Del tutto insufficiente. Oggetto della contestazione: la dose giornaliera di vitamina C raccomandata dall’OMS. Infatti, la quantità consigliata come dose minima per il mantenimento di un buono stato di salute, ovvero 45 milligrammi, sembrerebbe totalmente inadeguata. Un errore per difetto dimostrato dalla clamorosa scoperta di un gruppo di ricercatori dell’Università di Washington che grazie a loro studio hanno fatto emergere il clamoroso errore. Secondo quanto dimostrato nell'indagine, la dose di acido ascorbico funzionale al benessere è più del doppio di quella suggerita, cioè di almeno 95 mg. Nell’indagine gli scienziati hanno rianalizzato un esperimento che dal 1944 dall’Istituto Scorby di Sheffield, nel Regno Unito, non è mai più stato messo in discussione dalle successive scoperte scientifiche. All’epoca, i ricercatori non erano affatto interessati a definire le dosi minime di nutrienti essenziali come la vitamina C, ma erano più interessati a stabilire le quantità minime di alimenti da assegnare agli equipaggi delle navi per evitare che insorgesse lo scorbuto, malattia provocata appunto da livelli carenza di acido ascorbico e di altri nutrienti. Nell’esperimento erano stati reclutati 20 volontari tra gli obiettori di coscienza assegnati allo stesso istituto e li avevano fatti salpare su una nave dove sarebbero rimasti per mesi.
Il protocollo prevedeva che il gruppo fosse suddiviso in tre sottogruppi, ciascuno sottoposto a un diverso trattamento: 0, 10 o 70 milligrammi di vitamina C al giorno, da assumere fino a quando non si fossero visti segni chiari di malattia o comunque non fosse stato possibile evidenziare i primi segni di scorbuto, ovvero il sanguinamento gengivale e la difficoltà di cicatrizzazione. Inoltre, per monitorarne i tempi e controllarne la guarigione, venivano inferte periodicamente ai partecipanti delle piccole ferite. Il cosiddetto “Esperimento del naufragio” era stato ideato con il contributo del futuro premio Nobel Hans Krebs. A distanza di nove mesi dall’inizio della sperimentazione, fu individuata la dose minima di vitamina C necessaria per evitare lo scorbuto. Nuovi calcoli poi, come riportato sull’American Journal of Clinical Nutrition, nuovi calcoli hanno dimostrato che l’assunzione di 10 mg/die, protratta per 11,5 mesi, è associata a una diminuzione della resistenza delle ferite del 42%. Condizione paragonata a quella in cui le cui cicatrici risultavano essere del 49% meno resistenti rispetto a quelle, uguali, inferte in soggetti cui era stata data sufficiente vitamina C. In sintesi, alla luce di quanto emerso sia nelle precedenti indagini che in quelle nuove, la quantità minima necessaria per mantenere un buono stato di salute dei tessuti è oltre il 100% più elevata rispetto a quella ancora oggi consigliata dall’Oms.
Inoltre, tra i risultati della rivisitazione dello studio compare anche un dato sulla difficoltà di ripristinare la normalità dopo uno stato carenziale. O meglio per recuperare appieno, non sono stati sufficienti le quantità aggiuntive somministrate per sei mesi ai partecipanti. Considerazione, tra l’altro che rende ancora più importante l’esatta conoscenza dei valori soglia ove calcolare e basare eventuali integrazioni. Difatti, l’acido ascorbico è responsabile in primis dell’integrità dei tessuti e proprio in virtù di questa funzione, una sua carenza si traduce, oltreché in un ritardo della cicatrizzazione, anche in lesioni e danni permanenti sia al tessuto connettivo che ai vasi. Questi ultimi, sono responsabili, a loro volta, anche di malattie cardiache e ictus. «L'esperimento sulla vitamina C è uno studio scioccante - sostiene Philippe Hujoel, autore principale di una nuova analisi dell'esperimento sulla vitamina C di Sorby, dentista praticante e professore di scienze della salute orale presso la UW School of Dentistry -. Hanno esaurito i livelli di vitamina C delle persone a lungo termine e hanno creato emergenze potenzialmente letali. Ora non volerebbe mai». Infatti, come già detto, l'obiettivo dei ricercatori Sorby non era quello di determinare l'assunzione di vitamina C necessaria per una salute ottimale, ma quello per l‘appunto di indagare i requisiti minimi di vitamina C per prevenire lo scorbuto. Mentre quello secondario era quello di sopperire a questa carenza.
VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici
La vitamina C è un elemento essenziale nella capacità del corpo di guarire le ferite perché la creazione di tessuto cicatriziale dipende dalla proteina del collagene e la produzione di collagene dipende dalla vitamina C. Oltre a ricucire la pelle, il collagene mantiene anche l'integrità del sangue pareti dei vasi, proteggendo così da ictus e malattie cardiache. Da ricordare ancora che, la vitamina C è caratterizzata da proprietà antiossidanti: aiuta a mantenere sane le cellule proteggendole dagli effetti dei radicali liberi prodotti durante la normale attività cellulare (metabolismo). Tra le sue diverse, ma comunque importanti funzioni: aiuta a mantenere la normale funzionalità dei vasi sanguigni, consente di mantenere la salute di denti e gengive, facilita l’assorbimento del ferro di origine vegetale, partecipa alla formazione, crescita e riparazione del tessuto osseo e connettivo, aiuta a mantenere sana la pelle, aiuta la cicatrizzazione delle ferite. L’importanza di questa vitamina idrosolubile anche sotto forma di integratore viene confermata da numerose ricerche scientifiche. Per contro stanchezza, debolezza, irritabilità, perdita di peso, dolori articolari e muscolari sono tra i sintomi più comuni di una dieta povera di questo prezioso nutriente. Da questa carenza poi si origina lo scorbuto, una malattia caratterizzata da apatia, anemia e inappetenza, sanguinamento delle gengive, caduta dei denti, dolori muscolari, emorragie sottocutanee e scarsa guarigione delle ferite.
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Per approfondimenti:
The American Journal of clinical nutrition "Vitamin C and scar strength: analysis of a historical trial and implications for collagen-related pathologies"
Libero "Vitamina C, "ecco la dose giornaliera consigliata": altro disastro dell'Oms, le conseguenze"
The University Library "Sorby Research Institute Collection"
Washington Edu "New analysis of landmark scurvy study leads to update on vitamin C needs"
Cambridge University "The Sheffield Experiment on the Vitamin C Requirement of HumanAdults"
Il fatto alimentare "Vitamina C: del tutto insufficiente la dose finora raccomandata dall’Oms"
Gazzetta Active "Vitamina C, sistema immunitario e non solo: ecco a cosa serve e dove si trova"
Il Giornale "Agrumi: proprietà e benefici del frutto dell'inverno"
Frontiers in Immunology “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19”
PubMed "Evolution and the need for ascorbic acid"
MDPI "Vitamin C and Immune Function"
Il Messaggero "Covid, influenza stagionale e coronavirus: come distinguere i sintomi in caso di febbre"
Centro meteo italiano "Coronavirus, influenza stagionale e raffreddore, come distinguerli: i sintomi e le caratteristiche"
Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"
Salute Prevenzione "Nella guerra contro i Virus la scienza si dimentica sempre del Sistema Immunitario"
Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"
Sapere "I sistemi di difesa dell'organismo"
Corriere del Mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"
Il fatto alimentare "Coronavirus: dieta e trattamenti terapeutici naturali proposti da docenti di medicina"
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Dannata insonnia! Non risparmia nessuno, neanche i giovanissimi. Assolti dal carico delle responsabilità perchè non è sempre e solo colpa delle cattive abitudini che spingono gli adolescenti a restare svegli fino all’alba. Secondo un recente studio, pubblicato su Jama Otolaryngology condotto su quasi 12 mila ragazzini tra i 9 e i 10 anni il 7% riferiva di dormire male per più di 3 notti a settimana a causa di problemi di russamento, a loro volta causa di apnee notturne che arrivano a influenzare le capacità cognitive. Stando ai postumi del lockdown i dati riportati da uno studio pubblicato sulla rivista Sleep Medicine, nell’ultimo anno, i disturbi del sonno sono aumentati del 25%. Umore, lucidità mentale, energie e performance: il sonno è indispensabile e quando scarseggia ne paghiamo tutti le conseguenze, a prescindere dall'età. Dalle notti passate a rotolarsi nel letto, ai risvegli all’insegna della stanchezza. E poi, la quantità non coincide quasi mai con la qualità, soprattutto in questo caso. Difatti, dormire non significa riposare bene, con un sonno costante e senza interruzioni. Proprio per questo, e ancor più, per il benessere del nostro organismo, l’importante e svegliarsi riposati, al mattino, e con la giusta energia per affrontare la giornata. «Non solo un disturbo di salute, ma contribuisce anche in modo indipendente al rischio di malattie infettive e infiammatorie inclusa la depressione, così come la mortalità […] Per le concentrazioni circolanti d’interleuchina (IL)-6, ad esempio, ci sono due picchi, alle ore 19,00 e di nuovo alle ore 5,00, e questi picchi sembrano essere guidati da processi circadiani» la definisce così l'insonnia, Adriano Panzironi nel libro “Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti”.
Il 65% dei bambini italiani sotto i 6 anni e il 71% di quelli più grandi hanno avuto, nell’ultimo anno, problemi comportamentali e sintomi come l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno, inquietudine e ansia da separazione. A sottolinearlo è stata un'indagine sull'impatto psicologico e comportamentale delle conseguenze del lockdown sui bambini e sugli adolescenti, presentata al Ministero della Salute e condotto dall'Irccs Giannina Gaslini di Genova su un campione di 3.245 famiglie con figli sotto i 18 anni a carico. Nei bambini e adolescenti (età 6-18 anni) i disturbi più frequenti hanno interessato la componente somatica (disturbi d’ansia e somatoformi come la sensazione di mancanza d’aria) e i disturbi del sonno (difficoltà di addormentamento e di risveglio per iniziare le lezioni per via telematica a casa). In particolare, in questa popolazione è stata osservata una significativa alterazione del ritmo del sonno con tendenza al ‘ritardo di fase’ (adolescenti che vanno a letto molto più tardi e non riescono a svegliarsi al mattino), come in una sorta di “jet lag” domestico. In questa popolazione di più grandi è stata inoltre riscontrata una aumentata instabilità emotiva con irritabilità e cambiamenti del tono dell’umore. Obiettivo: regolarizzare e facilitare la fasi del sonno. L’alleato migliore per contrastare insonnia e disturbi del sonno indubbiamente, e da sempre, la melatonina. Tra i rimedi naturali per il corretto riposo, una molecola naturale antichissima (la sua evoluzione risale a 3 miliardi di anni fa), prodotta dalla ghiandola pineale (epifisi), allocata nell’encefalo, a forma di pigna e presente in qualsiasi organismo animale o vegetale. La sua principale funzione è quella di regolare il ritmo circadiano, laddove l’alternarsi del giorno e della notte inducono variazioni dei parametri vitali. Deleterie, inoltre, per il nostro benessere psicofisico anche ansia e stress poiché influenzano negativamente l’energia mentale di ogni individuo oltre alla salute del corpo stesso.
