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Martedì, 27 Aprile 2021 08:00

Arrosto di pollo all'arancia

Dalla tradizione orientale una tipica ricetta gustosa e salutare. Pollo e arance, l'abbinamento perfetto degli amanti della buona cucina. Un secondo piatto veloce e versatile che delizierà anche i palati più raffinati grazie al retrogusto agrumato.

Ingredienti 

 INGREDIENTI PER 4 PERSONE
  1 Kg di petto di pollo   2 arance tarocco
  ½ cipolla bianca   30 g di burro
  2 foglie di alloro   Un cucchiaio di pinoli
  Olio EVO   Sale rosa himalayano q.b.
  Una spruzzata di Cointreau   Un cucchiaio di pinoli
 TEMPO  ESECUZIONE
40 MINUTI FACILE

Preparazione


Legate la carne con alcuni giri di spago da cucina, oppure utilizzate l’apposita retina. In un tegame fate sciogliere il burro con un filo d’olio extra vergine di oliva, e rosolatevi la cipolla tritata finemente; subito dopo adagiatevi l’arrosto, e fatelo rosolare da tutte le parti, rigirandolo con l’aiuto di una paletta, sino a quando si sarà formata una leggera crosticina. A questo punto salate e pepate e bagnate con il liquore. Lavate con cura le arance, spremete il succo di un’arancia e tagliate a julienne le scorze. Irrorate la carne con il succo accuratamente filtrato, le foglie di alloro, mettete il coperchio e lasciate cuocere a fuoco dolce per circa 30 minuti. Rigirate ed irrorate di tanto in tanto la carne con il fondo di cottura. Trascorso il tempo indicato, aggiungete le scorzette d’arancia e proseguite la cottura a tegame scoperto per altri 25-30 minuti. Alla fine della cottura sgocciolate la carne e trasferitela sul piatto da portata adagiateci qualche arancia tagliata a rondelle. Servite.

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Dormire salva la linea e il cuore. L'insonnia, che colpisce quasi un italiano su 3, è infatti legata a doppio filo con problemi metabolici, primo fra tutti l'obesità. E questa 'relazione pericolosa' può moltiplicare anche di 9 volte il rischio di malattia coronarica, quindi di infarto. Lo ricordano gli esperti dell'Aims (Associazione italiana medicina del sonno) in occasione della XII Giornata nazionale del dormiresano, che si celebra il 16 marzo con lo slogan 'Chi dorme sano non prende peso'.

Uno degli studi più recenti che provano il legame tra insonnia e problemi di peso conclude che chi dorme meno di 7 ore per notte, in particolare tra i 32 e i 49 anni, ha un indice di massa corporea significativamente più elevato e una maggiore probabilità di diventare obeso. A confermare il link fra riposo insufficiente o cattivo e metabolismo malato ci sono tanti altri studi scientifici, assicurano gli specialisti in vista dell'appuntamento di venerdì prossimo, promosso all'interno del progetto 'Morfeo Dormiresano' realizzato grazie a un sostegno incondizionato di Sanofi. Per esempio c'è il fatto che una persona con diabete su 2 lamenta insonnia, contro il 31% della popolazione sana di pari età, e che il 15,5% dei diabetici tende ad addormentarsi di giorno, contro il 6% della popolazione.
"Gli studi dimostrano che la durata del sonno appare chiaramente correlata con il rischio di sviluppare obesità, sia nei bambini e negli adolescenti sia negli adulti, specie sotto i 50 anni - spiega Gian Luigi Gigli, presidente Aims - Ma oggi esistono anche informazioni precise che provano come la riduzione del tempo di sonno e i disturbi del sonno sono correlati con l'alterata tolleranza al glucosio, una sorta di 'anticamera' metabolica del diabete, e allo stesso diabete di tipo 2". Per questo l'insonnia non va sottovalutata, ma riferita al medico di famiglia e allo specialista di medicina del sonno. Secondo gli esperti, visto lo stretto rapporto con le malattie metaboliche che a loro volta possono aprire la strada a patologie cardiovascolari, cerebrali e renali, "sarebbe opportuno considerare anche i disturbi del sonno nella definizione del profilo di rischio cardiovascolare". Ne guadagnerebbero prevenzione e terapia.
Se chi dorme meno ha più probabilità di ingrassare, gli studi epidemiologici dimostrano anche che le persone obese, indipendentemente dalla presenza o meno di apnee notturne, lamentano più frequentemente sonnolenza diurna.
I motivi sono ancora da chiarire, tuttavia - spiegano ancora gli esperti - si è osservato che la restrizione di sonno può alterare la secrezione di ormoni che regolano il senso dell'appetito e la spesa energetica. In particolare, la deprivazione di sonno riduce la secrezione della leptina (ormone 'arbitro' dell'appetito, che facilita anche il consumo calorico), e aumenta la produzione di grelina che invece stimola la sensazione di fame. Infine, l'insonnia compromette la sensibilità dei tessuti all'insulina, favorendo l'insulino-resistenza chiave per lo sviluppo del diabete.

'Morfeo Dormiresano', partito nel 2000, punta quindi a diffondere la consapevolezza di questi rischi sia tra i cittadini che fra i medici. "Siamo di fronte ad un problema sanitario rilevante - osserva infatti Marco Scatigna, direttore medico e direttore scientifico di Sanofi Italia - in quanto l'incremento esponenziale dell'obesità e del diabete in Italia, e le correlazioni tra queste condizioni patologiche e l'insonnia, comportano la necessità di un'elevata attenzione da parte della classe medica e degli stessi cittadini, per poter frenare l'avanzata di patologie che sono responsabili di rischi incrementali per la salute e comportano aumentati costi per la società".

FONTE: Intrage.it

Scienziati hanno scoperto quali sono i meccanismi molecolari che stanno dietro ai benefici per la salute del resveratrolo, il noto antiossidante contenuto nell’uva rossa Ricercatori hanno scoperto il ruolo molecolare dell'antiossidante resveratrolo, contenuto in particolare nella buccia dell'uva rossa, ma non solo. Ritenuto uno degli antiossidanti per eccellenza, il resveratrolo è una sostanza contenuta in particolare nella buccia degli acini d’uva. Per questo motivo sono in molti a suggerire che bere vino rosso faccia bene alla salute, dimenticando tuttavia di ricordare che questa bevanda – per quanto naturale – contiene alcol (o etanolo) che, invece, non fa bene. La soluzione ottimale diviene pertanto quella di mangiare l’uva tal quale o in forma di succo. Non dimentichiamo però che il resveratrolo lo troviamo anche in altri alimenti come i frutti di bosco (mirtilli, more eccetera), frutta secca come arachidi, pistacchi e così via.

