto nel cibo raffinato, o aggiunto in modo discrezionale. Lo zucchero si trova nelle bevande gassate, per esempio, in molti prodotti da forno, anche se portano la dicitura ‘senza zucchero’. Nel 2015 le nuove linee guida per una sana alimentazione hanno ridotto dal 15 al 10% la quota quotidiana suggerita di zuccheri semplici a rapido assorbimento rispetto al fabbisogno calorico giornaliero. E una ulteriore riduzione del 5% va ad apportare ulteriori benefici per la salute». «Gli zuccheri si nascondono proprio nelle etichette. Vengono identificati con vari termini, solitamente che finiscono in -osio: glucosio, saccarosio, destrosio, fruttosio, maltosio, lattosio. Ma anche gli sciroppi, come quello di fruttosio, di glucosio, di mais, di caramello, d’agave, d’acero sono zuccheri. O anche gli zuccheri della frutta, ovvero il fruttosio, lo zucchero d’uva, zucchero della mela sono zuccheri».
Dagli effetti dannosi sul nostro corpo ai notevoli benefici di una dieta priva di zuccheri. Infatti, le cellule tumorali si nutrono di glucosio e muoiono in assenza di esso perché, da sole, non riescono a sintetizzare lo zucchero.
«Il fruttosio è metabolizzato quasi esclusivamente dalle cellule del fegato. Un alto contenuto di fruttosio impatta fortemente sulla risposta insulinica, manifestando poi l’insulino-resistenza: l’insulina lavora meno e non è in grado di fare entrare il glucosio nelle cellule che lo metabolizzano e digeriscono. Il glucosio resta così in circolo, creando iperglicemia, fino ad arrivare al diabete di tipo 2, alla steatosi epatica e alla sindrome metabolica, ad uno stato infiammatorio generale dell’organismo».
ZUCCHERO e TUMORE: ecco come ne influenza la nascita
E di conseguenza, stimolando l’infiammazione generale dell’organismo, una dieta ricca di zuccheri potrebbe incrementare l’insorgenza di forme tumorali.
«Certo, un eccessivo consumo di zuccheri può portare, a lungo termine, anche allo sviluppo di alcuni tipi di tumore, perché il tumore si nutre di zucchero. Nel caso di recidive di tumore, infatti, si consiglia proprio l’abolizione di zuccheri a rapido assorbimento». Per contro «Una dieta priva di zuccheri aggiunti abbassa il rischio di tutte queste patologie. Tra gli effetti ci sono anche una pelle più sane e bella, un calo ponderale, un miglioramento del tono dell’umore e delle funzioni cerebrali, ma anche della digestione e dell’assorbimento dei nutrienti, e si hanno meno problemi di gonfiore addominale».
Gazzetta Act!ve "Zuccheri, ecco perché troppi fanno male. Quali sono i benefici di una dieta che ne è priva?"
Fondazione AIRC "Lo zucchero favorisce la crescita dei tumori?"
Il Messaggero "I cibi industriali aumentano il rischio di morte, zucchero responsabile del 40%"
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Ricercatori: ecco perché senza zuccheri e amidi il tumore muore e aumenta la nostra longevità
Troppi zuccheri possono provocare lo sviluppo del cancro
Buono in cucina e vero e proprio toccasana per il nostro benessere e poi, sicuramente vittima di un retaggio culturale. Concentrato di vitamine e minerali, ma anche povero di lattosio. Valido ingrediente anche come spuntino prima di iniziare un allenamento. Da sempre contestato sia dai “fanatici” della linea sia da quelli che lo annoverano tra gli alimenti potenzialmente nocivi per la nostra salute, e quindi, da evitare. Demonizzato perché considerato un cibo non sano. A scanso di equivoci, uno studio della Friedman School of Nutrition Science della Tufts University sostiene che il burro non fa male al cuore e protegge dal diabete. L’acido butirrico, a cui sono stati attribuiti diversi ruoli fisiologici, è quello, tra gli acidi a catena corta, sui cui più si è concentrata la ricerca. «L'acido butirrico è un acido grasso saturo, non essenziale, che si trova principalmente nel latte dei ruminanti (2-4%), e solo in tracce in quello di donna» spiega Christian Orlando, biologo. Difatti, evidenze scientifiche hanno dimostrato che l’acido butirrico regola il trasporto di fluidi, protegge i colonociti dallo stress ossidativo, influenza la motilità lungo il tratto gastrointestinale, modula la proliferazione cellulare e il differenziamento cellulare, regola inoltre, l’espressione genica. La produzione di acido butirrico svolge dunque un ruolo cruciale per la nostra salute. Considerati i notevoli stimoli a cui è continuamente esposto il colon, infatti, dalla maggiore produzione di butirrato, potrebbe scaturire una resistenza più incisiva contro stimoli tossici migliorando così la funzione della barriera intestinale. Indagini recenti hanno evidenziato che gli acidi a corta catena dopo essere stati assorbiti a livello intestinale, influenzano anche fegato e tessuti extraeptici.
“Un alimento più salutare di zuccheri e amidi” è quanto sostengono i ricercatori della Tufts University. Insomma, nessuna controindicazione sull’aumento del rischio di patologie cardiovascolari. Al contrario, i grassi del latte sarebbero in grado di mantenere la glicemia sotto controllo. Secondo quando mostrato dall’indagine della Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts University, pubblicata sulla rivista specializzata Plos One, non esisterebbe alcuna prova scientifica secondo cui assumere burro possa aumentare i rischi per la salute dell'organismo, al contrario, avrebbe un effetto protettivo contro patologie come il diabete. Per giungere a questa conclusione, gli studiosi della Tufts University hanno imposto a 636 mila persone un cucchiaio di burro giornaliero, circa 14 grammi al giorno. Nel corso della sperimentazione si sono verificati circa 28 mila decessi, quasi 10 mila patologie cardiovascolari e sono stati diagnosticati qualcosa come 24 mila casi di diabete: ma in nessuno di questi casi i ricercatori hanno trovato un legame tra il consumo di burro e le cause di morte. Le indicazioni della correlazione tra l'alimento, la mortalità e le malattie citate in precedenza, al contrario, sarebbero minime o addirittura insignificanti: anzi, per quel che concerne il diabete sembra proprio che il burro rappresenti, contro ogni aspettativa, un aiuto per il nostro organismo. E poi, il burro è anche fonte di vitamina A, D, E e K indispensabili per il nostro organismo ed è anche una delle poche fonti di vitamina D, preziosa per la salute delle ossa e del nostro sistema immunitario. Fonte di minerali tra fui l’acido linoleico coniugato (CLA) e un acido grasso con funzioni benefiche e protettive (antitumorali, anti-aterosclerotiche, antiobesità e antinfiammatori).
