Salame, speck, mortadella, würstel, prosciutto cotto, pancetta, bacon, insaccati e carni a lunga scadenza. Ma anche pesce marinato e prodotti caseari. Obiettivo: preservarne integrità e colore. L’aggiunta per aumentare e migliorare la conservazione di affettati e insaccati. Composti chimici nemici della salute poiché potrebbero favorire l’insorgenza di tumori. Difatti, nitriti e nitrati contengono composti potenzialmente cancerogini e sono nocivi per il nostro organismo. Sotto il profilo igienico-sanitario, questi conservanti agiscono come antisettici e antimicrobici, difendendo le carni dalla pericolo del botulino. Inoltre, aiutano a preservare gli aromi di questi prodotti, contrastando l’azione dei microorganismi, e quindi, la relativa alterazione. Una pratica antica anche se il loro utilizzo nella realizzazione di questi prodotti si è ridotta intorno agli anni Sessanta e Settanta. Storicamente, i salumi venivano realizzati con il solo impiego di sale e spezie che fungeva anche da “conservanti naturali”. Particolare attenzione, infatti, era data al luogo in cui questi alimenti venivano poi conservati: sulle pareti di queste cantine si formavano muffe cariche di salnitro, in grado di stagionare e conservare perfettamente i questi cibi. Poi con la logica industriale di lavorazione e conservazione, l’impiego di nitriti e nitrati è diventato quasi necessario per garantirne la conservazione da contaminazioni batteriche e stabilizzando aspetto e aromi. Tuttavia, fortunatamente, ancora oggi si possono trovare in commercio salumi e insaccati di qualità realizzati artigianalmente come da antica tradizione ovvero, senza l’aggiunta di conservanti.
Ecco perché mangiare carne fa bene ed è fondamentale per la nostra salute
Inoltre, sulla nocività di questi composti chimici sono stati condotti numerosi studi scientifici. La stessa Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), che fa capo all’Organizzazione mondiale della Sanità, ha riconosciuto queste sostanze come probabilmente cancerogene. Presenti in natura, composte da azoto e ossigeno, utilizzate da tempo in forma sintetica. Le conseguenze negative sulla salute, tuttavia, è dovuto alle possibili trasformazioni chimiche che possono interessare soprattutto i nitriti, molto più pericolosi dei nitrati. I nitrati sono impiegati prevalentemente in agricoltura come fertilizzanti, ma vi si ricorre abbinandoli ai nitriti anche per conservare alcuni tipi di cibi a base di carne. Evidenze scientifiche dimostrano che, l’ingestione elevata o prolungata di nitriti e nitrati negli alimenti aumenta la probabilità di sviluppare tumori allo stomaco e all’esofago. Sconsigliate anche dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti che considera le nitrosammine come uno dei gruppi di sostanze cancerogene più potenti. La trasformazione in metaemoglobina, invece, è pericolosa in particolare per i più piccoli, poiché potrebbe provocare nei bambini scarsa ossigenazione e difficoltà respiratorie. Per contrastare l’azione nociva e le pericolose trasformazioni di nitriti e nitrati negli alimenti, fondamentalmente il contributo fornito dagli antiossidanti, tra cui, il più conosciuto e diffuso è sicuramente la vitamina C. Insomma, un inibitore delle nitrosammine per diminuirne la potenziale nocività. Oltre alla forte raccomandazione nella scelta di prodotti dove non sono presenti queste pericolose aggiunte.
Gli additivi e i conservanti alimentari aumentano il rischio di tumori. Gli additivi sono sostanze che vengono aggiunte agli alimenti, specialmente industriali, per preservarli da contaminazioni microbiche, irrancidimento e per migliorarne l'aspetto e la consistenza. I nitrati e i nitriti, utilizzati soprattutto nella conservazione della carne e degli insaccati, possono subire delle modificazioni chimiche che li trasformano in nitrosammine, molecole potenzialmente cancerogene. Un consumo eccessivo e prolungato di nitriti è associato ad aumento del rischio dei tumori dello stomaco e dell'esofago.
Sono dei composti chimici che vengono aggiunti principalmente ai salumi, dal prosciutto alla bresaola, dal salame al cotechino fino alla mortadella, con la funzione di conservanti e coloranti. In particolare, sono proprio nitriti e nitrati a conferire alla carne del salume il colore rosso vivo. Inoltre impediscono la crescita del botulino, che può provocare botulismo, molto pericoloso», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Alice Cancellato, biologa nutrizionista del Centro scienze della natalità e ginecologia oncologica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Ma perché questi composti sono considerati pericolosi per la salute? «I nitrati e, soprattutto, i nitriti vengono in parte convertiti in nitrosammine, composti con un potere cancerogeno soprattutto per i tumori allo stomaco e all’esofago. Va detto che non tutti vengono convertiti in nitrosammine, ma una parte sì. - Tuttavia, nitriti e nitrati non sono presenti in tutti i salumi - […] il prosciutto crudo di Parma e il San Daniele Dop non li contengono. Però questi prosciutti hanno un’elevatissima presenza di sale». Ma come riconoscerli? L’esperta poi suggerisce di prestare attenzione alle etichette. «C’è una dicitura: la E249, E250 per i nitriti, E251, E252 per i nitrati. Talvolta viene indicata solo la sigla, è bene controllare, perché possono essere aggiunti anche ad alcuni tipi di formaggi per evitare che si gonfino durante la fermentazione».
