La primavera, i pollini e le allergie. Arriva la stagione della “febbre da fieno”. Raffiche di starnuti e occhi gonfi sono le inevitabili conseguenze che si ripetono ad ogni stagione. In questo periodo dell’anno, le allergie da pollini colpiscono tra il 10 e il 20% delle persone. Tuttavia, quest’anno, in piena pandemia e, ancor più, in un clima generale di allarmismi potrebbe essere scambiato per coronavirus. E anche se, almeno in apparenza, i sintomi potrebbero sembrare gli stessi, tra i due ci sono differenze sostanziali. Queste diversità sono fondamentali per capire se è il caso di preoccuparsi, a cominciare proprio dalla febbre che, raramente si presenta nelle reazioni allergiche spiega Greg Poland, direttore del Mayo Clinic's Vaccine Research Group. «La questione con le allergie stagionali è che colpiscono il naso e gli occhi - spiega l'esperto - tendono ad essere nasali e la maggior parte dei sintomi è localizzata nella testa, a meno che non si abbia uno sfogo cutaneo». «Il coronavirus, come anche l'influenza, sono più sistemici, colpiscono tutto il corpo» sottolinea Poland.
Sia il Covid-19 sia l'influenza, colpiscono le basse vie respiratorie. «Probabilmente non si avrà il naso che cola - aggiunge Poland -, ma si potrebbe sentire la gola infiammata, tosse, febbre e respiro corto. Bisogna prestare attenzione alla temperatura, è molto improbabile che le allergie diano febbre. Di solito non causano neanche respiro corto, a meno che non si abbia una condizione preesistente come l'asma». Nonostante questo e soprattutto nella fase iniziale, i sintomi delle due malattie potrebbero essere facilmente confusi. «Ecco perché bisogna fare attenzione soprattutto a vedere se i sintomi persistono, soprattutto se si è in un gruppo a rischio» conclude l’esperto. Anche gli specialisti di Auxologico fanno chiarezza su differenze e analogie, proponendo una sorta di vademecum con differenze e similitudini tra i sintomi delle allergie stagionali e il coronavirus.
Tra i sintomi propri o riconducili alle allergie annoverano raffreddore “acquoso” e lacrimazione profusa che, per contro, non appartengono al Covid-19. Al contrario, invece, di tosse e congiuntivite. Questi sintomi, purtroppo potrebbero trarre in inganno e confondere poiché tipici di entrambe le patologie. Altra differenza sostanziale, l’assenza di febbre nelle forme allergiche che è invece quasi un tratto caratteristico proprio dell’infezione virale. Infatti, la febbre è solo una conseguenza dell’infezione e non dell’allergia, pertanto rappresenta un segnale distintivo importante tra l’una e l’altra. Tuttavia, è bene ricordare che ci sono sempre delle eccezioni e questo è il caso dei cosiddetti asintomatici, i pazienti che consapevoli o meno di aver contratto il virus SARS-CoV2, e quindi dall’esame del tampone, non presentano comunque i principali sintomi. Particolare attenzione per chi soffre di asma. E anche se non è un fattore che predispone al contagio, si rischia comunque un’acutizzazione dell’infezione esistente con il rischio di gravi complicazioni. Allergy UK pubblica una guida per chi soffre di allergie: «I sintomi del coronavirus in genere includono tosse persistente e febbre alta e talvolta causano mal di testa e dolori muscolari. Questi non sono sintomi riconducibili a quelli dovuti alla febbre da fieno. I sintomi della febbre da fieno sono infatti persistenti ma relativamente prevedibili, a seconda della concentrazione di pollini nell’aria».
Le vere cause delle allergie
Anche il sistema sanitario nazionale britannico sottolinea che i principali sintomi del coronavirus siano febbre alta e continua tosse secca. «In questo periodo dell’anno ci aspettiamo di ricevere segnalazioni di un gran numero di pazienti affetti da sintomi di rinite allergica, una reazione allergica a vari tipi di polline. In genere, i pazienti che soffrono di febbre da fieno avvertono sintomi come naso che cola o ostruito, con starnuti, dolori diffusi e lacrimazione. Non è rara anche l’insorgenza di tosse. Alcuni di questi fastidi, in particolare la tosse, potrebbero però anche essere sintomi di Covid-19». Martin Marshall presidente del Royal College of General Practitioners (RCGP). «Non deve quindi sorprendere che – aggiunge Marshall -, data la sovrapposizione tra alcuni sintomi della febbre da fieno e del coronavirus, le persone si preoccupino». «I sintomi dell’allergia – continua l’esperto - tendono ad essere più lievi e a variare d’intensità a seconda dell’ora del giorno, poiché i livelli di polline sono spesso più alti nel pomeriggio e nella sera». In questo periodo dell’anno sono praticamente all’ordine del giorno i casi di allergie da polline. «Nei casi in cui un paziente sperimenti una deviazione significativa da questo tipo di sintomi, come una tosse persistente e una temperatura corporea elevata, dovrebbe immediatamente autoisolarsi e contattare il sistema sanitario nazionale».
Non solo pollini e graminacee. Ricordiamo anche chi soffre di fastidi di altra natura come l’inquinamento o gli acari della polvere. Tra i disturbi respiratori causati da questi allergeni figurano in primis le riniti. Il 50% delle riniti che colpiscono la popolazione sono allergiche «possono essere legate a un periodo preciso dell’anno, ad esempio quando fioriscono le graminacee, e quindi, passeggere oppure possono essere persistenti se legate ad allergeni a cui siamo esposti sempre, come gli acari della polvere» spiega Alberto Macchi, dirigente della clinica di otorinolaringoiatria ASST Sette Laghi di Varese e presidente Accademia Italiana di Rinologia (IAR). Un 30% fa riferimento, invece, a quelle non allergiche, come il comune raffreddore. «Le chiamiamo riniti vasomotorie o cellulari» sottolinea il presidente IAR. Il restante 20% poi, si divide in forme specifiche meno frequenti, come le riniti gravidiche tipiche delle donne in attesa o quelle che colpiscono prevalentemente gli anziani.
RINITE ALLERGICA, ecco come stare meglio cambiando stile di vita
«Il periodo in cui si manifesta l’allergia dipende dal tipo di polline verso cui si è sensibilizzati. Le graminacee, per esempio, iniziano a fiorire ora e per questa primavera la previsione è legata a minori crisi allergiche» sostiene Gianenrico Senna, presidente della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC). «Inoltre, l’uso diffuso delle mascherine, può aiutare ad evitare che gli allergeni, di dimensioni maggiori a quelle di un virus, possano raggiungere le vie aeree» conclude il presidente del SIAAIC.
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Per approfondimenti:
AGI "Come distinguere i sintomi delle allergie da quelli del coronavirus"
Ansa "Coronavirus: tornano allergie, possibile confondere sintomi"
Adnkronos "Coronavirus, ecco come distinguerlo dalle allergie"
Il Mattino "Coronavirus, gli allergici non rischiano più di altri ma la mascherina è fondamentale"
Torino Today "Covid-19 e allergie: primavera, come non confondere i sintomi"
Focus Tech "Coronavirus: ecco come distinguerlo dalla rinite allergica stagionale"
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Asma, difficoltà respiratoria? La scienza conferma che dipende da quello che si mangia
Parola d’ordine: prevenzione! È l’arma più efficace per battere il cancro sul tempo. Infatti, non tutti sanno che il 40% dei casi di tumore potrebbero essere evitati grazie a uno stile di vita sano. Questo concetto di prevenzione del cancro ha assunto maggiore importanza negli ultimi decenni, in seguito all’incremento dei casi di questa malattia. Il primo elenco scientifico contenente i principali fattori di rischio che determinano la comparsa di un tumore viene stilato nel 1981 da due epidemiologi, Richard Doll e Richard Peto. Tra gli elementi individuati nella ricerca compaiono il fumo di sigaretta e l’alimentazione oltre ad altre cause come virus, radiazioni e ormoni.
Alimentazione e TUMORI, ecco tutta la verità nascosta
In Italia, tre tumori su dieci sono causati dall’alimentazione scorretta. Le neoplasie più influenzate da ciò che mangiamo e dai chili di troppo sono quelle al colon-retto, seno, prostata, pancreas, fegato, ovaio, rene, esofago, cervice, utero ed endometrio. Molte di queste malattie potrebbero essere evitate grazie a una dieta sana e bilanciata. Si tratta di una vera e propria cultura alimentare nata e sviluppatasi nei secoli da popolazioni di contadini e pescatori, che si alimentavano con i prodotti dei loro campi o col pescato. Diversi studi hanno dimostrato, nel corso del tempo, un legame tra il regime alimentare e la diminuzione del rischio di malattie cardiovascolari e tumori. I suoi punti forti sono l’elevata quantità di alimenti in grado di fornire vitamine e sali e minerali.