Salutare e digeribile come l’olio. Il burro è un grasso animale ricco di colesterolo e acidi grassi a catena corta che forniscono energia immediata all’organismo. E proprio per questo è considerato l’alimento ideale soprattutto per gli sportivi. I motivi per mangiare burro? É ricco di antiossidanti, prezioso per l’intestino (il burro è ricco di glicosfingolipidi, acidi grassi che proteggono l’intestino da infezioni e problemi gastrointestinali), aiuta il sistema immunitario (grazie alla presenza di carotene fortifica l’organismo contro le infezioni), prezioso per il benessere della tiroide (grazie alla concentrazione di vitamina A), allevia l’artrite (aiuta il corpo a contrastare i problemi legati alle articolazioni), amico degli occhi (la vitamina A protegge gli occhi dall’insorgere della cataratta), amico del cuore (anche se i grassi saturi aumentano il colesterolo, quelli contenuti nel burro contribuiscono infatti, a innalzare quello buono), alleato delle ossa contrasta l’osteoporosi (grazie alla presenza di manganese, rame, zinco e selenio) e aiuta a dimagrire (aumentando il senso di sazietà).
BURRO, PANNA e GRASSI SATURI: amici della salute e del cuore
«L’acido butirrico sembra avere ottime proprietà antinfiammatorie grazie alla capacità di sopprimere l’attività di alcune proteine che scatenano l’infiammazione, in particolare aiuta a controllare la risposta immunitaria regolando l’attività dei linfociti T. Le cellule T, attraverso un complesso meccanismo che si avvale di marcatori chiamati MHC, sono in grado di riconoscere e distruggere le cellule patogene risparmiando quelle sane; se però non funzionano correttamente il sistema immunitario può arrivare ad attaccare organi come il pancreas (diabete di tipo 1) o la tiroide» spiega Christian Orlando, biologo. «Altri studi hanno evidenziato che l’acido butirrico - continua il biologo - aiuta a tenere sotto controllo il peso corporeo stimolando gli ormoni dell’intestino e aumentando la sintesi di leptina (importante nella regolazione dell’appetito). L’acido butirrico è risultato promettente anche nella lotta contro l’insulino-resistenza. In numerosi studi è stato riscontrato che il supplemento con butirrato migliora i livelli di glucosio, la sensibilità all’insulina e persino la funzione mitocondriale» conclude il nutrizionista.
Gli acidi grassi a catena corta prodotti dai batteri intestinali, in particolare l’acido butirrico, sono essenziali per mantenere l’intestino in salute, proteggendolo così da infiammazioni e prevenendo l’insorgenza persino dei tumori. Inoltre, il microbiota mantiene il sistema immunitario costantemente attivo. Questo avviene poiché, un microbiota ricco di batteri capaci di digerire e fermentare i flavonoidi contenuti nella frutta e nella verdura promuove la produzione di sostanze che hanno effetti protettivi sulla salute cardiovascolare. Difatti, alimenti ricchi di acidi grassi saturi e cibi eccessivamente calorici stimolano, invece, la proliferazione di ceppi di batteri che promuovono l’infiammazione. Inoltre, alcune sostanze prodotte dal microbiota intestinale sembrerebbero addirittura coinvolte nella regolazione non solo dell’appetito, ma anche dell’aumento di peso. Sull’importanza degli acidi grassi per il nostro organismo interviene la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano in un’intervista a Gazzetta Act!ve:
«Gli acidi grassi a catena corta, come quelli del burro appunto, forniscono energia alle cellule intestinali. Proprio a livello intestinale avviene l’assorbimento dei nutrienti. Le cellule che partecipano a questo processo di assorbimento hanno bisogno di energia per funzionare adeguatamente. Il burro, come gli altri grassi saturi, aiuta il buon funzionamento dell’intestino. Con questo, però, non bisogna certo esagerare. I grassi devono ricoprire solo il 30 per cento dell’apporto calorico giornaliero. Ed è importante scegliere acidi grassi monoinsaturi nella maggior parte di questa quota. Ma un 10 per cento di questa parte dovrebbe arrivare dai grassi saturi. Anche perché gli stessi grassi saturi sono indispensabili perché vanno a delimitare la guaina mielinica che ricopre i tessuti nervosi».
Ma quali sono le vere caratteristiche del burro?
«Il burro – precisa la biologa - è un grasso saturo animale prodotto dal latte. Contiene però poco lattosio per via della sua preparazione, e di conseguenza è ben tollerato da chi soffre di intolleranza. E’ costituito per l’80 per cento da grasso. Il resto è acqua, un po’ di proteine e pochi zuccheri. Rispetto ad un olio, che è 100 per cento grasso, fornisce un po’ meno calorie: sono circa 750 kcal per 100 grammi. Contiene sali minerali come calcio, importante per le ossa, ma anche fosforo e potassio, quest’ultimo particolarmente utile per gli sportivi, visto il suo ruolo nel contrastare i crampi e nello stimolare la contrazione muscolare».
Inoltre, questo alimento è anche una fonte preziosa di vitamine fondamentali per il nostro benessere.
«Il burro è ricco di vitamina D – chiarisce la nutrizionista - , che migliora l’assorbimento del calcio sia per le ossa sia per la contrazione muscolare. Contiene anche vitamina A o retinolo, antiossidante molto importante per la vista oltre che per lo sviluppo di ossa e denti e per una buona risposta immunitaria, e vitamina E, che favorisce il rinnovo cellulare e combatte i radicali liberi». E poi, il burro è essenziale per tutti gli sportivi: «Di mangiarlo, ovviamente senza esagerare. Soprattutto nella stagione invernale un po’ di burro può aiutare in particolare chi fa sport outdoor di lunga durata» suggerisce Falcone.
Gazzetta Act!ve "Burro, la nutrizionista: “Ecco perché non va eliminato dalla dieta, soprattutto degli sportivi”
Il Giornale "Sorpresa: il burro non fa male, anzi protegge dal diabete"
Che Donna "Burro | 10 motivi per cui mangiarlo fa bene"
La Nazione "Il burro non è un ’nemico’..."
Fondazione Umberto Veronesi "Microbiota intestinale: in che modo può influenzare la salute?"
La Stampa "Burro chiarificato e i molti benefici per la salute!"
INRAN "Burro Chiarificato: cos’è e a cosa serve?"
Vivo in Salute "Il burro: I Benefici Del Burro per la salute. Sfatiamo i miti falsi…"
Eurosalus "Burro chiarificato: cos'è e come si usa?"