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Per approfondimenti:
Alimentazione Gazzetta "Nitriti e nitrati, il lato amaro dei salumi. “Contengono composti potenzialmente cancerogeni”
AIRC "Gli additivi e i conservanti alimentari aumentano il rischio di tumori?"
Nature "Impact of meat and Lower Palaeolithic food processing techniques on chewing in humans"
La Stampa "La cottura (e la carne) ci ha resi intelligenti"
Il Giornale "La scienza sbugiarda i vegani: "La carne ci ha resi intelligenti"
Huffington Post "Mangiare carne ci ha resi quello che siamo oggi": una ricerca su "Nature" rivela il ruolo centrale nell'evoluzione dell'uomo"
Blitz Quotidiano "Carne, scienza rivela ruolo centrale nell’evoluzione uomo"
Meteo Web "Ci dispiace vegani, la carne ci ha resi intelligenti”: così il Time spiega uno studio pubblicato su Nature"
LEGGI ANCHE: KO per vegani e vegetariani. La carne riduce del 43% il rischio di fratture
Carne, tra proteine e vitamina B12: l’importanza dell’allevamento al pascolo
La carne grass fed: dai valori etici a quelli organolettici
La vittoria evolutiva dei carnivori: la carne ci ha reso intelligenti
La carne non fa male: maggior rischio ictus per vegani e vegetariani
Nuove ricerche: nessun legame tra carne e tumore al colon
L'assunzione di carne è fondamentale per la salute, ma nessuno ne parla
Anche la carne rossa fa bene, basta abbinarla con verdure e olio di oliva
Una dieta vegana (che non prevede alcun alimento di origine animale) o vegetariana (che include derivati animali come latticini e uova), ma anche pescetariana (una dieta vegetariana che permette il pescato) aumenta il pericolo di fatture. Infatti, secondo quanto dimostra uno studio delle Università di Oxford e Bristol e pubblicato sulla rivista Open Access BMC Medicine, eliminare la carne dalla propria alimentazione aumenterebbe del 43% il rischio di fratture ossee e in particolare quelle di braccia, polsi, gambe, caviglie, clavicole, costole e vertebre. La causa dimostrata dall’indagine, ipotizzano gli autori dello studio, sarebbe da ricercare nel ridotto apporto di proteine nobili e di calcio e, di conseguenza, si tradurrebbe in un aumento generale del pericolo rispetto a chi segue una dieta onnivora. I ricercatori britannici hanno analizzato i dati relativi agli anni dal 1993 al 2001 su un campione di oltre 54mila persone. All’analisi ha fatto seguito un follow up terminato nel 2010 per monitorare le condizioni di salute ossea ed eventuali fratture. Dai risultati è così emerso che vegani, vegetariani e pescetariani avevano un rischio maggiore di fratture ossee rispetto a chi seguiva una alimentazione onnivora. Da qui l’importanza delle proteine nobili contenute in un prezioso alimento, fondamentale per il nostro benessere. Da sempre consigliata e consumata per i notevoli benefici, la carne è nella lista degli alimenti da includere in una dieta sana ed equilibrata.
Poco calcio e poche proteine riducono la salute ossea in generale, - conferma a Gazzetta Active la dottoressa Claudia Delpiano -, dietista e biologa nutrizionista presso l’IRCCS Policlinico San Donato e il Policlinico San Pietro. Le proteine in grado di innescare la sintesi proteica sono, infatti, principalmente le proteine nobili della carne. Perché è vero che i legumi contengono proteine, ma affinché siano effettivamente biodisponibili è necessario mangiare i legumi in un piatto unico con una fonte di carboidrati come pasta o riso. Solo in questo modo abbiamo un pool aminoacido completo. Le proteine ad alto valore biologico derivano invece da fonti animali come carne, pesce, uova e formaggi, fonte anche di calcio.