La melatonina poi è anche un potente antiossidante con azione di pulizia nei confronti dei radicali liberi, (anche più efficace delle vitamine C, E e del Beta-carotene). Rafforza il sistema immunitario, innescando un processo inibitorio del cortisolo. «Risulta efficace contro i microbi, i virus e le cellule neoplastiche» precisa Adriano Panzironi. Alcuni ricercatori dell’Ospedale Oncologico di Milano hanno dimostrato l’attività inibitoria della melatonina, sulla crescita delle cellule tumorali del cancro alla prostata. All’Università di New Orleans è stata riscontrata un’azione inibitoria anche verso altri tipi di neoplasie, quali il cancro ai polmoni, all’utero ed alle mammelle. La melatonina, inoltre, prolungherebbe anche la sopravvivenza dei malati terminali (migliorando nel contempo la qualità della vita). Difatti da esperienze riportate dal professor Paolo Lissoni responsabile della divisione Oncologica dell’Ospedale di Monza, l’utilizzo della melatonina ha aumentato del 16% le regressioni tumorali (di solito incurabili) su tumori gastrointestinali, polmonari e nei mesoteliomi. «Somministrata durante la chemio e la radioterapia – continua Panzironi -, ha ridotto gli effetti collaterali, di solito devastanti. E, per dovere di cronaca, va detto che il professor Di Bella, per primo indagò sull’azione antitumorale della melatonina ed infatti la inserì nel suo protocollo di cura. La sua azione protettiva è rivolta alle membrane cellulari, alle lipoproteine Ldl (contro l’ossidazione), alle cellule dell’endotelio arterioso, ai neuroni celebrali (contro l’ischemia, dovuta a stress o alcool). Inoltre, è utilizzata per alleviare i disturbi dovuti al cambio di fuso orario (sindrome da jet lag) migliorando l’adattabilità dei propri ritmi biologici all’ora locale». Utilizzata anche per migliorare i sintomi della menopausa. Difatti, se associata al progesterone, inibisce l’ovulazione. Diversi studi hanno confermato che determinati livelli di melatonina, nel flusso sanguigno, soprattutto nelle ore notturne, diminuiscono le probabilità d’infarto. «Tale effetto è dovuto alla sua azione vasodilatatrice (contrasta i radicali liberi che inibiscono l’ossido nitrico) ed antiaggregante piastrinica».
Contribuisce alla riduzione di colesterolo, aumentando il metabolismo dei grassi.
La ricerca è interessante, ma i dati sulla qualità del sonno erano autoriferiti (nessun controllo sui ragazzi in un Centro di medicina del sonno per verificare il reale numero degli episodi di russamento e le apnee) e, una volta eliminati tutti i cosiddetti fattori “confondenti” - come, per esempio, l’ indice di massa corporea, livello educazionale e socio culturale dei genitori - si è visto che le differenze tra chi dichiarava di dormire bene senza russare e chi sosteneva l’opposto, dal punto di vista delle performance cognitive si riducevano - spiega in un’intervista a Il Corriere della Sera Luigi Ferini Strambi, direttore del Centro di Medicina del Sonno dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano - Una metanalisi pubblicata su Nature Human Behaviour, che considera precedenti studi fatti in Olanda, Inghilterra e Stati Uniti, su oltre un milione di soggetti, ci dice che il 13,2% dei ragazzi tra i 6 e i 13 anni ha difficoltà ad addormentarsi e il 9,1 % a mantenere il sonno; tra i 14 e i 17 anni le percentuali salgono rispettivamente al 15,5% e al 23% mentre, tra i 18 e i 25, si arriva al 22,6% per i problemi a prendere sonno mentre le interruzioni del riposo calano al 9,4%. Tuttavia in quest’ultima fascia di età cominciano a manifestarsi i risvegli precoci che riguardano il 10% dei soggetti. In una nostra ricerca, condotta su mille ragazzi, e pubblicata su Sleep Medicine, abbiamo visto che la più alta percentuale di sonno poco riposante e di risvegli notturni si verifica tra i 16 e i 17anni e che tra i 18 e i 19 anni il 40% dei giovani dorme poco e il 42% ha difficoltà ad addormentarsi.
INSONNIA? Come DORMIRE bene e svegliarsi riposati
Anche il russamento riveste un ruolo importante nell’insorgenza di queste problematiche.
Tutto sommato marginale – prosegue nell’intervista l’esperto -, tranne che nella fascia di età tra i 3 e gli 8 anni. Sono altri i responsabili del cattivo sonno. Innanzitutto la tendenza dei ragazzi a dare poca importanza al ruolo del riposo notturno, a vivere “premendo sull’acceleratore” alla sera, adottando comportamenti sbagliati, come il cattivo uso della tecnologia - certamente aumentato in questi tempi di pandemia e lockdown - che, causando eccitazione, ritarda il rilascio della melatonina, l’ormone del sonno. Poi ci sono fattori costituzionali, come il fatto di nascere “gufo” e cioè addormentarsi e, quindi, svegliarsi tardi, cosa che predispone a difficoltà di sonno. – Tra gli altri fattori poi capaci di influenzare negativamente il sonno, anche l’ansia - In uno studio, recentemente pubblicato su Frontiers of Psicology, si è visto che su 313 ragazzi tra i 12 e i 16 anni che avevano contattato il medico di medicina generale per problemi di ansia, il 38 % soffriva di insonnia e l’83% riferiva un tempo di addormentamento superiore a 30 minuti. Chiedersi se siano le prolungate difficoltà di sonno a causare l’ansia o viceversa è come domandarsi se sia nato prima l’uovo o la gallina. - Attenzione poi a non incorrere in spiacevoli conseguenze - Si indebolisce il sistema immunitario e possono peggiorare gli stati di ansia e depressione. Per quanto riguarda l’apprendimento è noto che si riduce il volume cerebrale di alcune aeree, e in particolare dell’ippocampo che è il “centro di comando” della memoria. Il sonno profondo riduce poi l’accumulo di beta amiloide, proteina responsabile dell’Alzheimer. A differenza di quanto avviene durante l’infanzia, alla sera l’organismo degli adolescenti produce in ritardo la melatonina, ma si può fare comunque molto. Scandire la giornata con ritmi regolari e orari dei pasti e del riposo il più possibile fissi. Incoraggiare l’attività fisica, specie all’aria aperta. Cercare di capire se ci sono problemi di stress, magari legati alla scuola e, in generale, non far finta di non vedere il problema. O i problemi.
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Migliorano la salute e prevengono tante patologie. La scienza concorda sugli effetti benefici delle fibre. Dal sistema cardiovascolare al trattamento del diabete, dalla protezione da diversi tipi di tumori ai benefici per il tratto gastrointestinale. Insomma, non sono importanti per il loro valore nutritivo, ma sono utili contro il colesterolo e per tenere sotto controllo la glicemia. Aumentano la velocità del transito intestinale e rallentano l’assimilazione di alcune sostanze, come gli zuccheri, che vengono assorbiti con più gradualità, senza picchi glicemici. Le fibre agiscono, quindi, come controllori dell’assorbimento degli zuccheri processo che prolunga nel tempo il senso di sazietà e aiutano, di conseguenza, a tenere sotto controllo il peso. Riducono il picco glicemico post prandiale e regolano la risposta insulinica. Inoltre, le fibre, sono anche grandi alleate del nostro intestino. Particolarmente utili per chi pratica sport di endurance, favoriscono poi la motilità intestinale. Insomma, grandi alleate di salute e forma fisica. Difatti, pur non venendo assimilate dal nostro organismo, esercitano un ruolo importante per il nostro corpo, rallentando l’assimilazione dei carboidrati assunti, ovvero permettono un loro passaggio più lento nel sangue.
Tra principali effetti sull'organismo, le fibre interagiscono con il contenuto del lume intestinale tramite meccanismi osmotici, aumentano la viscosità del contenuto intestinale, hanno caratteristiche prebiotiche, ovvero in grado di stimolare selettivamente la crescita e/o l'attività metabolica di una serie di gruppi di microbi importanti per il regolare funzionamento dell'organismo, producono acidi grassi a corta catena (SCFA, Short Chain Fatty Acids), tra i quali acetato, propionato, butirrato (quest'ultimo considerato il substrato energetico preferito per gli enterociti del colon), riducono l'assorbimento di glucosio, colesterolo e sali biliari, riducono l'indice glicemico dei cibi glucidici, trattengono acqua e gas all'interno del lume intestinale, aumentano il volume, morbidezza e transito della massa fecale e infine, puliscono l'intestino. Sono contenute in abbondante quantità in alimenti come frutta, verdura, frutta secca, funghi. Pur non essendo un nutriente, la fibra alimentare esercita effetti di tipo funzionale e metabolico che la fanno ritenere un'importante componente della nostra dieta. Poi oltre al miglioramento della funzionalità intestinale e dei disturbi ad essa associati (come stipsi e diverticolosi), l'introduzione di fibra attraverso il cibo è stata correlata alla riduzione del rischio di importanti malattie cronico-degenerative, in particolare i tumori al colon-retto (in parte spiegata dalla diluizione di eventuali sostanze cancerogene e dalla riduzione del loro tempo di contatto con la mucosa), il diabete e le malattie cardiovascolari (in parte per una riduzione dei livelli ematici di colesterolo).
Considerate essenziali perché contenendo delle sostanze inibitrici degli enzimi digestivi, rallentano e diminuiscono l'assimilazione dei nutrienti, aumentano il senso di sazietà, migliorano la motilità intestinale, riducono l'indice glicemico dei carboidrati oltre al rischio di malattie cardiovascolari e di tumore al colon. Precisa Adriano Panzironi nel libro "Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti": dal sistema cardiovascolare, alla prevenzione e al trattamento del diabete, protezione da diversi tipi di tumori e beneficio per la salute del tratto gastrointestinale.