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L’inconfondibile profumo e il sapore aspro del frutto d’inverno: gli agrumi. Utili alla nostra salute. Dalla prevenzione alla cura di influenze, raffreddori e malanni stagionali passando per i tanti benefici per l’organismo. Arancia e limone, ma anche lime, cedro, mandarino e pompelmo. Tra le caratteristiche fondamentali degli agrumi quella di dare energia, regolare il metabolismo, svolgere un’azione diuretica e garantire la regolarità intestinale. Questi importanti frutti sono ricchi di elementi (sali minerali, magnesio, ferro oltre alle vitamine A, B, e C) necessari al buon funzionamento del nostro organismo. Arancia, mandarino o limone? Immancabile sui banchi dei reparti di ortofrutta, l’arancia è uno degli agrumi più consumati in Italia. Dalla nota azione benefica per il cuore, per la circolazione e per la difesa del corpo dagli agenti chimici, fisici e ambientali, soprattutto durante la stagione invernale, rafforzando le nostre difese immunitarie contro virus e batteri. Dona, inoltre, energia favorendo un effetto antistress, aiuta la digestione e depura l’organismo. Energetico e dal dolce sapore, per le sue caratteristiche energizzanti, il mandarino è fortemente consigliato ad adulti e bambini che svolgono attività fisica. Al suo interno, la presenza di fibre facilita la regolarità intestinale. Noto soprattutto per l’elevata quantità di vitamina C, questo frutto è ideale per rafforzare le nostre difese immunitarie e nel contrasto alle influenze stagionali. Ottimi alleati per combattere le infiammazioni alla gola, raffreddori e influenze grazie alle loro proprietà antibatteriche. Ultimi, ma non per importanza, i limoni. Questi agrumi donano un senso di sollievo ai piccoli fastidi quotidiani, inoltre, grazie alla presenza di presenza di antiossidanti, il limone è considerato l’anticolesterolo per eccellenza.
Regina indiscussa dell’inverno, la vitamina C con il suo prodigioso effetto antinfiammatorio. Preziosa ancor più nella stagione fredda e soprattutto alle prese con questa pandemia e nella lotta al Covid, come condermano diverse ricerche uscite negli ultimi mesi, dovrebbe diventare un vero e proprio must. Insomma, sarebbe buona abitudine mantenere uno stile di vita capace di rinforzare le difese contro virus, batteri e malanni stagionali. Difatti, è proprio nel periodo che va dall’autunno alla primavera che vede le nostre difese immunitarie sottoposte a un maggiore stress, sia a causa del calo delle temperature che della minore esposizione ai raggi solari e anche del tempo trascorso, in prevalenza in luoghi chiusi. L’ascorbato, assunto sotto forma di alimentazione o integrazione, rappresenta un ottimo aiuto per il sistema immunitario, rinforzandolo. Le innumerevoli proprietà della vitamina C l’hanno inclusa nell’elenco dei medicinali essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e quindi, tra i più sicuri ed efficaci necessari al sistema sanitario. Valido supporto nella prevenzione delle malattie da raffreddamento da oltre trent’anni. La teoria della vitamina C contro il raffreddore diventa popolare intorno al 1970 quando, il premio Nobel Linus Pauling, pubblica un libro su come prevenire le malattie da raffreddamento con mega dosi di vitamina C. Secondo Pauling, un'assunzione giornaliera di vitamina C di 1.000 mg può ridurre l'incidenza del raffreddore di circa il 45% e l'assunzione giornaliera ottimale di vitamina C per vivere in modo sano e prevenire le malattie dovrebbe essere di almeno 2,3 g. Una sua carenza, per contro, si traduce in una condizione nota come lo scorbuto. Inoltre, diverse evidenze scientifiche indicano che la vitamina C si concentri nelle cellule del sistema immunitario e venga consumata piuttosto rapidamente durante un’infezione ovvero sintomi più lievi e durata inferiore.
Ad oggi, diversi studi hanno dimostrato che gli integratori di vitamina C assunti in chiave preventiva possono ridurre la durata del raffreddore. Questa metanalisi ha raccolto i dati di 43 studi sulla vitamina C e ha raggiunto le seguenti conclusioni sull’integrazione preventiva: la vitamina C dimezza il rischio di raffreddore nelle persone esposte a un intenso stress fisico (ad esempio corridori di maratona, sciatori o soldati in condizioni subartiche) e riduce la durata del raffreddore dell’8% negli adulti e del 14-18% nei bambini. Diminuisce anche la gravità del raffreddore in tutte le popolazioni, soprattutto nei bambini. Essenziale per la risposta antivirale nella fase iniziale dell’infezione influenzale, inoltre, una sua carenza sembra peggiorare il danno polmonare. E ancora uno studio su oltre 1.500 donne ha associato un’elevata assunzione di vitamina C a una ridotta incidenza di infezioni del tratto respiratorio superiore. A queste, si aggiunge, un’importante meta-analisi che ha indagato gli effetti della supplementazione di vitamina C sulla prevenzione (2.335 pazienti) e sul trattamento (197 pazienti) della polmonite. Secondo questo studio, l’integrazione preventiva può ridurre l’incidenza della polmonite dell’80%. Quando si parla di trattamento poi, la vitamina C può ridurre la durata, la gravità e la mortalità per polmonite. Infatti, in uno studio clinico su 30 pazienti con polmonite grave, la supplementazione di vitamina C ha ridotto: lo stress ossidativo, il danno al DNA e l’infiammazione (TNF -a e IL-6).
Nella figura il meccanismo schematico in cui una IA di vitamina C potrebbe modulare funzioni specifiche dei neutrofili (ROS e TNFα, mediata da IL-1β), inibendo le vie coinvolte nella formazione della trappola extracellulare dei neutrofili (NETosis) e riducendo la produzione incontrollabile di citochine infiammatorie nell'alveolare spazio. Potenziali effetti sulla riduzione della produzione di citochine sono stati ipotizzati anche nei linfociti e nei macrofagi. ROS, specie reattive dell'ossigeno; NFkB, fattore di trascrizione nucleare kappa B; ┴, stimolo di inibizione; freccia tratteggiata, effetto o produzione ridotti.
Noto che una carenza di vitamina C dovuta a un basso apporto nutritivo porti a una maggiore suscettibilità alle infezioni. Inoltre, come tutti sanno, un apporto maggiore di vitamina C, per contro, potenzia il sistema immunitario e l'uso degli integratori è considerato un rimedio, soprattutto invernale, per prevenire le malattie infettive. Tuttavia, è anche vero che una dieta equilibrata capace di soddisfare l'assunzione giornaliera di vitamina C influisce positivamente sul sistema immunitario e contribuisce, di conseguenza, alla riduzione della suscettibilità alle infezioni. Il comune raffreddore è una delle infezioni virali delle alte vie respiratorie (URTI) più diffuse, caratterizzata da tosse, stanchezza, febbre, mal di gola e dolori muscolari, che persistono per un periodo che va da pochi giorni a non più di 3 settimane. Con "raffreddore comune" si fa generalmente riferimento a una sindrome aspecifica causata da diversi virus, sebbene il rinovirus sia il patogeno coinvolto più frequentemente, essendo presente nel 30-50% dei malati. Infatti, un'integrazione di vitamina C potrebbe modulare l'infiammazione, con potenziali effetti positivi sulla risposta immunitaria alle infezioni. Infatti, la letteratura mostra che alte dosi di vitamina C per infusione endovenosa possono ridurre la produzione di citochine infiammatorie.