Oltre 54mila persone studiate in 8 anni. «Prendendo in considerazione l’indice di massa corporea (BMI), il calcio e l’assunzione di proteine – afferma Tammy Tong, epidemiologo nutrizionale presso il Nuffield Department of Population Health dell’Università di Oxford – abbiamo notato tuttavia che il rischio assoluto di fratture è meno significativo». Il team di ricercatori ha analizzato i dati relativi a 54.898 persone nel corso dell’indagine EPIC-Oxford, condotta tra il 1993 e il 2001 su uomini e donne del Regno Unito. Il 54% (29.380) dei partecipanti seguiva un’alimentazione onnivora, il 15% (8.037) pescetariana, il 28% (15.499) vegetariana e il 3% (1.982) vegana. Il follow up è stato condotto per una media di 18 anni, durante i quali sono state monitorate le condizioni di salute ossea e l’insorgenza di fratture nel campione di riferimento. Durante il periodo di follow up sono state rilevate poco meno di 4mila fratture, delle quali 566 al braccio; 889 al polso; 945 all'anca; 366 alla gamba; 520 alla caviglia e in altri siti come clavicola, costola e vertebre (467). Incrociando tutti i dati è emerso che, rispetto a chi mangiava carne, i rischi di fratture all'anca erano superiori di 1,26 volte per i pescetariani, di 1,25 volte per i vegetariani e di 2,31 volte per i vegani, che avevano anche un rischio 2,05 volte superiore di frattura alla gamba. I vegani presentavano un rischio generale di fratture maggiore di 1,43 volte.
Questo è il primo studio completo sui rischi di fratture totali e sito specifiche in base alle abitudini alimentari – sottolinea l’autore – Abbiamo scoperto che i vegani avevano un rischio più elevato di fratture totali che si traducevano in quasi 20 casi in più su 1000 persone in un periodo di 10 anni, rispetto alle persone che mangiavano carne. I nostri risultati evidenziano che il rischio di frattura all’anca potrebbe essere fino a 2,3 volte più elevato per i vegani rispetto alle persone che mangiano la carne, il che si traduce in una media di 15 casi in più ogni mille persone in 10 anni. Oltre a un rischio più elevato di problemi all’anca – riporta lo scienziato – i non mangiatori di carne erano associati a una percentuale maggiore di fratture alle gambe. Non abbiamo osservato differenze significative nei rischi tra i gruppi dietetici per quanto riguarda braccio, polso o caviglia.
CARNE ROSSA e TUMORI? Esiste davvero una correlazione?
Gli esperti hanno preso in considerazione l’assunzione totale di proteine, il che ha portato a un lieve calo nelle possibilità di insorgenza delle fratture.
Studi precedenti – evidenzia Tong – hanno dimostrato che un basso indice di massa corporea potrebbe essere legato a un rischio più elevato di fratture dell'anca e a un basso apporto di calcio e proteine potrebbe essere associato a una peggiore salute delle ossa. Il nostro lavoro dimostra che i vegani, che in media hanno un indice di massa corporea, un apporto di proteine e calcio inferiori, possono correre rischi più elevati in ambito di salute ossea.
Secondo il team, diete ben bilanciate possono migliorare il benessere dell’organismo.
Non abbiamo distinto tra le fratture provocate da una minore salute delle ossa – conclude l’autore – e quelle provocate da incidenti. Un altro limite riguarda la popolazione di rappresentanza, che includeva principalmente individui bianchi europei, per cui ci proponiamo di continuare a indagare estendendo il campione di riferimento per i prossimi studi.
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Gazzetta Active "Nitriti e nitrati, il lato amaro dei salumi. Contengono composti potenzialmente cancerogeni”
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AGI "La dieta vegetariana aumenta il rischio di fratture? Uno studio"
Fanpage "Vegani, vegetariani e pescetariani potrebbero avere un rischio maggiore di fratture"
Gazzetta Active "Fratture ossee, lo studio britannico: Con la dieta vegana o vegetariana aumenta il rischio"
AAAS "Vegans, vegetarians and pescetarians may be at higher risk of bone fractures"
BMC "Vegetarian and vegan diets and risks of total and site-specific fractures: results from the prospective EPIC-Oxford study"
Libero "Ictus, perché mangiare carne: quanto rischiano in più i vegetariani, la ricerca a Oxford"
The Bmj "Risks of ischaemic heart disease and stroke in meat eaters, fish eaters, and vegetarians [...]from the prospective EPIC-Oxford study!"
Focus "Vegetariani, pescetariani, carnivori: chi corre più rischi per la salute?"
Wired "I vegetariani sono a maggiore rischio di ictus?"
GQ Italia "I vegetariani sono più a rischio di ictus..."
