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Si stima che un uomo su cinque sarà diagnosticato con cancro alla prostata a un certo punto della sua vita. Il nostro corpo ha normalmente una serie di sofisticati meccanismi disponibili per combattere la crescita aberrante delle cellule cancerose, tra cui crescita lenta di tumori della prostata. Molti uomini però, perdono lentamente la capacità di combattere la crescita delle cellule del cancro. Durante l’invecchiamento, decenni di cattiva alimentazione, mancanza di attività fisica e l’esposizione a tossine ambientali, si combinano per accelerare il processo di invecchiamento mentre la replicazione genetica diventa meno efficiente e porta a mutazioni e tumori. I ricercatori di “Nutrizione” hanno scoperto diverse sostanze naturali che hanno la capacità di aiutare le funzioni metaboliche umane e possono contribuire a contrastare la crescita delle cellule cancerose. Il resveratrolo è un composto che aiuta a proteggere le piante dal difficile ambiente e ha dimostrato di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e molte forme di cancro.

Resveratrolo altera l’espressione genica per la protezione contro la formazione di tumori cancerosi e la progressione. Un gruppo di ricerca della University of Missouri , pubblicando sulla rivista Cancer Science , ha scoperto che il resveratrolo può rendere le cellule tumorali della prostata più suscettibili all’apoptosi (morte cellulare naturale), aumentando le possibilità di un recupero completo da tutti i tipi di cancro alla prostata, tra cui tumori aggressivi. Gli scienziati hanno determinato che le cellule tumorali della prostata contengono livelli molto bassi di due proteine, perforina e granzyme B, che funzionano insieme per uccidere le cellule cancerose. Entrambe le proteine identificate devono essere geneticamente ‘espresse’, al fine di uccidere le cellule del cancro alla prostata, attraverso il processo dell’apoptosi. Nelle forme più aggressive della malattia, le due proteine sono inattive o sono espresse negativamente per consentire lo sviluppo e la crescita del tumore. I ricercatori hanno introdotto il resveratrolo nei tumori del cancro della prostata ed hanno scoperto che l’espressione delle proteine è diventata altamente espressa. I ricercatori hanno determinato che il 97 per cento delle cellule tumorali sono morte dopo l’esposizione diretta al resveratrolo. L’autore dello studio, il Dr. Michael Nicholl ha concluso “E ‘fondamentale che entrambe le proteine, perforina e granzyme B, siano presenti al fine di uccidere le cellule tumorali e abbiamo trovato che il resveratrolo ha contribuito ad aumentare la loro attività in cellule tumorali della prostata. “ In un modo simile alla vitamina D e curcumina,il resvetarolo funziona modificando l’espressione genica per aiutare a combattere la crescite delle cellule cancerose. Gli esperti di nutrizione consigliano l’assunzione da 50 a 400 mg al giorno di un composto resveratrolo standardizzato per combattere il cancro alla prostata e molte altre forme mortali della malattia.

Fonte: MediMagazine

Basta con le diete imposte. Basta con la paura di mangiare un po’ più grasso. Basta con i sensi di colpa. Uomini e donne con un po’ di “maniglie” sui fianchi è il momento della rivincita. E non ve lo dice un sondaggio qualsiasi o un gastronomo incallito. “Mangia grasso e vivi bene” è il titolo (e a questo punto anche il felice slogan di chi ha qualche chilo in più) di un interessante, sorprendente (per certi versi) libro scritto dal medico Francesco Perugini Billi.

Il parere dell'esperto

Dottore, perché il grasso non fa male? E perché ci hanno detto fino allo sfinimento che fanno male certi cibi? “I grassi sono stati sempre presenti nella dieta dell’uomo fin dai primordi. Pensiamo solo al maiale, animale “grasso” per antonomasia, che ha giocato un ruolo fondamentale nella dieta dell’Europa medievale ed è ancora tanto presente nelle tradizioni culinarie delle nostre regioni. Per quanto riguarda la paura del colesterolo, questa è nata negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’50. Si tratta di una storia fatta d’interessi economici, industriali e politici, nulla a che fare con la salute della gente. La demonizzazione di pancetta, uova e burro è stata una manna per l’industria degli oli di semi e delle margarine, e successivamente dei cibi dietetici, mentre lo spauracchio del colesterolo lo è stato per le industrie del farmaco. Peccato che 50 anni di ricerche e tanti soldi spesi non sono stati in grado di dimostrare che una dieta povera di grassi allunga la vita, né che il colesterolo provoca l’infarto”.

Oggi siamo arrivati al punto che si spende di più per dimagrire che per mangiare bene.. “E’ curioso come negli ultimi decenni abbiano fatto di tutto per “sgrassare” la nostra dieta e mangiare male e senza gusto. Non solo non sono state debellate le malattie coronariche, ma sono aumentati il diabete e l’obesità, che sono l’anticamera di quelle stesse malattie cardiovascolari di cui ci si voleva liberare. Rifuggiamo i grassi come la peste e poi ci ingozziamo di zuccheri e farine raffinate. Il corpo ha bisogno di una certa quantità di calorie. Se gli neghiamo i grassi, allora li cercherà sotto forma di carboidrati. Il problema è che questi, a differenza dei grassi, creano dipendenza, possono provocare insulinoresistenza e più facilmente portare al sovrappeso. Quindi, spendere i propri soldi in alimenti “scremati”, “magri” e “light” non è la risposta giusta. Non solo non fanno dimagrire, ma non sono neanche salutari”.