Senza trascurare poi, i suoi punti forti:
Il Giornale "Agrumi: proprietà e benefici del frutto dell'inverno"
Il Messaggero "Covid, influenza stagionale e coronavirus: come distinguere i sintomi in caso di febbre"
Centro meteo italiano "Coronavirus, influenza stagionale e raffreddore, come distinguerli: i sintomi e le caratteristiche"
Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"
Salute Prevenzione "Nella guerra contro i Virus la scienza si dimentica sempre del Sistema Immunitario"
Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"
Sapere "I sistemi di difesa dell'organismo"
Corriere del Mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"
Il fatto alimentare "Coronavirus: dieta e trattamenti terapeutici naturali proposti da docenti di medicina"
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Vitamine e sali minerali: i principali alleati di adulti e bambini
Parola d’ordine: benessere! Nessun potere magico, ma solo un valido supporto a un’alimentazione sana e bilanciata. Gli integratori non sono sostitutivi di una dieta varia, non sono scorciatoie a uno stile di vita equilibrato, ma hanno la funzione di “integrare” appunto eventuali carenze permettendo al nostro organismo di essere più forte in grado di difenderci dagli attacchi esterni, tra cui virus e influenze stagionali. Il valore ottimale di alcuni nutrienti poi, è fondamentale per la nostra salute. «Per prevenirne la debolezza dobbiamo sicuramente stare attenti al giusto apporto di vitamine, come la D, famosa soprattutto per la sua capacità di trasferire calcio alle ossa» spiega al Corriere della Sera la professoressa Maria Luisa Brandi, presidente della Fondazione Firmo (Fondazione Italiana Ricerca sulle Malattie dell’Osso). «L’integrazione può essere un valido aiuto per migliorare il nostro sistema immunitario su diversi fronti anche per contrastare le malattie infettive» suggerisce Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti.
INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico
Gli esperti suggeriscono di mangiare bene, fare attività fisica e prendere tanto sole. Per il resto, scegliamo con consapevolezza gli integratori giusti per le nostre necessità. «Gli integratori sono degli alimenti pensati per colmare eventuali carenze nutrizionali», sostiene Alessandra Bordoni in un'intervista a Vanity Fair, docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna. «Sono degli alimenti di cui conosciamo bene tutte le caratteristiche, proprio perché sappiamo esattamente quali e quanti micronutrienti contengono apportando benefici all’organismo». Secondo l'esperta seguire un’alimentazione corretta potrebbe non essere sufficiente. Quindi meglio giocare d’anticipo, bilanciando la propria dieta con determinati nutrienti e con i preziosi integratori alimentari al fine di fornire al nostro corpo la "benzina" necessaria. Ecco i principi attivi preziosi per affrontare l’inverno in salute e difendersi al meglio da malanni, virus e batteri.
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Vanity Fair "Gli integratori per rinforzare il sistema immunitario"
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Antiossidanti: alleati degli sportivi, contrastano i radicali liberi
Spezie e rimedi naturali, a tavola con i potenti alleati del benessere
L’importanza incompresa della vista. Non tutti sanno che la maggior parte, ovvero l’80% delle informazioni che riceve il nostro cervello quotidianamente sono visive. Dall’inquinamento alla stanchezza, dallo stress ai batteri. Ogni giorno i nostri occhi vengono messi a dura prova da una serie di fattori che potrebbero danneggiarli per questo è importante prendersene cura e non trascurarli in primis mangiando i cibi giusti. Difatti, un regime nutrizionale variegato dovrebbe contenere alimenti ricchi di antiossidanti, contenenti vitamine, in particolare A e C oltre a omega 3 che proteggono contro la formazione dei radicali liberi, rallentando di conseguenza i segni dell’invecchiamento come la perdita di acutezza visiva, deterioramento della retina, cataratta o glaucoma. Le cellule del nostro corpo sono costituite da molecole, a loro volta formate da atomi legati tra loro. Le molecole “di scarto”, o meglio note come radicali liberi, sono prodotte dal normale metabolismo cellulare e hanno la peculiarità di essere particolarmente reattive, poiché presentano un elettrone libero, pronto a interagire con altri elettroni. Tuttavia, una concentrazione di radicali liberi diventa causa di stress ossidativo, condizione che gioca un influenza negativa su un gran numero di patologie, tra cui anche della vista. Secondo Clinica Baviera, una delle più importanti aziende oftalmologiche in Europa, una dieta ricca di nutrienti e vitamine si dimostra un valido supporto nel rinforzo della vista e nella prevenzione o nel posticipo di malattie agli occhi. Proprio per questo motivo, gli esperti consigliano i migliori alimenti per i nostri occhi:
CATARATTA, prevenzione e remissione con Life 120
Ricco di proteine e omega 3, contiene proteine simili a quelle contenute nelle uova e nella carne oltre a minerali come iodio, magnesio, fosforo, calcio e ferro. L’accumulo di grasso presente nella muscolatura di questi particolari pesci è dovuto alla loro abitudine di nuotare per lunghe distanze, spostandosi lontano e spesso. Inutile ricordare poi che questo grasso insaturo è un toccasana per la nostra salute e prezioso aiuto nella riduzione del 30% del rischio di malattie coronariche. Inoltre, abbassa la pressione sanguigna e il colesterolo cattivo (LDL), motivo per cui fa bene alla nostra salute in generale, non solo alla vista. Nello specifico, aiuta a trattare i problemi derivanti dal nervo ottico, la sindrome dell’occhio secco e la degenerazione maculare legata all’età. E ancora, per la presenza di mercurio, gli esperti consigliano di alternare pesci grandi (come il pesce spada, il tonno, il salmone e il luccio) con pesci più piccoli (come sgombro, sardine e acciughe). Consigliato anche di alternarlo con pesci bianchi (orata, pezzonia, merluzzo, baccalà, rombo, scorfano) fonte di vitamina B, fosforo, ferro e calcio.