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Demonizzata e associata all’aumento di insorgenza dei tumori. Al contrario, la carne è un alimento ricco di benefici e prezioso per la nostra salute. Pregiata, a livello nutrizionale, soprattutto quella proveniente da allevamenti allo stato brado. Concentrato di proteine, aminoacidi, vitamine A, B12 e D oltre a ferro, zinco e selenio. «Fondamentale è soprattutto come l'animale viene allevato: la carne da allevamento all'aperto è molto più ricca di sostanze nutrizionali di quella da allevamento intensivo», sottolinea Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano a Gazzetta Act!ve. Sostenibile, genuina e salutare. Dal principio del giusto allevamento alle proteine nobili della carne. Insomma, il connubio perfetto per vivere in salute nel rispetto dell’allevamento e del codice etico della filiera. In una parola: grass fed. Una pratica che vanta oltre 200 anni di storia dove la carne viene allevata esclusivamente a foraggio ed erba. Non solo bestiame più sano, ma anche un maggiore contenuto di omega 3 rispetto agli omega 6, minor presenza di grassi saturi, un rapporto tra grassi polinsaturi/saturi più elevato e una quantità maggiore di acido linoleico coniugato, vitamina E, vitamina C, beta-carotene oltre a una notevole concentrazione di proteine. Conosciuta e apprezzata già negli Stati Uniti, fa la sua comparsa in tempi più recenti anche in Italia. Difatti, la carne rossa grass fed o “da erba”, è ottenuta dal bestiame allevato allo stato brado e semi brado, animali cresciuti al pascolo, che non vengono nutriti con mangimi o integratori ma solo con erba e fieno. Insomma, animali iberi in natura!
I benefici dell’orientamento grass fed sono sostenuti in una serie di indagini, primo tra tutte lo studio condotto da Mandell e collaboratori, pubblicato nel 1998 su J Anim Sci, “Effect of forage vs grain feeding on carcass characteristics…”, analizzando le carcasse di capi che erano stati allevati a foraggio e di quelli nutriti con cereali (grano), hanno riscontrato in questi ultimi un peso maggiore del capo, una maggiore quota di grasso intramuscolare e globale rispetto alle carcasse di animali nutriti ad erba, per la stessa durata di allevamento. Inoltre, non dimentichiamo, nella carne grass fed, la presenza di un più elevato contenuto di acido linoleico associato a una bassa concentrazione di acido oleico. E poi rinunciare alla carne sembrerebbe avere i suoi effetti collaterali. Secondo uno studio pubblicato sul Bmj i vegani, ma anche i vegetariani, sono più esposti al rischio di ictus. Smentito poi dalla scienza il legame tra il consumo di carne e l’aumento del rischio di problemi al cuore, senza tralasciare poi le correlazioni delle carni rosse col tumore. La ricerca condotta dall'Università di Oxford, dimostra che coloro che escludono del tutto dalla dieta alimenti di origine animale, hanno il 20% di possibilità in più di essere colpiti da un ictus.
Piuttosto diffusa una convinzione generale a discapito di questo alimento considerato dai più come dannoso per la salute.
«Una delle cose che mi sento dire più spesso dai miei pazienti è che la carne fa venire i tumori» osserva in un’intervista a Gazzetta Act!ve la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. La carne, soprattutto le carni rosse, negli ultimi anni hanno conosciuto un crescendo di critiche. Eppure, sottolinea la dottoressa Falcone, «la carne non va demonizzata. E’ un alimento completo, che ci fornisce proteine nobili, con un alto valore biologico, e tutti gli aminoacidi essenziali di cui abbiamo bisogno. Inoltre nel caso di uno sportivo va a soddisfare i bisogni energetici, mentre le proteine vanno a riparare i muscoli, favorendone il recupero».
Tra le altre proprietà nutrizionali di questo prezioso alimento, l’importante presenza di vitamine e minerali.
«Contiene vitamina B12 – evidenzia la biologa - , essenziale per la produzione di globuli rossi e utile per la sintesi proteica. E soprattutto per gli sportivi un alimento che contiene proteine e B12 è utilissimo per la fase di recupero. Inoltre è ricca di ferro eme, componente importantissima per la emoglobina e a livello muscolare per la mioglobina, molecole fondamentali per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti e ai muscoli. Contiene anche zinco, che favorisce la riparazione dei tessuti e dei muscoli, lo sviluppo e la crescita».
Altro dibattito ancora aperto è poi quello sulla scelta tra carne bianca o rossa.
«Attualmente va di moda la carne bianca – precisa la nutrizionista -. Sicuramente è più digeribile, perché ha meno tessuto connettivo della carne rossa e ha un basso contenuto di grassi. Ma se scegliamo una carne bovina allevata all’aperto dal punto di vista nutrizionale è quasi meglio del pollame: è più proteica, contiene anche vitamina E, C e betacarotene. L’importante è come viene allevato l’animale. Ora si parla molto di carne grass fed: una carne allevata al pascolo, come si faceva un tempo. Il foraggio è a base d’erba e l’animale ha una carne che, dal punto di vista nutrizionale, ha delle proprietà molto valide. Diminuisce il contenuto di grassi saturi che si porta dietro la carne proveniente dagli allevamenti intensivi, per esempio. Negli allevamenti intensivi gli animali possono essere nutriti con cereali, possono venir loro somministrati antibiotici e ormoni per accorciare il periodo di crescita, in modo da produrre uno sviluppo esponenziale. Gli animali vengono sottoposti ad un ingrassamento forzato. Invece negli allevamenti all’aperto possono nutrirsi di erba. Hanno tempi di crescita più lunghi ma questo metodo di allevamento è sostenibile sia per noi, per la nostra salute, sia per l’ambiente. La carne rossa allevata in questo modo potrebbe essere consumata anche due volte alla settimana».