Le fibre solubili - si legge nel libro - sono caratterizzate da composti quali beta-glucani, pectine, gomme naturali, inulina, olisaccaridi. La loro caratteristica (solubilità) è quella di assorbire acqua già nello stomaco (aumentando fino a 100 volte il volume iniziale) e di fermentare nell’intestino, con lo scopo di nutrire la flora batterica buona e le cellule colonociti (le cellule che compongono l’epitelio dell’intestino). La loro presenza è fondamentale per diverse ragioni. In primo luogo, l’aumento di volume nello stomaco (stimola il senso di sazietà facendoci mangiare di meno). Le fibre solubili una volta assorbita l’acqua si trasformano in una sostanza viscosa e gelatinosa che modifica la capacità di assorbimento dei nutrienti. Difatti legandosi agli acidi biliari (effetto chelante), diminuiscono l’assorbimento degli acidi grassi (riduzione del colesterolo nel sangue). Inoltre rallentano l’avanzamento del “chimo alimentare”, aumentando in tal modo l’azione digestiva (incrementando il tempo di contatto con gli enzimi digestivi). Migliorano l’assimilazione dei nutrienti quali: vitamine e sali minerali (i villi hanno più tempo per assimilarli). Abbassano il picco glicemico aumentando il tempo di assorbimento del glucosio. Durante l’attraversamento dell’intestino tenue sono ingerite, tramite la fermentazione, da batteri buoni (bifidus). Il processo produce acidi grassi a catena corta (soprattutto acetato, butirrato e propionato) e gas. Il butirrato è la principale fonte energetica per i colonociti (cellule epiteliali dell’intestino). L’acetato ed il propionato sono assorbiti dalle pareti del colon ed inviati al fegato, per svolgere le seguenti funzioni: stabilizzare i livelli di glucosio nel sangue, ridurre la sintesi del colesterolo, stimolare la produzione di cellule immunitarie (cellule T, anticorpi, globuli bianchi, etc.). Tali acidi grassi sono inoltre utili all’assorbimento dei minerali e neutralizzando l’acido fitico (vedremo dopo di cosa si tratta). - Il ruolo più importante che rivestono per il nostro intestino è di riuscire a modulare la proliferazione dei batteri saccarolitici verso le specie lattobacilli eterofermentanti facoltativi o etero fermentanti obbligati. Questo induce una produzione maggiore di acido butirrico, acetico e propionico ed una minore produzione di acido lattico.
DISBIOSI e INFIAMMAZIONE INTESTINALE, scopri le vere cause
Favoriscono senso di sazietà - continua nel libro - facendoci mangiare di meno. Le fibre solubili una volta assorbita l’acqua si trasformano in una sostanza viscosa e gelatinosa che modifica la capacità di assorbimento dei nutrienti. Difatti legandosi agli acidi biliari (effetto chelante), diminuiscono l’assorbimento degli acidi grassi (riduzione del colesterolo nel sangue). Inoltre rallentano l’avanzamento del “chimo alimentare”, aumentando in tal modo l’azione digestiva (incrementando il tempo di contatto con gli enzimi digestivi). Migliorano l’assimilazione dei nutrienti quali: vitamine e sali minerali (i villi hanno più tempo per assimilarli). Abbassano il picco glicemico aumentando il tempo di assorbimento del glucosio. - Durante l’attraversamento dell’intestino tenue sono ingerite, tramite la fermentazione, da batteri buoni (bifidus). Il processo produce acidi grassi a catena corta (soprattutto acetato, butirrato e propionato) e gas. Il butirrato è la principale fonte energetica per i colonociti (cellule epiteliali dell’intestino). L’acetato ed il propionato sono assorbiti dalle pareti del colon ed inviati al fegato, per svolgere le seguenti funzioni: stabilizzare i livelli di glucosio nel sangue, ridurre la sintesi del colesterolo, stimolare la produzione di cellule immunitarie (cellule T, anticorpi, globuli bianchi, etc.). Tali acidi grassi sono inoltre utili all’assorbimento dei minerali e neutralizzando l’acido fitico (vedremo dopo di cosa si tratta). - Il ruolo più importante che rivestono per il nostro intestino è di riuscire a modulare la proliferazione dei batteri saccarolitici verso le specie lattobacilli eterofermentanti facoltativi o etero fermentanti obbligati. Questo induce una produzione maggiore di acido butirrico, acetico e propionico ed una minore produzione di acido lattico. senso di sazietà facendoci mangiare di meno). - Le fibre solubili una volta assorbita l’acqua si trasformano in una sostanza viscosa e gelatinosa che modifica la capacità di assorbimento dei nutrienti. Difatti legandosi agli acidi biliari (effetto chelante), diminuiscono l’assorbimento degli acidi grassi (riduzione del colesterolo nel sangue). Inoltre rallentano l’avanzamento del “chimo alimentare”, aumentando in tal modo l’azione digestiva (incrementando il tempo di contatto con gli enzimi digestivi). Migliorano l’assimilazione dei nutrienti quali: vitamine e sali minerali (i villi hanno più tempo per assimilarli). Abbassano il picco glicemico aumentando il tempo di assorbimento del glucosio. - Durante l’attraversamento dell’intestino tenue sono ingerite, tramite la fermentazione, da batteri buoni (bifidus). Il processo produce acidi grassi a catena corta (soprattutto acetato, butirrato e propionato) e gas. Il butirrato è la principale fonte energetica per i colonociti (cellule epiteliali dell’intestino). L’acetato ed il propionato sono assorbiti dalle pareti del colon ed inviati al fegato, per svolgere le seguenti funzioni: stabilizzare i livelli di glucosio nel sangue, ridurre la sintesi del colesterolo, stimolare la produzione di cellule immunitarie (cellule T, anticorpi, globuli bianchi, etc.). Tali acidi grassi sono inoltre utili all’assorbimento dei minerali e neutralizzando l’acido fitico (vedremo dopo di cosa si tratta). - Il ruolo più importante che rivestono per il nostro intestino è di riuscire a modulare la proliferazione dei batteri saccarolitici verso le specie lattobacilli eterofermentanti facoltativi o etero fermentanti obbligati. Questo induce una produzione maggiore di acido butirrico, acetico e propionico ed una minore produzione di acido lattico.
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Gazzetta Active "Fibre, utili contro il colesterolo e per tenere sotto controllo la glicemia. Ma se siete sportivi…"
Gazzetta Active "Le fibre, grandi alleate del nostro intestino"
Wikipedia "Fibra alimentari"
Gazzetta Active "Un microbiota intestinale sano migliora la prestazione sportiva: ecco gli alimenti che lo nutrono"
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A, B, C e D. Dal potassio al magnesio, dal calcio allo zinco. E ancora B6, B12, acido folico (B9) e sodio. Con questi alleati la stanchezza ha le ore contate. Quando la produzione di energia comincia da micro e macronutrienti. Per combattere, dunque, stanchezza e affaticamento che nelle calde giornate estive la fanno da padrone è importante fare la scorta di queste sostante benefiche e seguire una dieta ricca di alimenti che li contengono. In aggiunta ad un’alimentazione bilanciata, l’integrazione fornisce l’apporto necessario e garantisce l’approvvigionamento quotidiano di questi nutrienti così da evitare fastidiose conseguenze dovute a queste carenze. Le vitamine, infatti sono un potente alleato per la nostra salute e un valido sostegno contro la stanchezza. «In generale tutte le vitamine del gruppo B e il magnesio sono fondamentali perché sono direttamente coinvolti nell’utilizzo dell’energia all’interno del ciclo di Krebs», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Emanuela Russo, dietista presso l’INCO dell’IRCCS Policlinico San Donato e dell’Istituto Clinico S. Ambrogio di Milano e presso il Marathon Center di Palazzo della Salute – Wellness Clinic.
Conosciuta anche come paladina della vista, la vitamina A, combatte il senso di affaticamento e di irritabilità. Inoltre, previene la secchezza e le ulcerazioni della cornea, favorisce la crescita di vari tessuti aumenta, quindi, la resistenza alle infezioni. Contrastare efficacemente i processi di invecchiamento delle cellule e preserva in salute pelle e mucose. Le vitamine del gruppo B sono una famiglia importantissima: favoriscono l’assimilazione di carboidrati e proteine ovvero, trasformano il cibo in energia, partecipando attivamente ai processi del metabolismo permettono ai muscoli e al sistema nervoso di avere a disposizione tutta la vitalità di cui ha bisogno. Non solo per malanni e raffreddore, la vitamina C non serve solo d’inverno, ma è indispensabile tutto l’anno per il corretto funzionamento del sistema immunitario. Le sue notevoli capacità antiossidanti depurano l’organismo e contrastano i processi di invecchiamento. Fondamentale anche per la struttura delle ossa, delle cartilagini, del sistema muscolare e per la salute dei vasi sanguigni. Sulla salute di ossa e denti invece vigila la vitamina D, al via la scorta tra sole e integrazione. Mentre la vitamina E è essenziale per prevenire le fastidiose irritazioni cutanee e aumentare forza e resistenza muscolare.
Fisica e mentale. Ecco i tanti rimedi contro la stanchezza.
La vitamina B12 - precisa a Gazzetta Active la dottoressa Russo - si trova in particolare nella carne, nel pesce e nel tuorlo d’uovo, e questo è il motivo per cui spesso chi segue una dieta vegana si ritrova a doverla integrare. La B6, come anche l’acido folico o B9, è invece molto più presente negli alimenti di origine vegetale, in particolare nelle verdure a foglia, come gli spinaci, e nelle crucifere, come broccoli, cavoli, cavolfiori. Queste vitamine influiscono positivamente sulla costituzione del gruppo eme, complesso chimico composto da ferro, vitamina B12 ed acido folico (o vitamina B9) deputato al trasporto dei globuli rossi e dell’ossigeno nell’organismo, muscoli compresi. Se manca il gruppo eme non arriva ossigeno nemmeno ai muscoli. Per questo motivo quando un atleta, soprattutto se donna, si sente particolarmente stanco potrebbe avere carenze a livello di ferro, vitamina B12 o B9. La vitamina C è necessaria per assorbire il ferro, ma deve essere ‘fresca’: ad esempio, si può spremere del succo di limone sui legumi per rendere più biodisponibile il ferro in essi presenti, ma non bere una spremuta d’arancia fatta il giorno prima, visto che nel frattempo la vitamina C si è dispersa.
Il magnesio - prosegue l'esperta - è sicuramente tra i più noti e utilizzati, di aiuto contro la stanchezza e lo stress ma anche per la contrazione muscolare. Una funzione che però viene svolta anche da altri due minerali meno noti per questo fine: il calcio e il sodio. Spesso nel caso di crampi muscolari si pensa ad una carenza di potassio e magnesio, ma in alcuni casi a mancare è proprio il sodio, che pure talvolta viene ridotto nella dieta. Ma, essendo anche molto idrosolubile, in caso di carenza non è così peregrino. Spesso per coprire il proprio fabbisogno di sodio basta semplicemente aggiungere un po’ di sale da cucina, meglio se iodato, alla verdura, senza andare a mangiare alimenti ricchi di sodio che spesso non sono particolarmente sani, come gli insaccati. Per uno sportivo consumare formaggio è importante sia per il calcio sia per il fosforo, anche perché gli sportivi hanno spesso perdite di micronutrienti durante la prestazione. Un pezzo di grana o parmigiano possono essere spuntini utili in questo senso.
INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico
Per chiudere il cerchio del benessere è opportuno annoverare anche l’importanza delle proteine all’interno di un regime alimentare
Aiutano a contrastare la stanchezza - conclude nell'intervista - fornendo aminoacidi, che vanno a tamponare e riparare le microlesioni a livello muscolare prodotte dallo sforzo fisico. Se non introduco proteine a sufficienza rischio di innescare il processo di catabolismo, che porta a bruciare il muscolo. Ma ricordiamo che le proteine sono fondamentali non solo per chi fa sport: gli stessi enzimi che producono succhi gastrici sono fatti di proteine. Per questo è sempre bene avere una dieta che ne sia ricca.
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Si riflette sul nostro organismo e ne garantisce le funzioni. La flora batterica intestinale svolge un ruolo fondamentale per ottimizzare le performance degli sportivi e mantenere un sistema immunitario efficace. Mantenere in salute la flora batterica. Ulteriore conferma di quanto sosteneva il filosofo tedesco Feuerbach "noi siamo ciò che mangiamo". Composta da oltre 500 specie diverse di microrganismi, buoni e cattivi. «L'esercizio fisico stressa l'organismo: per questo una buona funzionalità intestinale è fondamentale», sottolinea in un’intervista a Gazzetta Active il dottor Francesco Confalonieri, medico chirurgo del Centro Medico Sant’Agostino specialista in Medicina dello sport, nutrizione e metodologia dell’alimentazione. Tra gli elementi essenziali dell’ecosistema intestinale (assieme alla barriera intestinale e al “secondo cervello”), la comunità microbica del tratto enterico si compone prevalentemente da comunità di batteri, oltre a lieviti, parassiti e virus che vivono in una condizione di equilibro chiamata eubiosi. Di importanza cruciale per il nostro benessere poiché, il variare del rapporto tra queste componenti aumenta il rischio di uno stato di disbiosi che può essere poi correlata a malattie non soltanto dell’apparato digerente, come ad esempio diabete, obesità, patologie cardiovascolari, Alzheimer, Parkinson, dermatite o altre a malattie sistemiche. Tra i fattori che intervengono influenzando negativamente nella determinazione della composizione del microbiota intestinale la presenza di infezioni che sopraggiungono dall’esterno e che portano a casi di disbiosi acuta e fattori che incidono in modo più subdolo e più lento determinando uno stato di disbiosi cronica, causata da alimentazioni scorrette come le diete iperproteiche (disbiosi putrefattiva) o con troppi carboidrati (disbiosi fermentativa) oppure degli stili di vita sbagliati (disbiosi deficitaria) come l’assenza di attività fisica, l’abuso di alcool, il fumo, i farmaci, etc... Insomma, la nostra salute passa anche per la salute dei suoi batteri e una dieta sana aiuta il microbiota a prosperare.
Il microbiota intestinale è l’insieme di microrganismi che popolano il nostro apparato digerente ed è importantissimo che sia ben nutrito – spiega in un'intervista a Gazzetta Active il dottor Giuseppe Rovera, medico nutrizionista e coordinatore scientifico della Riabilitazione nutrizionale dell’IRCCS Policlinico San Donato di Milano – A questo servono i probiotici. Nell’atleta che vuole avere successo è davvero importante fare dei cicli con questi batteri, o comunque nutrire il proprio microbiota attraverso l’alimentazione. Avere dei batteri ben nutriti permette anche di ottenere performance migliori. Sembra infatti che lo sportivo possa avere una fragilità intestinale, perché in allenamento costante e quindi sotto costante stress fisico. Nutrire il microbiota permette un’azione antinfiammatoria e protettiva delle cellule intestinali. Se un intestino è ben nutrito si ha una performance migliore. Se ci si alimenta in modo sano, regolare, costante e soprattutto vario il microbiota è ben nutrito.
Utili poi a mantenere in salute l’intestino, proteggendolo dalle infiammazioni e dall’insorgenza di tumori, gli acidi grassi a catena corta prodotti dai batteri intestinali, soprattutto l’acido butirrico. «L'acido butirrico è un acido grasso saturo, non essenziale, che si trova principalmente nel latte dei ruminanti (2-4%), e solo in tracce in quello di donna» spiega Christian Orlando, biologo. Gli acidi grassi a catena corta prodotti dai batteri intestinali, in particolare l’acido butirrico, sono essenziali per mantenere l’intestino in salute, proteggendolo così da infiammazioni e prevenendo l’insorgenza di tumori. Inoltre, il microbiota mantiene il sistema immunitario costantemente attivo. Questo avviene poiché, un microbiota ricco di batteri capaci di digerire e fermentare i flavonoidi contenuti nella frutta e nella verdura promuove la produzione di sostanze che hanno effetti protettivi sulla salute cardiovascolare. Difatti, alimenti ricchi di acidi grassi saturi e cibi eccessivamente calorici stimolano, invece, la proliferazione di ceppi di batteri che promuovono l’infiammazione.
Infarto del miocardio, ictus, insufficienza cardiaca e morte. Uno scenario catastrofico causato da una dieta a elevato indice glicemico che aumenterebbe il rischio di patologie cardiovascolari e porterebbe ad altre pericolose conseguenze. Un recente studio riporta che in più paesi e regioni geografiche ed economiche, gli stili alimentari con un indice glicemico elevato erano associati a un rischio più elevato di malattie cardiovascolari e morte rispetto alle diete con un indice glicemico basso. Emerge poi, la diversità culturale e socioeconomica di questo studio consente un esame dell'associazione tra indice glicemico e carico glicemico con eventi in una gamma molto ampia di modelli dietetici. Questo studio sottolinea anche che l'indice glicemico e il carico glicemico sono misure rilevanti della qualità dei carboidrati nell'analisi di un'ampia gamma di diversi modelli dietetici in base alla loro associazione con impatti cruciali per la salute. Sul banco degli imputati finiscono sicuramente anche gli zuccheri semplici come quelli presenti nel pane bianco, nella pasta, nel riso bianco, nelle patate, nella pizza, nei dolci e ngli altri prodotti da forno: «Se si mandano in circolo zuccheri semplici, l’insulina viene scaricata improvvisamente e si può creare anche una iperlipidemia. Questa situazione porta ad un aumento dell’ossidazione e ad un aumento della disfunzione endoteliale che alla lunga produce danni anche a livello cardiovascolare» spiega il professor Gazzaruso. Insomma, come dimostra l’indagine condotta da un team di ricercatori dell'Università di Toronto, uno stile alimentare ad elevato indice glicemico incide negativamente sulla nostra salute con conseguenze catastrofiche anche in assenza di una pregressa malattia cardiovascolare. «Studio gli effetti delle diete ad alto indice glicemico da molti anni e questi dati confermano che il consumo di elevate quantità di carboidrati di scarsa qualità rappresenta oggi un problema in tutto il mondo», evidenzia David Jenkins, esperto nutrizionista dell’Università di Toronto e autore della ricerca. «Le diete ricche di carboidrati di scadente qualità sono associate a ridotta longevità [...]».
3a Puntata "I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?" de IL CERCA SALUTE
I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 137.851 volontari tra i 35 e i 70 anni di tutti e cinque i continenti, con un follow-up medio di 9,5 anni. Facendo compilare ai partecipanti questionari relativi alle loro abitudini alimentari hanno potuto osservare che una dieta ad alto indice glicemico era associata ad un aumento del rischio di eventi cardiovascolari e morte sia in coloro che avevano patologie cardiovascolari pregresse sia in coloro che non le avevano. Nel corso dell'indagine sono stati utilizzati questionari sulla frequenza alimentare specifici per paese per determinare l'assunzione alimentare e stimato l'indice glicemico e il carico glicemico sulla base del consumo di sette categorie di alimenti a base di carboidrati. Poi sono stati calcolati gli hazard ratio utilizzando modelli di fragilità di Cox multivariabili. L'outcome primario era un composito di un evento cardiovascolare maggiore (morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus e insufficienza cardiaca) o morte per altra causa. Nella popolazione in studio si sono registrati 8.780 decessi e 8.252 eventi cardiovascolari maggiori si sono verificati durante il periodo di follow-up. Tuttavia, solo dopo aver confrontando i quintili dell'indice glicemico più basso e più alto è stato scoperto che una dieta con un indice glicemico elevato era associata a un aumentato rischio di un evento cardiovascolare maggiore o di morte, sia tra i partecipanti con malattia cardiovascolare preesistente (rapporto di rischio, 1,51; 95% intervallo di confidenza [CI], da 1,25 a 1,82) e tra quelli senza tale malattia (rapporto di rischio, 1,21; 95% CI, da 1,11 a 1,34). Per cui, un alto indice glicemico era anche associato ad un aumentato rischio di morte per cause cardiovascolari. I risultati relativi al carico glicemico erano simili ai risultati relativi all'indice glicemico tra i partecipanti con malattia cardiovascolare al basale.
L'infiammazione che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Quindi, alimenti, più di altri, innescano meccanismi che aumentano il rischio dell’insorgenza di una lunga serie di malattie. «Alla base ci sono quegli alimenti che vanno a contrastare i processi infiammatori innescati dallo squilibrio tra citochine pro-infiammatorie e citochine anti-infiammatorie. Ritrovando l’equilibrio si spegne l’infiammazione a livello cellulare» spiega a Gazzetta Act!ve Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Oltre l’asma, anche il Parkinson.
L'INFIAMMAZIONE CRONICA, le vere cause del killer silenzioso
Come agisce la iperglicemia a livello di aggravamento dell’infezione da coronavirus e perché è importante tenere la glicemia bassa anche a livello di protezione dal coronavirus?
L’iperglicemia in sé va ad ostacolare quella che si chiama immunità innata o generica, che aggredisce qualunque virus o batterio esterno. Esiste poi anche l’immunità adattativa, che riconosce i virus e i batteri e forma anticorpi specifici contro quel virus o quel batterio. Nel diabetico la iperglicemia va ad inficiare l’immunità innata, quindi c’è una carica maggiore di virus che penetra. E per questo, forse, il Covid è più grave. Va infatti ricordato che il Covid-19 non è grave in sé, ma è grave l’infiammazione che il virus innesca nell’organismo, è la risposta immunitaria del soggetto. Se all’inizio dell’infezione non ho uno schermo che mi limita l’entrata del virus, questo scatena una reazione immunitaria massiva». Inoltre «La glicemia va mantenuta bassa sempre, rispetto a tutte le malattie infettive.