Costituito da piccole bacche traslucide dal sapore agrodolce. Questo frutto è ricco di vitamine A e C e di altri antiossidanti essenziali per la vista. Non tutti conoscono i notevoli benefici di questo alimento per la salute visiva, difatti, sia il ribes nero che quello rosso presentano una notevole quantità di flavonoidi e antociani che si distinguono per la loro azione protettiva dei piccoli vasi sanguigni, che sono quelli che raggiungono la retina e prevengono le malattie degenerative della vista. Secondo quanto riportato dagli esperti di Clinica Baviera 100 grammi di ribes nero contengono fino a 270 milligrammi di antociani. Insomma, un quantitativo non indifferente e, ad oggi, ancora non riscontrata in altri ingredienti naturali fondamentali per i nostri occhi. Inoltre, i ribes hanno anche proprietà antinfiammatorie, migliorano il funzionamento dell’apparato digerente, circolatorio, nervoso e muscolare.
Fonte per antonomasia di beta-carotene e vitamina A, grazie alle quali prevengono i sintomi dell’invecchiamento in generale e della vista in particolare. Le carote sono anche ricche di fibre, potassio, vitamina C e magnesio e tra le loro proprietà compare quella di neutralizzare l’azione distruttiva dei radicali liberi, motivo per cui hanno un’azione benefica per gli occhi. Migliorano, inoltre, la capacità visiva notturna.
Dall’elevato contenuto di antociani, calcio e potassio proprietà fondamentali per la buona salute dei nostri occhi. Gli antociani sono pigmenti che si trovano nelle cellule delle piante e vengono considerati quasi miracolosi per gli occhi: proteggono i capillari della retina, prevengono malattie visive degenerative, migliorano l’acuità visiva e aiutano nei casi di congiuntivite. È poi ricco di antiossidanti che rafforzano il sistema immunitario e mantengono un buon sistema cardiovascolare.
Pianta ombrellifera conosciuta come officinale fin dagli antichi greci per i suoi benefici soprattutto sulla vista. Potente antiossidante, contrasta i radicali liberi grazie al notevole contenuto di vitamine A, B1, B2, B9, C ed E e minerali come potassio, calcio, zinco, ferro e silicio. Riducendo il colesterolo nel sangue e i livelli di glucosio, protegge la salute cardiovascolare e visiva oltre a stimolare le difese dell’organismo e aiuta nella prevenire delle anomalie visive come il glaucoma o la cecità poiché purifica il corpo.
Rinomate per il loro apporto nutrizionale sono fonte per eccellenza di potassio, ottimo alleato della nostra vista. Inoltre, contribuiscono all’equilibrio dei livelli di acqua nelle cellule, riequilibrano la pressione sanguigna, intervengono nel sistema metabolico, migliorano il funzionamento del cuore e aiutano il sistema nervoso. Regolano la pressione sanguigna, la circolazione e la glicemia e facilitano il corretto funzionamento di vene e arterie degli occhi, contrastando in questo modo la comparsa di patologie nella retina.
Amica della vista. Contiene alti livelli di magnesio, calcio e altre sostanze nutritive che aiutano gli occhi e fitonutrienti che proteggono l’occhio dagli effetti dell’ossidazione. Inoltre, contribuisce al nutrimento dei capillari e migliora la circolazione, facilitando il flusso sanguigno che si irradia fino alla zona degli occhi.
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Dall’alterazione del collagene allo scorbuto, la malattia del passato si riaffaccia nel mondo occidentale. Prende il nome di scorbuto la patologia che deriva dalla carenza di vitamina C. Situazione in cui il collagene, presente nell’organismo, diviene instabile e poco efficiente minando la funzionalità di altri enzimi presenti nel nostro corpo. Macchie cutanee e sanguinamento, gengive "spugnose", crescita dei capelli "a cavatappi" e scarsa guarigione delle ferite tra i principali sintomi di questo deficit vitaminico. Ma anche lesioni cutanee, soprattutto sulle cosce e gambe, pallore, depressione e sporadica attività motoria. Nello scorbuto allo stato avanzato si manifestano poi anche ferite suppuranti, caduta di denti e diverse anomalie ossee. Tra i principali sintomi debolezza, confusione, esaurimento fisico, scarso appetito (che può trasformarsi anche in anoressia), letargia, irritabilità, dolori alle gambe, anemia, gengivite, ematomi, carie, dolori articolari, dolori muscolari, caduta dei capelli, pelle secca, sensibilità alla luce, sbalzi d’umore, depressione, sanguinamento gastrointestinale e mal di testa. Tuttavia è possibile trattarlo attraverso l’integrazione di acido ascorbico. Oltre all’integrazione di vitamina C, è importante modificare anche lo stile di vita necessario a garantire un’assunzione adeguata della vitamina.
VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benenfici
Definito da Ippocrate come “ileo ematite”, lo scorbuto è conosciuto anche come "il morbo dei marinai" o "la malattia dei pirati”. Premesso che le riserve di vitamina C del corpo umano sono limitate e si esauriscono entro 1–3 mesi, lo scorbuto era comune tra gli equipaggi impegnati nelle lunghe traversate oceaniche, e quindi, non avevano scorte alimentari fresche e sufficienti. Verso la fine del 1700, la marina britannica sapeva che lo scorbuto poteva essere curato consumando arance e limoni, oggi invece, sappiamo che lo scorbuto può essere evitato assumendo quotidianamente vitamina C. Ampiamente dimostrata, inoltre, l’associazione tra la carenza di vitamina C e le aree a basso status socioeconomico. Tra gli altri fattori di rischio di questa carenza possiamo includere alcolismo, dieta squilibrata, fumo, disturbi alimentari, diabete del tipo 1, disturbi del tratto gastrointestinale (come ad esempio il morbo di Crohn, la celiachia), obesità, febbre alta, infiammazioni e invecchiamento.
Più volte ci siamo soffermati sugli aspetti deficitari della nostra alimentazione e sull'importanza di integrare la propria dieta con degli specifici micronutrienti. Insomma, lo scorbuto è una malattia dovuta a carenza alimentare o a insufficiente assorbimento intestinale di vitamina C, caratterizzata da un estremo deperimento dell'organismo, oltre che da manifestazioni emorragico-ulcerose della cute, delle mucose e degli organi interni. E anche se in passato colpiva i marinai o comunque le categorie più disagiate, oggi torna nei Paesi ricchi a causa della cattiva alimentazione. Già qualche anno fa un gruppo di ricercatori australiani ha raccontato su Diabetic Medicine di 11 casi di scorbuto, diagnosticati in pazienti diabetici la cui dieta era particolarmente povera di frutta e verdura. Infatti pochi sanno che tra le altre cause compare anche un’alimentazione squilibrata poiché una carenza di vitamina C superiore ai tre mesi porta a questa malattia. Inoltre, lo scorbuto può portare persino alla morte: il nostro corpo, alle prese con una grave carenza, non riesce né a produrre né a stoccare l’acido ascorbico e la mancanza di questa vitamina può portare a gravi conseguenze.