A sostegno del grass fed, tra etica e qualità, anche Roberto Panzironi che, con la Filiera Life 120 (sua e del fratello Adriano), sottolinea da tempo l'importanza della qualità della vita degli animali, nel rispetto della natura, di tempi e processi:
«Quando si parla di eticità occorre rispettare gli animali, la natura, le persone che ci lavorano, ma soprattutto i consumatori». «Gli animali, vengono allevati allo stato brado, senza l'uso di antibiotici» spiega Roberto che, della filiera etica, fa il suo cavallo di battaglia. «Altro aspetto fondamentale - aggiunge - è la frollatura (processo di stagionatura) della carne a 30/60 giorni. Questo ci garantisce qualità, sapore, nutrimento e giusta morbidezza».
La Filiera Etica LIFE 120, intervista a Roberto Panzironi
Inoltre, per contrastare la crisi economica, soprattutto quella dovuta al momento critico che noi tutti stiamo vivendo, particolare attenzione viene data anche alla manodopera, le aziende, infatti, sono tutte italiane a conduzione familiare. Dal produttore al consumatore, quindi, la Filiera Life 120 salta così tutti i passaggi intermedi, e non fondamentali, col fine unico di creare un prodotto di qualità a un prezzo basso e competitivo e, ancor più, alla portata di tutti.
«Grass fed significa letteralmente “nutrito a erba”» spiega Christian Orlando, biologo nutrizionista. «Quando si parla di allevamento grass fed – continua l’esperto -, si intende un sistema di crescita che permette ai bovini di restare al pascolo per l’intero ciclo di vita, dalla nascita alla macellazione». «Poi c’è una maggiore presenza di acidi grassi omega 3 e di vitamine liposolubili – sottolinea il biologo -: mentre la quantità di grassi saturi è la stessa rispetto alla carne tradizionale, ciò che cambia in modo sostanziale è la presenza di omega 3, acidi grassi essenziali spesso poco presenti nella nostra alimentazione e fondamentali nella prevenzione di malattie cardiovascolari e per il buon funzionamento di cervello, occhi e ghiandole endocrine». «Inoltre la carne grass fed ha un maggior contenuto di vitamina E, potente antiossidante di cui è ricchissimo anche l’extravergine, e di carotenoidi, precursori della vitamina A. Non essendo alimentati con cereali, l’organismo dell’animale produce molte meno sostante infiammanti e radicali liberi che di conseguenza si troverebbero nella carne che poi andremo a mangiare» conclude Orlando.
Gazzetta Act!ve "Carne, dalle proteine nobili alla vitamina B12: i benefici di un alimento spesso sotto accusa"
Donna Moderna "Che cos’è la carne “grass-fed”
PubMed "Effects of forage vs grain feeding on carcass characteristics, fatty acid composition, and beef quality in Limousin-cross steers when time on feed is controlled"
Gambero Rosso "La carne grass fed. Tutto quello che c’è da sapere"
The Bmj "Risks of ischaemic heart disease and stroke in meat eaters, fish eaters, and vegetarians [...]
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Brutte notizie per vegani e vegetariani. Anche rinunciare alla carne sembrerebbe avere i suoi effetti collaterali. Secondo uno studio pubblicato sul Bmj i vegani, ma anche i vegetariani, sono più esposti al rischio di ictus. Smentito dalla scienza il legame tra il consumo di carne e l’aumento del rischio di problemi al cuore, senza tralasciare poi le correlazioni delle carni rosse col tumore. La ricerca condotta dall'Università di Oxford, dimostra che coloro che escludono del tutto dalla dieta alimenti di origine animale, hanno il 20% di possibilità in più di essere colpiti da un ictus. In base a quanto dimostrato da questo studio, chi fa a meno di questi cibi, e quindi, dei relativi derivati, priva il proprio organismo di grassi "buoni" e vitamine protettive, in particolare la B12. Poiché, il consumo di carne avrebbe, effetti benefici sul nostro organismo. La ricerca è stata condotta su circa 48mila adulti, per 18 anni. I medici hanno osservato che sia i soggetti vegetariani che quelli vegani avevano livelli più bassi della vitamina B12, la cui carenza è associata al maggior rischio di ictus.