Questo antiossidante, ritenuto una vera e propria fonte di giovinezza, in verità è stato trovato essere attivo nel ridurre il colesterolo LDL, o cattivo, prevenire le malattie cardiache e cardiovascolari, e anche il cancro. Altri benefici, oltre all’effetto antinvecchiamento sarebbero un’azione benefica contro l’infiammazione organica e nel controllo del metabolismo. Ma come fa il resveratrolo a essere così benefico, come una sorta di tuttofare? A dare finalmente una risposta sarebbero stati i ricercatori dell’Università della Florida – The Scripps Research Institute (TSRI), che hanno identificato una delle vie molecolari che il resveratrolo utilizza per produrre la sua azione benefica.

Il dott. Kendall Nettles e colleghi hanno scoperto che il resveratrolo controlla la risposta infiammatoria del corpo creando un legame con il recettore degli estrogeni, senza stimolare la proliferazione cellulare estrogenica. Questa caratteristica ne fa un buon candidato per il suo possibile uso come modello per la progettazione di nuovi farmaci. Lo studio, i cui risultati saranno presto pubblicati sulla rivista eLife, una pubblicazione sostenuta dall’Howard Hughes Medical Institute, la Max Planck Society e il Wellcome Trust, mostra che sfruttando questo meccanismo molecolare è possibile intervenire in modo più efficiente nel controllo dei fattori di rischio per l’invecchiamento precoce, l’ossidazione del corpo e l’infiammazione, nonché tutte le malattie correlate.

«Gli estrogeni – sottolinea il prof. Nettles – hanno effetti benefici su condizioni come il diabete e l’obesità, ma possono aumentare il rischio di cancro. Quello che non è stato ben capito fino a ora è che si possono ottenere gli stessi effetti benefici con qualcosa di simile al resveratrolo». Uno dei problemi da superare, spiegano i ricercatori, è proprio che il resveratrolo non funziona in modo particolarmente efficiente nell’organismo, una volta che sia stato assunto. «Ora che abbiamo capito che possiamo fare questo attraverso il recettore degli estrogeni, ci sono diversi composti al di là del resveratrolo che possono fare la stessa cosa, anche meglio», prosegue Nettles. «I nostri risultati – aggiunge Jerome C. Nwachukwu, coautore dello studio – dovrebbero portare gli scienziati a riconsiderare il recettore degli estrogeni come obiettivo principale del resveratrolo e di eventuali analoghi».

In questo studio, Nettles, Nwachukwu e colleghi hanno scoperto che il resveratrolo è un efficace inibitore della proteina pro-infiammatoria interleuchina 6 (IL-6). Questa proteina fa parte del sistema immunitario e alti livelli nell’organismo sono stati, per esempio, collegati a più bassi tassi di sopravvivenza nelle pazienti con cancro al seno. Nello specifico, i ricercatori hanno trovato che il resveratrolo è in grado di regolare IL-6, senza tuttavia stimolare la proliferazione cellulare, agendo in modo da alterare un certo numero di co-regolatori del recettore degli estrogeni. Tutte queste osservazioni potranno essere di grande aiuto nella compressione di come può lavorare e agire un antiossidante, e sviluppare rimedi capaci di interagire al meglio con l’organismo in modo tale da sfruttare al massimo le proprietà benefiche per la salute: sia nella prevenzione che nella cura delle malattie.

Fonte: La Stampa

C’è qualcosa di strano in questo virus influenzale perché rispetto ad altri agenti virali si comporta in modo imprevedibile e non segue le normali modalità di diffusione di altre epidemie. Dopo un secolo di studi, per molte domande ancora non esistono risposte. Vediamone alcune:

- perché l’influenza è stagionale ? Dove si trova tra una epidemia e l’altra ?
- perché le epidemie sono così esplosive ?
- perché le epidemie si interrompono così bruscamente ?
- come si spiega la comparsa contemporanea del virus in Paesi che si trovano a diversa latitudine ?
- perché l’intervallo seriale non è chiaro ?
- perché l’epidemia in passato si diffondeva altrettanto rapidamente pur non essendoci ai quei tempi i veloci mezzi di trasporto attuali?
- perché una buona percentuale di persone infettate dal virus (oltre il 50% in alcuni studi) non manifestano i sintomi dell’influenza ? Se il virus è così altamente contagioso come dicono, come mai la percentuale dei colpiti non è più alta ?
- come mai il vaccino antinfluenzale, che è specificamente mirato al virus dell’influenza non funziona come dovrebbe ? Se il vaccino aumenta l’immunità, come mai gli studi epidemiologici non mostrano che l’aumento delle vaccinazioni stanno portando ad una riduzione dei malati?
- come mai, nonostante le vaccinazioni, in Gran Bretagna le modalità epidemiche sono rimaste immutate negli ultimi quattro secoli ?
- come mai negli ultimi 20 anni la mortalità tra gli anziani, i più colpiti tra la popolazione, non è diminuita nonostante la vaccinazione ?

Il fatto è che i fondamentali aspetti che governano l’epidemiologia del virus influenzale sono sconosciuti e controversi. Nessuno sa esattamente quale siano le forze che influenzano la comparsa e la scomparsa del virus tra la popolazione. I ricercatori fanno notare come anche la comparsa, la disseminazione e la trasmissione siano diverse da luogo a luogo e non seguano affatto il tradizionale comportamento di una epidemia virale. Inoltre, è generalmente accettato, e in questo periodo urlato ai quattro venti, che il virus influenzale sia altamente contagioso, ma questa affermazione non è supportata da alcun serio studio scientifico.

L'intervallo seriale

La teoria che spiega la trasmissione di un agente infettante tra un malato e un sano si basa su di una misurazione diretta e precisa dell’intervallo seriale tra primo caso e i casi seguenti (tempo tra i casi successivi nella catena di trasmissione), ampiamente dimostrata per altre malattie contagiose. Nelle famiglie, dove il virus infetta uno dei componenti un intervallo seriale dovrebbe facilmente dimostrare che il virus sta in effetti propagandosi da individuo ad individuo. Per quanto riguarda l’influenza, mentre il periodo di incubazione è ben noto, l’intervallo seriale è sconosciuto. Sono state studiate decine di famiglie e in nessuna la comparsa di nuovi infetti mostrava un picco che avesse il medesimo intervallo. Addirittura in alcuni casi, due componenti della stessa famiglia si ammalavano in modo contemporaneo.