Qual è secondo lei una dieta per stare bene? “Oggi si fa un gran parlare della “dieta mediterranea”. Gli esperti ci vogliono far credere che si tratti di una dieta povera di grassi animali, ricca di pesce, cereali e legumi. Forse nei loro sogni! Sì perché una tale dieta nel Mediterraneo non esiste. Tra i popoli che si affacciano su questo antico mare il consumo di grasso e carne è molto diffuso ed estremamente variabile da zona a zona. In Calabria, ad esempio, ci sono decine di succulenti e pingui piatti a base di maiale, mentre i Sardi, che sono tra i popoli più longevi al mondo, hanno sempre mangiato poco pesce, preferendo i formaggi e le carni, come quelle di maialino, di pecora e di capra. Cosa voglio dire con questo? Che la differenza di mortalità per cause cardiovascolari tra gli americani e i popoli mediterranei che tanto colpì i ricercatori negli anni ’60 non era dovuta al diverso consumo di grassi animali, ma piuttosto al fatto che nel mediterraneo ancora si mangiavano cibi locali, freschi, così come la terra li aveva prodotti, mentre oltreoceano già imperversavano i cibi manipolati dall’industria”.

Ci può fare un esempio di prodotti che secondo la teoria lipidica fanno male ed invece vanno recuperati? “Tra gli alimenti più colpiti dagli anatemi dei grassofobici ci sono sicuramente le uova e il burro. Non c’è nulla di male in questi alimenti, piuttosto dovremmo occuparci della loro provenienza. Vale il detto “sei quello che i tuoi animali mangiano” e purtroppo oggi la maggior parte degli animali vengono nutriti con pastoni industriali, compostri da soia e cereali, che abbassano di molto i fattori protettivi per la salute presenti negli alimenti”. Il fatto che sia sorta Slow Food con i presidi e che sia in atto una riscoperta dei prodotti tipici sono conferme alle sue teorie? “Sì, bisogna recuperare le razze autoctone, i modi di produzione artigianale e proteggere le piccole realtà produttive che non possono competere con la schiacciante politica della grande industria alimentare la cui filosofia è quella del “tanto a poco prezzo” ”.

Mangiare grassi va bene ma con misura…

“Non bisogna avere paura dei grassi o dei cibi grassi, se questi non sono stati manipolati dai processi industriali. Il grasso là dove la natura l’ha messo va benissimo! Il grasso del cibo ci aiuta ad assorbire numerose vitamine, minerali e gli antiossidanti, oggi così di moda. Stiamo lontano dai grassi idrogenati, che ormai sono presenti in quasi tutti i prodotti da pasticceria e da forno commerciali e spesso anche artigianali. Questi sono i grassi che vi fanno male davvero. Per le nostre popolazioni, gli unici grassi storicamente coerenti sono lo strutto, il burro e l’olio extravergine. Usateli anche per cucinare. Sono tutti grassi che tengono bene le alte temperature e non si disgregano in radicali liberi, come fanno i tanto osannati oli di semi”. Ci sono alimenti che è meglio evitare? “Tra quelli veramente genuini, naturali, tradizionali, prodotti con metodi rispettosi dell’ambiente e degli animali, assolutamente nessuno!”

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

Uno spuntino veloce a base di noci e frutta secca come albicocche, uva passa e datteri…? Un’ ottima idea per regalare al nostro corpo una miriade di benefici!! I datteri secchi, un super alimento poco considerato nella nostra dieta, sono un concentrato di vitamine e minerali che possono aiutarci a ritrovare una buona salute. Scopriamo che cosa rende i datteri secchi un ingrediente importante per la salute. Benefici che i datteri offrono alla nostra salute:

Fibra alimentare:  I datteri sono ricchi di fibre e possono alleviare la costipazione e pulire l’intestino. Sono considerati lassativi naturali, con benefici nutrizionali supplementari.
Malattia cardiaca: Promuovono la salute cardiovascolare attraverso il controllo dei livelli di colesterolo. I datteri sono un’ottima merenda per i pazienti con malattie cardiache.Hanno un basso contenuto di calorie e aiutano a combattere il colesterolo cattivo.
Perdita di peso: Poichè i datteri secchi sono ricchi di fibre e sono una buona fonte di energia, sono perfetti per la perdita di peso: possono frenare il nostro desiderio di cibo e favorire una sensazione di pienezza.
Salute delle ossa: Questi eccezionali frutti hanno anche un alto contenuto di calcio che può aumentare la salute delle ossa. Quindi, è un alimento sano, che può prevenire l’osteoporosi e l artrite.
Migliorano i livelli di emoglobina: Le donne sono inclini a sviluppare anemia, quindi includere datteri secchi nella dieta, aiuta ad aumentare i livelli di emoglobina. Essi sono una potente fonte di ferro, che aumenta la produzione di emoglobina e migliora anche la circolazione.
Antiossidanti: Antiossidanti e aminoacidi sono presenti nei datteri secchi, che aiutano il corpo, migliorando la salute del cuore, la digestione, e la salute della pelle. Fibre solubili e insolubili presenti nel frutto, aiutano ad aumentare la salute generale. 
Buona fonte di energia: I datteri secchi sono anche un magazzino di energia. Glucosio e fruttosio presenti nei datteri secchi sono una buona fonte di energia, utile soprattutto per una giornata faticosa.
Cura dei capelli: Problemi di capelli come le doppie punte, capelli opachi e capelli danneggiati? La vitamina B, che è presente nei datteri ,aiuta a combattere tali problemi di capelli.