INDICE GLICEMICO e alimenti: tutto quello che dobbiamo sapere
Utilizzati per l'energia necessaria all'organismo. Una teoria - quella dei grassi - ampiamente supportata e dimostrata nello stile Life 120 ideato da Adriano e Roberto Panzironi che a differenza della dieta chetogenica, non porta alla chetosi poiché prevede un apporto di carboidrati provenienti da verdure (consumate a sazietà durante i pasti) e frutta (uno al mattino). Inoltre, prevede anche una quantità di zuccheri giornaliera, funzionale ai soli due organi che utilizzano come fonte di energia, ovvero cuore e cervello. Tra le altre patologie, secondo quanto conferma uno studio dell'Università di Bonn pubblicato sulla rivista scientifica Immunity, una dieta a basso contenuto di carboidrati potrebbe aiutare anche nel contrasto dell’asma. «La prevalenza di asma è aumentata drammaticamente negli ultimi decenni forse, questo è anche correlato a una dieta sempre più comune ad alto contenuto di zuccheri [...]», ipotizza Christoph Wilhelm, esperto di chimica e farmacologia clinica dell’Università di Bonn.
Un’indagine che è stata condotta con partecipanti dei cinque continenti, quindi, senza influenze da parte della genetica: «Significa che il danno non ha cause diverse da quelle innescate propriamente dall’indice glicemico degli alimenti, che porta all’assorbimento rapido del glucosio che si riflette sui vasi - sottolinea il professor Gazzaruso - va notato che a creare danni è l’iperglicemia post-prandiale, quella che si ha dopo aver mangiato, legata all’indice glicemico dei cibi: è questa che aumenta il rischio cardiovascolare, molto di più della glicemia del mattino». Ma qual è l'associazione tra l'indice glicemico e le malattie cardiovascolari e la mortalità per tutte le cause in un ampio studio che coinvolge partecipanti con un'ampia gamma di assunzioni di carboidrati e diversi modelli dietetici? «Un eccesso di insulina circolante è un fattore di crescita per i tumori, li favorisce, in particolare i due più comuni, ovvero quello alla mammella e quello al colon. Questo dato, però, non è legato ad una iperglicemia del momento, bensì ad una iperinsulinemia cronica che si ha nei soggetti con insulino-resistenza, che siano diabetici o semplicemente obesi, - chiarisce il professor Gazzaruso - come società scientifiche di tutto il mondo abbiamo ormai assodato l’importanza di ridurre la quantità di zuccheri semplici che si assumono nella dieta». Tuttavia, esiste una dieta sana per limitare al minimo il rischio cardiovascolare. Tra gli alimenti ad alto indice glicemico, e quindi banditi assolutamente dalla tavola ci sono, il pane bianco e tutti gli alimenti costituiti da farine raffinate, lo zucchero e quindi i dolci, i cereali non integrali e le patate. Fatte queste premesse, la cosiddetta dieta mediterranea a base di pasta e pizza sembra venir meno nelle proprie basi… «Infatti la vera dieta mediterranea non si fonda sui cereali raffinati. La dieta mediterranea originaria prevedeva molti legumi (ricchi di fibre e proteine), verdura, frutta, molto pesce (anche quello grasso, ricco di omega 3), olio extravergine di oliva, uova e un po’ di carne. Con questo non si vuol dire che ci siano degli alimenti vietati. […] In generale, la pizza si può mangiare, non in maniera frequente e preferendo l’impasto integrale. Purché lo si faccia con la consapevolezza del circolo dannoso che viene innescato dagli zuccheri semplici».
Ecco come la PASTA potrebbe influenzare la nostra salute
Semplici o complessi. Una definizione viene presentata da Adriano Panzironi nel libro “Vivere 120 anni. Le verità che nessuno vuole raccontarti”: «I carboidrati (zuccheri) si distinguono in semplici o complessi, in base alla lunghezza della catena di atomi di cui sono formati. Gli zuccheri semplici contengono una catena corta di facile scomposizione. Al contrario gli zuccheri complessi hanno una catena più lunga (si necessita di più tempo per l’assimilazione). Della prima categoria fanno parte molti zuccheri, i più conosciuti dei quali sono, quello di barbabietola (lo zucchero bianco che abbiamo tutti in casa) o di canna (si riconosce dalla composizione di cristalli marroncini). Della seconda categoria fanno parte gli amidi come la farina (e tutti i suoi derivati: pane, pasta, pizza, etc.), il riso, il mais, le patate ed i legumi. Tutti i carboidrati una volta scomposti si trasformano in glucosio che serve poi alle cellule solo per produrre energia tramite il processo della glicolisi (o dopo la sua trasformazione in piruvato, anche nei mitocondri). Gli zuccheri incamerati in eccesso, sono trasformati dal fegato in grasso saturo e stipati nelle cellule adipocite (soprattutto nella pancia, nei fianchi e sui glutei)».
Gazzetta Active "Una dieta ad elevato indice glicemico aumenta il rischio di infarto e di morte: lo studio"
PubMed "Glycemic Index, Glycemic Load, and Cardiovascular Disease and Mortality"
American Colleg of Cardiology "Glycemic Index and Cardiovascular Disease"
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Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"
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Quotidiano di Ragusa "Dieta ipoglicemica: cosa può mangiare chi soffre di diabete?"
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The Italian Times "Dieta chetogenica: cos'è, come funziona ..."
Immunity "Lipid-Droplet Formation Drives Pathogenic Group 2 Innate Lymphoid Cells in Airway Inflammation"
Universität Bonn "Researchers suggest a special diet against asthma"
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L’estate sta arrivando e il Covid se ne va. Ci riscaldano, ci abbronzano e in poche decine di secondi uccidono persino il virus. Meno di un minuto per disattivare la carica virale emessa da una persona positiva. È quanto conferma una nuova ricerca sui raggi che arrivano sulla terra. «Abbiamo dimostrato che raggi Uva e Uvb del sole nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2» dimostra Mario Clerici, immunologo, docente di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore scientifico dell’Irccs di Milano Fondazione Don Gnocchi, autore, insieme al gruppo di ricerca dell’Istituto nazionale di astrofisica, di un nuovo studio tutto italiano. Numerose ricerche precedenti condotte nell’ultimo anno avevano già mostrato gli effetti benefici sia dei raggi solari che della vitamina D come scudo di difesa in questa pandemia. Secondo quando mostrato nell’ultima indagine, la luce ultravioletta a lunghezza d’onda corta o radiazione UV-C avrebbe un’ottima efficacia nel neutralizzare il coronavirus SARS-CoV-2. Confermata e ribadita più volte da recenti studi scientifici la relazione che associa la carenza di vitamina D alle forme più gravi di coronavirus. Insomma, che la carenza di vitamina D potrebbe diventare un fattore predisponente per ammalarsi di Covid e portare ad un esito severo o addirittura letale della malattia l’aveva già sostenuto a inizio pandemia, in una lettera al British Medical Journal, il professor Andrea Giustina primario di Endocrinologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente della European Society of Endocrinology. Nella lettera, il primario evidenziava come carenze di vitamina D aumentino la predisposizione ad infezioni sistemiche e abbassino la risposta immunitaria.
Insomma, la bella stagione il virus porta via. 10, 20 secondi al massimo e il sole inattiva il virus. Ormai noto da tempo il potere germicida della luce UV-C su batteri e virus, una proprietà dovuta alla sua capacità di rompere i legami molecolari di DNA e RNA che costituiscono questi microorganismi. Difatti, diversi sistemi vengono utilizzati per la disinfezione di ambienti e superfici come appunto ospedali e luoghi pubblici. In pratica, d’estate il virus è spacciato. Quindi, di conseguenza, la peggior letalità del SARS-CoV-2 scaturita dalla minore (o nulla) esposizione ai raggi solari, mezzo primario per sintetizzare la vitamina D. Per l’esperimento, i ricercatori hanno utilizzato cellule polmonari in piastra che sono state irrorate con le diverse quantità di SARS-CoV-2, dunque poste sotto lampade UV per calcolare i tempi di inattivazione delle diverse lunghezze d’onda sul patogeno umano. L’effetto germicida è stato verificato anche in risposta all’irraggiamento con gli UV-A e gli UV-B, indicando che la carica virale può essere completamente inattivata dalle lunghezze d’onda UV corrispondenti all’irradiazione solare UV-A e UV-B. «Abbiamo illuminato con luce UV soluzioni a diverse concentrazioni di virus e abbiamo trovato che è sufficiente una dose molto piccola, per inattivare e inibire la riproduzione del virus, indipendentemente dalla sua concentrazione» sottolinea Mara Biasin, docente di Biologia Applicata dell’Università Statale di Milano. «Con dosi così piccole è possibile attuare un’efficace strategia di disinfezione contro il coronavirus. Questo dato sarà utile [...] per sviluppare sistemi volti a contrastare lo sviluppo della pandemia», aggiunge Andrea Bianco, tecnologo INAF.
Una teoria confermata già nell’Ottocento quando, per contrastare la tubercolosi, le persone venivano esposte al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi erano maggiormente esposti ai raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di tubercolosi o guarivano più velocemente. La vitamina D, per l'appunto, svolge tra le altre funzioni anche un ruolo importante come ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. Nelle persone con deficit di vitamina D, la sua integrazione è in grado di ridurre il rischio di sviluppare diverse infezioni virali. Quindi, oltre all’esposizione solare, la supplementazione di questo nutriente è una raccomandazione utile e sicura.
Questo studio - spiega Clerici all’Adnkronos Salute - è essenzialmente il seguito di un precedente lavoro che avevamo fatto l’anno scorso quando avevamo visto che i raggi Uvc che sono una componente dei raggi solari che però non arriva sulla terra, uccidevano il Sars-Cov-2 dopo un’esposizione di pochi secondi. Però gli Uvc - ribadisce Clerici - non arrivano sulla terra, quindi quei dati erano importanti solo da un certo punto di vista. Adesso, abbiamo visto che anche gli Uva e Uvb che sono i raggi che arrivano sulla terra, ci abbronzano e ci riscaldano, nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2. Dunque abbiamo esattamente replicato i dati sugli Uvc però dimostrando questa volta che tutti i raggi solari distruggono il virus. E fra l’altro il tempo necessario, quando per esempio si è in spiaggia con il sole che viene amplificato dal riverbero sulla sabbia o sull’acqua, è ancora più breve. Quindi in spiaggia bastano veramente 10-20 secondi di Uva e Uvb per uccidere completamente il virus. La nostra idea è che questo, insieme alla percentuale sempre più alta di vaccinati, spieghi perché con la bella stagione stiamo superando la problematica. Innanzi tutto c’è da dire che il sole - sottolinea Clerici - non è il solo elemento che giustifichi tutto quello che osserviamo. In India hanno contribuito le feste religiose con i bagni nel Gange e poi c’erano i monsoni, quindi c’era tutta la velatura dei raggi solari dovuta alle nuvole. In Brasile sappiamo tutti quello che è successo purtroppo hanno pagato la gestione Bolsonaro, perché è vero che servono i raggi solari però servono anche le mascherine, i vaccini e tutto il resto.