Il ruolo della vitamina D

Secondo il modello di uno scienziato, il Dr Hope-Simpson, uno “stimolo stagionale” non ben identificato fortemente legato alle radiazioni solari controlla la stagionalità del virus dell’influenza e altri comportamenti anomali che caratterizzano la sua diffusione. Recenti studi suggeriscono che lo “stimolo stagionale” potrebbe essere uno squilibrio stagionale del sistema antimicrobico peptidico (AMPs) che è fondamentale per l’immunità innata. Squilibrio causato dalle forti fluttuazioni dei livelli corporei di vitamina D. Per altro, recenti scoperte pubblicate su Science News suggeriscono che la vitamina D sia di fatto una “vitamina antibiotica”, grazie proprio alla sua spiccata attività sull’immunità innata.  Rispetto all’immunità adattativa, l’immunità innata fa parte di quelle difese del nostro organismo legate strettamente alla risposta verso microrganismi e che si basa su effettori geneticamente determinati e che si attivano dopo l’incontro con i microbi. Il ruolo cruciale della vitamina D nella risposta innata immunitaria è stata scoperto solo recentemente .

Siccome gli esseri umani ottengono la gran parte della vitamina D dall’esposizione al sole e non dalla dieta è possibile che una quota della popolazione sia perennemente carente di vitamina D, sebbene questo accada più frequente nella stagione invernale, nelle latitudini più vicine ai poli, nell’età avanzata, negli obesi, nei soggetti che non si espongono al sole e nei soggetti di pelle scura. Anche all’equatore e nei periodi estivi sono stati trovati bambini carenti di vitamina D, perché non sufficientemente esposti ai raggi solari. Inoltre, recenti studi mostrano che le malattie delle basse vie respiratorie sono più frequenti, spesso in modo grave, nelle persone che hanno bassi livelli di vitamina D. Al di là poi dell’effetto sul sistema immunitario, la vitamina D ha molte altre importantissime funzioni e regola almeno 1000 geni umani. Infine, è stato dimostrato che 2000 UI di vitamina D al giorno elimina la stagionalità e l’incidenza dell’influenza.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

LEGGI ANCHE: Sistema immunitario debole e malattie associate alla carenza di Vitamina D: ecco i principali segnali

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I semi di zucca, popolarmente conosciuti con il nome spagnolo di ‘Pepita’, sono commestibili semi bianchi. Spesso vengono utilizzati per la produzione di olio, ma possono anche essere consumati come spuntino sia crudi che leggermente tostati. Possono essere utilizzati anche in vari piatti di carne, insalate. Come molti semi di ortaggi, i semi di zucca sono rinomati per i loro benefici per la salute. Infatti, il valore nutrizionale di questi semi supera di gran lunga la sua ridotta dimensione. Diamo un’occhiata a questi benefici.

I benefici dei semi di zucca  

Ricchi di antiossidanti - I semi di zucca sono ricchi di antiossidanti come la vitamina E, delta-tocoferolo, gamma-tocomonoenol, zinco, manganese, cumarico, caffeico, vanillico, e lignani. A differenza di molti altri alimenti, che sono noti per avere solo uno o due tipi di antiossidanti, i semi di zucca hanno più di 5 tipi di antiossidanti che lavorano insieme per la salute del corpo, così come per la protezione dai radicali liberi.
Prevengono l’osteoporosi - I semi di zucca sono ricchi di zinco, un minerale importante che custodisce il corpo contro l’osteoporosi, una condizione in cui le ossa diventano particolarmente vulnerabili alle fratture. Dal momento che l’osteoporosi è una condizione che colpisce quasi tutti a causa dell’ età, consumare i semi di zucca è un ottimo modo per evitare la degenerazione ossea.
Sono ricchi di magnesio - Solo mezza tazza di semi di zucca fornisce circa il 95% del fabbisogno giornaliero di magnesio. Molte persone non ottengono il dosaggio raccomandato di magnesio nella loro dieta quotidiana, dal momento che la maggior parte dei cibi tradizionali hanno bassi livelli di magnesio. I semi di zucca possono modificare tale carenza.
Riducono il colesterolo - I semi di zucca contengono alti livelli di fitosteroli, un composto che ha dimostrato di ridurre i livelli di colesterolo LDL nel corpo, favorendo in tal modo la salute del cuore..
Ottimi per la prostata - Una dieta ricca di semi di zucca ci aiuta ad evitare il cancro alla prostata, uno dei più comuni tipi di cancro nel mondo di oggi, dal momento che gli acidi grassi presenti nella zucca hanno la capacità di ridurre le dimensioni della prostata e prevenire i tumori. Dal momento che il cancro alla prostata si sviluppa di solito dopo i 50 anni, gli uomini più giovani, in particolare, hanno buone ragioni per mangiare più semi di zucca.
Ad alto contenuto di proteine ?? 100 grammi di semi di zucca contengono un enorme 27 grammi di proteine, una quantità alta in maniera impressionante. Si prega di tenere presente, tuttavia, che 100 grammi di semi di zucca contengono anche un considerevole 570 calorie (che può essere un vantaggio o uno svantaggio a seconda della persona e dei suoi livelli di attività).
Ottima l’integrazione nella dieta di semi zucca

La maggior parte delle persone consuma semi di zucca tostati, tuttavia è necessario sapere che la tostatura può distruggere molti degli antiossidanti, minerali e vitamine che si trovano nei semi.
Pertanto, si consiglia di mangiare semi di zucca crudi.

Fonte: Medi Magazine 

Di solito l'infiammazione è intesa come un processo acuto, di breve durata e che spesso si risolve spontaneamente senza lasciare importanti conseguenze. Tuttavia l'infiammazione può anche essere meno evidente, assumere un andamento cronico, subdolo, e rappresentare uno delle cause principali di molte patologie degenerative o di un invecchiamento precoce. Infatti, secondo i più recenti studi, almeno sette delle dieci principali cause di morte sono dovute ad uno stato di infiammazione cronica di basso livello (chronic low-level inflammation): infarto, cancro, bronchiti croniche, ictus, Alzheimer, diabete e nefrite.