Ogni giorno, nel nostro Paese, muoiono 485 persone di cancro. Sul tema delicato, associazioni come l’AIRC e la Fondazione Umberto Veronesi lanciano un messaggio importante: il cancro si previene con una dieta alimentare equilibrata, movimento e niente fumo! Tra tutti, il più letale è quello ai polmoni, quindi quello al colon, infine pancreas e prostata. Per quanto riguarda le donne, invece, l’ago della bilancia si sposta sul tumore alla mammella che causa la morte di una persona su cinque. Per contro, lo scorso anno, è stato registrato un dato importante: un milione di italiani sono guariti dal cancro. Tuttavia, dobbiamo sottolineare che non esistono alimenti che da soli siano in grado di per prevenire la malattia, ma frutto di un insieme di fattori che, legati tra loro, aiutano e collaborano in questo importante lavoro di prevenzione. Ovviamente, gli studi dimostrano come i fumatori siano i soggetti più esposti a questo rischio rispetto a non fumatori. Così come anche un soggetto che si nutre prevalentemente con cibo spazzatura sarà più esposto rispetto a un altro che segue un regime alimentare sano ed equilibrato. Insomma, gli eccessi e le cattive abitudini, sono parte integrante di questo rischio.
Cure alternative al tumore
Quindi, in questa circostanza più che nelle altre, l’espressione “prevenire è meglio che curare”, calza a pennello. I 4 fattori da seguire nella prevenzione sono una dieta sana, attività fisica, limitare il consumo degli alcolici e smettere di fumare. Per quanto riguarda il primo, una dieta sana ed equilibrata è composta da una serie alimenti ricchi di nutrienti e micronutrienti come vitamine e sali minerali. Frutta, verdura, omega3, fibre, antiossidanti sono toccasana per il regolare funzionamento del nostro organismo. La selezione dei cibi è particolarmente importante perché quello che mangiamo determina le cause del tumore. Quello che mangiamo è strettamente correlato al cancro. Già negli anni ’80, l'American Journal of Clinical Nutrition pubblicava il lavoro di alcuni ricercatori dell’Università Usa di Stanford e Harvard che analizzarono gli effetti di una serie di pietanze con 50 ingredienti diversi. Lo studio dimostrò che l’80% degli ingredienti usati aveva un legame positivo o negativo con i tumori. Facciamo, quindi, attenzione a scongiurarne la possibilità di insorgenza.
«Adottare sane abitudini può evitare la comparsa di circa un caso di cancro su tre» si legge sul sito dell’AIRC. Un consiglio pratico vale quanto una medicina, se non di più: previene la malattia invece di curarla. Anche il noto oncologo francese Philippe Lagarde, nel suo libro sulla prevenzione parla dell’importanza dell’alimentari e dello stile di vita. Nel suo libro “Il libro d’oro della prevenzione”, il luminare francese, sottolinea che per prevenzione s’intende «agire prima della malattia». Lagarda spiega che seppur non è un modo per scongiurare il rischio è sicuramente una strategia per limitarlo ed evitarlo. Particolare attenzione, nel libro, viene riservata al consumo di alimenti sani e di qualità oltre che al rinforzo del sistema immunitario, rendendolo capace di proteggerci e contrastare la tossicità di radio e chemioterapia. Così da proteggere il paziente e potenziare l’azione della terapia. Lo dimostra anche uno studio sul mangiare male e il numero di decessi correlati, pubblicato sul Lancet. Nel 2017, 11 milioni di decessi in tutto il mondo, 1 su 5 decessi, sono attribuibili ad un cattivo regime alimentare. Il tabacco causa 8 milioni di decessi all’anno. Meno rispetto alla cattiva nutrizione.
Ecco i 6 peggiori alimenti che causano il tumore
Secondo Lagarde, la cosa da fare è garantire la qualità degli alimenti che immettiamo nel nostro organismo. Il che significa innanzitutto alimenti che siano il più possibile sani, ma insieme a questi, in funzione sinergica, con essi, bisognerebbe aggiungere integratori antiossidanti di origine naturale. Per proteggersi correttamente, è necessario renderli ancora più efficaci e farli lavorare e interagire l’uno con l’altro poiché, separati perdono gran parte delle loro qualità. Parliamo dei principali antiossidanti come le vitamine A, C, D ed E, l’acido lipoico, il glutatione, i minerali (in particolare selenio e zinco) e ancora le piante multiple, in particolare il Ginkgo Biloba, i tre Ginseng.
AIRC "Stili di vita anti-cancro"
Salute Prevenzione "Mangiare male fa più male che fumare"
Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) "Prevenzione"
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Al via con il digiuno terapeutico: previene le malattie e rallenta l'invecchiamento
È ormai noto il ruolo fondamentale del sistema immunitario, nella cura e nella prevenzione. E di conseguenza anche della funzione svolta dai micronutrienti (come le vitamine) che ne costituiscono la principale linea di difesa e di attacco nella lotta contro le infezioni. Infatti, da sempre, la nostra unica e principale difesa natura è proprio questo sofisticato sistema di allarme che, per buona parte (circa il 70%), si trova nel nostro intestino. Messo a dura prova e indebolito da una serie di fattori esterni quali inquinamento di aria e acqua, alimentazione sbilanciata, stress e l’abuso dei farmaci. Secondo i dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il sistema immunitario della popolazione a livello mondiale e, ancora più, di quella del mondo occidentale, è stato pericolosamente indebolito, soprattutto quello della fascia over 65. Detto e fatto, questo crollo delle difese apre le porte ai microrganismi patogeni, virus inclusi, spianando la strada alle pandemie.
Come dimostrano anche gli studi di Luc Montagnier, medico, biologo, virologo e docente all’Istituto Pasteur e co-scopritore del virus dell’AIDS e premio Nobel per la medicina nel 2008, emerge, in modo evidente, che sostenere e favorire le capacità del sistema immunitario dei singoli individui permette la protezione dai virus, talvolta capaci di mantenersi asintomatici. E quindi perché non dovrebbe essere lo stesso anche per il Covid-19? «Sostenere il Sistema Immunitario sembra comunque una scelta logica, se non addirittura essenziale, e questo, avrebbe dovuto essere il primo gesto di prevenzione da compiere e da diffondere, prima di pensare alle misure di barriera che – lo ripeto per non essere frainteso – sono certamente utili, ma restano ahimè misure troppo deboli e tardive di fronte a un’epidemia così grave, aggressiva e rapida» spiega Philippe Lagarde, medico specializzato in oncologia, conosciuto in tutto il mondo per le sue idee e tecniche innovative di applicazione delle cure per il cancro e per il suo impegno sociale verso le persone affette dalla malattia.
Vediamo ora in che modo interviene il nostro sistema immunitario nel contrasto alle infezioni. «Il nemico numero 1 – ricorda Lagarde riportando le parole del biologo francese Jean-Marie Pelt, scomparso qualche anno fa del nostro sistema immunitario sono i radicali liberi (frammenti di molecole altamente reattive, ndr) che non devono accumularsi in alcun modo. Il corpo deve distruggerli perché sono iper-tossici. Sono quelli che sono coinvolti nella genesi delle malattie, ma sono anche quelli che promuovono le infezioni batteriche o virali». Infatti, secondo Lagarde, il primo scudo contro la pandemia è proprio il sistema immunitario. Ad agire, per il medico francese, una volta assorbiti, sarebbero i micronutrienti, come appunto le vitamine, gli oligoelementi, i polifenoli, etc.... «Essi agiscono in sinergia tra loro - prosegue l’esperto -, ma anche assieme agli enzimi e ai sistemi antiossidanti della cellula per neutralizzare i radicali liberi costantemente sviluppati all’interno delle cellule». «Questa sinergia è essenziale – continua Lagarde -, eppure viene totalmente trascurata nella lotta alle infezioni, in particolare contro quelle virali». «Le vitamine C, E, A, il selenio, lo zinco, l’acido lipoico, il glutatione e suoi precursori, i carotenoidi (flavonoidi, antociani, tannini) agiscono in sinergia e sono il “nutrimento” di cui il sistema immunitario ha bisogno» conclude il noto oncologo francese.