I partecipanti alla ricerca, si suddividevano in 24mila carnivori, 16mila vegetariani o vegani, e i restanti pescetariani. Nel periodo in esame si sono registrati 1.072 casi di ictus. I ricercatori hanno quindi confrontato i dati ottenuti con quelli relativi alle abitudini alimentari dei partecipati, tenendo ovviamente conto di fattori di rischio come il fumo e l’obesità. Lo studio dimostra che per vegetariani e vegani il rischio aumenta del 21%, mentre per i pescetariani l’aumento registrato non è risultato statisticamente rilevante. «Seguire una dieta vegetariana potrebbe non essere universalmente vantaggioso per la nostra salute» suggerisce Stephen Burgess, dell'Università di Cambridge, sulla stessa linea dell’indagine di Oxford. A seguito di questi risultati rilevanti, molti esperti hanno quindi preso di mira la dieta mediterannea, da sempre osannata come una delle più sane, colpevole, invece, di essere troppo ricca di sale, formaggi, etc… L’indagine, svolta in un arco temporale esteso e su un ampia platea di partecipanti porta alla luce un fenomeno di un notevole interesse per la salute pubblica. I risultati ottenuti potrebbe orientare consigli e linee guida per la prevenzione cardiovascolare, nei confronti di chi decide di abbandonare il consumo di carne.
Diversi studi osservazionali condotti nel corso degli anni hanno mostrato un’associazione tra minori livelli di HDL nel sangue dei vegetariani e un aumento del rischio di ictus. In particolare quello di tipo emorragico, risultato più comune anche in quest’ultima ricerca. I trial randomizzati effettuati in questo campo raccontano però una storia differente, dimostrando un collegamento tra LDL e rischio di ictus. Inoltre, vegani e vegetariani che hanno partecipato alla ricerca presentavano, in media, una serie di carenze, in particolare livelli inferiori alla norma di vitamina B, vitamina D, aminoacidi essenziali, e omega 3 a catena lunga. E alcuni di questi nutrienti potrebbero essere collegati all’aumento di ictus emorragico. Le ragioni dell’incremento del rischio nei vegetariani potrebbero, come spiega Tammy Tong, epidemiologa nutrizionale dell'Università di Oxford, essere causate da «livelli molto bassi di colesterolo o di alcuni nutrienti». Inoltre «esistono alcune prove – prosegue la ricercatrice - che suggeriscono che livelli molto bassi di colesterolo potrebbero essere associati a un rischio leggermente più elevato di ictus emorragico», sottolinea la ricercatrice.
Tra gli altri studi, i risultati di un’indagine condotta in Giappone dimostra che gli individui con un consumo molto basso di prodotti di origine animale avevano un'incidenza e un rischio di mortalità maggiore per ictus emorragico, e anche un rischio, forse, più elevato di mortalità rispetto a quello ischemico. I dati ottenuti, infatti, suggeriscono che alcuni fattori associati con il consumo di alimenti di origine animale potrebbero essere protettivi contro il pericolo di ictus. Per vegetariani e vegani hanno registrato livelli più bassi di numerosi nutrienti tra cui vitamina B 12 , vitamina D, aminoacidi essenziali e acidi grassi polinsaturi n-3 a catena lunga. E forse, sono proprio le differenze in alcuni di questi fattori nutrizionali a contribuire alle associazioni osservate. In sostanza, le diete vegetariane e vegane sono diventate sempre più popolari negli ultimi anni, ma i potenziali benefici e pericoli di queste diete non sono stati completamente compresi.
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La vittoria dei carnivori e l'umiliazione dei vegani: la carne ci ha reso umani. Lo rivela uno studio pubblicato su Nature sull'importanza della carne nello sviluppo dell'uomo. E anche se l’uomo è da sempre onnivoro, nel tempo sono cambiate un po’ di cose, in primi la modalità di approvvigionamento del cibo. Secondo questa ricerca, infatti, mangiare proteine animali avrebbe contribuito all’evoluzione della specie. Una trasformazione avvenuta, oltre all’evidente livello anatomico anche da un punto di vista intellettivo. L’indagine nasce dal fatto che tempo fa, i nostri avi si nutrivano soprattutto con frutta e verdura, tuttavia, l’alimentazione poco equilibrata ed insufficiente li ha spinti, poco dopo, verso la scoperta di un’alternativa a quello che avevano mangiato fino a quel momento: la carne. Oltre al notevole apporto calorico e proteico rispetto a quello che mangiavo prima, il cibo ottenuto con la allora nuova pratica della caccia, era anche più nutriente e facile da masticare.