Mitocondri e infiammazione

I mitocondri sono organelli cellulari deputati alla produzione di energia, sotto forma di ATP. Infatti negli organismi pluricellulari, l'attività vitale dipende da una efficiente funzione mitocondriale. Tuttavia durante la “respirazione” mitocondriale vengono prodotti una serie di radicali liberi che contribuiscono all'infiammazione. Con l'età si diventa sempre più sensibili agli effetti di questi radicali e questo è dovuto al progressivo malfunzionamento dei mitocondri. Fattori di rischio: 

Età – nei giovani i prodotti dell'infiammazione, come ad esempio le citochine, aumentano normalmente solo in risposta alle infezioni o ai traumi. Negli anziani invece questi prodotti possono essere costantemente elevati, soprattutto le IL-6 e il TNF-alfa. Ciò può essere riscontrato anche negli adulti apparentemente sani. Questo quadro pare sia legato ad un danno cumulativo dei mitocondri. 

Obesità – il tessuto grasso è un organo endocrino, che accumula e secerne numerosi ormoni e citochine, influenzando il metabolismo di tutto l'organismo. Per esempio, le cellule adipose producono sia il TNF-a che la IL-6 e il grasso viscerale (addominale) è in grado di produrre queste citochine a livelli tali da provocare una forte risposta infiammatoria. In particolare, le cellule adipose addominali possono produrre tre volte la quantità di IL-6 rispetto ad una normale cellula adiposa del corpo e addirittura in alcuni soggetti obesi la produzione di questa citochina può raggiunge il 35% di quella prodotta in tutto il corpo. Inoltre il tessuto grasso può essere infiltrato dai macrofagi, anch'essi produttori di citochine pro-infiammatorie. 

Dieta – alcuni studi, ma non tutti, hanno mostrato una significativa associazione tra una dieta ricca di grassi idrogenati e alti livelli di marker dell'infiammazione (IL-6, TNF-a, IL-8, PCR), soprattutto nel caso di soggetti obesi. L'alimentazione moderna, spesso eccessiva e soprattutto ricca di alimenti processati e devitalizzati è certamente uno dei fattori che più contribuisce al mantenimento di uno stato sub-infiammatorio cronico dell'organismo. Inoltre, alcuni studi mostrano che la restrizione calorica e una dieta frugale riducono sensibilmente i livelli di fattori dell'infiammazione. 

Ormoni sessuali – tra le loro numerose funzioni, gli ormoni sessuali hanno anche quella di modulare la risposta immunologica/infiammatoria. Le cellule mediatrici dell'infiammazione (come i neutrofili e i macrofagi) hanno dei recettori per gli estrogeni e gli androgeni e quindi la loro funzione viene influenzata dai livelli circolanti di ormoni sessuali. Un esempio sono gli osteoclasti, responsabili del rinnovamento del tessuto osseo (demoliscono le ossa). Gli estrogeni riducono l'attività di queste cellule, ma con la menopausa questa attività inibitoria viene meno e qusto accelera la perdita ossea. Studi in vitro hanno mostrato che il testosterone e gli estrogeni sono in grado di reprimere la secrezione di diversi fattori dell'infiammazione, tra cui IL-1ß, IL-6, TNF-a, NF-kß). Livelli bassi di testosterone negli uomini anziani e di estrogeni nelle donne in menopausa sono associati ad alti livelli di fattori infiammatori (IL-1ß, IL-6, TNF-a). Al contrario, livelli ottimali di ormoni sessuali sono associati ad una riduzione del rischio di patologie “infiammatorie”, come l'aterosclerosi, l'asma nelle donne e l'artrite reumatoide negli uomini.

Fumo di sigaretta – contiene diversi induttori dell'infiammazione, soprattutto radicali liberi. L'abitudine al fumo aumenta la produzione di diverse citochine pro-infiammatorie (TNF-a, IL-1ß, IL-6, IL-8) e allo stesso tempo riduce le molecole antinfiammatorie. 

Disturbi del sonno - la produzione di citochine pro-infiammatorie segue il ritmo circadiano e potrebbe essere coinvolta nel ritmo sonno-veglia, sia negli animali che nell'uomo. Un'eccessiva sonnolenza diurna, la narcolessia e l'apnea notturna sono tutte condizioni associate ad livelli aumentati di TNF-a e IL-6. 

Stress – sia emotivo che fisico è in grado di aumentare il rilascio di citochine pro-infiammatorie (IL-6). Inoltre, lo stress è spesso accompagnato da un aumento di peso (dovuto all'aumento del cortisolo) ed entrambe le condizioni sono due fattori di rischio per l'infiammazione cronica. 

Eccesso di zucchero – quando lo zucchero è utilizzato adeguatamente, allora le nostre cellule producono energia in modo efficiente, se invece la sensibilità all'insulina diminuisce, l'eccesso di glucosio si accumula nel sangue (iperglicemia). Troppo zucchero nel sangue da una parte costituisce una forma di “combustibile” e foraggia oltremodo i processi di infiammazione cronici e dall'altra reagisce con le proteine dei tessuti causando danni da glicazione. Diete relativamente ricche di alimenti con alto Indice Glicemico e Carico Glicemico sono state associate ad un aumentato rischio di ictus, malattie cardiovascolari e diabete di tipo II, soprattutto negli individui obesi. Infine, lo zucchero in eccesso si trasforma in trigliceridi che vengono poi immagazzinati come grasso che, come abbiamo visto, aumenta i prodotti dell'infiammazione.

Integratori e nutrienti

Magnesio – alcuni studi hanno mostrato che maggiori sono le assunzioni di magnesio e più bassi sono i livelli di PCR-altamente sensibile, IL-6 e TNF- a recettori (un indice di attività di TNF-a). In altri studi, le maggiori assunzioni di magnesio sono state associate ai più bassi livelli di omocisteina e fibrinogeno, due proteine infiammatorie. Tra 42 nutrienti testati per la loro capacità di ridurre la PCR, il magnesio si è classificato al primo posto.