Ma c’è dell’altro. Per il professor Lagarde, tuttavia, questo non è sufficiente a far funzionare a dovere il sistema immunitario, «non basta cioè consumare la sola vitamina C, anche se in dosi elevate o per via venosa, per far sì che agisca, che sia davvero efficace, dobbiamo farla ‘lavorare’ insieme con tutte le altre molecole antiossidanti: in collaborazione e dunque in sinergia con loro». E quindi, per funzionare, devono appunto lavorare insieme. Da questa premessa emerge chiaramente il legame fondamentale tra salute e qualità dell’alimentazione. Per cui, un’alimentazione sana ed equilibrata, sarebbe la soluzione ideale, alla portata di tutti. A confermare l’ipotesi anche un report dell’OMS: «L’83% della popolazione con più di 40 anni è carente di micronutrienti». Per sommi capi, le difese immunitarie delle persone sono sempre più indebolite e, di conseguenza, meno resistenti alle aggressioni. Su quanto detto, il dottor Lagarde ci da un consiglio: «dai ‘cibo’ alle tue difese, apri gli occhi, se ciò non ti impedirà di incontrare il virus lungo la strada, ti consentirà perlomeno di resistere molto meglio all’infezione».
La difesa dell'organismo contro l'aggressione dall'esterno da parte di microrganismi patogeni (virus, batteri, protozoi, funghi) formano nel loro complesso il sistema immunitario. Costituito principalmente da globuli bianchi o leucociti. I leucociti, che derivano da cellule staminali presenti nel midollo osseo e nel tessuto linfoide, intervengono in modi differenti nella difesa dell'organismo: alcuni sono in grado di inglobare l'agente esterno e distruggerlo (fagociti), altri agiscono indirettamente liberando diverse sostanze. «Il nostro corpo è attaccato continuamente dall’esterno da virus, batteri, funghi e solo la nostra pelle riesce a difenderci efficacemente» scrive Adriano Panzironi nel libro “Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti”. «Tali microrganismi patologici – continua nel libro - cercano in ogni modo di entrare nel nostro organismo, utilizzando le ferite o le abrasioni, oppure tramite la bocca e il naso o anche l’intestino, dove colonie di batteri patogeni, presenti nel colon, si scontrano con le nostre difese immunitarie».
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Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"
Sapere "I sistemi di difesa dell'organismo"
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Coronavirus, chi rischia di più? Scatta l’allarme per i diabetici. Il 43,9% dei soggetti deceduti avevano il diabete. Il report del 20 marzo, dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sui pazienti deceduti in Italia, conferma la probabilità di maggiore mortalità in presenza di diabete. Mentre, il 48,6% presentava 3 o più patologie croniche. Secondo il Current Diabetes Review «il diabete di tipo 2 può «aumentare l’incidenza delle malattie infettive e delle comorbilità correlate». E anche se questi non hanno maggiore probabilità di essere contagiati, rischiano sicuramente più degli altri di sviluppare gravi complicanze, una volta contratto il virus. È la conclusione di un équipe di ricercatori dell’Università di Padova. La ricerca, pubblicata sul Journal of Endocrinological Investigation, dimostra come i pazienti diabetici, soggetti a un aggravamento del quadro clinico in presenza di qualsiasi malattia acuta, nel caso di infezione da SARS-CoV2 hanno un rischio di prognosi peggiore della patologia, rispetto a quella degli altri soggetti infetti non diabetici.
I soggetti più a rischio sono «le persone anziane e le persone con condizioni mediche preesistenti, come ipertensione, malattie cardiache, malattie polmonari, cancro o diabete» rende noto l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). A conferma della teoria, una ricerca cinese, pubblicata sulla rivista scientifica Diabetes/Metabolism Research and Reviews, condotta nella Huazhong University of Scienze di Wuhan, sui pazienti con diabete di tipo 1 o di tipo 2 positivi al Covid-19. Lo studio ha registrato valori più elevati di alcuni indici coagulativi e di marcatori infiammatori nei diabetici con polmonite virale in atto, sottolineando come le eccessive risposte di ipercoagulabilità e di flogosi interstiziale a livello degli alveoli polmonari, legati ad una cattiva regolazione del metabolismo del glucosio, aggravassero di fatto il decorso della polmonite da Coronavirus, favorendo lo sviluppo di complicanze multiorgano, coinvolgenti il cuore, il fegato, i reni, l'apparato vascolare e neurologico. L’indagine dimostra che questi soggetti presentano un’infiammazione più acuta degli altri.
L’interconnessione tra Covid-19 e diabete è dovuto all’enzima attraverso cui il virus entra nelle cellule delle vie respiratorie è lo stesso espresso nelle cellule del pancreas e del fegato, e il paziente portatore di entrambe le malattie presenta indici coagulativi, marcatori infiammatori e proteina C reattiva con più alti livelli nel sangue rispetto ai soggetti positivi al Coronavirus, ma senza diabete. Inoltre, le “abituali” complicanze causate dal diabete come neuropatie, retinopatie, arteriopatie e nefropatie, oltre a una maggiore predisposizione a contrarre patologie batteriche e virali durante la infezione Covid 19 si riacutizzano, peggiorando la già critica situazione clinica, esponendo così, il soggetto diabetico, a un elevato rischio di complicanze dei suoi organi vitali. Lo studio dimostra che non solo le persone con diabete, ma tutti i soggetti con valori alterati della glicemia sviluppano una serie di complicanze non trascurabili. Dei 20 pazienti positivi al virus e ricoverati in terapia intensiva, 15 avevano problemi di diabete o di obesità. Anche quest’ultima patologia predispone un’aggressività più alta dell’infezione SARS-CoV2 che attacca con maggiore facilità i soggetti con un sistema immunitario più debole.
Noto è infatti, soprattutto tra le persone in sovrappeso, le difficoltà respiratorie e, sappiamo bene che, il coronavirus, aggredisce prevalentemente l’apparato respiratorio, e quindi, i polmoni. Proprio per questo, per tutte le persone affette da queste patologie o con problemi di glicemia, è importante la prudenza seguendo minuziosamente tutte le misure di prevenzione raccomandate dal Ministero della Salute, oltre a quelle igieniche e al distanziamento sociale, al fine di evitare il contagio. Il rischio poi, diventa più elevato se, a queste (e altre) patologie si aggiunge un altro fattore: l’età. Per queste persone, la sovrapposizione dell’infezione virale a un’altra malattia potrebbe essere fatale. Tra le altre patologie che rendono un soggetto maggiormente esposto e vulnerabile ricordiamo: cancro, malattie cardiovascolari, ipertensione, asma, cardiopatia, insufficienza renale e neuropatia. Secondo uno studio pubblicato sul Current Diabetes Review, la disfunzione della risposta immunitaria rende i diabetici più sensibili alle infezioni. L’iperglicemia nei diabetici potrebbe essere una causa di questa disfunzione che si manifesta in un mancato controllo della diffusione di agenti patogeni invasori, rendendo i soggetti affetti da diabete più sensibili alle infezioni. Riportando, in alcuni casi, anche danni al sistema circolatorio e, di conseguenza, ciò il rallentamento dell’irrorazione sanguigna.
Il sistema immunitario svolge un ruolo importante nei soggetti con diabete che sviluppano gravi sintomi di coronavirus. «Alti livelli di zucchero nel sangue per un lungo periodo di tempo possono effettivamente deprimere il sistema immunitario, quindi non risponde più rapidamente al virus quando entra nel corpo e ha più tempo per replicarsi, scendere ai polmoni e causare i problemi legati alla respirazione che possono portare alla necessità di cure ospedaliere» spiega Amir Khan, affermato specialista ed esperto nella patologia del diabete di tipo 1 e 2. L’esperto fa poi riferimento ai dati diffusi dalla Cina che mostrano, nei primi 44.672 casi positivi, le persone che avevano malattie cardiovascolari, precedenti infarti o ictus, avevano un tasso di mortalità più alto (10,5%). «In Cina, dove la maggior parte dei casi si è verificata finora, le persone con diabete avevano tassi molto più alti di complicanze gravi e morte rispetto alle persone senza diabete» spiega l’American Diabetes Association. Tuttavia, a peggiorare il quadro clinico, come evidenziato nel report dell’ISS, contribuiscono anche alcuni farmaci ad uso comune. Gli Ace inibitori, molecole con effetti antipertensivi che agiscono sulla funzionalità cardiaca ostacolando l'insorgenza della insufficienza renale, influenzano negativamente l’evoluzione dell’infezione.