La vera evoluzione, quindi, è iniziata proprio dalla scoperta della carne. Come è avvenuto di conseguenza anche per la lavorazione e il taglio a differenza della cucina, invece, che è arrivata solo 500mila anni fa. «Cucinare è un fattore importante, ma non è l'unico da prendere in considerazione e anche il cibo lavorato, tagliato o fatto a pezzi, ha avuto effetti profondi su di noi» spiega il coautore dello studio Daniel Lieberman dell'Harvard University. La prova di questo cambiamento inizia in primis dal bisogno di mangiare carne e di strapparla dalle carcasse degli animali che ha portato allo sviluppo della dentatura umana. Come è avvenuto anche per il cranio e le ossa del collo. «Questi cambiamenti - evidenzia il ricercatore - non sarebbero forse stati possibili senza il consumo di carne insieme all'acquisizione di tecniche per lavorarla e cucinarla». In pratica, cominciare a mangiare carne 3 milioni di anni fa, potrebbe aver innescato una serie di conseguenze che hanno velocizzato la nostra evoluzione anche se forse in modo indiretto.
Nello studio “Effetto della carne e delle tecniche di elaborazione dei cibi del Paleolitico Inferiore sulla masticazione degli umani” (Impact of meat and Lower Palaeolithic food processing techniques on chewing in humans), gli scienziati hanno testato su alcuni volontari il numero di masticazioni e la forza impiegata per masticare diversi cibi presenti nel Paleolitico. I ricercatori sono giunti alla conclusione che un’alimentazione composta prevalentemente da carne, in considerazione dell’uso degli utensili in pietra utilizzati all’epoca per il cibo, avrebbe permesso all’uomo di risparmiare risorse fisiche e di tempo per mangiare. Quindi, essendo necessario un numero di pasti inferiore e potendo, in questi casi, masticare meno, l’articolazione della mandibola sarebbe diventata più forte, ma al tempo stesso, più agile e con denti più piccoli. L’indagine dimostra che la forza della mandibola necessaria era inferiore del 27% e il numero di masticazioni necessarie era minore del 18%. Mangiare carne, insomma, ci avrebbe permesso di dedicare meno tempo a masticare per concentrarci su altre pratiche, fornendo così ulteriori stimoli allo sviluppo delle nostre capacità cognitive. E tutto con il supporto di una dieta più completa, e quindi, di una quantità maggiore di calorie extra per alimentare un cervello più grande.
«L’uomo è ciò che mangia» sosteneva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach. E non dimentichiamo che l’uomo è onnivoro da sempre. Lo dimostra la storia: oltre 10mila anni fa eravamo cacciatori, dopo siamo diventati più stanziali, passando all’agricoltura e poi all’allevamento. La nostra grande vittoria si evidenzia col fatto di essere in grado di mangiare tutto. Altra teoria che si collega alla ricerca, quella dell’antropologo inglese Richard Wrangham che nel libro “L’intelligenza del fuoco”, sostiene che l’avvento della cottura non abbia reso l’uomo solo più espansivo, ma anche più arguto. In pratica, l'evoluzione dell'uomo non sarebbe stata possibile senza il consumo di carne insieme all'acquisizione delle tecniche necessarie a lavorarla e cucinarla. Quello che gli studiosi hanno voluto dimostrare è che, il consumo di carne, legato a tutta una serie di pratiche, in passato è stato fondamentale per il nostro sviluppo. Ciononostante questi fondamentali processi evolutivi, il nostro apparato digerente continua a essere quasi uguale a quello di un gorilla e molto simile a quello di altri animali erbivori. Nonostante questo, gli elementi indispensabili per vivere in salute sono presenti nei vegetali: vitamine, minerali, antiossidanti e fibre.
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Un’alimentazione povera di carboidrati è il modo migliore di prevenire le malattie. È quello che scrive Enzo Soresi, primario emerito di pneumologia dell’Ospedale Ca’ Granda, Niguarda di Milano. Nella sua lunga carriera di medico ne ha affrontate tante, per gran parte raccolte nei sui libri, oggi, si racconta, ancora una volta e fornisce un interessante spunto di riflessione con le sue considerazioni sull'emergenza Covid-19. Partendo dall’assunto largamente condiviso che il virus influenzale induce una severa immunodepressione che favorisce, in un secondo momento, la complicanza batterica polmonare con germi spesso resistenti agli antibiotici, le sperimentazioni in corso, prima in Cina e poi a Napoli, forniscono un barlume di speranza per il controllo della polmonite interstiziale.
Soresi porta alla nostra attenzione su due aspetti importanti. Il primo riguarda proprio l’anticorpo monoclonale da anni somministrato, sottocute, ai pazienti affetti da artrite reumatoide, malattia autoimmune scatenata dalla interleuchina 6 (IL6), una delle citochine flogogene più aggressive. Poiché nei pazienti che finiscono in rianimazione è proprio questa IL6 che porta alla insufficienza respiratoria un uso tempestivo di questo anticorpo, noto con il nome di Tocilizumab, potrebbe essere di possibile aiuto. Le sperimentazioni sono in corso e sembrano promettere bene. Mentre, il secondo, punta tutto sull’alimentazione, quella povera di carboidrati, come modo più efficace nella prevenzione delle malattie.