Fonte: Medi Magazine

Ci sono voluti centinaia di anni, ma finalmente abbiamo capito il perché dell’antico detto. La mela è ricca di fibre solubili che hanno la capacità di stimolare il sistema immunitario. Gli scienziati si stanno ormai rendendo conto che molte malattie, come quelle cardiovascolari e il diabete, sono dovute a processi infiammatori e le proprietà antinfiammatorie della mela possono avere un ottimo effetto protettivo. “Le fibre solubili cambiano la funzione delle cellule immunitarie, da pro-infiammatoria la trasformano in anti-infiammatoria. E’ questo avviene perché le fibre solubili aumentano la produzione di una proteina antinfiammatoria chiamata interleuchina - 4” dichiarano i ricercatori. (Brain, Behavior, and Immunity, 2010).

Le fibre solubili si sciolgono in acqua e formano un gel. Non vengono digerite dall’organismo umano e assolvono, oltre a quelle scoperte dallo studio citato anche ad altre funzioni, soprattutto a livello dello stomaco e intestino tenue. Vediamole:

- aumentano il volume delle feci e regolano l’evacuazione
- rallentano l’assorbimento degli zuccheri e dei grassi a livello intestinale
- facilitano l’assorbimento di minerali e altri nutrienti
- si gonfiano con l’acqua e danno un senso di sazietà
- potrebbero avere un effetto anticancerogeno: la pectina, contenuta nella mela, somministrata alle cavie riduce le dimensioni dei tumori. In qualche modo, ancora sconosciuto, la pectina interferisce con la capacità delle cellule tumorali di aderire tra loro e formare delle masse.
Altre fonti di fibre solubili sono: orzo, avena, semi oleosi, lenticchie, agrumi, fragole e carote. Le fibre insolubili, che si trovano maggiormente nei cereali integrali e negli ortaggi a foglia sono altrettanto valide per dare volume alle feci, ma non hanno lo stesso effetto sul sistema immunitario.

La mela è uno dei frutti di maggiore valore, dal punto di vista salutistico, tradizionalmente considerata in grado di disintossicare l’organismo, prevenire e curare parecchi malanni: anemia, stitichezza, dissenteria, reumatismi, disturbi gastrointestinali, cefalee, patologie cardiovascolari e tosse.Il modo migliore di mangiare una mela è cruda o cotta con tutta la sua buccia e per questo deve essere rigorosamente biologica.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

L’idea di limitare il consumo di sale nell’alimentazione per prevenire le malattie cardiovascolari, soprattutto l’ipertensione, nasce agli inizi degli anni ’70 negli Stati Uniti. Già nel 1978 il sale veniva bollato come “il più pericoloso condimento tra tutti”. Dopo il colesterolo e i grassi saturi, ecco un altro mito negativo, un altro alimento da criminalizzare. Siccome, purtroppo, dal Dopo Guerra in avanti, tutta la medicina europea è divenuta gravemente succube di quella americana, anche da noi non ci volle tanto perché iniziassero le campagne persecutorie contro il sale.
Dagli anni ’70, abbiamo ridotto colesterolo, grassi saturi e sale, ma il trend dell’incidenza malattie cardiovascolari non si è per nulla arrestato. Per quanto riguarda la relazione sale-aumento rischio cardiovascolare, stando a molti studi e alla più recente metanalisi Cochrane pare non esistano per il momento delle dimostrazioni scientifiche inequivocabili. E’ probabile che solo una minoranza della popolazione generale sia sensibile ad un eccesso di sale nella dieta. Negli USA, per esempio, gli afro-americani lo sono molto più dei caucasici.