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Oltre a un'azione diretta sulle cellule endoteliali, il Covid-19, induce una risposta infiammatoria scatenata dall'infezione, con aumento del pericolo di trombosi ed embolie, sia a carico delle arterie che delle vene. «Se è vero che i dati provenienti da tutto il mondo, a partire dalla Cina per giungere fino alle osservazioni dell'Istituto Superiore di Sanità sui decessi in Italia, indicano come la presenza di comorbilità cardiovascolari (ipertensione o cardiopatia ischemica in testa) rappresentano fattori di rischio specifici in termini di mortalità per i pazienti ricoverati per Covid-19, è altrettanto innegabile che l'infezione induce direttamente una serie di alterazioni nella coagulazione del sangue» spiega Claudio Cuccia, direttore del dipartimento Cardiovascolare della Fondazione Poliambulanza di Brescia.
«Nel nostro ospedale – continua Cuccia -, che vista l'elevatissima richiesta è particolarmente impegnato nel trattamento dei pazienti che hanno sviluppato l'infezione, stiamo appunto vedendo come proprio le problematiche cardiovascolari, anche in soggetti più “giovani”, sia spesso alla base di complicazioni al decorso del quadro, anche indipendentemente dalla situazione respiratoria. Non per nulla i dati dell'Istituto superiore di sanità sui decessi in Italia dicono proprio che nell'11,6% dei pazienti deceduti si è osservato un danno miocardico acuto, a riprova dell'interessamento cardiovascolare l'infezione». Insomma, il virus Sars-Cov-2-, porterebbe a uno squilibrio nelle vie della coagulazione, sia con una probabile azione diretta sconosciuta del virus sia attraverso l'infiammazione.
«Il nostro processo di coagulazione del sangue – precisa Cuccia - si svolge fondamentalmente attraverso due diverse vie: la prima, quella della fibrinolisi spontanea, porta al dissolvimento di possibili coaguli, l'altro termina invece con la formazione di fibrina, che è la costituente di base di un trombo». «L'infiammazione indotta dal virus – aggiunge il professore - e probabilmente un'azione non ancora compresa, ma legata alla presenza del Sars-Cov-2 , portano a uno squilibrio nella regolazione di questi sistemi, che nel soggetto normale operano in equilibrio». «A questa alterazione si aggiunge anche l'azione diretta del virus sull'endotelio delle arterie e il risultato finale del processo è un eccesso di coagulazione che si ripercuote in un incremento del rischio di formazione di trombosi arteriose e di tromboembolie venose. Sul piano clinico questo si può tradurre nel maggior rischio di comparsa di infarti del miocardio, anche in soggetti più giovani, e di embolie polmonari» conclude l’esperto.
A sostegno di tale ipotesi, la ricerca condotta dall'equipe di Ning Tang del Laboratorio del Tongji Hospital di Wuhan, su 183 pazienti con Sars-Cov2-19 in Cina, pubblicato su Journal of Thrombosis and Haemostasis. L’indagine dimostra come nell'11,5% dei soggetti deceduti è stato rilevato un aumento di un particolare parametro, il D-Dimero, rispetto a quelli che sono sopravvissuti. «Questo è un prodotto di degradazione della fibrina – sottolinea Claudio Cuccia - e quanto più è elevato, tanto più il sangue tende a coagulare all'interno dei vasi. Per questo, come accade per altre patologie, nella valutazione del paziente con Covid-19 e individuarne il rischio sotto questo aspetto, occorre prendere in considerazione uno score clinico definito Sofa che si basa sostanzialmente su quattro elementi: il valore del D-dimero, lo stato mentale alterato, la frequenza respiratoria (il cut off è fissato a partire dai 22 atti respiratori al minuto) e il livello della pressione arteriosa sistolica, cioè la massima, inferiore a 100 millimetri di mercurio».
Tuttavia, oltre a queste alterazioni dell’apparato cardiovascolare, entrano in gioco anche altri fattori. «Covid-19 non ha le stesse conseguenze dell'influenza stagionale sul cuore» sostiene Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia (Sic) -. Infatti, secondo il presidente del Sic, il «Covid-19 può interessare il cuore con due diverse presentazioni: la prima con una predominate interessamento respiratorio con aumento dei marcatori di miocardionecrosi (cioè di morte delle cellule del miocardio, simili a quello che si osserva dopo un infarto) associato a un aumento degli indici di infiammazione sistemica. La seconda è, invece, un predominante interessamento cardiaco con anomalie all'elettrocardiogramma, dolore toracico tipico e/o ipotensione causata da una miocardite, cardiomiopatia da stress o un vero e proprio infarto miocardico». «Il rischio cardiovascolare è più alto dopo alcuni giorni dall'inizio dei sintomi di Covid-19» precisa Indolfi. In ultimo, ma non meno importante, soprattutto in questo periodo alle prese con pandemia e quarantena, la lotta a stress, ansia e depressione. Questi, sono tra i fattori di rischio cardiovascolare. Un studio pubblicato su The Lancet individua per la prima volta un collegamento diretto tra stress cerebrale e problemi cardiocircolatori: a fare da 'ponte', il sistema immunitario.
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Coronavirus: stress, ansia e depressione. I 7 consigli anti-panico
«Fa che il cibo sia la tua medicina» raccomandava Ippocrate. È ormai noto che una dieta non equilibrata renda il nostro sistema immunitario incapace di fronteggiare l’attacco di agenti patogeni, virus inclusi. Pertanto, con questa nuova infezione, è bene non sottovalutare l’importanza di un’alimentazione sana, ricca e consapevole. Lei Zhang e Yunhui Liu due ricercatori dell’ospedale dell’Università Medica di Shenyang, in Cina, sostengono che «in assenza di un trattamento specifico per questo nuovo virus, vi sia una urgente necessità di trovare una soluzione alternativa per prevenire e controllare la replicazione e la diffusione del virus». Questi docenti, considerano fondamentali e non trascurabili i risultati delle ricerche effettuate su altre infezioni virali come l’influenza, l’Aids, e le due infezioni del 2003 e del 2012, rispettivamente la sindrome respiratoria acuta grave (Sars) e la sindrome respiratoria mediorientale (Mers), causate entrambe dai coronavirus Sars-CoV e Mers-CoV.
Gli scienziati ipotizzano due tipi di trattamenti per combattere il nuovo coronavirus: interventi di carattere nutrizionale e terapie di cui è stata già evidenziata un’attività antivirale. Inoltre, fanno notare che, ad oggi, non è stata data la giusta rilevanza al ruolo che svolge il sistema nutrizionale nella difesa contro le malattie, in particolar modo, di quelle infettive. Questo accade nonostante sia ormai acclarato che le carenze nutrizionali possano compromettere la nostra capacità di difesa dagli agenti patogeni. Come avvenne, ad esempio tra il 1918 e 1920, con l’influenza spagnola dove, la maggior parte dei morti, presentava carenze nutrizionali. Secondo Zhang e Liu, i nutrienti che potrebbero svolgere un ruolo determinante nella difesa contro il COVID-19 sono le vitamine A, B2, B3, B6, C, D ed E, oltre ai micronutrienti come selenio, zinco e ferro e agli acidi grassi polinsaturi omega 3. Questi nutrienti partecipano al corretto funzionamento del sistema immunitario. Una battaglia, quella contro il nuovo coronavirus, che si potrebbe combattere anche con le sostanze dotate di potere virucida. In primis, diventa fondamentale per far fronte a questa pandemia, sopperire all'ipovitaminosi D (carenza di vitamina D), considerata come una delle cause di maggiore frequenza dell’infezione da coronavirus. Questa vitamina aiuta il nostro organismo nel contrasto alle infezioni virali respiratorie e ancora meglio se con un alleato come lo zinco che rinforza il corpo contro l’assalto di virus e malattie dell'apparato respiratorio.