Necessaria per numerosi processi di idrossilazione catalizzati da alcune ossigenasi (enzimi), la vitamina C supporta tantissime funzioni importanti per la nostra salute:
Quercetina, esperidina, eugenolo e butirrati. Non sono gli ingredienti di una pozione magica, ma potenti alleati in questa grande battaglia contro il coronavirus. Contro il Covid, l'azione delle molecole bioattive. «Quercetina, ma anche esperidina, eugenolo e butirrati: sono solo alcune delle molecole bioattive che sfruttano un meccanismo d'azione identificato grazie al nostro studio per contrastare il coronavirus Sars-Cov-2» spiega in un’intervista all'Adnkronos Salute Laura Teodori, del Laboratorio Diagnostiche e Metrologia Enea, autore di uno studio realizzato in collaborazione con le Università di Urbino e Singapore, che ha portato all’individuazione, in alcuni composti, proprietà che contrastano i meccanismi cellulari e molecolari dell'infezione da virus Sars-CoV-2 e la relativa progressione del Covid. «La nostra ricerca è stata realizzata grazie ai Big Data – precisa l’esperta -, ovvero a una serie di piattaforme che raccolgono una grande mole di informazioni». L’indagine è stata pubblicata sulla piattaforma Research Square e a breve apparirà anche sulla rivista internazionale peer-reviewed Frontiers in Pharmacology.
«Abbiamo indagato sul meccanismo molecolare usato dal virus per entrare nelle cellule evidenzia Teodori -, in particolare sulla via metabolica. Così abbiamo identificato la proteina Hdac (istone deacetilasi), una tra le più importanti molecole che regola l’espressione dei nostri geni, come utile bersaglio terapeutico per contrastare il virus. I risultati, validati dal confronto con i dati clinici di uno studio cinese su 1096 pazienti di Covid-19, aprono la strada a nuovi studi nel settore del drugrepurposing e drug-discovery». «Successivamente – precisa la ricercatrice - anche altri gruppi di ricerca hanno evidenziato l’Hdac come utile bersaglio per contrastare il virus Sars-CoV-2. Si tratta di un risultato di notevole impatto clinico, in quanto esiste già un discreto numero di farmaci e anche composti bioattivi di origine naturale come la quercitina, un flavonoide presente in alcuni alimenti, con comprovata attività Hdac inibitrice, attualmente utilizzati per altre patologie che potrebbero essere reclutati per contrastare la malattia Covid-19». La conferma arriva anche da altri studi recenti, secondo i quali gli alimenti che contengono quercetina sarebbero in grado di contrastare il Covid-19. Questa sostanza - si legge in un articolo pubblicato sulla rivista International journal of biological macromolecules - sarebbe in grado di destabilizzare la proteina (3CLpro) del virus che incide sul suo sviluppo.
Direttamente dalla famiglia dei flavonoidi, la quercetina è presente in tantissimi alimenti tra cui frutta, verdure. Assunta regolarmente gioca un ruolo importante per la salute perché aiuta a contrastare i danni prodotti dai radicali liberi, ma anche l’insorgenza di una molteplicità di malattie croniche. Rinomata anche per le notevoli proprietà antiossidanti, questa preziosa sostanza è indispensabile per ridurre infiammazioni, allergie e per regolarizzare la pressione sanguigna. Un pigmento che apporta molteplici benefici per la nostra salute e che può essere assunto tramite un regime alimentare vario ed equilibrato, ma anche ricorrendo a degli integratori mirati. Inoltre, la quercetina, aiuta nella prevenzione dell’invecchiamento cutaneo e contrasta gli effetti negativi delle radiazioni solari. Ma non è tutto, oltre a essere un miracoloso toccasana per il nostro benessere, contribuisce a rallentare l’insorgenza di varie patologie come malattie cardiovascolari, aterosclerosi, psoriasi, artrite, lupus, disturbi cerebrali cronici, allergie e problemi cutanei oltre a regolare la pressione arteriosa. Utile anche in caso di emorroidi, fragilità capillare, pesantezza e gonfiore alle gambe. E poi un giusto apporto di questo flavonoide permette di rinforzare la risposta immunitaria, combattere infiammazioni, allergie e, infine, migliorare le prestazioni fisiche e mentali.
Fra questi appunto i butirrati, sostanze che derivano dalla fermentazione nell'intestino delle fibre alimentari. L'acido butirrico è già studiato per contrastare le malattie degenerative» sottolinea l’esperta. Tra gli acidi a catena corta quello su cui più si è concentrata la ricerca è senza dubbio l’acido butirrico, a cui sono stati attribuiti diversi ruoli fisiologici. Questi studi hanno dimostrato che l’acido butirrico regola il trasporto di fluidi, protegge i colonociti dallo stress ossidativo, influenza la motilità lungo il tratto gastrointestinale, modula la proliferazione cellulare e il differenziamento cellulare, regola inoltre, l’espressione genica. La produzione di acido butirrico svolge un ruolo importante. Considerati i notevoli stimoli a cui è continuamente esposto il colon, infatti, dalla maggiore produzione di butirrato, potrebbe scaturire una resistenza più incisiva contro stimoli tossici migliorando così la funzione della barriera intestinale. Ma c’è dell’altro! Indagini recenti hanno evidenziato che gli acidi a corta catena dopo essere stati assorbiti a livello intestinale, influenzano anche fegato e tessuti extraeptici. «L’acido butirrico – precisa Christian Orlando, biologo e nutrizionista - sembra avere ottime proprietà anti-infiammatorie grazie alla capacità di sopprimere l’attività di alcune proteine che scatenano l’infiammazione, in particolare aiuta a controllare la risposta immunitaria regolando l’attività dei linfociti T. Le cellule T, attraverso un complesso meccanismo che si avvale di marcatori chiamati MHC, sono in grado di riconoscere e distruggere le cellule patogene risparmiando quelle sane; se però non funzionano correttamente il sistema immunitario può arrivare ad attaccare organi come il pancreas (diabete di tipo 1) o la tiroide.
Ricavata, in larga parte, dagli agrumi, l’esperidina è una molecola naturale preziosa per migliorare circolazione e resistenza dei capillari. Appartiene alla famiglia dei glucosidi e, sintetizzata da particolari specie di piante, si ottiene dall’unione di due composti: flavonoide e rutinosio. Come già detto, si trova principalmente negli agrumi, soprattutto nell’albedo, la parte bianca della scorza. Presente anche in alcune verdure ed erbe a foglie verdi come la menta. Le tante proprietà benefiche sono legate soprattutto al rinforzo dei vasi sanguigni, al miglioramento della circolazione, inoltre riduce dell’infiammazione, riduce il colesterolo cattivo (LDL), abbassa la glicemia, efficace contro le allergie, contrasta il diabete e migliora l’attività cardiaca esercitando una funzione cardioprotettiva. Interviene poi anche nel contrasto di altre problematiche quali problemi circolatori, vene varicose, emorroidi e capillari. Ma anche «l'esperidina, presente nella parte bianca degli agrumi, o l'eugenolo presente nei chiodi di garofano. Le ricerche sulle potenzialità di queste sostanze - assicura Teodori - vanno avanti in tutto il mondo. Ma voglio sottolineare l'importanza di non assumerle sotto forma di integratori alimentari: gli integratori infatti non vanno mai presi senza una indicazione del medico. Piuttosto, si può prediligere un'alimentazione a base di cibi naturalmente ricchi di questi principi attivi, che può essere utile all'organismo» conclude Teodori.