Il Dottor Soresi fornisce qualche consiglio su come tenersi in forma in questo periodo di quarantena. «Attività fisica moderata, se non potete uscire organizzatevi in casa oppure fate 2 piani di scale (in salita) 4 volte al giorno, equivalgono a circa 8.000 passi». In ultimo, raccomanda l’esperto, l’integrazione di vitamina C per rinforzare le immunità del nostro organismo contro virus e batteri.
Inoltre, ricorda l’esperto, in un supplemento del Corriere della Sera, Io Donna: “Occhio all’indice glicemico”si legge che la guerra ai tumori si combatte e si vince a tavola: i cibi ad alto indice glicemico, come pane e pasta non integrali, dolci, biscotti, alcol, aumentano di circa il 50% la probabilità di ammalarsi di tumore al colon ed alla vescica. Tematica peraltro già trattata in un capitolo nel libro “Guarire con la nuova medicina integrata” scritto in collaborazione con Edoardo Rosati ed il coblogger Pierangelo Garzia, dove veniva affrontato «il principio della glicazione e dell’importanza di una alimentazione il più possibile lontana dagli zuccheri per ridurre il principale fattore di rischio di tutte le malattie che è l’infiammazione».
Il primo passo verso un'alimentazione antinfiammatoria è l'addio agli zuccheri e alla dieta mediterranea. «Come clinico - spiega Soresi - difronte a pazienti asmatici o affetti da broncopatie croniche correlate al fumo o all’inquinamento, la prima cosa che consegno ai pazienti è una sintesi di una alimentazione antinfiammatoria, il più possibile lontana dagli zuccheri. Quindi la prima regola della nostra alimentazione sarà quella di abbandonare la via metabolica del glucosio per attivare quella a minor rischio del fruttosio. La dieta mediterranea di conseguenza, ricca di carboidrati, non mi sembra oggi la migliore via da percorrere, a parte quella dell’uso dell’olio di oliva, sempre più alimento da proporre in ogni tipo di alimentazione».
«Quando mangiamo un piatto di 100 grammi di spaghetti - aggiunge l'esperto -, l’80% del loro peso è costituito da amido che, nell’arco di circa 3 ore viene trasformato in zucchero . Questo carico di zuccheri induce un innalzamento della glicemia e questo comporta un immediata increzione di ormone insulina la cui finalità è quella di eliminare lo zucchero con una serie di strumenti che cosi si possono riassumere: 1° indurre nel fegato la produzione di scorta di glucosio (intorno ai 70 grammi ) 2° stimolare le cellule muscolari, in particolare alcuni tipi di fibre, note come fibre bianche, ad assimilare più zucchero possibile, 3° indurre il fegato a produrre Vldl (Very Low Density Lipoprotein) che poi diventeranno le LdL del cosiddetto colesterolo cattivo».
Tirando le somme, quindi, il trucco dovrebbe essere quello di tornare a un'alimentazione che segua la via del fruttosio, proprio come facevano i nostri antenati. «Carne, pesce, frutta, vegetali, con aggiunta di olio d’oliva. La via del fruttosio è quella seguita dai nostri antenati basata essenzialmente sul consumo di questo zucchero. E qui, il primario del Ca’ Granda, si ricollega a una tesi già sostenuta da Adriano Panzironi con lo stile di vita Life 120.
«Il giornalista Adriano Panzironi - sottolinea Enzo Soresi - , in cui mi sono imbattuto durante gli zapping televisivi notturni, propone una piramide alimentare nel suo libro Vivere 120 anni molto lontana da quella classica della dieta mediterranea ma che a mio avviso rientra in pieno nel principio di abbandonare la via della glicazione allo scopo di ridurre il più possibile l’infiammazione nei nostri tessuti. Alla base della piramide troviamo carni e pesci più olio d’oliva da assumere ad ogni pasto, poi verdure ed uova quindi una porzione di frutta fresca più frutta secca, quindi formaggi stagionati ed alla fine vino rosso, cioccolato fondente e dolci in minima quantità. Una rivoluzione alimentare che cozza contro i vegetariani, i vegani e gli animalisti, ma che è da prendere in seria considerazione in un momento in cui l’obesità, nel mondo occidentale, si sta rivelando come una vera e propria epidemia. Su queste basi però ricordiamoci che il nostro libro Mitocondrio mon amour (Utet) ne è un documento fondamentale, l’importanza di una attività fisica non stressogena ma adeguata, anch’essa entrata a buon diritto nei percorsi di prevenzione dalle malattie infiammatorie e neoplastiche».
Leggi i saggi di Enzo Soresi (medico, pneumologo, oncologo e patologo) su Neurobioblo.com : "Le mie considerazioni sull'epidemia da coronavirus" e "A proposito di zucchero e salute"