La miglior difesa inizia dalla tavola. Sull'importanza di vitamine e minali e della scelta degli alimenti per vivere in salute, sarebbe opportuno ricordare il ruolo svolto da questi nutrienti e micronutrienti nella prevenzione e nel contrasto alle infezioni. La vitamina A è considerata la vitamina antinfettiva per antonomasia, la sua assunzione riduce la mortalità in differenti infezioni. Le vitamine B2, B3 e B6, influenzano la risposta immunitaria contro batteri e virus. La vitamina C è un antiossidante che riduce la durata e l'intensità dei raffreddori e contrasta le infezioni respiratorie di origine virale. La vitamina D svolge un ruolo rilevante nella modulazione della risposta immunitaria e una sua carenza aumenta il rischio e la gravità delle infezioni, in particolare di quelle del tratto respiratorio. Il selenio influenza differenti tipi di risposta immune. Nei bambini affetti da morbillo, lo zinco riduce la morbilità e la mortalità dovuta alle infezioni respiratorie. La combinazione di zinco e piritione a basse concentrazioni inibisce la replicazione di diversi virus a RNA, compreso il coronavirus SARS-CoV2. Il ferro, quando carente, aumenta rischio di infezioni acute del tratto respiratorio. Infine, gli omega 3, dotati di proprietà antinfiammatorie, inibiscono la replicazione del virus dell’influenza A e ne riducono la mortalità .
Ormai, viviamo in balia tra la paura di uscire, col rischio di essere contagiati e lo stare a casa, con l’attività fisica ridotta al minimo, e quindi, con la certezza di mettere su qualche chilo di troppo. L’isolamento sta mettendo a dura prova sia il nostro sistema nervoso che il nostro stomaco. Dalla fame nervosa a chi mangia per noia. E poi, a peggiorare una situazione già critica di suo, le ricette estremamente elaborate che, con la scusa di ingannare il tempo non aiuto di certo. «Un sistema immunitario efficiente — sottolinea Annamaria Colao in uno studio pubblicato sull’European Journal of Clinical Nutrition — è importantissimo per difenderci da malattie e virus e passa anche per una nutrizione corretta». La resistenza alle infezioni può essere, quindi, migliorata e facilitata grazie agli antiossidanti, che aiutano il nostro organismo a difendersi dall’attacco dello stress ossidativo. Via libera a tavola, quindi, agli agrumi e a tutti i cibi ricchi di vitamina C, considerata da sempre l’antiraffreddore per eccellenza.
«Per evitare di perdere il controllo – spiega in un’intervista a Fanpage, Renata Bracale, ricercatrice e docente in nutrizione umana presso l’Università degli Studi del Molise – è bene fissare alcune regole alimentari semplici, ma rigorose e che, in qualche modo, ci faranno riscoprire anche delle abitudini e dei piaceri che abbiamo perso a causa della nostra vita frenetica». La nutrizionista sottolinea l’importanza, mai come ora in cui siamo impegnati in questa lotta al virus, di tutti quegli alimenti, come frutta e verdura, a cui dovremmo attingere per rafforzare il nostro sistema immunitario. Nell’articolo, l’esperta spiega l’importanza della scelta di alimenti ricchi di vitamine, minerali e antiossidanti: «La regola da tenere presente è che è importantissimo mangiare colorato. I colori nascondono dietro di sé dei segreti importanti: ad ognuno corrisponde una vitamina, un minerale, un antiossidante. Una volta fatta la spesa possiamo lavare e tagliare le verdure e congelarle, sia crude che cotte. Possiamo preparare il dado fatto in casa, un minestrone o una vellutata e conservare tutto nel nostro freezer. A differenza delle preparazioni industriali sicuramente avranno anche meno sale». «L'importante è avere una dieta quanto più varia possibile, anche restando in casa e riducendo al minimo le uscite per la spesa» raccomanda la nutrizionista.
Ecco perché l'integrazione alimentare è un valido aiuto per la nostra salute
E dopo il dovere arriva sempre il piacere! Quando le ore che scandiscono le nostre giornate in quarantena sembrano interminabili e non riusciamo a resistere fino al pasto successivo possiamo concederci dei peccati di gola con i cosiddetti comfort food. Al via con lo “scaccia tristezza” per antonomasia: il cioccolato. Concesso, quindi, anche l’uovo di Pasqua, come da tradizione. «Scegliamo una tavoletta fondente – suggerisce Renata Bracale a Fanpage - che abbia una percentuale di cacao almeno del 70%». La nutrizionista spiega che il cioccolato è ricco di triptofano, un aminoacido precursore della serotonina, l'ormone della felicità, che ci dà quella sensazione di essere sempre di buonumore. In alternativa, possiamo sempre ripiegare sulla frutta secca: «La frutta secca è ricca di omega 3, vitamina B6, acido folico e anche triptofano – aggiunge l’esperta - poi contiene il magnesio, che è importante per i muscoli, ma anche per riequilibrare i ritmi circadiani, ovvero il ritmo sonno-veglia, che in questo momento, a causa delle abitudini sballate potrebbe essere messo a dura prova».
Anche le banane rientrano nella categoria dei comfort food: «Sono ricche di potassio, vitamina A, vitamina C, B6, ferro, ma soprattutto di fosforo, che fa benissimo alla nostra memoria. In questo momento infatti il cervello potrebbe essere un po' ‘indolenzito’, per questo un attivatore come le banane è un ottimo rimedio». Infine un cereale: l'avena. «Ricca di fibre – continua nell’articolo, possiamo usarla come sostituto della pasta, inoltre, contiene anche tantissimo zinco, un minerale utile per contrastare la fatica e stimolare la serenità». Ovviamente, oltre a cioccolato, noci, mandorle e tutti gli altri comfort food, c’è anche una soluzione per i nostalgici dell’aperitivo. Da evitare categoricamente il cibo spazzatura e puntare su una vasta selezione di verdure meglio se fresche e da consumare crude come finocchi, cetrioli, carote, ravanelli e sedano. «Possiamo farle diventare delle simpatiche crudités per fare un piccolo aperitivo salutare tra le nostre quattro mura» consiglia la nutrizionista.
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In ultimo, Renata Bracale, sottolinea l’importanza di bere molta acqua: «Sono soprattutto gli anziani a correre questo rischio, perché con l'età si perde lo stimolo della sete.». Non dimentichiamo poi che per preservare la giusta idratazione, possiamo ricorrere a piccoli stratagemmi, sicuramente più gustosi dell’acqua stessa. Parliamo proprio delle tisane: «Il nostro fabbisogno di liquidi può essere soddisfatto anche con delle tisane». «Istituiamo questo nuovo rituale – propone l’esperta -, visto che abbiamo del tempo a disposizione, possiamo farci una tisana digestiva, oppure una tisana prima di andare a letto». «Con il cambio di stagione chi soffre di reflusso potrebbe prepararsi una tisana a base di malva o di melissa, o ancora, si può preparare il classico canarino con acqua calda e buccia di limone. Ottima anche quella al finocchietto e chi ha problemi di digestione, ma non soffre di pressione alta, potrebbe prepararsi una tisana a base di liquirizia» conclude la nutrizionista.
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La carenza di vitamina D è tra i principali fattori di rischio per l'infezione causata dal SARS-CoV-2, il nuovo coronavirus scoppiato in Cina. Sul possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D per contrastare il COVID-19, arriva la ricerca dell’Università degli Studi di Torino. Giancarlo Isaia (docente di Geriatria e Presidente dell'Accademia di Medicina di Torino) e Enzo Medico (ordinario di Istologia), nel loro studio, richiamano l’attenzione su un aspetto di prevenzione: l’ipovitaminosi D. «Sulla base di numerose evidenze scientifiche e di considerazioni epidemiologiche, sembra che il raggiungimento di adeguati livelli plasmatici di Vitamina D sia necessario anzitutto per prevenire le numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, ma anche per determinare una maggiore resistenza all’infezione COVID-19 che, sebbene con minore evidenza scientifica, può essere considerata verosimile. Tale compenso può essere raggiunto anzitutto con l’adeguata esposizione alla luce solare, poi alimentandosi con cibi ricchi in Vitamina D».