Estratto da alcuni oli essenziali, in particolare da cannella e chiodi di garofano, l’eugenolo dalle note proprietà antisettiche e anestetiche, viene usato anche come rimedio naturale contro il mal di denti. Un olio essenziale antivirale ad ampio spettro che agisce diminuendo la capacità di replicazione dei virus all’interno delle cellule.
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La risposta alla pandemia? Confermato e poi contestato il ruolo dell’acido ascorbico nel trattamento del coronavirus. Nel corso degli ultimi mesi, sono state avanzate diverse tesi su questo prezioso nutriente, somministrato ad alte dosi ai pazienti ospedalizzati. Sull’efficacia della vitamina C nel contrasto al Covid provano a far luce un gruppo di ricercatori dell’Università di Augusta. Attualmente, sono in corso almeno una trentina di studi clinici attraverso cui gli esperti stanno valutando gli effetti della somministrazione di vitamina C – anche in combinazione con altri farmaci – nel trattamento dell’infezione da Sars-Cov-2. E nonostante le ricerche non abbiano ancora fornito risultati necessari a ribaltare tutte le tesi contrarie, le prime osservazioni suggerirebbero un fondamentale aiuto, soprattutto in alcuni pazienti. Secondo gli studiosi che esplorano da tempo gli effetti della vitamina C sull’invecchiamento questi, potrebbero dipendere da diversi fattori, in particolare dai livelli di trasportatori di vitamina C presenti in ciascuno di noi. «Esistono diverse variabili, sulle quali ci sono poche informazioni e da cui può dipendere l’efficacia della somministrazione di vitamina. Queste comprendono l’età, la razza, il sesso, e soprattutto i livelli di espressione dei trasportatori di vitamina C e il polimorfismo» spiegano in uno studio pubblicato sulla rivista Aging and Disease .
In tal senso, gli studiosi raccomandano di non trascurare questi importanti fattori per valutare l’effettiva efficacia nel trattamento di Covid-19 per esaminare il beneficio della vitamina C anche in altre condizioni. «Con l’aumento esponenziale del tasso di infezione da coronavirus e della mortalità – precisano nello studio -, ricercatori, medici e agenzie governative di tutto il mondo si stanno concentrando sul riposizionamento di farmaci con profili di sicurezza noti, tra cui la vitamina C. Il trattamento con vitamina C è riconosciuto per il suo effetto benefico nel prevenire/neutralizzare la risposta infiammatoria, ridurre lo stress ossidativo e stimolare gli interferoni e altre citochine antivirali», peculiarità che rendono la vitamina C importante nella terapia di contrasto al virus. Inoltre, «sarà interessante comprendere se la vitamina C potrà essere specificamente efficace nel trattamento di pazienti Covid-19 che sono più anziani, hanno malattie pregresse o appartengono a popolazioni afroamericane. C’è inoltre un’urgente necessità di indagare sulla relazione diretta tra i livelli sierici/plasmatici di vitamina C nel tasso di infezione da COVID-19 e nella gravità della malattia» concludono i ricercatori.
In tal senso appare evidente il ruolo benefico della vitamina C come antiossidante e antinfiammatorio che ha portato l’intera comunità scientifica a indagare sull’efficacia e sugli effetti di alte dosi di vitamina C nel trattamento e nella riduzione delle complicanze relative a una serie di infezioni virali, tra cui quella provocata dal nuovo coronavirus Sars-Cov-2. La sindrome respiratoria acuta grave Coronavirus 2 (SARS-CoV-2) si è diffusa in tutto il mondo a un ritmo esponenziale, portando a milioni di persone che sviluppano la malattia associata chiamata COVID-19. A causa della natura nuova e dell’assenza di immunità negli esseri umani, c'è stato uno sforzo globale collettivo per trovare trattamenti efficaci contro il virus. Questo ha portato la comunità scientifica a riutilizzare farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) con profili di sicurezza noti. Tra i molti farmaci possibili, la vitamina C è stata nella rosa dei possibili interventi a causa del suo ruolo benefico come potenziatore immunitario e delle sue intrinseche proprietà antiossidanti. Al centro della discussione: la funzione intracellulare e le proprietà intrinseche della vitamina C. Questa ricerca fornisce, inoltre, una revisione completa dell’indagine pubblicata relativa alle differenze nell'espressione del trasportatore della vitamina C in diverse condizioni fisiopatologiche. Infine, è stata esaminata l'efficacia della somministrazione di vitamina C nel trattamento delle infezioni virali e delle condizioni potenzialmente letali. Nel complesso, lo studia mira a presentare le informazioni esistenti circa la misura in cui la vitamina C potrebbe essere un trattamento efficace per COVID-19 e le relative spiegazioni sul motivo per cui potrebbe funzionare, ancor più in alcuni individui.
La pandemia globale del coronavirus in corso, nota anche come COVID-19, ha avuto un impatto significativo sulla salute mondiale. La terapia endovenosa ad alte dosi di vitamina C è nella rosa dei potenziali regimi farmacologici testati per l'efficacia nel trattamento del COVID-19. Diversi ricercatori e medici hanno ipotizzato che l'uso di acido ascorbico potrebbe ridurre l'infezione da SARS-CoV-2 attraverso la capacità degli integratori di aumentare la risposta immunitaria insieme alla diminuzione della gravità della risposta infiammatoria mediata dal virus. Numerosi studi supportano la scoperta che una dose elevata di vitamina aiuta a rafforzare il sistema immunitario.