Vitamina D – la vitamina D sembra esercitare la sua azione antinfiammatoria attraverso la soppressione dell'attività delle prostaglandine e l'inibizione del mediatore dell'infiammazione NF-kß. Diversi studi mostrano che la carenza, oggi molto diffusa, della vitamina D può favorire l'infiammazione, tra cui l'artrite reumatoide, Crohn, rettocolite ulcerosa, lupus e diabete. Per altro, bassi livelli di questa vitamina sono più frequenti nelle fasce della popolazione più inclini all'infiammazione cronica, come quella degli obesi e degli anziani. Bassi livelli di vitamina D associati a ad alti titoli di PCR sono stati riscontrati in 548 pazienti con insufficienza cardiaca. Infine, bassi livelli di questa vitamina associati ad alti livelli di mediatori dell'infiammazione (IL-6, NF-kß) sono stati riscontrati in un gruppo di uomini di mezza età con patologie endoteliali.

Vitamina E – è un potente antiossidante. Viene incorporata nelle LDL e protegge queste particelle dai danni ossidativi. Pare che abbia anche un'ottima azione anti-aterosclerotica. Come integratore, il migliore effetto antinfiammatorio si ottiene combinando il gamma-tocoferolo con l'alfa-tocoferolo. In alcuni studi, questa combinazione, paragonata al placebo, ha soppresso efficacemente la PCR e il TNA-a .

Zinco e Selenio – Zinco e Selenio sono contenuti nel SOD (Super-Ossido-Dismutasi) e nel Glutatione, due potenti antiossidanti che inibiscono direttamente l'attività dell' NF-kß e prevengono la produzione di diversi enzimi e citochine pro-infiammatorie. Lo zinco inibisce l'NF-kß anche in modo diretto. La supplementazione di zinco riduce la tendenza infiammatoria nei bambini e negli anziani, come dimostrano diversi studi. Anche la carenza di selenio è comune negli stati cronici infiammatori.

Resveratrolo e Pterostilbene – il resveratrolo è in grado di inibire parecchi mediatori dell'infiammazione (ciclossigenasi, TNF-a, IL-1ß, NF-kß), sia in vitro che in vivo. In modelli animali di cancro, infarto, pancreatite e infiammazione intestinale, il resveratrolo ha mostrato notevoli effetti protettivi. Assunto con un pasto grasso e ricco di carboidrati, il resveratrolo (100mg) è stato in grado di prevenire il modesto aumento di mediatori dell'infiammazione che si verifica dopo mangiato. I pterostilbene ha mostrato un'attività molto simile al composto precedente.

Curcumina – numerosi studi in vitro e su modelli patologici animali (aterosclerosi, artrite, diabete, patologie epatiche, gastrointestinali, cancro, ecc) hanno mostrato la notevole azione antinfiammatoria di questa sostanza contenuta nella curcuma. Anche nei pochi studi sull'uomo, la curcumina ha confermato la sua azione antinfiammatoria in varie condizioni, come la psoriasi, colon irritabile, artrite reumatoide, congiuntiviti.

Polifenoli del tè – l'azione antinfiammatoria dei polifenoli del tè, verde e nero, è stata ampiamente dimostrata da decine di studi in vitro e su animali. Le epigallo catechine gallate e la teaflavina esercitano la loro azione antinfiammatoria inibendo l'azione di numerosi mediatori biochimici, tra cui anche l'istamina. Nei trial clinici, il tè nero si è dimostrato più efficace del tè verde nel ridurre i mediatori dell'infiammazione. Particolarmente interessante è l'effetto sulla PCR, che si riduce sensibilmente fino ad uno stupefacente 50% nel caso di quei soggetti con i più alti valori.

Carotenoidi – nel Women Health and Aging Study le donne con i livelli ematici più elevati di betacarotene e di carotenoidi totali mostravano i più bassi livelli di IL-6. Le pazienti con i livelli più bassi di alfa e beta carotene, luteina/zexantina e carotenoidi totali mostravano una maggiore tendenza ad alti valori di IL-6.

EPA/DHA (omega-3) – l'olio di pesce è la migliore fonte di omega-3. L'EPA e il DHA sono prodotti dal nostro organismo in modo molto limitato e una buona assunzione con la dieta o sotto forma di integratori è di fondamentale importanza. Hanno una provata azione antinfiammatoria in grado di prevenire o migliorare le patologie cardiovascolari, l'asma, l'artrite reumatoide e le malattie infiammatorie intestinale. Una buona integrazione di omega-3 di pesce è in grado di abbassare significativamente gli indici di attività del TNF-a . Lo studio ATTICA, condotto su oltre 3000 greci cittadini greci di ambo i sessi non affetti da patologie cardiovascolari, ha mostrato che il consumo di 300 etti di pesce a settimana riduceva in media del 33% la PCR e la IL-6 e del 21% il TNF-a .

N-acetil cisteina (NAC) – la via biochimica del NF-kß gioca un ruolo centrale nell'attivazione dei geni che esprimono le citochine infiammatorie. Il NAC è in grado di inibire l'NF-kß in vitro e quindi di ridurre le interleuchine IL-6 e IL-8. Dati sull'uomo sono promettenti, ma ancora molto limitati. La somministrazione di NAC per 8 settimane ha ridotto in modo modesto ma significativo i livelli di IL-6 nel sangue nei pazienti con affezioni croniche dei reni. In un piccolo studio, il NAC è stato in grado di ridurre gli indici di infiammazione sistemica nei pazienti ustionati.

Boswellia, Boswellia serrata – è una pianta utilizzata tradizionalmente nella Medicina Ayurvedica. Possiede proprietà antinfiammatorie: inibizione della 5-LOX e riduzione della produzione dei leucotrieni pro-infiammatori. L'azione farmacologica è attribuita soprattutto agli acidi boswellici. Nelle culture cellulari è in grado di inibire la produzione del TNF- a e IL-1ß. Alcuni, seppur piccoli, studi randomizzati condotti sull'uomo hanno prodotto risultati molto incoraggianti nell'artrosi e nell'asma. Risultati discordanti si sono ottenuti nel caso delle patologie infiammatorie intestinali (Crohn e rettocolite ulcerosa).

Lignani del sesamo – i semi di sesamo , e più precisamente il suo olio, contengono interessanti sostanze antinfiammatorie, i lignani (sesamina, sesamolina, sesaminolo). Diversi studi in vitro e in vivo hanno mostrato che i lignani possono inibire la produzione diversi fattori pro-infiammatori (prostaglandine, trombossani, leucotrieni). Nell'uomo, 5 settimane di integrazione con sesamina (39mg/die) ha ridotto del 30% la concentrazione di un mediatore della vasocostrizione (20-HETE). Anche altri studi hanno messo in evidenza la notevole azione ipotensiva dei lignani.