Alcuni studi che ne mettono in discussione l’assolutezza

• 1985 - Uno studio decennale che ha coinvolto 8.000 hawaiani è giunto alla seguente conclusione: “Non è stata trovata nessuna relazione tra assunzione di sale e aumentato rischio di ictus”.
• 1995 – Uno studio durato otto anni sulla popolazione ipertesa di New York ha scoperto che tra coloro che assumevano poco sale, il rischio di infarto era quattro volte superiore rispetto a coloro che avevano assunzioni abituali.
• 1997 – Un’analisi condotta da un ricercatore della NHLB americana (National, Heart, Lung Institute) sui risultati dello studio MRFIT (Multiple Risk Factor Intervention Trial) non ha evidenziato benefici sulla salute, in generale, dovuti ad una restrizione sodica alimentare.
• 1997 – Uno studio decennale scozzese, l’SHHS (Scottish Heart Health Study) non ha evidenziato benefici con una dieta povera di sodio.
• 1998 – Un’analisi dell’importante studio americano NHANES 1 (National Health and Nutrition Axhamination Survey) ha mostrato un aumento del 20% di infarto tra coloro che consumavano meno sale rispetto al normale.
• 1998 – Uno studio finlandese è giunto alla conclusione che la riduzione del sale non dà benefici. Gli autori hanno affermato: “I nostri risultati non confermano le raccomandazioni ufficiali, cioè una dieta iposodica non riduce il rischio di infarto”.
• 1999 – Un’altra analisi sul data base dell’ MRFIT ha confermato che la riduzione dell’assunzione di sale non porta benefici alla salute della popolazione. Uno degli autori ha affermato: “Nessuna relazione è stata osservata tra consumo di sale e aumento della mortalità”.
• 2002 –Il prestigioso Cochrane Collaboration ha prodotto (sul British Medical Journal) una meta-analisi di tutti gli studi clinici fino al quel momento pubblicati. La conclusione è stata che una dieta iposodica porta a piccole riduzione dell’ipertensione solo in soggetti sensibili e in generale nessun beneficio per la salute.
• 2003 – Ricercatori olandesi hanno analizzato un database nazionale e sono giunti a queste conclusioni: “Le variazioni di sodio e potassio entro i parametri normalmente riscontrabili tra i popoli occidentalizzati non hanno nessun reale effetto sul rischio cardiovascolare e sulla mortalità degli anziani”.
• 2006 – Un’altra analisi del database federale NHANES 1 pubblicata sulla rivista The American Journal of Medicine ha mostrato che ridurre il consumo di sodio aumenta il rischio cardiovascolare del 37%.
• 2007 – In uno studio olandese pubblicato sul European Journal of Epidemiology si afferma che una dieta iposodica non riduce il rischio di ictus e infarto, né riduce la mortalità generale.
• 2008 – Un’analisi del NHANES 2 (il più grande database federale americano sulla nutrizione e salute) pubblicata sul Journal of General Internal Medicine ha confermato i precedenti studi del 2006 e 1998 (citati sopra): nessun vantaggio per quanto riguarda il rischio cardiovascolare e morte per tutte le cause per chi sceglie una dieta iposodica.
• 2011- Uno studio pubblicato in maggio su JAMA (Journal of the American Medical Association) mostra che anche modeste riduzioni di sale alimentare potrebbero essere associate ad un incremento delle patologie cardiovascolari e della mortalità.
• 2011 – Un recentissimo studio della Cochrane Collaboration non coneferma la reale efficia di una dieta iposodica nel rischio cardiovascolare.
Tuttavia il dibattito è ancora aperto. I promotori del “sale fa male” contestano questi studi e soprattutto l’ultima analisi Cochrane e giurano che la riduzione di sale rappresenta un efficace mezzo per ridurre la pressione e la mortalità da accidente cardiovascolare.

L'importanza del sale per la salute

Il sale comune (NaCl) è un nutriente essenziale e vitale, che il nostro organismo non è in grado produrre da solo. Potremmo morire, se ne assumessimo troppo poco o in eccesso. La sua concentrazione nel corpo è regolata dalla perspirazione e dalla funzione renale. Un suo componente, il sodio (Na), è coinvolto nella contrazione dei muscoli (anche quelli del cuore), nella trasmissione degli impulsi nervosi e nella digestione delle proteine. E’ facilmente assorbito nell’intestino tenue, dove facilita il passaggio anche di altri nutrienti. E ’il principale elettrolita extracellulare ed è responsabile della regolazione del pH, dell’equilibrio idrico e della pressione osmotica. L’altro componente del sale è il Cloro (Cl), anch’esso importante per la salute. Equilibra il sistema acido-base del nostro organismo, facilita l’assorbimento del potassio, è coinvolto nella secrezione acida dello stomaco e rende più efficiente il trasporto dell’anidride carbonica dai tessuti ai polmoni. Pressione arteriosa - Il sale regola il volume e la pressione del sangue e la flessibilità dei vasi sanguigni. La pressione è anche influenzata in modo variabile dall’età, sesso, ereditarietà, dieta e altri fattori. Secondo alcune autorevoli ricerche scientifiche (vedi sopra) il sale non sarebbe un fattore di rischio ipertensivo in assoluto, infatti solo in una minima parte della popolazione il consumo eccessivo di sale comune potrebbe fare aumentare la pressione. Nella maggioranza della popolazione anche un drastico aumento nel consumo di sale non influenza i valori pressori. Sistema nervoso – il sodio e il cloro giocano un ruolo molto importante nell’attivazione del sistema neuronale. Dal corretto funzionamento dei neuroni dipendono tutte le nostre funzioni fisiologiche, tra cui la contrazione muscolare. 

