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Acclarata già da tempo la relazione che associa la carenza di vitamina D alle forme più gravi di coronavirus, viene confermata ancora volta da un altro studio che dimostra i tanti benefici di questo ‘ormone del sole’ e gli eventuali rischi di un eventuale deficit. Questa volta lo sostiene una ricerca condotta all’Ospedale Sant’Andrea di Roma e pubblicata sulla rivista scientifica Respiratory Research. «Abbiamo osservato in particolare 52 pazienti ricoverati da noi con polmoniti da Covid durante la prima ondata, pazienti anziani con un’età media di 68 anni e mezzo, accomunati da livelli estremamente bassi di vitamina D, inferiori a 10 ng/ml. Tutti avevano quadri respiratori e immunologici particolarmente gravi», spiega in un’intervista a Gazzetta Active il professor Alberto Ricci, direttore dell’U.O.C. di Pneumologia dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma. Insomma, che la carenza di vitamina D potrebbe diventare un fattore predisponente per ammalarsi di Covid e portare ad un esito severo o addirittura letale della malattia l’aveva già sostenuto a inizio pandemia, in una lettera al British Medical Journal, il professor Andrea Giustina primario di Endocrinologia all’Ospedale San Raffaele di Milano, ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele e presidente della European Society of Endocrinology. Nella lettera, il primario evidenziava come carenze di vitamina D aumentino la predisposizione ad infezioni sistemiche e abbassino la risposta immunitaria, favorendo anche il rischio di malattie autoimmuni.


Uno scenario critico soprattutto in un momento storico in cui il Covid stava compiendo la sua prima strage, soprattutto di anziani, nel Nord Italia. Caratteristica che è rimasta poi invariata anche nella seconda ondata dove tra le regioni più colpite risultano sicuramente quelle settentrionali. Dal Veneto al Piemonte, dalle Valle D’Aosta alla Lombardia. E non dimentichiamo che sono stati proprio i dati di quella parte di Italia a far schizzare il bilancio dei contagi e delle vittime nel Paese, portandoci in vetta alle tristi classifiche mondiali sullo stato dell’infezione da Sars-CoV-2. Quindi, la peggior letalità del Sars-CoV-2 scaturita dalla minore (o nulla) esposizione ai raggi solari, mezzo primario per sintetizzare la vitamina D. Stando a quanto riportato in diversi studi, nella popolazione italiana si registrano, soprattutto negli ultimi anni, bassi livelli di vitamina D. Questo perché noi non addizioniamo il cibo come fanno, per esempio, i Paesi scandinavi. Inoltre, emerge da un’altra importante metanalisi pubblicata nel 2017 sul British Medical Journal che i pazienti particolarmente carenti di vitamina D, ai quali venivano somministrate integrazioni della stessa, avevano meno infezioni respiratorie. Altro importante collegamento è quello che emerge tra predisposizione alle fratture, bassi livelli di calcio e di vitamina D e vulnerabilità all’infezione da coronavirus e outcome peggiore dei malati. Tuttavia, questo ormone che è un composto naturale fisiologicamente già presente nell’organismo non può essere addizionato completamente mediante alimentazione poiché il cibo fornisce solo il 20% del fabbisogno giornaliero di questo prezioso nutriente.

L’indagine ha inoltre evidenziato i tanti effetti benefici della vitamina “del sole” oltre che sul sistema immunitario anche per il metabolismo delle ossa ed, in particolare, contro le infezioni.


Lungi dal considerare la vitamina D come un trattamento – sottolinea il professor Ricci – va però detto che rappresenta probabilmente, e non soltanto per il Covid-19, un elemento da valutare per le implicazioni legate ad una sua carenza. Non è solo di una vitamina necessaria per il metabolismo dell’osso, ma probabilmente svolge funzioni molto più complesse anche per quanto riguarda la parte immunologica, sia durante lo sviluppo del sistema immunitario sia nelle fasi successive di mantenimento e attività del sistema immunitario stesso - chiarisce Ricci. - Si tratta di un’osservazione interessante che potrebbe essere considerata anche in altri tipi di patologie infettive, non solo nel Covid.