Bromelina – è un enzima ad azione proteolitica e antinfiammatoria derivato dal gambo di ananas. Riduce l'attività del COX-2, la sintesi delle prostaglandine e del trombossano, riduce i livelli di fibrinogeno circolanti e la adesione delle cellule pro-infiammatorie ai siti infiammatori. Gli studi sull'uomo hanno dato promettenti risultati. Nell'artrosi infiammata dell'anca e del ginocchio si è dimostrata efficace quanto il diclofenac (Voltaren®). I generale, è un ottimo sostituto degli antinfiammatori non steroidei nel caso di infiammazione articolare su base artrosica.

Coenzima Q10 (CoQ10) e pirroloquinolina chinone (PQQ) – sono due potenti protettori mitocondriali e inoltre possiedono documentate proprietà antinfiammatorie. Il PQQ è un co-fattore degli enzimi coinvolti nella omeostasi energetica e nell'equilibro redox. Ha un'azione protettiva nel caso di stress mitocondriale e aumentato carico ossidativo. Negli animali è capace di ridurre i trigliceridi e migliorare l'ossigenazione del tessuto cardiaco, in condizioni sperimentali avverse per la funzione cardiaca. Il CoQ10 è un indispensabile componente nella produzione di energia (ATP) da parte del mitocondrio. Gli studi mostrano che in condizioni di infiammazione acuta e cronica i livelli di Q10 sono bassi. E' capace di modulare l'espressione di diverse centinaia di geni coinvolti nella risposta infiammatoria. In particolare, in un esperimento ha ridotto del 25% la produzione di TNF-a .

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi 

Il ritorno a ritmi di allenamenti più intensi potrebbe trovare un alleato nello zenzero. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Pain, la radice della pianta nota da secoli alla medicina naturale come lenitivo per crampi addominali e nausea, avrebbe un altro positivo “effetto collaterale” sui muscoli, alleviando fatica e risentimenti anche di grande entità.

Lo hanno sperimentato i ricercatori del Georgia State University su un gruppo di 74 adulti sani sottoposti a dure sessioni di esercizi fisico per undici giorni. Il gruppo è stato diviso i due: chi ha assunto lo zenzero crudo o cotto in supplementi quotidiani di 2 grammi e chi ha ricevuto solo un placebo. Lo zenzero, in entrambe le formulazioni, ha ridotto il dolore muscolare in media del 24%.
“Il consumo quotidiano comporta una riduzione dei dolori acuti dopo attività che possono provocare traumi muscolari”, spiega Christopher D. Black, responsabile del Dipartimento di Kinesiologia dell’università americana. La ricerca ha escluso che il trattamento termico della radice di zenzero possa potenziarne gli effetti, come ipotizzato in altri studi. Le indagini delle proprietà anti-dolore della radice vanno avanti: dopo le proprietà lenitive per lo stomaco e per l’apparato muscolare, infatti, i ricercatori sono intenzionati a valutare l’efficacia come antinfiammatorio generale.

Fonte: Il Sole 24Ore

Le melanzane non sono popolari quanto altre verdure come patate, pomodori e lattuga, ma sono ricche di vitamine e minerali, quindi un bene per la salute. I nutrienti presenti nel melanzane possono anche aiutare a prevenire problemi come il cancro. Secondo il blogger / nutrizionista Tracy Vandermark dal Nyack College, le persone dovrebbero includere le melanzane nella loro dieta quotidiana, perché sono una buona fonte di nasunin, acido clorogenico, fibre, vitamine e minerali. Di seguito i 3 principali benefici per la salute, delle melanzane.

Alto contenuto di Nasunin

L’antiossidante, nasunin, si trova nella pelle di melanzane. Uno studio del 2005, riporta che il nasunin ha proprietà anti-angiogeniche. Secondo gli esperti, le cellule tumorali possono acquisire capacità angiogenesi per sviluppare un mezzo per aumentare la propria fornitura di sangue. La capacità di angiogenesi delle cellule tumorali causa la loro rapida crescita. Le proprietà antiangiogenica di nasunin impediscono che l’ angiogenesi si verifichi, impedendo ai tumori di crescere e prevenendo lo sviluppo della condizione .

Alto contenuto di acido clorogenico

Le melanzane sono anche ricche di acido clorogenico, un composto noto per le sue forti proprietà antiossidanti. Secondo i ricercatori del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, l’acido clorogenico è l’antiossidante dominante delle melanzane. L’acido clorogenico abbassa il colesterolo LDL (colesterolo “cattivo”) e combatte i radicali liberi che causano il cancro. Ha anche proprietà antimutagene che proteggono le cellule e prevengono le mutazioni che portano allo sviluppo di cellule cancerose. Inoltre, gli esperti ritengono che l’acido clorogenico ha proprietà antivirali che possono aiutare a curare e prevenire le malattie cause da virus.

Ricche di vitamine, minerali e fibra alimentare

La melanzana contiene molte vitamine, ma le sue vitamine dominanti sono la vitamina C, acido folico, vitamine del gruppo B e vitamina A. Queste vitamine migliorano la salute generale del corpo, rafforzano il sistema immunitario e migliorano la resistenza a diverse malattie. La melanzana contiene inoltre una grande quantità di minerali come fosforo, calcio, magnesio e potassio. Questi minerali aiutano a prevenire i problemi di salute come l’artrite, l’osteoporosi e le malattie cardiache. E’ anche una grande fonte di fibra alimentare. La fibra alimentare protegge contro il cancro al colon e mantiene la corretta funzione del sistema digerente.

Vandermark raccomanda a tutti di includere le melanzane nelle diete perchè forniscono molti benefici per la salute che non possono essere forniti da altre verdure. Per esempio, nasunin si trova solo nelle melanzane e non può essere acquisito da altre verdure. Le melanzane sono a basso contenuto di carboidrati e calorie e non contengono grassi. Possano essere facilmente incluse nella dieta quotidiana, senza la paura di aumentare di peso.

Fonte: Medi Magazine

L'artrosi è la forma più comune di affezione reumatica. E' caratterizzata dalla progressiva perdita delle cartilagini delle articolazioni ed è legata all'età, all'obesità, a precedenti traumi ed è più frequente nelle donne. Ricercatori dell' Ankara Physical Medicine and Rehabilitation Training and Research Hospital hanno di recente pubblicato uno studio dove risulta evidente il legame tra i livelli di vitamina D3 e il rischio di sviluppare l'artrosi.