Lo studio di Isaia e Medico nasce proprio dai dati raccolti negli ultimi giorni a Torino tra i pazienti ricoverati per Coronavirus. E il denominatore comune tra i soggetti positivi al virus era proprio la carenza di vitamina D. «Questa raccomandazione - spiegano i due ricercatori - è utile per la popolazione generale, ma è particolarmente pregnante per i soggetti già contagiati, i loro congiunti, il personale sanitario, gli anziani fragili, gli ospiti delle residenze assistenziali, le donne in gravidanza, le persone in regime di clausura e tutti coloro che per vari motivi non si espongono adeguatamente alla luce solare. Inoltre, potrebbe essere considerata la somministrazione in acuto del calcitriolo per via endovenosa in pazienti affetti da COVID-19 con funzionalità respiratoria particolarmente compromessa»
Dott. Paolo Giordo - Le verità nascoste sulla vitamina D
Cibo, sole e corretta integrazione. Gli esperti spiegano poi le due modalità di assunzione di questa importante vitamina che può essere sintetizzata dalla cute, per effetto delle radiazioni ultraviolette emanate dalla luce solare oppure tramite gli alimenti. A tal proposito, nell’indagine dell’Università degli Studi di Torino, viene proposta anche una “top ten” degli alimenti in cui è maggiormente presente (vedi figura). Quindi, mangiare molto pesce e prendere tanto sole. Così, la lotta al Covid-19 si combatte tra il terrazzo e la cucina. L’esposizione alla luce solare e un sano stile alimentare, ricco soprattutto di cibi che contengono vitamina D, diventano i nostri principali alleati in questa grande battaglia. Per sommi capi, i due professori suggeriscono, al sistema sanitario, di garantire adeguati livelli di vitamina D sia per le persone già contagiate, sia per il resto della popolazione. In primis, ovviamente, ai soggetti in terapia intensiva e a tutte quelle persone che sono maggiormente a rischio (pazienti oncologici o con altre patologie pregresse, anziani e personale sanitario).
Dott. Luca Avoledo - Vitamina D: perché è così importante? In quali alimenti si trova?
L'Italia, è uno dei Paesi europei, insieme a Spagna e Grecia, con maggiore prevalenza di ipovitaminosi D. E nel Nord Europa poi, la prevalenza è minore per l’antica abitudine di addizionare cibi di largo consumo con vitamina D. Nella nostro Paese, è stato dimostrato che il 76% delle donne anziane presentano carenza di vitamina D. Da non trascurare poi che la maggioranza delle persone in terapia intensiva sono soprattutto anziani e sono proprio questi (ma non solo) a rischiare le complicanze maggiori. Tra i rischi annoverati nel report: «Le concentrazioni ridotte di 25(OH)D aumentano il rischio di osteoporosi e delle cadute dell’anziano, ma si associano anche a tumori, malattie cardiovascolari, malattie autoimmuni, infezioni croniche dell’apparato respiratorio, diabete mellito, malattie neurologiche e ipertensione. Queste patologie causano maggiore mortalità, soprattutto se questi pazienti si ammalano di COVID-19»
Intervista a Cristiana Stellato - Effetti della vitamina D sul sistema respiratorio
Inoltre, «la ridotta incidenza di Covid-19 nei bambini - sottolineano gli esperti - potrebbe essere attribuita alla minore prevalenza di ipovitaminosi D conseguente alle campagne di prevenzione del rachitismo attivate in tutto il mondo dalla fine dell’Ottocento». Per cui, concludono i docenti: «L'insorgenza di un focolaio in Piemonte in un convento di suore di clausura, popolazione a più elevato rischio di ipovitaminosi D, costituisce un altro elemento suggestivo sul possibile ruolo protettivo della vitamina D sulle infezioni virali". Mentre la distribuzione geografica della pandemia "sembra potersi individuare maggiormente nei Paesi situati al di sopra del tropico del cancro, con relativa salvaguardia di quelli subtropicali».
Prof. Diego Peroni (Pediatria Università di Ferrara) - Ruolo della vitamina D sul sistema immunitario
In ultima analisi, ma non meno importante, l'aspetto della prevenzione contro il coronavirus. Nello specifico, la vitamina D fornirebbe un valido aiuto per ridurre l’incidenza di infezioni delle vie respiratorie e dei casi di influenza. Ad avvalorare la testi, le ricerche precedenti che dimostrano un ruolo attivo della Vitamina D sulla modulazione del sistema immune, la stretta correlazione dell’Ipovitaminosi D con una lunga serie di patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita, ancor più in caso di infezione; un effetto della Vitamina D nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus, oltre alla sua capacità di limitare il danno polmonare da iperinfiammazione. Ecco, alcune delle motivazioni scientifiche a supporto:
1) Concentrazioni ridotte di 25(OH)D aumentano il rischio di osteoporosi e delle cadute dell’anziano, ma si associano anche a tumori, malattie cardiovascolari, malattie autoimmuni, infezioni croniche dell’apparato respiratorio, diabete mellito, malattie neurologiche e ipertensione. Queste patologie causano maggiore mortalità, soprattutto se questi pazienti si ammalano di COVID-19.
2) Ruolo immunomodulatore della Vitamina D e anche un suo effetto antagonista sulla replicazione virale nelle vie respiratorie.
3) Nel 2014, una review “Vitamin D: a new anti-infective agent?”, esamina le interazioni fra la Vitamina D, il sistema immunitario e le patologie infettive, sottolineando l’associazione tra l’ipovitaminosi D e le infezioni respiratorie ed enteriche, l’otite media, le infezioni da Clostridium, le vaginosi, le infezioni del tratto urinario, la sepsi, l’influenza, la dengue, l’epatite da attribuire alla capacità della vitamina D di incrementare peptidi antimicrobici (catelicidina e beta-defensine) dotati di attività antivirale e immunomodulatoria.
4) Uno studio condotto in Sud Corea ha evidenziato valori ridotti di 25(OH)D (14 ±8 ng/ml) in pazienti con polmonite acuta acquisita in comunità.
5) In pazienti con malattie infiammatorie intestinali è stato evidenziato che, in presenza di livelli di 25(OH)D < a 20 ng/ml, la somministrazione di vitamina D3 (500 U/die) riduce di due terzi l’incidenza di infezioni delle alte vie respiratorie.
6) Una concentrazione di 25(OH)D superiore a 38 ng/ml si associa al dimezzamento del rischio di infezioni respiratorie acute.
7) Una metanalisi del 2017 ha considerato 25 studi randomizzati, evidenziando che la supplementazione di Vitamina D riduce di due terzi l’incidenza di infezioni respiratorie acute nei soggetti con livelli di 25(OH)D inferiori a 16 ng/ml
8) Il Calcitriolo si è dimostrato efficace nei ratti nel ridurre il danno polmonare acuto indotto nei ratti da lipopolisaccaridi attraverso un effetto sul sistema renina-angiotensina
9) Particolarmente attuale ed importante, “Vitamin D Supplementation Could Prevent and Treat Influenza, Coronavirus, and Pneumonia Infections” nel quale viene sottolineato un possibile ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento anche della malattia da coronavirus. Vi si legge che la Vitamina D riduce il rischio di infezioni respiratorie attraverso tre meccanismi:
➢ Mantenimento delle tight junctions, e della barriera polmonare:➢ Incremento dell’espressione di peptidi antimicrobici quali la catelicidina e beta-defensine: Da notare che questi peptidi sono dotati di attività antivirale:➢ Stimolo dell’attività immunoregolatoria, potenzialmente rilevante rispetto al rischio di tempesta citochinica e di polmonite, osservata in pazienti con COVID-19:
Dott. Piergiorgio Pietta - Difese Immunitarie: l'importanza dei fermenti lattici e della vitamina D
«Una buona difesa, quindi utile anche contro il coronavirus, si ha assumendo vitamina C e D e in generale prendendo tutto ciò ciò che combatte i processi ossidanti che mandano in crisi il sistema immunitario [...] bisogna difendersi, ma in maniera ordinata» sostiene Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008, in un'esclusiva realizzata da Pandora Tv. Ricordiamo che il sistema immunitario è una sorta di barriera protettiva dagli agenti esterni. Un'interessante spiegazione viene presentata nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. «Il nostro corpo è attaccato continuamente dall’esterno da virus, batteri, funghi e solo la nostra pelle riesce a difenderci efficacemente. Tali microrganismi patologici cercano in ogni modo di entrare nel nostro organismo, utilizzando le ferite o le abrasioni, oppure tramite la bocca o il naso. Un altro terreno di scontro all’interno del nostro corpo è l’intestino, dove colonie di batteri patogeni, presenti nel colon, si scontrano con le nostre difese immunitarie. Il nostro corpo è difeso da un esercito definito sistema immunitario, perché composto da gruppi differenziati di globuli bianchi, ognuno dei quali pronto ad assolvere specifici compiti».