Metabolismo e digestione – quasi tutto il sale che consumiamo viene velocemente assorbito a livello del tenue e subito viene immesso nel torrente circolatorio e nel tessuto extracellulare. Durante la crescita, una notevole quantità di sale è assorbita dal tessuto osseo e altri tessuti. Nell’età adulta, in una persona sana, tutto il sale consumato, indipendentemente dalla quantità, viene compensato da una escrezione di eguale misura attraverso i normali emuntori. Infatti, i nostri reni sono capaci ogni giorno di filtrare una incredibile quantità di sodio. Il sale gioca un ruolo fondamentale nella digestione. Enzimi sodio-dipendenti sono richiesti per la digestione dei carboidrati complessi, che vengono così ridotti a monosaccaridi (glucosio, fruttosio e galattosio). Il sodio è necessario anche per l’assorbimento di questi zuccheri attraverso le pareti intestinali. Il sale è la nostra fonte principale di cloro, il componente maggiore dell’acido cloridrico (HCL), necessario per la digestione delle proteine. Inoltre, l’HCL sterilizza il cibo, così che eventuali microrganismi assunti con l’alimentazione non giungano vivi nell’intestino. La carenza di HCL, come nel caso di ipocloridria, può portare a vari disturbi digestivi, gonfiori, meteorismo, acne, carenza di ferro, diarrea, allergie e intolleranze alimentari multiple. Il sale è anche necessario per la digestione dei grassi, dato che il sodio è coinvolto nella sintesi dei Sali Biliari, che hanno sui grassi hanno un’azione emulsionante.

Funzioni cerebrali – il sale è fondamentale per lo sviluppo delle cellule gliali del cervello. Negli USA, tra gli anni ’80 e ’90, un’azienda che produceva un latte in formula senza sale per lattanti è stata denunciata perché la mancanza di sale impediva ai bambini di sviluppare appieno le loro potenzialità intellettuali.
Funzioni surrenalica – i surreni sono responsabili dell’increzione di almeno 50 ormoni, tra cui quelli sessuali, quelli che regolano pressione, glicemia, concentrazioni minerali, processi riparativi e stress. Per una corretta sintesi ormonale, i surreni hanno bisogno di sale. Per esempio, il trasporto di vitamina C nei surreni è sodio-dipendente e a sua volta la vitamina C è un co-fattore enzimatico coinvolto nella sintesi di parecchi ormoni. Il desiderio di sale è sintomo di insufficiente funzione surrenale. L’aldosterone regola la pressione. Durante un periodo di stress e affaticamento i livelli di quest’ormone crollano e il corpo risponde aumentando le richieste di sale.

Ipertensione, sale e acidosi

Gli studi mostrano che la risposta al sale potrebbe essere influenzata da altri fattori alimentari. Nei soggetti sensibili, il bicarbonato di sodio è il 50% meno efficace del cloruro di sodio (sale comune) nell’aumentare la pressione. Con il sodio citrato l’aumento è minimo o nullo. L’aggiunta di bicarbonato di potassio riduce la sensibilità verso il sale e addirittura è in grado di abolirla. Questi risultati fanno pensare che alla base della sensibilità al sale ci sia uno stato di lieve acidosi. Raffinato grezzo ? Anche il tipo di sale ha il suo peso. La gran parte di quello che usiamo è “raffinato” e potrebbe non essere la scelta migliore. Meglio quello grezzo: a questo proposito si legga un precedente articolo.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Atherosclerosis conferma che l’estratto di melograno può impedire e / o invertire la patologia primaria associata a mortalità cardiaca: l’ispessimento progressivo delle arterie coronarie causato dall’accumulo di materiali grassi, noto come l’aterosclerosi. Il melograno è ricco di vitamine, fibre, zuccheri, flavonoidi, antiossidanti, oltre a molti principi attivi. Topi con una predisposizione genetica verso spontanee ostruzioni delle arterie coronarie sono stati trattati con estratto di melograno per due settimane, a partire dalla terza settimana di età. Il trattamento ha ridotto la dimensione delle placche aterosclerotiche nel seno aortico (l’apertura dilatata sopra la valvola aortica) e ridotto la percentuale di arterie coronarie con placche aterosclerotiche occlusive.

Questo studio aggiunge al corpo già esistente della ricerca clinica, l’evidenza che il melograno può aiutare a sbloccare le arterie. Ad esempio, nel 2004, la rivista Clinical Nutrition ha pubblicato i risultati di uno studio clinico di tre anni in una popolazione israeliana, dimostrando che il consumo quotidiano di succo di melograno ha invertito la stenosi dell’arteria carotide fino al 29% , entro 1 anno. I benefici del melograno nella malattia cardiovascolare sono molto ampi, come dimostrano le seguenti proprietà sperimentalmente confermate: Anti-infiammatorio : Come molte malattie croniche degenerative, l’infiammazione svolge un ruolo significativo nella patogenesi della malattia cardiovascolare. Il melograno è ricco di proprietà antinfiammatorie Abbassamento della pressione arteriosa : il succo di melograno ha naturale proprietà di inibizione di conversione dell’enzima angiotensina ,ormone peptidico che stimola la vasocostrizione aumentando la pressione arteriosa. Infine, l’ estratto di melograno è ricco di punicalagin che è stato trovato efficace per ridurre il effetti negativi di stress sui perturbati segmenti arteriosi esposti al flusso disturbato.