Un adeguato apporto di vitamina D è necessario per un rinnovamento ottimale della cartilagine e precedenti ricerche epidemiologiche hanno mostrato che bassi livelli di vitamina D sono associati all'artrosi delle ginocchia (gonartrosi). Anche bassi livelli delle altre vitamine liposolubili (A, E, K) sono associati ad un maggiore rischio di artrosi. Per queste ragioni, i ricercatori turchi hanno deciso di approfondire ulteriormente il legame vitamina D/artrosi. Hanno reclutato 80 donne tra i 20 e i 45 anni di età che non presentavano dolori o problemi alle ginocchia. Le donne sono state divise in tre gruppi sulla base dei loro valori di vitamina D:
<10 ng/mL
>10 ng/mL but < 20 ng/mL
>20 ng/mL

Poi è stato misurato lo spessore delle cartilagini delle ginocchia tramite un ecografo. Nel gruppo <10ng/mL la cartilagine era più sottile in tutti i punti misurati rispetto a quella degli altri gruppi di donne. Questa è quindi un'ulteriore conferma che bassi livelli di vitamina D possono essere associati ad un maggiore rischio di artrosi. Inoltre, uno studio indiano pubblicato lo scorso anno ha mostrato che l'integrazione di vitamina D è in grado di migliorare sensibilmente il dolore associato alla gonartrosi, confermando ancora una volta l'importanza della vitamina D nell'artrosi.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

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Fred A. Kummerow, ha 98 anni ed è professore emerito di bioscienze comparate all' Università dell'Illinois (USA). Ha speso una vita (oltre 60 anni) nello studio della biochimica dei grassi, cercando di spiegare la causa delle patologie cardiovascolari. Le sue ricerche contraddicono le attuali vedute sul ruolo del colesterolo alimentare. Secondo il Professore, a creare problemi non è il colesterolo per sé, ma è la sua ossidazione. Il Professore si è anche battuto strenuamente perché venissero banditi totalmente i grassi idrogenati dalla tavola dei consumatori.

Ecco in sintesi il pensiero del Professore:
1. I danni alle arterie sono dovuti ai grassi ossidati, prodotti con le alte temperature (soprattutto fritti) e provenienti da una dieta che dagli anni '50 è diventata sempre più ricca di oli vegetali, per lo più raffinati. “Maiali nutriti con una dieta priva di colesterolo sviluppano un quadro di aterosclerosi uguale a quella che si ritrova nei pazienti che sono morti di patologie cardiovascolari. Pertanto, il colesterolo alimentare non è una causa necessaria per la formazione dell'aterosclerosi nell'uomo. Questa nozione è stata alla base dei miei studi negli ultimi 33 anni”.
2. “Il più importante contributo della mia carriera di ricercatore l'ho pubblicato online nel gennaio 2013 sulla rivista The American Journal of Cardiovascular Disease. In questo articolo espongo i risultati dei miei studi, ed in particolare spiego che alla base dell'aterosclerosi c'è la biochimica di 3 dei 5 fosfolipidi che si trovano nella membrana cellulare delle cellule delle arterie coronarie. I miei studi mostrano che i cibi fritti, il tuorlo in polvere, un eccesso di oli vegetali, i grassi idrogenati e il fumo di sigaretta sono le cause principali del rischio cardiovascolare. Cibi fritti e alimenti polverizzati sono una fonte di oxisteroli, che a loro volta alterano le membrane fosfolipidiche delle arterie in modo tale da favorire il deposito di calcio, un aspetto questo che caratterizza l'aterosclerosi. Un consumo eccessivo di oli e di grassi polinsaturi stimola la formazione di oxisteroli nel corpo umano. Il fumo di sigaretta e i grassi idrogenati interferiscono con il metabolismo dei grassi e portano all'interruzione del flusso di sangue, causa principale dell'attacco cardiaco e della morte improvvisa. Secondo me, molti di questi fattori sono stati largamente ignorati dalla medicina ufficiale, che ha preferito concentrarsi sui farmaci che abbassano il colesterolo. Spero che la mia recente pubblicazione possa fornire la chiave per delle indicazioni dietetiche più adeguate”.

3. “Le ricerche di Shah e Schulman dimostrano che la sfingomielina subisce una idrogenazione in presenza di acqua salata, simile al plasma umano, dandole una carica ionica che può interagire con il calcio. Nel mio laboratorio abbiamo dimostrato che i liposomi precitano facilmente in presenza di calcio quando sono arricchiti di sfingomielina. Nel complesso i miei studi mostrano che gli oxisteroli contribuiscono alla calcificazione delle arterie aumentando il contenuto di sfingomielina nelle membrane delle cellule delle arterie. Se le stesse cellule venivano incubate con colesterolo non ossidato il contenuto di sfingomielina non cambiava. Nel mio laboratorio abbiamo analizzato il plasma e il tessuto arterioso dei pazienti che hanno subito un bypass coronarico e li abbiamo confrontati con quelli di pazienti sani. I pazienti operati avevano concentrazioni più alte di sfingomielina nelle proprie arterie e livelli più alti di oxisteroli nel plasma. Lo stesso risultato lo abbiamo riscontrato nei maiali anziani, che avevano sviluppato l'aterosclerosi anche senza aver consumato colesterolo alimentare. Per verificare se davvero fossero gli oxisteroli a causare l'aterosclerosi, abbiamo incubato le cellule arteriose con gli oxisteroli. Abbiamo visto che gli oxisteroli aumentavano la sintesi di sfingomielina e così come la fissazione di calcio. L'aumento della sfingomielina precedeva l'accumulo di calcio e questo dimostra che a causare il processo aterosclerotico è l'aumento della sfingomielina. La cosa notevole è che nelle stesse cellule incubate con il colesterolo non ossidato, anche se a concentrazioni 20 volte superiori agli oxisteroli da noi usati, non si verificavano aumenti di sfingomielina. Questo dimostra che il coleserolo in sé non è la causa dell'aterosclerosi e che deve essere ossidato prima di dare problemi”.