The Lancet "Vitamin D supplementation and musculoskeletal health"
La Stampa "Sole e pesce alleati contro il rischio contagio da coronavirus"
La Repubblica "Coronavirus, studio dell'Università di Torino: assumere più vitamina D per ridurre il rischio di contagio"
Adnkronos "Coronavirus, l'ipotesi: carenza vitamina D può aumentare rischi"
Fanpage "Coronavirus, carenza di Vitamina D possibile fattore di rischio: lo studio italiano"
Leggo "Coronavirus, carenza di vitamina D aumenta il rischio? Lo studio italiano"
Corriere della Sera "Coronavirus: perché serve la Vitamina D"
Io Donna "Coronavirus: perché serve la Vitamina D"
Panorama "Combattere il Coronavirus a tavola: ecco la giusta alimentazione"
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New York, marzo 2020. Gli ospedali curano i malati di Covid-19 con alti dosaggi di vitamina C. Si legge in un articolo del New York Post «nel più grande sistema ospedaliero dello stato di New York, i pazienti gravemente malati di coronavirus, ricevono dosi massicce di vitamina C». Andrew G. Weber, pneumologo e specialista in terapia intensiva del Northwell Health a Long Island, ha raccontato in un’intervista al NYP che per curare virus e complicanze sta somministrando, ai pazienti, in terapia intensiva, affetti da coronavirus, 1.500 milligrammi di vitamina C tre o quattro volte al giorno.
Ognuna delle dosi somministrate è maggiore di 16 volte rispetto a quella consigliata dal National Institutes of Health di vitamina C, che è di soli 90 milligrammi per gli uomini adulti e 75 milligrammi per le donne adulte. Tuttavia, Weber sta adottando una terapia basata su trattamenti sperimentali somministrati a persone con il coronavirus a Shanghai, in Cina. «I protocolli terapeutici variavano per ogni paziente, la vitamina C viene largamente utilizzata come trattamento per il coronavirus in tutto il sistema sanitario anche se il dosaggio varia da paziente a paziente» spiega Jason Molinet portavoce del Northwell, il più grande fornitore di servizi sanitari dello Stato, con 23 ospedali in tutta New York, tra cui il Lenox Hill Hospital nell'Upper East Side di Manhattan. Molinet informa anche sul numero di pazienti ricoverati per il coronavirus: sono oltre 700.
Sull'importanza della vitamina C, anche il dottor Richard Cheng, esperto cinese di medicina ortomolecolare: «È fondamentale una dose tempestiva e sufficientemente elevata di vitamina C per via endovenosa». «La vitamina C - spiega l'esperto - non è solo un noto antiossidante, ma è anche parte attiva nel contrasto dei virus e nella prevenzione della replicazione degli stessi. L'importanza della vitamina C per via endovenosa ad alte dosi non è solo a livello antivirale». «È la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) da cui muoiono molte persone nelle pandemie indotte da coronavirus (SARS, MERS e ora NCP). L'ARDS è un percorso finale diffuso che porta alla morte» conclude Cheng.
Tuttavia, l’uso dell’acido ascorbico contro le polmoniti ed infezioni polmonari non è poi una novità. Infatti, già nel 1936 Gander e Niederberger, due medici tedeschi scoprirono che la vitamina C aveva la capacità di abbassare la febbre e riduceva il dolore nei pazienti affetti da polmonite. I risultati della ricerca, furono poi pubblicati sul Munchner (Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936). Sempre lo stesso anno, un altro medico tedesco otteneva risultati simili somministrando ai pazienti 500 milligrammi di vitamina C ogni novanta minuti (Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936). Qualche anno dopo, nel 1944, Slotkin & Fletcher, due medici americani, curarono con l’acido ascorbico un paziente che aveva sviluppato una grave infezione polmonare, con ascesso polmonare e bronchite purulenta, a seguito di un intervento alla prostata (Slotkin & Fletcher, "Acido ascorbico in complicanze polmonari a seguito di chirurgia prostatica” Jour. Urol. , 52: 6 novembre 1944)
COVID-19 e vitamina C: via libera a New York. E l'Italia?
Un report del 1946 segnala che la vitamina C veniva usata abitualmente e con ottimi risultati, dai chirurghi del Millard Fillmore Hospital, a Buffalo, come profilassi contro la polmonite. I medici militari curavano le polmoniti dei soldati con l’acido ascorbico iniettato per endovena, venivano somministrati 2 cc. Non sono certo mancate le contestazioni, nei decenni seguenti, sull’utilità dell’acido ascorbico nelle polmoniti anche virali. Hunt C et al. Hanno dimostrato gli effetti clinici della supplementazione di vitamina C nei pazienti ospedalizzati anziani con infezioni respiratorie acute. E ancora nel 2014, alcuni medici indiani pubblicano il loro studio che dimostrava l’efficacia della vitamina C nel ridurre la durata della polmonite nei bambini di età inferiore ai 5 anni. Gli esperti, chiedevano, di integrare la vitamina C nel protocollo per il trattamento della polmonite in modo tale da ridurne il tasso di mortalità . Un altra prospettiva è quella fornita da due studi randomizzati sulla vitamina C orale ad alte dosi, pubblicati sul National Cancer Institute.
COVID-19 e Vitamina C: Anche Palermo si muove
Anche a Palermo qualcosa si muove. Infatti, all’Arnas Civico di Cristina-Benfratelli è iniziato uno studio su pazienti positivi a SARS-CoV-2 con polmonite interstiziale. Dopo aver raccolto una serie di informazioni sui pazienti e previo loro consenso (o dei familiari), vengono somministrati 10 gr di vitamina C in 250 ml di soluzione salina a 60 gocce al minuto. Questi pazienti, saranno successivamente sottoposti ad ulteriori analisi al fine di valutare e confrontare il tasso di mortalità, riduzione dei livelli di PCR in comparazione con i livelli iniziali entro 72 ore dalla somministrazione, la durata della degenza, il miglioramento sulle eventuali complicanze oltre ai tempi di guarigione.
New York Post "New York hospitals treating coronavirus patients with vitamin C"
Daily Mail "New York hospitals are treating coronavirus patients with high dosages of VITAMIN C after promising results from China"
Journal of Rawalpindi Medical College "Efficacy of Vitamin C in Reducing Duration of Severe Pneumonia in Children" Khan IM et al 18 (1): 55-57
National Center for Biotechnology Information "The clinical effects of vitamin C supplementation in elderly hospitalised patients with acute respiratory infections" Int J Vitam Nutr Res 1994; 64: 212-19
National Cancer Institute "High-Dose Vitamin C (PDQ®)–Health Professional Version"
Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936
Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936
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COVID-19, la verità da Oriente: Vitamine C e D nella prevenzione delle malattie polmonari
Morti in vano per il Covid-19 quando, forse, potevano essere salvati. Sulle inutili vittime di questo virus, si interroga Ken Walker Gifford-Jones. Anzi, ci spiega come, secondo lui, potrebbero essere salvate migliaia di vite. «Ai pazienti che risultano positivi al coronavirus - spiega l'esperto - dovrebbe essere somministrata la vitamina C per via endovenosa, e salverà vite umane. Il problema è che la maggior parte dei medici si rifiuta ancora di credere che l'IVC sia efficace». Poi, parla anche di prevenzione con le giuste dosi per rafforzare il sistema immunitario. Raccomanda di «iniziare con 2000 mg due volte al giorno per costruire l'immunità e se i sintomi dell'influenza si sviluppano, arrivare anche a 2.000 mg all'ora, ovviamente fino alla tolleranza intestinale, ma sempre su consiglio medico». Gifford-Jones mette in guarda dai possibili effetti collaterali di un sovradosaggio, ma «meglio sedersi su una toilette che sotto una lapide» sdrammatizza l'esperto.
Dal trattamento clinico per i contagiati alla misura di prevenzione per contrastare il virus. Gifford-Jones condanna la mancanza di intervento sia da parte dei governi degli Stati colpiti dall'emergenza sia dei rispettivi sistemi sanitari. «La vitamina C è a buon mercato - scrive nel suo saggio Gifford-Jones -, innocua e ampiamente disponibile ed è ampiamente stata dimostrata la sua efficacia nel ridurre la mortalità dovuta all'infezioni virali». Poi, con un punta il dito contro i dottori inconsapevoli e si lancia in un duro j'accuse alla classe medica: «Non somministrarla ai pazienti affetti da COVID-19 è uguale all'omicidio». A sostegno della sua tesi cita Lendon H. Smith autore della Clinical Guide to the Use of Vitamin C che riprende la ricerca del Dr. Frederick R. Klenner, pioniere nell'utilizzo della vitamina C e nella sua applicazione, con successo, a svariate malattie virali e batteriche.