Gli studiosi hanno confermato l’efficacia del sole contro il Covid-19 oltre a sterilizzare oggetti e ambienti dal virus.
Si vede proprio in una visualizzazione - spiega l’immunologo - l’effetto dei raggi solari sul virus: se non lo esponi ai raggi solari il virus infetta le cellule, se lo esponi ai raggi solari lo uccidi. I dati dell’anno scorso erano importanti perché hanno portato allo sviluppo di dispositivi che svolgevano proprio questa funzione ma i raggi Uvc - ricorda lo scienziato - sono pericolosi per la cute umana, quindi non si poteva stare nella stessa stanza dove venivano applicati. I raggi Uvb invece no, sono i raggi che ci toccano normalmente quando usciamo al sole, per cui questa scoperta ha un’importanza molto più alta. Gli astrofisici hanno collegato una macchinetta che produce i diversi raggi solari in maniera distinta, quindi solo gli Uva o gli Uvb o gli Uvc piuttosto che gli ultravioletti - spiega Clerici - poi abbiamo messo la macchinetta sotto una cappa, abbiamo preso le cellule polmonari e abbiamo buttato sopra il virus. E il virus che è stato esposto oppure no alle diverse componenti dei raggi solari. Dapprima - chiarisce l’immunologo - abbiamo usato una dose massimale di virus, quindi molto molto più alta di quella che si ha in un soggetto con Covid. E poi abbiamo usato la dose presente in un paziente con Covid severo, per vedere se poteva avere anche una potenziale importanza clinica. Ed effettivamente è così: si inattiva nel giro di pochi secondi la quantità di virus che è quella che nei pazienti provoca il Covid severo.
L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi
Numerosi i lavori condotti sia retrospettivamente (Meltzer D et al.), che con metanalisi (Pereira M et al.), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al.) e di una più elevata mortalità ad essa associata (De Smet D et al.): tutti questi dati forniscono interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana che, soprattutto in Italia, è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al.). In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici (Castillo ME et al.), la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva è stata del 2% se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% nei pazienti non trattati. Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione tra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli di questo nutriente (Kaufman HW et al.). In 77 soggetti anziani ospedalizzati per Covid (Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study), la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente oppure al momento della diagnosi. Nei pazienti positivi i livelli di vitamina D sono risultati significativamente inferiori rispetto a quelli dei pazienti negativi (D’Avolio et al.). E ancora in una sperimentazione clinica (Rastogi A. et al., SHADE Study) su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo contro il 20,8% dei pazienti del gruppo di controllo.
Vitamina D, un prezioso alleato ricco di proprietà e benefici
Dati poi confermati da altri lavori condotti dall’inizio della pandemia hanno evidenziato l’importanza di questa sostanza come strategia di prevenzione e trattamento:
MedRxiv "UV-A e UV-B possono neutralizzare l'infettività SARS-CoV-2"
Adnkronos "Covid, studio italiano: così il sole distrugge il virus in pochi secondi"
Fanpage "I raggi solari uccidono il coronavirus in meno di un minuto"
HuffPost "I raggi del sole distruggono il virus in pochi secondi: i risultati di uno studio italiano"
Secolo d'Italia "Covid, i raggi solari distruggono il virus in pochi secondi. Lo dimostra uno studio italiano"
YouMedia "I raggi solari uccidono il coronavirus in meno di un minuto"
Respiratory Research "Circulating Vitamin D levels status and clinical prognostic indices in COVID-19 patients"
Agi "La carenza di vitamina D può aggravare la malattia"
Nurse Time "Coronavirus, carenza di vitamina D associata a stadi clinici più compromessi"
Comune di Torino "Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19: nuove evidenze"
Regione Piemonte "Covid, aggiornato il protocollo delle cure a casa"
Ansa "ANSA-IL-PUNTO/ COVID: PIEMONTE si attrezza contro varianti"
Nutrients "Effectiveness of In-Hospital Cholecalciferol Use on Clinical Outcomes in Comorbid COVID-19 Patients: A Hypothesis-Generating Study"
Jama Network "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"
Springer Link "Associations between hypovitaminosis D and COVID-19: a narrative review"
Il Messaggero "Covid, morti in calo con l'assunzione di vitamina D"
Ansa "Covid: calo morti con trattamento con vitamina D"
Il Resto del Carlino "Covid, con la vitamina D rischio di decesso e ricovero in Intensiva calato dell'80%"
La Nazione "Covid, calo di morti con la vitamina D"
La Gazzetta di Parma "Calo dei morti da Covid col trattamento con vitamina D: uno studio anche parmigiano"
Il Giornale "La Vitamina D ci salverà dal Covid?"
The Guardian "Add vitamin D to bread and milk to help fight Covid, urge scientists"
ANSA "Covid: carenza vitamina D per oltre 80% pazienti ricoverati"
Queen Mary University "Clinical trial to investigate whether vitamin D protects against COVID-19"
ISS "COVID-19: la vitamina D potrebbe cooperare con l’interferone nella risposta antivirale"
Today "Coronavirus e Vitamina D: la ricerca sull'olio di merluzzo e Covid-19"
Journal of American Medical Association Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19"
Università di Torino "Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19"
Leggo "Covid, 8 pazienti su 10 ricoverati in ospedale erano carenti di vitamina D"
Giornale di Brescia "Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti ricoverati"
Corriere del Ticino "Carenza di vitamina D nell’80% dei pazienti COVID"
Corriere della Sera "La carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo in Covid-19?"
AGI "Le carenze di vitamina D potrebbero aumentare la vulnerabilità al Covid"
Fanpage "La vitamina D riduce il rischio di COVID-19, lo conferma un nuovo studio"
Huffington Post "Bagni di sole e camminate nei boschi per difendervi dal virus. I consigli del Trinity College"
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Una dieta sana può aiutare il decorso della malattia. «Siamo ciò che mangiamo», la frase di Ludwig Feuerbach racchiude un concetto filosofico molto più articolato. Il filosofo tedesco ha teorizzato un pensiero che pone al centro la corporeità, in simbiosi con lo spirito e la psiche. L’uomo è ciò che mangia perché i cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello e questi rispettivamente in sentimenti e pensieri. Lo scorso ottobre l’Ufficio regionale europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riunito esperti e rappresentanti di vari paesi (tra cui l’Italia) per discutere del ruolo dell’obesità in pazienti con Covid-19. Dall’incontro è emerso che secondo molti studi, l’obesità aumenta il rischio di complicanze e ancor peggio, di morte, nelle persone affette da Coronavirus. Infatti, l’obesità è anche associata ad altri problemi che possono aumentare questo pericolo tra cui disfunzioni respiratorie, alti livelli di infiammazione, alterata risposta immunitaria ad infezioni virali e altre patologie associate. Quindi, non esiste una dieta anti Covid, ma uno stile alimentare antinfiammatorio capace di scongiurare questo pericolo incombente. Il cibo non è una medicina da assumere come trattamento a una malattia, tuttavia è importante mangiare bene per stare bene e difendersi al meglio dagli attacchi esterni.
Alimentazione e salute: le virtù curative delle spezie
Prendere l’abitudine di mangiare sano e stare bene diventerà un’abitudine! L’alimentazione è il modo migliore che abbiamo per prevenire le malattie e costruire uno stile di vita sano, complice anche l’attività fisica, fondamentale per l’assunzione di alcuni nutrienti importanti come la vitamina D. «Queste sono fondamentale per [...] rendere l’intestino forte». Inoltre, essere in buona salute significa anche un rischio inferiore di contrarre il virus o comunque evitare conseguenze nefaste. Insomma, oltre alla prova costume, avere buone abitudini alimentari significa regalare al nostro fisico un peso consono alla sua struttura e una giusta circonferenza addominale. Obiettivo da raggiungere: ridurre il peso corporeo e aumentare le difese immunitarie. «Assumere un certo quantitativo di vitamine aiuta a combattere i patogeni, soprattutto la vitamina C e D». Inoltre, suggerisce Buono «Fare attività fisica al sole è un ottimo modo per introdurre vitamina D: il connubio è salubre e benefico». L’esperto poi chiama all’appello anche gli omega 3, funzionali per sfiammare la mucosa del nostro intestino, di cui è ricco il pesce azzurro. «L’Omega 3 è antinfiammatorio quindi è consigliatissimo». Insomma, uno stile alimentare capace di prevenire una lunga serie di condizioni infiammatorie oltre a numerose patologie. Ad esempio, l'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). A tal proposito, numerosi studiosi hanno dimostrato che l’aggiunta spezie riduce sensibilmente questo rischio.
Per evitare un’infiammazione sistemica nel corpo, e di conseguenza, il rischio di sviluppare, a contatto con il virus, una patologia più grave è necessario regolarizzare il nostro peso corporeo.
Chi è in sovrappeso – spiega Emilio Buono, biologo e nutrizionista - e quindi ha una circonferenza addominale importante produce delle sostanze infiammatorie, le citochine che possono aggravare la situazione in caso di Covid. Le citochine aumentano il processo infiammatorio e permettono al virus di trovare un ambiente più favorevole per replicarsi e creare maggiori danni. Un elemento importante è il microbioma intestinale che va mantenuto in salute. Un intestino e una flora batterica sani rendono il sistema immunitario più forte. - Ma questo non è l'unico aspetto da tenere sotto controllo. - L’insulina può essere un fatto infiammatorio, quindi è importante controllare l’insulina in circolo. Questo avviene attraverso il controllo dei carboidrati, sia semplici che complessi, per regolare la glicemia e non aumentare il grasso a livello addominale. Sono preferibili i carboidrati integrali.