L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi

Un nuovo studio che riporta sotto i riflettori un fenomeno di tutti quei Paesi del Nord Europa, quelli meno esposti al sole, il cosiddetto “paradosso scandinavo”: «C’è una campagna di implementazione di vitamina D importante che noi non facciamo, forse perché ci riteniamo naturalmente più protetti perché più esposti al sole. Ma certe popolazioni fragili come gli anziani stanno prevalentemente chiusi in casa o nelle Rsa e il sole non lo vedono. Proprio in questi casi, ma non solo, studiare i livelli plasmatici di vitamina D può essere molto importante per decidere eventuali integrazioni». Inoltre, a differenza degli italiani, gli scandinavi hanno sopperito a questa carenza, noi invece no, spiega l'autore dello studio.

 

Vitamina D, un prezioso alleato ricco di proprietà e benefici

I suoi importanti effetti a livello immunitario era confermati già nell’Ottocento quando, per contrastare la tubercolosi, le persone venivano esposte al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi erano maggiormente esposti ai raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di tubercolosi o guarivano più velocemente. Un paradosso, quello scandinavo, che permette di formulare un’ipotesi per l’Italia, colpita così duramente dalla pandemia, a causa degli scarsi, e quindi insufficienti, livelli di vitamina D registrati tra la popolazione. A questo scenario critico si lega l’importanza dell’integrazione che non prevede nessuna controindicazione. «La vitamina D non è un farmaco tossico, somministrarla a chi ha una carenza ne potenzia le risposte immunitarie. Dal lato opposto, chi ha livelli di vitamina D molto bassi è probabilmente molto più esposto alle infezioni in generale, respiratorie e non solo», conclude il professor Ricci.

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Per approfondimenti:

Alimentazione Gazzetta "Vitamina D e Covid, un altro studio evidenzia carenze nei malati ospedalizzati"

Respiratory Research "Circulating Vitamin D levels status and clinical prognostic indices in COVID-19 patients"

Agi "La carenza di vitamina D può aggravare la malattia"

Nurse Time "Coronavirus, carenza di vitamina D associata a stadi clinici più compromessi"

Comune di Torino "Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19: nuove evidenze"

Regione Piemonte "Covid, aggiornato il protocollo delle cure a casa"

Ansa "ANSA-IL-PUNTO/ COVID: PIEMONTE si attrezza contro varianti"

Nutrients "Effectiveness of In-Hospital Cholecalciferol Use on Clinical Outcomes in Comorbid COVID-19 Patients: A Hypothesis-Generating Study"

Jama Network "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"

Springer Link "Associations between hypovitaminosis D and COVID-19: a narrative review"

Il Messaggero "Covid, morti in calo con l'assunzione di vitamina D"

Ansa "Covid: calo morti con trattamento con vitamina D"

Il Resto del Carlino "Covid, con la vitamina D rischio di decesso e ricovero in Intensiva calato dell'80%"

La Nazione "Covid, calo di morti con la vitamina D"

La Gazzetta di Parma "Calo dei morti da Covid col trattamento con vitamina D: uno studio anche parmigiano"

Il Giornale "La Vitamina D ci salverà dal Covid?"

The Guardian "Add vitamin D to bread and milk to help fight Covid, urge scientists"

ANSA "Covid: carenza vitamina D per oltre 80% pazienti ricoverati"

Queen Mary University "Clinical trial to investigate whether vitamin D protects against COVID-19"

ISS "COVID-19: la vitamina D potrebbe cooperare con l’interferone nella risposta antivirale"

Today "Coronavirus e Vitamina D: la ricerca sull'olio di merluzzo e Covid-19"

Journal of American Medical Association Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19"

Università di Torino "Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19"

Leggo "Covid, 8 pazienti su 10 ricoverati in ospedale erano carenti di vitamina D"

Giornale di Brescia "Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti ricoverati"

Corriere del Ticino "Carenza di vitamina D nell’80% dei pazienti COVID"

Corriere della Sera "La carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo in Covid-19?"