Anti-infettivi : accumulo nelle arterie spesso coinvolge l’infezione virale e batterica secondaria, compresa l’epatite C e la Chlamydia pneumoniae. Il melograno dispone di un’ampia gamma di proprietà anti-batteriche e proprietà anti-virali . Antiossidante : Uno dei modi in cui i lipidi nel sangue promuovono la malattia cardiaca (aterogenica) è attraverso l’ossidazione. LDL, per esempio, può essere tecnicamente ‘elevato’ ma inoffensivo fintanto che non è facilmente ossidato. Il melograno è stato trovato utile per ridurre lo stress ossidativo nel sangue , misurato dai livelli sierici paraoxonase. Uno studio sui topi, dimostra che questa diminuzione dello stress ossidativo è associato con riduzione del 44% delle dimensioni delle lesioni aterosclerotiche. Sorprendentemente, i ricercatori hanno anche scoperto che il trattamento con estratto di melograno ha portato ai seguenti effetti benefici:

Ridotti livelli di stress ossidativo
Ridotto monocytie chemiotattica proteina-1, un messaggero chimico (chemochine) associato a processi infiammatori all’interno delle arterie.
Accumulo di lipidi ridotto nel muscolo cardiaco
Ridotta infiltrazione di macrofagi nel muscolo cardiaco
Ridotti livelli di proteina chemiotattica dei monociti-1 e la fibrosi del miocardio
Ridotto allargamento cardiaco
Riduzione alterazioni elettrocardiografiche
Questo frutto ha proprietà vermifughe: è utilissimo, infatti, contro il problema del verme solitario, un fastidio piuttosto acuto nell’uomo. Il melograno, però, contiene anche degli acidi, come l’acido ellagico (o tannino), che permette dicontrastare l’insorgenza della diarrea. Secondo studi recentemente condotti, sembrerebbe che il succo che se ne deriva sarebbe in grado di alleviare i disturbi legati alla menopausa, come l’osteoporosi, l’artrite e la depressione. Oltre ad essere efficare contro l’insorgenza dei tumori, il melograno riesce ad erigere una barriera protettiva contro l’Alzheimer, attaccando le proteine nocive.

L’apporto calorico? Davvero minimo: per ogni 100 grammi frutto si acquisiscono solamente 63 calorie.

Fonte: Medi Magazine

Due uova al giorno assunte per sei settimane non hanno provocato effetti dannosi alla funzione endoteliale (un parametro di rischio cardiovascolare) in adulti sani. E’ quanto è emerso da un recente studio apparso nel numero di marzo 2005 della rivista International Journal of Cardiology. A causa del loro contenuto di colesterolo, la limitazione nel consumo di uova è stata raccomandata come mezzo per ridurre il rischio cardiovascolare. Tuttavia, nuovi dati scientifici suggeriscono che il colesterolo alimentare centra poco con il rischio cardiovascolare.

Il Dr. David L. Katz e colleghi, della Yale Prevention Research Center di Derby, nel Connecticut, hanno valutato l’effetto che il consumo delle uova (un gruppo) o di orzo (l’altro gruppo) aveva sulla funzione endoteliale in 49 adulti sani. Per la valutazione dei risultati è stata utilizzata una speciale tecnica ecografica (FMD = ultrasound-measured flow-mediated dilatation) a livello dell’arteria brachiale. Durante il periodo di studio, la FMD era stabile e senza differenze in entrambi i gruppi. L’assunzione di uova non aumentò il colesterolo totale, né le LDL. Pertanto, mangiare uova, anche in modo continuativo, non aumenta il rischio cardiovascolare.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

I livelli di glucosio nel sangue possono modificare la frequenza cardiaca in maniera pericolosa, tanto che le persone che già soffrono di diabete di tipo 1 e tipo 2 rischiano la vita. Questo processo spiegherebbe il perché diverse persone muoiono durante il sonno
I livelli di zucchero nel sangue possono essere pericolosi, specie se divengono troppo bassi durante la notte.
Tra i tanti effetti avversi che possono avere i livelli di zuccheri nel sangue c’è anche quello di alterare la frequenza cardiaca. Alterazione che può essere causa di numerosi problemi e anche morte nel sonno, soprattutto nelle persone con diabete di tipo 1 e tipo 2. A essere pericolosa, in questo caso, è l’ipoglicemia. Condizione che diviene minacciosa in particolare di notte, quando si dorme.
Ecco quanto emerso da uno studio pubblicato sulla rivista Diabetes e condotto dai ricercatori dell’Università di Sheffield (Uk) coordinati dal dott. Simon Heller.

Heller e colleghi hanno trovato un legame tra la glicemia e i tassi di mortalità più elevati del previsto. Cosa che andrebbe anche a spiegare perché alcune persone altrimenti sane, con diabete di tipo 1, muoiono durante il sonno. Questa condizione, che è senza una causa apparente, è spesso chiamata “Sindrome della morte nel letto”.«Abbiamo scoperto che l’ipoglicemia era abbastanza comune – spiega il prof. Heller – e che gli episodi notturni, in particolare, erano generalmente caratterizzati da un modello in cui il glucosio è sceso a livelli bassi per alcune ore, durante le quali i pazienti dormivano».