5. "Non c'è stato nessun fondamentale avanzamento nelle conoscenze sulla patologia coronarica rispetto a quanto stabilito nel meeting di Cliveland del 1955, dove furono invitati 103 esperti sulla chimica dei grassi. In questo meeting fu decretato che la causa dello sviluppo dell'aterosclerosi sono gli alti livelli di colesterolo nel plasma. Nel 1961 da parte della American Heart Association fu quindi stabilita la prassi di valutare i livelli sanguigni del colesterolo (LDL, HDL, ecc.). Sulla base dell'idea errata che il colesterolo fosse la principale causa dell'aterosclerosi, le aziende farmaceutiche hanno poi sviluppato tutta una serie di farmaci per abbassare il colesterolo nei pazienti con dislipidemia. (…) Le vendite delle statine si sono triplicate quando la National Cholesterol Education Program ha rivisto le linee guida per il trattamento dei valori del colesterolemia addirittura proponendo le statine come mezzo preventivo per numerose malattie cardiovascolari. A supporto di queste decisioni sono stati citati diversi trial che mostrano gli effetti profilattici di questi farmaci sulla occlusione delle statine, ma in un articolo comparso su The Lancet si afferma che << nessuno di questi studi fornisce questa prova>>". Secondo il Prof Kummerow, le più recenti ricerche fanno pensare che il rischio cardiovascolare sia dato da più fattori e non da uno solo, il colesterolo, come ancora molti si ostinano a credere per ignoranza o per interessi. Si tratta di tre fondamentali fattori: ereditari, ambientali (tra cui anche la dieta) e infettivi. “ Io credo che il recente interesse della gente per una alimentazione bilanciata a base di tanta frutta e verdura, latticini e carne, e pochissimi alimenti processati dall'industria alimentare posss portare dei grandi benefici al benessere del cuore”.

6. Sui pericoli dei grassi idrogenati, il Prof. Kummerow aveva per primo pubblicato un articolo già nel lontano 1957, sulla rivista Science, dove riferisce della notevole presenza di grassi idrogenati nei tessuti dei pazienti morti per infarto. “C'è un rapporto diretto tra i grassi idrogenati assunti con la dieta e i depositi di questi stessi grassi nei tessuti dell'uomo e dei topi da laboratorio. In presenza di grassi idrogenati, una quantità inferiore di acido linoleico viene convertito in acido arachidonico e quindi meno acido arachidonico è convertito nelle prostacicline. Questo porta ad una interruzione del flusso di sangue che poi contribuisce all'infarto”.
Se si esclude la minima quota di acidi grassi idrogenati che si trova naturalmente in alcuni cibi, la maggior parte dei grassi idrogenati ingeriti oggi dalla gente proviene dai prodotti dell'industria alimentare, ma non solo, considerato che anche molta della pasticceria e prodotti da forno venduti da panettieri e pasticcerie potrebbero contenerne: dalla brioche della mattina alla torta del compleanno! “Secondo la Trans Fat Task Force, fino al 45% dei grassi totali di questi prodotti alimentari contiene grassi parzialmente idrogenati derivati da olio di soia. Ecco perché dobbiamo lavorare affinché questi grassi siano tolti dalla dieta; i consumatori non sono consapevoli di quanti grassi idrogenati ci sono nella loro dieta”.

7. "Per la prima volta il colesterolo fu indicato quale causa dell'infarto nel 1955 e l' “ipotesi colesterolo” fu riaffermata in occasione dell' “audizione sulle uova” della Federal Trade Commission nel 1975. In quell'occasione, e più precisamente nel giugno di quell'anno, io e il Dr M. DeBakey sostenemmo che le uova rappresentassero una buona fonte di nutrienti e che il colesterolo fosse un componente necessario per le funzioni dell'organismo. Inoltre, io dissi anche che non sapevo quali fossero le reali cause dell'infarto. Solo dopo alcuni anni, leggendo la pubblicazione dell'intera audizioni, mi resi conto che il mese prima della nostra deposizione, il Dr Cooper, capo della National Institutes of Health, (NIH), nella sua audizione, aveva affermato che le uova contenevano il colesterolo, che il colesterolo causava l'infarto e quindi la gente doveva smettere di mangiare le uova. Rileggendo le dichiarazioni finali della Federal Trade Commission è evidente che solo due persone avevano dichiarato che il colesterolo non era la causa delle malattie cardiovascolari. Tutti gli altri (il capo della NIH e altri famosi medici) avevano affermato il contrario”. “Le ricerche condotte nel mio laboratorio, come ho detto prima, dimostrano che il colesterolo non è un problema se non quando è ossidato. Anche Ancel Keys, che viene considerato il padre della teoria colesterolo-infarto, ebbe a dire nel 1997: “Non c'è nessun legame tra il colesterolo nel cibo e il colesterolo nel sangue. (…) Il colesterolo della dieta non ha nessuna importanza, a meno che voi siate dei polli i dei conigli” (in rifermento al fatto che la maggior parte degli studi che vorrebbero dimostrare la pericolosità del colesterolo alimentare sia stata condotta su animali, spesso vegetariani).

8. Per le sue posizioni il Professor Kummerow è stato in passato pubblicamente accusato di eresia e gli è stata impedita la pubblicazione dei suoi lavori. “Ma io credo che nel tempo, le mie ricerche cambieranno il modo con cui oggi vediamo il colesterolo nella prevenzione e nel trattamento della malattie cardiovascolari”.

9. Per concludere, vediamo ora quali sono i consigli alimentari del 98enne Prof. Kummerow per la prevenzione della malattie cardiovascolari:
“Questo è quello che abitualmente mangio:
Colazione – uova strapazzate, cereali integrali cotti, porridge, con diversi tipi di frutta, tra cui la banana e quella con la buccia colorata, assieme al latte intero, qualche noce, pecan o mandorle, e poi uno yogurt bianco. Il tutto accompagnato con un altro bicchiere di latte intero. Mangio un uovo perché contiene tutti gli amminoacidi richiesti per la sintesi delle apoproteine, che poi trasportano nel sangue i grassi come lipoproteine.
Pranzo - carne o pesce al forno o alla piastra, patate, della verdura fresca o surgelata, un'insalata con olio di oliva e succo di limone. Poi frutta e un bicchiere di latte intero.
Cena – qualche volta verdure o una zuppa vegetale, un pezzo di pane di farina integrale con del formaggio. Frutta e un bicchiere di latte intero.
In generale, il mio migliore consiglio è di avere una dieta bilanciata con diverse fonti proteiche ogni giorno, e di evitare i grassi idrogenati e i soft drinks".

Hai capito il Professore, una dieta tutt'altro che politicamente corretta. Sette uova e forse più a settimana e tanti grassi da fonti animali. Altro che latte scremato e massimo due uova a settimana, come ancora sentenziano certi soloni della dietologia moderna.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

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