AGI "Le carenze di vitamina D potrebbero aumentare la vulnerabilità al Covid"

Fanpage "La vitamina D riduce il rischio di COVID-19, lo conferma un nuovo studio"

Huffington Post "Bagni di sole e camminate nei boschi per difendervi dal virus. I consigli del Trinity College"

LEGGI ANCHE: Covid, l’Iss conferma: con carenza di vitamina D il virus è più aggressivo

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Calcifediolo contro il Covid. Lo studio di Barcellona: morti in calo del 60% con la vitamina D

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“Mettete via quei carboidrati”. È questo il suggerimento del dietologo Sukkar sullo stile alimentare da seguire per combattere il Covid. Un regime alimentare a basso contenuto di carboidrati e alto contenuto di lipidi in pazienti affetti da coronavirus contribuisce non solo alla riduzione delle complicanze, ma anche della letalità di questa infezione. La sorprendente scoperta di questo studio porta la firma del dottor Samir Giuseppe Sukkar e del professor Matteo Bassetti, rispettivamente direttori della Dietetica e nutrizione clinica e della Clinica di malattie infettive dell’Ospedale Policlinico San Martino. L’indagine, pubblicata sulla prestigiosa rivista statunitense Nutrition evidenzia una risposta immunitaria esagerata messa in atto dall’organismo per difendersi dal virus. Il ruolo cruciale in questo quadro critico è svolto dalla cosiddetta “tempesta citochinica” nelle persone contagiate dal Covid. Questo meccanismo avviene ad opera dei macrofagi M1, cellule che consumano glucosio che sono poi tra i principali responsabili del rilascio di citochine, ovvero molecole implicate nel processo di infiammazione. La ricerca dimostra l’efficacia di una dieta che, prevedendo una drastica riduzione dell’apporto di carboidrati, ma anche di zuccheri, porterebbe ad una minore disponibilità di nutriente per i macrofagi M1, con conseguente controllo e limitazione della produzione di citochine, in grado di scatenare, se prodotte in quantità eccessive, una vera e propria tempesta di citochine.

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Condotto tra febbraio e luglio dello scorso anno su 102 pazienti Covid ospedalizzati al Policlinico, lo studio ha messo a confronto 34 persone che avevano seguito una dieta normocalorica, normoproteica con altri 68 soggetti che, invece, avevano seguito, sempre nello stesso periodo, uno stile alimentare diverso. Con risultati estremamente rilevanti sulla sopravvivenza a 30 giorni e sulla necessità di trasferimento in terapia intensiva. Entrambi i parametri sono infatti risultati minori nei pazienti sottoposti a dieta chetogenica. Questo equilibrio, suggerito dal professor Sukkar, è motivato e legato ad alcuni nutrienti che si attivano e funzionano come una sorta di barriera contro l’infiammazione causata da questo virus, così come per altre malattie. Insomma, secondo l’esperto la parola d’ordine è: prevenzione! L’infiammazione legata al virus non può essere certo “curata” con una dieta miracolosa, ma «oltre ai farmaci può essere pilotata grazie all’alimentazione» sottolinea l’esperto. Il dietologo raccomanda, infatti, di puntare sugli alimenti che hanno un effetto protettivo in caso di malattie. Ovviamente sono banditi tutti gli altri! «Un suggerimento che mi sento di dare – spiega Sukkar – è quello di tenere sotto controllo i carboidrati, specialmente se avete febbre, gli zuccheri semplici possono scatenare una risposta infiammatoria maggiore quindi anche se ci fa piacere mettere in bocca qualcosa di dolce se qualcuno di noi si ammala deve rigorosamente eliminare queste sostanze che sono controproducente perché aiutano invece lo stress sedativo».


L'infiammazione pilotata con il cibo


Una ricerca che getta le basi a tante teorie, secondo quanto sostiene Samir Giuseppe Sukkar, ma che permette di considerare la nutrizione in base ai suoi effetti terapeutici nel contrasto alla pandemia da coronavirus.

In questo studio, per la prima volta, consideriamo la nutrizione in una valenza non più di supporto ma anche terapeutica potendo contribuire fortemente a bloccare la grave complicanza del Covid-19 ovvero la tempesta citochinica, capace di contribuire al miglioramento della prognosi di pazienti affetti da Covid-19. Inoltre, anche se all’esperienza recentemente pubblicata farà seguito uno studio randomizzato controllato multicentrico per ulteriori conferme, ritengo che, allo stato attuale, sia fortemente necessario prendere in considerazione questa dieta [...] -  basata sulla riduzione dell’attivazione delle cellule infiammatorie (macrofagi) - soprattutto in soggetti positivi in cura presso il proprio domicilio. In particolare, la dieta dovrebbe essere suggerita per i soggetti obesi, fortemente a rischio di complicanze da Covid-19. Ricordo – conclude – che la dieta non può e non deve essere un ‘fai da te’ e particolare attenzione deve essere posta nei soggetti diabetici, nefropatici e donne in gravidanza in quanto, pur trattandosi di una dieta normocalorica, la ridotta presenza di zuccheri potrebbe essere pericolosa per soggetti in terapia insulinica, ipoglicemizzante o nefropatici. Sempre chiedere al proprio medico se ci possono essere controindicazioni al suo utilizzo.