La vitamina C, nota anche come acido ascorbico, è una delle vitamine essenziali necessarie alle specie di mammiferi per sopravvivere e prosperare. Attraverso l'evoluzione, la specie homo sapiens ha perso la capacità di sintetizzare la vitamina C a causa dell'inattivazione del gene della gluconolattone ossidasi. Tuttavia, frutta e verdura come fragole, arance e broccoli sono ricchi di vitamina C e prontamente disponibili per il consumo umano. Bassi livelli di vitamina C potrebbero causare una miriade di problemi, con carenze prolungate portando persino allo scorbuto, una malattia spesso associata ai marinai nell'800 (a causa della mancanza di frutta e verdura fresca) in mare. Sintomi come gengive sanguinanti, cicatrizzazione anomala delle ferite e febbre sono comunemente associati alla malattia e possono essere attribuiti all'incapacità di alcuni enzimi di funzionare correttamente, specialmente quelli coinvolti nella sintesi del collagene. Inoltre, è stato notato da studi precedenti che i pazienti affetti da varie condizioni fisiopatologiche quali diabete, COPD, ipertensione cronica e virale sepsi indotta, sono diminuiti i livelli di siero e plasma vitamina C. Ciò ha portato a studi sull'uso della somministrazione endovenosa di vitamina C per il trattamento di pazienti affetti da malattie gravi e croniche nonché infezioni virali come COVID-19.
Aging & Disease "Low level of Vitamin C and dysregulation of Vitamin C transporter might be involved in the severity of COVID-19 Infection"
Fanpage "L’efficacia della vitamina C come cura per Covid dipende da più fattori"
Sanders JM, Monogue ML, Jodlowski TZ, Cutrell JB (2020) "Pharmacologic treatments for coronavirus disease 2019 (COVID-19): a review"
Shanmugaraj B, Siriwattananon K, Wangkanont K, Phoolcharoen W (2020) "Perspectives on monoclonal antibody therapy as potential therapeutic intervention for Coronavirus disease-19 (COVID-19)"
Qin X, Liu J, Du Y, Li Y, Zheng L, Chen G, et al. (2019) "Different doses of vitamin C supplementation enhances the Th1 immune response to early Plasmodium yoelii 17XL infection in BALB/c mice"
Bozonet SM, Carr AC, Pullar JM, Vissers M (2015) "Enhanced human neutrophil vitamin C status, chemotaxis and oxidant generation following dietary supplementation with vitamin C-rich SunGold kiwifruit"
Dalle cellule della mucosa a quelle del sistema immunitario, dai neuroni alla microflora batterica che contiene circa 400-500 specie batteriche, fino ai nutrienti ingeriti con gli alimenti. L’ecosistema intestinale è essenziale per regolare gran parte delle funzioni gastrointestinali. Funzione fondamentale poiché le alterazioni delle relazioni tra i vari componenti dell’ecosistema favoriscono l’insorgenza di alcune patologie umane. Tra le molecole degne di interesse nutrizionale sicuramente le fibre vegetali, preziose nell’alimentazione umana e nella prevenzione delle patologie cronico-degenerative. Dalla fermentazione poi, messa in atto grazie agli enzimi batterici, si originano tre tipologie di acidi carbossilici a catena corta (short chain fatty acids): l’acido propionico (C3), il butirrico (C4), il valerato (C5) e il gas (anidride carbonica, metano, idrogeno).
Tra gli acidi a catena corta quello su cui più si è concentrata la ricerca è senza dubbio l’acido butirrico, a cui sono stati attribuiti diversi ruoli fisiologici. Questi studi hanno dimostrato che l’acido butirrico regola il trasporto di fluidi, protegge i colonociti dallo stress ossidativo, influenza la motilità lungo il tratto gastrointestinale, modula la proliferazione cellulare e il differenziamento cellulare, regola inoltre, l’espressione genica. La produzione di acido butirrico svolge un ruolo importante. Considerati i notevoli stimoli a cui è continuamente esposto il colon, infatti, dalla maggiore produzione di butirrato, potrebbe scaturire una resistenza più incisiva contro stimoli tossici migliorando così la funzione della barriera intestinale. Ma c’è dell’altro! Indagini recenti hanno evidenziato che gli acidi a corta catena dopo essere stati assorbiti a livello intestinale, influenzano anche fegato e tessuti extraeptici.
«L'acido butirrico è un acido grasso saturo, non essenziale, che si trova principalmente nel latte dei ruminanti (2-4%), e solo in tracce in quello di donna» spiega Christian Orlando, biologo. Gli acidi grassi a catena corta prodotti dai batteri intestinali, in particolare l’acido butirrico, sono essenziali per mantenere l’intestino in salute, proteggendolo così da infiammazioni e prevenendo l’insorgenza di tumori. Inoltre, il microbiota mantiene il sistema immunitario costantemente attivo. Questo avviene poiché, un microbiota ricco di batteri capaci di digerire e fermentare i flavonoidi contenuti nella frutta e nella verdura promuove la produzione di sostanze che hanno effetti protettivi sulla salute cardiovascolare. Difatti, alimenti ricchi di acidi grassi saturi e cibi eccessivamente calorici stimolano, invece, la proliferazione di ceppi di batteri che promuovono l’infiammazione. Inoltre, alcune sostanze prodotte dal microbiota intestinale sembrerebbero addirittura coinvolte nella regolazione non solo dell’appetito, ma anche dell’aumento di peso.
«A livello intestinale – evidenzia l’esperto - l'acido butirrico presenta infatti un effetto paradosso. Se da un lato, insieme alla glutammina, rappresenta una fonte energetica importantissima per le cellule della mucosa intestinale, promuovendone la replicazione, dall'altro inibisce la proliferazione delle cellule cancerose, con possibile effetto protettivo nei confronti del cancro al colon. La mucosa intestinale, rinnovando di continuo le sue cellule (gli enterociti vivono solo pochi giorni), ha esigenze nutrizionali imponenti e la sua funzionalità risulta essenziale per l'assorbimento selettivo ed adeguato dei nutrienti utili all'organismo, nonché per la protezione da svariate malattie. Un giusto quantitativo di acido butirrico è quindi necessario per la salute metabolica della mucosa del colon e più in generale dell'intero organismo. L’acido butirrico è anche prodotto dai batteri dell’intestino quando vengono consumati determinate fibre».
«L’acido butirrico – precisa il nutrizionista - sembra avere ottime proprietà anti-infiammatorie grazie alla capacità di sopprimere l’attività di alcune proteine che scatenano l’infiammazione, in particolare aiuta a controllare la risposta immunitaria regolando l’attività dei linfociti T. Le cellule T, attraverso un complesso meccanismo che si avvale di marcatori chiamati MHC, sono in grado di riconoscere e distruggere le cellule patogene risparmiando quelle sane; se però non funzionano correttamente il sistema immunitario può arrivare ad attaccare organi come il pancreas (diabete di tipo 1) o la tiroide». «Altri studi hanno evidenziato che l’acido butirrico aiuta a tenere sotto controllo il peso corporeo stimolando gli ormoni dell’intestino e aumentando la sintesi di leptina (importante nella regolazione dell’appetito). L’acido butirrico è risultato promettente anche nella lotta contro l’insulino-resistenza. In numerosi studi è stato riscontrato che il supplemento con butirrato migliora i livelli di glucosio, la sensibilità all’insulina e persino la funzione mitocondriale» conclude il nutrizionista.
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