Ad alcuni ricercatori della Orthomolecular Medicine News Service (OMNS), che studiano il potenziale degli integratori per combattere la malattia, è stato chiesto come tratterebbero il Coronavirus. Una selezione di risposte meritevoli di attenzione sono state riproposte dal dottor Ken Walker Gifford-Jones, sul suo blog. «Il coronavirus può essere drasticamente rallentato o fermato completamente con l'uso immediato diffuso di alte dosi di vitamina C che, assunto in razioni giornaliere diventa un antivirale senza eguali» spiega Andrew W. Saul, esperto internazionale di terapia vitaminica. «Il dr. Robert F. Cathcart - ricorda Saul -, che ha avuto una vasta esperienza nel trattamento delle malattie virali sostiene di non aver mai visto influenza che non sia stata curata con dosi massicce di vitamina C». Altra interessante teoria, quella del professor Victor Marcial-Vega della Caribe School of Medicine:«Dato il tasso relativamente elevato di successo della vitamina C endovenosa nelle malattie virali e la mia osservazione del miglioramento clinico entro 2 o 3 ore dal trattamento, credo fortemente che sarebbe la mia prima raccomandazione nella gestione del coronavirus». E aggiunge: «Ho anche usato la vitamina C per via endovenosa per trattare pazienti con influenza, febbre dengue e chikungunya, per 24 anni». Della stessa filosofia dei colleghi, anche Jeffery Allyn Ruterbusch, professore associato presso Central Michigan University: «Credo che tutti noi siamo d'accordo sui notevoli benefici della vitamina C quando le persone sono poste a condizioni di stress». Poi, è la volta di Damien Downing, ex redattore del Journal of Nutritional and Environmental Medicine che spiega la correlazione tra il selenio e il sistema immunitario:«Influenza suina, influenza aviaria, e SARS, tutte sviluppati in Cina dove è carente il selenio. Quando ai pazienti contagiati è stato somministrato il selenio, i tassi di mutazione virale sono diminuiti e, nel complesso, le difese immunitarie sono migliorate». In sintesi, tutti i ricercatori sostengono non solo la validità e l'importanza del trattamento IVC nei casi di COVID-19, ma garantiscono anche un miglioramento a 2-3 ore dalla somministrazione.
Ma non sono i soli. Favorevole all'uso della vitamina C anche Elio Lannutti, giornalista, scrittore e portavoce M5S al Senato scrive su Twitter: «La vitamina C può aiutare a curare la polmonite e a prevenire la replicazione virale». Altri esperti sostengono che alte dosi di vitamina C, insieme a 3.000 IU di vitamina D, e 20 milligrammi di zinco, siano una buona combinazione per aiutare a combattere le malattie virali. È il caso di Carolyn Dean, e Thomas Levy, entrambi esperti nel panorama internazionale sul magnesio, hanno sottolineato che il minerale è coinvolto in 1.000 reazioni metaboliche e che mantenere livelli adeguati migliora l'immunità. Un'altra opinione overriding era che poche persone sanno che alte dosi di C aumentano l'immunità e sconfiggono le malattie virali. E secondo Ken Walker Gifford-Jones, queste informazioni non sarebbero nuove: «Durante la grande epidemia di poliomielite del 1949-50 il Dr. Frederick R. Klenner, un medico di famiglia in North Carolina, ha curato 60 malati di poliomielite con alte dosi di vitamina C per via endovenosa». In quell'occasione, non si sono registrati casi di paralisi. Questa scoperta avrebbe dovuto fare notizia in tutto il mondo, ma la notizia del dottor Klenner è caduta sulle orecchie dei sordi. Più tardi, Klenner ha dimostrato che alte dosi di C potevano anche essere efficaci nei trattamenti per meningite, polmonite, morbillo, epatite e altre malattie virali e batteriche. Anche per curare il morso di un serpente a sonagli.
Per approfondimenti: "More Research Is Killing COVID-19 Victims" e "People Are Dying Needlessly of Coronavirus" di W. Jifford-Jones
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Storia e segreti della VITAMINA C nella prevenzione di tante malattie
Vitamina C, un concentrato di proprietà e benefici
SOS COVID-19: allerta per i pazienti oncologici. Sono proprio le persone con patologie pregresse, oltre agli anziani, a rischiare di più. La conferma arriva da uno studio sul Coronavirus e sui malati di cancro in Cina. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista Lancet Oncology, confermano un aumento del rischio di complicanze. Secondo lo studio, approvato dal comitato etico del First Affiliated Hospital dell'Università medica di Guangzhou, infatti, i pazienti con cancro sarebbero più suscettibili alle infezioni rispetto agli individui senza a causa del loro stato immunosoppressivo dovuto ai trattamenti antitumorali (come la chemioterapia). Pertanto, questi pazienti potrebbero essere ad aumentato rischio di COVID-19 e avere una quadro clinico peggiore degli altri.
Anche l’Airc si è interrogata sui possibili rischi e ha chiesto a tre esperti di fare il punto sui rischi che corrono e sui suggerimenti da dare a chi è in cura per un tumore. «Alcune categorie di persone – gli anziani, gli immunodepressi, le persone con molte patologie concomitanti, i pazienti con grave deterioramento fisico – sono esposte a un rischio più elevato perché l’eventuale infezione causa con maggiore frequenza complicanze gravi» spiega Michele Micella, direttore del Dipartimento di oncologia dell’Università di Verona.
Sulla gravità dell’emergenza sanitaria interviene anche Francesco Perrone direttore dell'Unità sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori di Napoli: «Il virus Covid-19, responsabile dell’attuale emergenza, è diverso dai virus influenzali, sia perché appartiene a un’altra famiglia di virus, sia perché è nuovo per gli esseri umani. Questo significa che il nostro sistema immunitario è impreparato a reagire a tale infezione rispetto all’influenza stagionale che, oltretutto, non provoca polmoniti tanto frequentemente quanto l’infezione da Coronavirus».
«I pazienti oncologici di per sé rappresentano una popolazione più esposta al rischio di infezione e di eventuali complicanze, ma va ovviamente valutato anche il tipo di patologia tumorale, la condizione generale della persona e la terapia a cui è sottoposta». È questo l’allarme che lancia Giovanni Maga, direttore del laboratorio di Virologia molecolare presso l'Istituto di genetica molecolare del CNR di Pavia. «Per esempio – continua l’esperto -, le terapie immunosoppressive (che riducono l’efficienza del sistema immunitario) espongono a un maggiore rischio di contrarre qualunque infezione».
Figura The Lancet Oncology: Tipologie pazienti (A) e rischi di sviluppare complicanze (B) ICU = unità di terapia intensiva.
Precisa poi Maga sul pericolo di contagio: «Il rischio per un paziente oncologico di infettarsi non vale solo per il Covid-19, ma per tutte le malattie infettive. Anche in un paziente che non ha una riduzione di efficienza del sistema immunitario, una eventuale infezione può avere un decorso più difficoltoso o grave sulla base del grado e del tipo di tumore che lo affligge, proprio a causa di una condizione di salute già fragile e non ottimale. Verosimilmente, maggiore è la gravità del tumore sottostante e maggiore sarà il rischio di andare incontro a un decorso dell’infezione da Covid-19 più grave rispetto a una persona sana».
«L’andamento clinico della malattia può essere peggiore nei pazienti più anziani e in quelli affetti da importanti malattie croniche o debilitanti, incluse le malattie oncologiche. Per quanto riguarda i malati di tumore, non sappiamo se il fatto stesso di essere malati esponga a un rischio più alto di contrarre l’infezione rispetto a soggetti non ammalati di tumore. Tuttavia, è presumibile che sia così per i pazienti che, a causa del tumore, sono sottoposti a trattamenti come la chemioterapia che possono indurre immunosoppressione.
Inoltre, anche in assenza di studi scientifici sulle probabilità di contrarre il virus durante il trattamento di immunoterapia o immunosoppressione e di dati certi sulla possibilità della chemioterapia di incidere in maniera negativa sul quadro clinico dell’infezione, nei soggetti contagiati «È ragionevole pensare che – conclude Perrone -, in presenza di immunosoppressione da chemioterapia, ci possano essere più complicanze e che il loro andamento clinico possa essere peggiore».
Per approfondimenti: Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro e The Lancet Oncology