«Questi periodi di ipoglicemia – prosegue Heller – sono stati associati con un alto rischio di rallentamento delle frequenze cardiache [o bradicardia] accompagnate da battiti [del cuore] anormali. Abbiamo quindi identificato un meccanismo che potrebbe contribuire a un aumento della mortalità durante una terapia insulinica intensiva nei soggetti con diabete di tipo 2 e ad alto rischio cardiovascolare».
Il diabete, sebbene caratterizzato per gli elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia), si distingue anche per momenti in cui questi livelli di zuccheri nel sangue sono più bassi del normale (ipoglicemia), spesso proprio a causa dei trattamenti per la prevenzione dell’iperglicemia, come le terapie insuliniche.
Secondo il dott. Simon Fischer, che accompagna la pubblicazione dello studio con un editoriale, l’ipoglicemia può essere fatale, perché il corpo per funzionare correttamente e vivere ha bisogno di energia; e una troppo bassa energia causa diversi problemi, tra cui un malfunzionamento del cervello che può anche smettere di operare in caso di grave ipoglicemia.
Il prof. Heller ricorda che il problema del glucosio nel sangue è tipico dei pazienti affetti da diabete di tipo 1, i quali devono sottostare a iniezioni giornaliere di insulina, dato che il proprio pancreas non è più in grado di secernere l’ormone insulina. Tuttavia, la pericolosa condizione di ipoglicemia non viene in genere considerata significativa nelle persone con diabete di tipo 2. Ecco perché i ricercatori sono rimasti sorpresi nel vedere che i 25 partecipanti allo studio con diabete di tipo 2 avevano bassi livelli di zucchero nel sangue per circa il 10% del tempo.
La faccenda è emersa dopo che i ricercatori hanno monitorato per cinque giorni i partecipanti al fine di rilevare in modo costante i livelli di glucosio e l’attività cardiaca.

I dati acquisiti hanno permesso di rilevare che i pazienti hanno trascorso 1.258 ore di tempo con normali livelli di glicemia, 65 ore con elevati di zucchero nel sangue livelli e 134 ore con bassi livelli di zucchero nel sangue (una glicemia inferiore a 63 milligrammi per decilitro). In tutti questi casi, il rischio di un rallentamento del battito cardiaco durante la notte era 8 volte superiore rispetto a quando il livelli di zucchero nel sangue erano normali. E’ da notare che il rallentamento della frequenza cardiaca non è stato registrato durante la giornata. Anche le aritmie cardiache sono state significativamente più alte di notte.
Il dottor Fisher ritiene che, in base ai numerosi studi condotti sia su modello animale che sull’uomo, si possa a ragione ipotizzare che gravi aritmie indotte dall’ipoglicemia possano contribuire alla morte improvvisa nei pazienti con diabete e sotto trattamento insulinico.

«L’ipoglicemia notturna è un grave problema – sottolinea lo scienziato – Le persone hanno meno probabilità di svegliarsi e di trattare la loro ipoglicemia durante la notte. Sono meno propense ad ascoltare i normali sintomi premonitori dell’ipoglicemia, perché l’intera risposta [del sistema nervoso] simpatico è relativamente attenuata durante la notte».

FONTE: La Stampa

Ringraziano la Dott.sa Ventrella, che nell'ambito della collaborazione avviata tra il nostro sito e il progetto per l'analisi dei minerali a cura della Dott.sa Ventrella in collaborazione con l'Università la "Sapienza" di Roma, ha voluto preparare un breve articolo che spiega in modo chiaro e semplice i meccanismi della melatonina nelle sindromi da stress. La vita di un essere umano ruota intorno a dei rapporti cardine imprescindibili: salute/malattia e benessere/malessere. Spesso confondiamo queste due realtà che sono invece distinte e legate la prima ad un processo di equilibrio del nostro ambiente interno, cioè del nostro organismo e delle sue funzioni e l'altra alla capacità di relazionarci nel modo giusto con l' ambiente esterno in cui si svolge la nostra vita. Premesso questo, possiamo affermare che le due priorità fondamentali per ognuno di noi sono la sopravvivenza e la procreazione. Tutta la nostra esistenza ruota intorno al rapporto tra queste due funzioni essenziali da cui dipendono i nostri ritmi quotidiani e le scelte di abitudini e di comportamenti necessari al fine di assicurarne la giusta gestione. 

Problemi riguardanti la sopravvivenza ci portano ad ammalarci e a morire, mentre senza la procreazione ci estinguiamo; ma quest'ultima tematica appare decisamente secondaria rispetto all' ancestrale problema della malattia e del malessere.  Appare dunque chiaro che il bisogno primario di un essere umano è la sopravvivenza nelle sue tre forme di salute (condizione fisica), benessere (condizione mentale), integrazione (condizione ambientale). La procreazione è fisiologicamente secondaria e con essa anche la sessualità che le è correlata, a dispetto di quello che siamo abituati a pensare, e viene messa da parte in condizioni di allarme e di stress; se la condizione di allarme e di stress persistono per lungo tempo si arriva ad uno stato di esaurimento che non ci permette di interagire con l' ambiente esterno e a questo punto l' unica possibilità che ci resta è chiuderci fino all' isolamento ("guscio di calcio" cellulare). A questo punto si possono manifestare sintomi fino alle patologie franche e/o disagi, paure, ansia, depressione, senso di fallimento e forme varie di dipendenza necessarie a colmare i vuoti legati alla enorme fatica di sopravvivere.