Una dieta ‘preventiva’ di tutte le condizioni patologiche figlie del benessere, come il diabete, l’obesità, le patologie cardiovascolari, ma anche il cancro: per questo più che di dieta antinfiammatoria si dovrebbe parlare di stile di vita antinfiammatorio - spiega a Gazzetta Act!ve Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. - Lo stesso Covid-19 ha alla base un processo infiammatorio. Un processo che può essere bloccato attraverso una dieta che sia però uno stile alimentare continuo, non un regime che si segue per un breve periodo e poi si abbandona. Alla base ci sono quegli alimenti che vanno a contrastare i processi infiammatori innescati dallo squilibrio tra citochine pro-infiammatorie e citochine anti-infiammatorie. Ritrovando l’equilibrio si spegne l’infiammazione a livello cellulare. In realtà ci sono stati infiammatori silenti, asintomatici. Ma se soffriamo di stipsi o di gastrite, per esempio, oppure abbiamo difficoltà a digerire o a dormire, potremmo avere in atto un processo infiammatorio, che può anche diventare cronico. E’ quindi bene bloccarla prima che cronicizzi, ascoltando questi segnali di allarme. - Tra gli effetti protettivi degli omega 3, tra i più rilevanti, ricordiamo sicuramente l’azione antiaggregante piastrinica o effetto antitrombotico, il controllo del livello plasmatico dei lipidi, soprattutto dei trigliceridi, la riduzione del rischio di problemi cardiovascolare, il controllo della pressione arteriosa mantenendo fluide le membrane delle cellule, e dando elasticità alle pareti arteriose. Per supportare e favorire l’introduzione degli omega 3 sarebbe opportuno consumare dalle 2 alle 3 porzioni settimanali di pesce, in particolare sgombro, merluzzo, pesce spada, tonno, trota, sardina e aringa. Oppure in alternativa di avvalersi del supporto di integratori alimentari. Altra importante fonte di omega 3 sono i semi di lino, valido supporto per sopperire alla carenza di questi preziosi acidi. Tuttavia, ce ne sono altri che sarebbe meglio evitare. Sicuramente alcolici e bevande zuccherate. - Inoltre, un'ultima raccomandazione a tutti gli sportivi: - Chi fa sport ha un livello di infiammazione un po’ più alto a causa dello stress ossidativo prodotto dall’attività sportiva, che produce più citochine infiammatorie. La vitamina C è fondamentale proprio per bloccare l’infiammazione a livello cellulare. Ma in generale gli sportivi dovrebbero seguire un'alimentazione particolarmente ricca di antiossidanti.
OMEGA 3, ecco perché è importante integrarli per la nostra salute
In cima alla lista degli ingredienti le regine induscusse delle vitamine: la C e la D. Un importante contributo in merito ai benefici di questi nutrienti viene riportato nel libro di Adriano Panzironi Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti:
Essa è fondamentale grazie alla sua interazione con gli elementi (enzimi, vitamine, minerali, etc...). Preziosa per la formazione del collagene, permette di migliorare la fase anabolica del nostro corpo, mantenendo il giusto equilibrio con la fase catabolica. La sua presenza è ancora più evidente nei processi di rimarginazione delle ferite, nella cura delle ustioni, nella riparazione delle pareti arteriose (anche dei capillari) e per il buono stato del muscolo cardiaco. È utilizzata dall’industria cosmetica per le creme anti rughe, visto l’effetto protettivo e rigenerativo che ha sulla pelle. Tale vitamina ha ottenuto molti riconoscimenti per la sua funzione antisclerotizzante, agendo su più fronti di questa patologia. Innanzitutto brucia le concentrazioni di grassi che si depositano sulle pareti delle vene e nel contempo partecipa alla riparazione dell’epitelio interno delle arterie, impedendo la riformazione aterosclerotica. Inoltre l’acido ascorbico, riduce del 15-20% il tasso di colesterolo nel sangue. Questa vitamina ha un effetto antitossico. Ma forse l’effetto più conosciuto della vitamina C è quello di contrastare le infezioni batteriche. altro alleato prezioso che influenza e rinforza il nostro sistema immunitario.
Si legge ancora nel libro:
Le cellule dendritiche, come abbiamo spiegato, hanno il compito d’inglobare l’anti-gene, giungere fino ai linfonodi (dove si trovano i linfociti T vergini), maturare e trasmettere le informazioni del gene da combattere. La vitamina D si lega al recettore (Dvr) e permette la maturazione delle cellule dendritiche, che possono così attivare la duplicazione dei linfociti specifici contro l’anti-gene identificato. La carenza di vitamina D diminuisce il numero di cellule dendritiche mature, allungando il tempo di reazione immunitaria del corpo. E’ per questo motivo che d’inverno esistono le epidemie da influenza. Se ci pensate bene, i virus vivono meglio al caldo e d’estate è molto più facile entrare in contatto con i fluidi corporei (sudiamo di più e siamo più scoperti). Ma nonostante ciò non ci sono epidemie influenzali. Il motivo è che siamo più forti (prendiamo il sole, attivando la vitamina D) ed i virus non riescono a sopraffarci. La vitamina E è assorbita in presenza degli acidi biliari nell’intestino e trasportata nel fegato dove viene depositata. La proprietà più importante di tale vitamina è la capacità antiossidante nella guerra ai radicali liberi. Difatti una molecola è in grado di proteggere dall’ossidazione 1.000 molecole di acidi grassi (polinsaturi e saturi), aumentando del 100% la resistenza all’ossidazione delle lipoproteine. La sua azione antiossidante protegge le cellule dalle mutazioni cancerose. Per ultimo, ma non meno importante, la vitamina E sopprime l’azione di diverse citochine pro-infiammatorie: l’interleuchina 1 (IL1) e 6 (IL6), entrambe responsabili di una serie di patologie croniche. Utilizzata per trattare diverse malattie quali il morbo di Parkinson, le malattie reumatiche, le malattie gastrointestinali, la distrofia muscolare, la sclerosi multipla, l’Alzheimer, le vene varicose, il diabete, la malattia di Crohn, le cefalee, la sindrome mestruale e per il rafforzamento delle difese immunitarie.
Gazzetta Active "Alimentazione e Covid: ecco perché è importante uno stile di vita sano"
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Dannoso per umore e forma fisica. Tutta colpa dello stress. E la situazione peggiora quando lo stress aumenta di pari passo ai livelli di cortisolo. Quando diventa cronico, lo stress può causare seri problemi alla salute e al benessere psico-fisico. Il nostro organismo è predisposto per far fronte a eventi stressori ed è proprio in questi momenti che siamo portati a mangiare di più. Un meccanismo che si innesca perché il cervello stimola la produzione di sostanze che condizionano la regolazione del senso di fame e di sazietà. Una concausa inevitabile che si innesca quando il nostro corpo reagisce agli stimoli a causa di una situazione di pericolo o di un evento imprevisto e di conseguenza, l’organismo rallenta il metabolismo. Lo stress porta, infatti, non solo a mangiare di più, ma anche a preferire cibi più grassi ovvero, quello che si accumulano a causa dello stress e si depositano prevalentemente intorno alla vita. Condizione meglio nota come obesità centrale, patologia che favorisce ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari. Una correlazione che si innesca tra disagio emotivo e aumento di peso. La sfera emotiva resta comunque un punto cardine e alcuni studi hanno già dimostrato che addirittura uno stile di vita ansioso dei genitori potrebbe essere legato a un maggior rischio di sovrappeso dei figli. In Italia il 20,4% dei bambini sono in sovrappeso e il 9,4% sono obesi. Una condizione che sta portando anche alla comparsa di patologie finora poco frequenti nell'infanzia, come l'ipertensione e il diabete di tipo 2.
Il legame tra l'OBESITÀ infantile e il consumo di AMIDI e ZUCCHERI
Un filo rosso che vede lo stress legato anche all’ansia e all’insonnia: lo stress porta a stati d’ansia che provocano disturbi del sonno e le conseguenze negative si ripercuotono su tutto il corpo. Questo avviene perché le persone ansiose faticano a prendere sonno quando, invece, sarebbe buona abitudine riposare almeno 7-9 ore a notte. Ma i guai non finiscono qui. Ebbene sì perché dormire poco indebolisce anche il sistema immunitario e ci rende più vulnerabili al rischio di infezioni. Diminuiscono poi anche le nostre capacità cognitive: cala la memoria, le prestazioni e la concentrazione. Riposare bene è fondamentale per accumulare tutte le energie per far fronte a impegni e imprevisti che ci riserva il quotidiano, ma anche perché insonnia e disturbi del sonno incidono pesantemente sulla salute dell’apparato cardiovascolare, aumentando il rischio di ictus e infarti oltre ad alterare, come già detto, il funzionamento del metabolismo favorendo l’insorgenza, insieme all’obesità, anche di diabete, gastrite e stipsi. Da qui l’importanza di ridurre i fattori di stress con la riduzione dell’esposizione alle cause stesse di stress. Di grande aiuto l’attività fisica, un’alimentazione sana, uno stile di vita equilibrato. L’esposizione a stress cronico provoca, invece, una condizione di iperfagia, con una maggior predilezione per alimenti ricchi di grassi e zuccheri. Molte aree cerebrali, tra cui l’ipotalamo e l’ippocampo, sono coinvolte sia nell’assunzione di cibo, sia nella funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), principale meccanismo di reazione allo stress. La percezione di un pericolo innesca una intricata catena di eventi, che favorisce la secrezione di uno specifico ormone, il cortisolo.
E’ un ormone secreto dalle ghiandole surrenali – spiega Pierluigi Pianese, chimico-farmaceutico, in forza alla Ultimate Italia -. La sua produzione è regolata dall’ipotalamo e dall’ipofisi: quando la concentrazione di cortisolo diminuisce, l’ipotalamo rilascia un ormone Il CRH, che stimola l’ipofisi a produrre ACTH il quale a sua volta stimola il surrene a produrre e rilasciare cortisolo detto anche ormone dello stress.
Insomma, tra i tanti fattori di sovrappeso indubbiamente lo stress, ma anche dell’insonnia, dei disturbi di sonno e di altre problematiche correlate al metabolismo. L’esperto spiega gli effetti del cortisolo sul nostro corpo.
Le azioni principali consistono nell’indurre un aumento della glicemia nel sangue, controllare il metabolismo delle proteine, dei lipidi e dei carboidrati, regolare i sistemi endocrino, cardiovascolare, nervoso-centrale, immunitario, e la coagulazione del sangue. Lo stress non è sempre un male: quello “buono”, ci permette di affrontare piccole e grandi emergenze, ci dà forza e resistenza inaspettate. Se però la situazione si protrae, i livelli di cortisolo non tornano nella normalità, si ha una condizione di stress che può avere conseguenze sulla salute fisica e mentale.
L'esposizione cronica allo stress ambientale può giocare un ruolo nello sviluppo dell'obesità, attraverso l'iperattivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-corticosurrenale (HPA). L'adattamento allo stress richiede una serie coordinata di risposte adattive, tra cui un aumento dell'asse HPA e l'attivazione del sistema nervoso simpatico per mantenere l'omeostasi e proteggere dalle malattie croniche. Un ipotetico fattore di iperattivazione cronica dell'asse HPA nell'obesità, in particolare il fenotipo addominale, è stato correlato all'incapacità individuale di far fronte a eventi stressanti avversi ambientali a lungo termine per tutta la durata della vita. Studi epidemiologici e clinici condotti sull'uomo hanno a loro volta documentato che l'obesità addominale e le sue comorbidità metaboliche sono significativamente correlate con condizioni legate allo stress come eventi di vita avversi, disturbi psicologici e problemi psicosociali. Ma perché dormire poco contribuisce all’aumento di peso?