Tutte queste condizioni hanno alla base un problema legato alla sopravvivenza, un bisogno che non è stato riconosciuto, una serie di abitudini sbagliate, uno stile di vita non adatto alla nostra struttura. Possiamo dunque dire che l' essere umano ha una grande capacità di adattarsi a situazioni e condizioni di vario genere. Quando siamo sottoposti a situazioni o condizioni a cui non riusciamo o non possiamo adattarci, entriamo nel mondo dello stress. Riassumendo possiamo quindi dire che un adattamento positivo porta a: 1. capacità di fare fronte agli eventi stressanti sia fisici che emotivi; 2. rapporto equilibrato con l' ambiente; 3. ottimismo. Un adattamento negativo provoca: 1. squilibri; 2. disagi; 3. sintomi, dunque tutto quello che comunemente viene chiamato stress. I primi segnali di stress sono la stanchezza e i disturbi del sonno. E' importante definire che la reazione organica allo stress è completamente mediata dal sistema ormonale, principale artefice delle sindromi da adattamento. Lo stress produce reazioni sia fisiche che mentali. La stanchezza e i disturbi del sonno, insieme all' ansia e alla fatica che vengono generate, dipendono dallo squilibrio di modulatori chimici presenti nel cervello. Il perdurare delle condizioni stressanti predispone alla manifestazione di danni fisici.


Abbiamo detto che il nostro equilibrio psico – fisico dipende dal giusto rapporto tra mediatori chimici presenti nel cervello, la serotonina, l' adrenalina e la dopamina. La serotonina è un importante regolatore dei ritmi organici, essendo infatti una sostanza antidepressiva. Viene in parte convertita in melatonina e, insieme a questo ormone, forma un sistema antistress formidabile. Quando queste due sostanze non sono sinergiche, ecco comparire i disturbi del sonno e i primi sintomi di squilibrio sia fisico che mentale (ansia, tachicardia, sensazione di allarme, depressione, disturbi intestinali, ecc.). Dall' adrenalina dipende il livello di energia fisica. Dall' adrenalina dipende tutta la nostra "carica", il sentirsi forti e capaci di affrontare situazioni di tutti i tipi. L' adrenalina cerebrale è collegata con l' adrenalina prodotta dalle ghiandole surrenali, importanti ghiandole che , agendo in concerto con tiroide e pancreas, controllano tutte le funzioni viscerali fondamentali del nostro organismo. Quindi uno squilibrio dell' adrenalina corrisponde a scarsa produzione di energia, stanchezza, scarso funzionamento del sistema immunitario e squilibri delle funzioni organiche.

Infine "la dopamina è importante per la regolazione della soglia del dolore e del senso del piacere, responsabili in larga parte delle nostre gioie e delle nostre sofferenze. Risulta dunque chiaro che nello stress cronico stanchezza, affaticamento ed indebolimento generale prendono il sopravvento e creano quadri sintomatici che man mano si complicano sempre di più, fino alla manifestazione di patologie franche. E a questo punto non resta che ritornare all' origine, a ricercare quelle cause che per prime hanno generato stanchezza, affaticamento e disturbi del sonno. La melatonina, in questo percorso, rappresenta uno dei supporti più validi per aiutare a ripristinare i giusti ritmi mentali e quindi fisici, ripristinando in modo naturale l' equilibrio di rapporto tra i modulatori cerebrali e velocizzando notevolmente l' azione dei vari interventi terapeutici, compresi quelli farmacologici" spiega la dottoressa Maria Teresa Ventrella.

Fonte: Melatonina.it

Il mistero di come esattamente il consumo di olio extra vergine di oliva aiuta a ridurre il rischio di malattia di Alzheimer (AD) può trovarsi in un componente di olio di oliva, chiamato oleocantale , secondo quanto gli scienziati stanno segnalando in un nuovo studio. La ricerca è stat pubblicata sulla rivista ACS Chemical Neuroscience. Amal Kaddoumi e colleghi fanno notare che la malattia di alzheimer colpisce circa 30 milioni di persone in tutto il ondo, ma la prevalenza è più bassa nei paesi mediterranei dove si consuma una elevata concentrazione di salutari grassi monoinsaturi dall’ olio di oliva, con la dieta mediterranea .

La recente ricerca ha suggerito che l’agente effettivo di protezione dalla malattia di alzheimer, potrebbe essere una sostanza chiamata oleocantale che ha effetti che proteggono le cellule nervose dal tipo di danno che si verifica in AD. La squadra di Kaddoumi ha cercato di accertare se l’oleocantale aiuta a diminuire l’accumulo di beta-amiloide (Ap) nel cervello, che si ritiene essere responsabile della condizione. Essi descrivono il monitoraggio degli effetti dell’ oleocantale nel cervello e nelle cellule cerebrali in coltura di topi di laboratorio. In pratica la sostanza benefica contenuta nell’olio modifica le dimensioni delle proteine nocive e rende loro impossibile legarsi alle sinapsi e danneggiare così i neuroni. L’oleocantale ha dimostrato anche di possedere capacità protettive delle cellule nervose, preservandole dall’usura a cui vanno incontro con l’avanzare dell’età. In entrambi i casi, l’ oleocantale ha mostrato un modello coerente, in cui ha incrementato la produzione di due proteine ed enzimi chiave ritenuti critici nella rimozione di placche amiloide (Ap )dal cervello. Il rapporto conclude: “L’oleocantale derivato dall’ oliva extra vergine di oliva, associato al consumo di dieta mediterranea, ha il potenziale per ridurre il rischio di AD o correlate forme neurodegenerative e forme di demenza ”.

Fonti: Medi Magazine

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