Colpa dei nostri ormoni: non basta riposare dalle 7 alle 8 ore a notte: diventa fondamentale come si riposa. Fattori importanti: quantità e qualità del sonno. Come valutarli? Se al risveglio si avverte la sensazione di non essere ancora pronti a cominciare la giornata, vuol dire che non si è ben recuperato nelle ore notturne. Necessario mantenere metodo, ritmo, costanza delle ore di sonno: dormire 5-6 ore durante la settimana, poi fare il pieno di recuperare nel weekend non è scelta produttiva.
L’esperto mette in guardia sulle zone critiche, dai punti più sensibili all’accumulo di grasso e suggerisce come intervenire e modificare tutte le cattive abitudini.
Sull’addome: è la zona in cui si concentra il meccanismo cortisolo-insulina. La scarsa quantità e qualità del sonno, fa aumentare il rischio di insulino-resistenza, di obesità, sindrome metabolica e diabete di tipo 2, quello alimentare. Il cortisolo, è però basilare per l’organismo: senza ci saremmo estinti. Ha un ritmo circadiano, alto nelle prime ore del mattino, decrescente durante il giorno, poi raggiunge il picco minimo in tarda serata. Stare svegli fino al tardi, compromette i ritmi biologici di questo ormone. Il corpo, come meccanismo di difesa e protezione a questa “forzatura oraria”, libera zucchero nel sangue. Il risultato? La produzione eccessiva di insulina da parte del pancreas e la crescita del grasso viscerale. Regolarizzare i ritmi del sonno, andare a letto sempre alla stessa ora, senza dispositivi elettronici, evitare pasti pesanti alla sera, puntare sulla qualità del cibo, eliminare quelli che infiammano l’organismo: farine bianche o raffinate, grassi, fritti. Non sovraccaricare la digestione, ma non saltare mai i pasti. E mangiare piano evitando di accumulare gonfiore.
Alleato tra tanti nemici. Ecco come ci viene in soccorso l’integrazione alimentare:
Uno stress intenso, duraturo e non gestito può avere conseguenze sulla salute. In questi casi può essere utile l’assunzione di integratori tonico-adattogeni in grado di sostenere il corpo fisicamente e favorire una buona risposta emozionale e comportamentale. Le proprietà di questi integratori aumentano l’energia e la resistenza, le capacità cognitive e le difese dell’organismo e stimolano a reagire in modo positivo, sia a livello mentale sia fisico allo stress. Su cosa puntare per contrastare gli sbalzi d’umore, i pensieri fissi, favorire un senso di benessere per mente e corpo? Consigliati gli integratori che presentano estratti vegetali di fosfatidilserina, melissa, griffonia, che favoriscono calma e serenità e la rhodiola rossa, un tonico che agisce sulla stanchezza fisica e mentale e contribuisce a normalizzare il tono dell’umore.
La Repubblica "Lo stress dei genitori aumenta il rischio di obesità infantile"
The New York Academy of Sciences "Stress, Obesity, and the Metabolic Syndrome"
Gazzetta Active "Non dimagrisci? Spesso è colpa dello stress: ecco come rimediare"
The New York Academy of Sciences "Obesity-Related Sleepiness and Fatigue"
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Melatonina e vitamina D: il connubio vincente contro il Covid
Esposti e vulnerabili. Sul banco degli imputati finiscono insonnia e stress. Condannati da nuovi studi, queste patologie influiscono negativamente non solo sul nostro stile di vita, ma anche sulla nostra azione difensiva da attacchi esterni. Un accumulo di ansia e stress per adattarsi a questa nuova quotidianità con cui conviviamo da più di un anno. Le alterazioni del sonno sono un fattore di rischio per l'obesità, l'ipertensione, il diabete oltre ad alcune forme di cancro, tra cui al seno e alla prostata. Anche lo stress abbassa le nostre difese, oltre a renderci particolarmente irritabili e ansiosi ci espone maggiormente al rischio di contagio. Legato a una situazione temporanea, contingente, facilita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. Quindi, tra le soluzioni tra adottare nell’immediato sicuramente quella di intervenire sullo stile di vita abbassando i livelli di cortisolo e aumentando così la capacità immunitaria del nostro organismo. Un prezioso aiuto arriva poi anche dall'assunzione di integratori alimentari che limitano la produzione stessa del cortisolo.
Il sonno ci protegge dalle infezioni. Difatti, l’insonnia o un sonno frammentato incidono negativamente sul nostro sistema immunitario e, di conseguenza, sul nostro benessere psicofisico. Insomma, due importanti condizioni da non sottovalutare. L'insonnia è un grave problema di salute associato a un grande carico psicologico. Mentre lo stress (dall’inglese “sforzo o spinta”) indica una “trasformazioni morfologiche tangibili in vari organi, particolarmente nelle ghiandole endocrine che stanno sotto il controllo dell'ipofisi anteriore” (Selye, 1936). Tra i notevoli danni provocati, il cortisolo non indebolisce solo il sistema immunitario, ma agisce sul cuore, aumentando la pressione e la frequenza cardiaca, agisce sul sistema respiratorio, stimolando la funzione respiratoria, aumenta la funzione metabolica, e quindi i livelli di glicemia nel sangue, rallenta il sistema digestivo e inibisce il sonno. In altre parole, di fronte ad uno stress non fa altro che peggiore una condizione critica. Un sondaggio dell'EURODAP (Associazione Europea per il Disturbo da Attacchi di Panico) ha evidenziato che a incidere sullo stress è stato anche lo smart working. Le prime vittime di questo stress da pandemia sono proprio le donne che hanno registrato un incremento dell’ansia di ben il 73%.
Tirando le somme, questa condizione decisamente critica porta a un aumento del 45% dei problemi di salute. Infatti, secondo gli esperti della World Sleep Society (Wss), i responsabili sarebbero proprio insonnia, disturbi del sonno e cattivo riposo notturno. In media, in quasi tutti i Paesi, il 10-15% della popolazione nazionale è affetta da patologie del sonno mentre un altro 30% circa riferisce una sensazione di riposo non riparatore e di stanchezza al risveglio. Un quadro critico che è indubbiamente peggiorato a causa della pandemia da Covid-19 e con le relative restrizioni che hanno modificato inevitabilmente i nostri ritmi di vita. Eppure un sonno regolare favorisce il miglioramento del sistema immunitario che ci rende vulnerabili a virus e a tante altre malattie. Infatti, come spiegano gli studiosi della Wss, le alterazioni del sonno hanno conseguenze psicologiche e psichiatriche molto negative, quali l'aumento dell'ansia e dello stato depressivo. Sulla salute del corpo umano poi, sono un ulteriore fattore di rischio aumentato di sovrappeso, obesità, ipertensione, diabete ed alcune forme di cancro, soprattutto del seno e della prostata.
Ma quali sono gli accorgimenti per riposare correttamente e arginare questa condizione rischiosa?
Lo stress è sicuramente legato ad una situazione temporanea, contingente, che facilita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. E questo vale anche per noi, che stiamo subendo una pressione cronica legata a questa situazione. Ma lo stress non migliora la risposta immunitaria, anzi. Quindi è importante cerca di arginarlo. Dormire, sicuramente, perché il riposo abbassa i livelli di cortisolo e aumenta la capacità immunitaria del nostro organismo. E’ la cosa più importante. A livello di alimentazione una dieta mediterranea vera, equilibrata, è sicuramente ottima in termini di acquisizione di tutti i nutrienti. Di certo un apporto di vitamina C e di vitamine del gruppo B è utile. Ma è bene soprattutto dormire.
Senza trascurare quanto dimostrato da una ricerca della Clinica universitaria di Navarra, in Spagna, ha anche evidenziato l'incidenza del cattivo sonno sull'insorgere del morbo di Parkinson: il 33% dei pazienti con disturbi del riposo notturno lo sviluppano entro 5 anni e più del 75% entro 10 anni. Tra i principali suggerimenti per migliorare la qualità del sonno c'è sicuramente quello di rispettare orari fissi sia per andare a letto che per alzarsi, riposare in media tra le 7 e le 8 ore a notte, non pensare di compensare nei weekend il sonno perso durante la settimana. Contribuiscono, inoltre, a una buona dormita anche l’alimentazione sana ed equilibrata per fare il pieno di sostanze nutritive senza appesantirsi troppo, una regolare attività fisica, la programmazione della propria giornata, l'esposizione ai raggi del sole per fare la scorta di vitamina D, l'esposizione ai dispositivi elettronici nelle ore serali e prima di andare al letto, e l'attività fisica troppo pesante, la moderazione nei consumi di fumo e alcool, evitare infine cibi pesanti, zuccheri, bevande gassate e caffeina, nemici per antonomasia del corretto riposo. Allontana le estenuanti notti insonni anche il magnesio, un prezioso minerale dall’effetto miorilassante, fondamentale per la nostra salute soprattutto in vista dell’estate. «Sicuramente si tratta di un sale minerale molto utile in caso di stress fisico e psichico», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e la RAF First Clinic di Milano. Un vero e proprio toccasana per il benessere, la sua presenza nella dieta, come evidenziato nell studio statunitense "Magnesium intake and depression in adults", riduce il rischio di depressione.
Stimola il rilassamento muscolare, contrastando i crampi e ripristinando la contrazione muscolare, come il calcio, ma agisce anche a livello del sistema nervoso, favorendo la distensione e avendo come effetto anche un miglioramento della qualità del sonno. Questa sua azione miorilassante è data dal fatto che questo minerale riduce la produzione di adrenalina. Carenze di magnesio si possono osservare in condizioni di forte stress, intensa attività fisica e sportiva o sudorazione importante. Anche l’insonnia e i disturbi gastrointestinali possono indicare una carenza di magnesio.
La risposta giusta contro stress, notti insonni, sbalzi d’umore, ansia e stati d’irritabilità si trova a tavola. In sostanza, è importante ridurre lo stress ossidativo attraverso l’assunzione, nella dieta, di tutte quelle vitamine e quei sali minerali che hanno una sorta di funzione di reintegro. Minerali come il potassio, il sodio e il magnesio, ma anche vitamine coma la C, potente antiossidante, oltre a quelle del gruppo B, in grado di ridurre il senso di stanchezza e migliorare la condizione stressogena generale a livello fisico e mentale. E ancora la vitamina D, grande alleata del sistema immunitario. Queste sostanze stimolano la contrazione e il rilassamento muscolare, agendo proprio come miorilassante, migliora la qualità del sonno.