Cellule linfoidi innate

Nello specifico, l'iperattivazione dei macrofagi M1 con un fenotipo proinfiammatorio, che è legato alla glicolisi aerobica, porta al reclutamento di monociti, neutrofili e piastrine dal sangue circolante e svolge un ruolo cruciale nella tromboinfiammazione (come recentemente dimostrato nel Covid-19) attraverso la formazione di trappole extracellulari di neutrofili e aggregati piastrinici monociti, che potrebbero essere responsabili della CID (coagulazione intravascolare disseminata). La modulazione della disponibilità di glucosio per i macrofagi M1 […] potrebbe rappresentare un possibile strumento metabolico per ridurre la produzione di adenosina trifosfato dalla glicolisi aerobica nel fenotipo del macrofago M1 durante la fase essudativa. Questo approccio potrebbe ridurre la sovrapproduzione di citochine e, di conseguenza, l'accumulo di neutrofili, monociti e piastrine dal sangue.

Punti salienti

  • L'iperattivazione dei macrofagi nel Covid-19 è collegata alla sindrome da tempesta di citochine
  • Il fenotipo M1 dei macrofagi nella fase essudativa dipende metabolicamente dalla glicosi aerobica (effetto Wurburg-like)
  • Il reclutamento M1 di neutrofili e piastrine gioca un ruolo trombo-infiammatorio cruciale
  • La dieta con pochi carboidrati e più grassi potrebbe immunomodulare i macrofagi M1 limitando la sindrome da tempesta di citochine
  • Questo regime alimentare potrebbe garantire un approvviggionamento ottimale di carburante per i macrofagi del fenotipo M2
  • Limitando la produzione di lattato, potrebbe stimolare la sintesi dell'interferone di tipo I
  • La replicazione virale potrebbe essere inibita dall'azione antiglicolitica di questa specifica dieta

 

In particolare, la dieta dovrebbe essere consigliata soprattutto a soggetti obesi o in sovrappeso, e quindi, fortemente a rischio di complicanze da SARS-CoV2. «La collaborazione con i colleghi dell’unità operativa nutrizione clinica e l’attenzione alla dieta dei pazienti Covid positi denota l’importanza della multidisciplinarietà nella gestione e cura dei pazienti affetti da questa infezione. La multidisciplinarietà è stata tra i capisaldi oltre ai punti di forza del lavoro medico, clinico e scientifico svolto sul Covid al Policlinico San Martino», aggiunge Matteo Bassetti.

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Per approfondimenti:

Nutrition "Induction of ketosis as a potential therapeutic option to limit hyperglycemia and prevent cytokine storm in COVID-19"

Quotidiano di Ragusa "Cosa mangiare contro il Covid: dieta con pochi carboidrati e molti grassi"

Immunity "Lipid-Droplet Formation Drives Pathogenic Group 2 Innate Lymphoid Cells in Airway Inflammation"

Quotidiano di Ragusa "Dieta chetogenira normocalorica contro iperinfiammazione Covid"

Genova24 "La dieta chetogenica efficace contro il Covid: lo studio del Policlinico San Martino"

Liguria Notizie "Bassetti e Sukkar: ridurre carboidrati, dieta chetogenica efficace contro il Covid"

Di Lei "Dieta chetogenica: a chi fa bene"

Journal of Translational Medicine "The dark side of the spoon - glucose, ketones and COVID-19: a possible role for ketogenic diet?"

AGI "La dieta chetogenica può ridurre i rischi di complicanze nel Covid-19"

Gazzetta Active "La dieta chetogenica è un’arma contro il Covid? Uno studio sostiene che può ridurre la mortalità"

San Raffaele "Obesità-COVID-19: la dieta chetogenica aiuta a ridurre i rischi da Sars-Covid2"

The Lancet "Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality"

LEGGI ANCHE: Carboidrati, un’arma letale ai tempi del Covid: rischio obesità e infiammazione

Infiammazione? Lo stile alimentare che aiuta la prevenzione di tante patologie

Gli interferoni, l’arma del sistema immunitario contro le infezioni virali

'Obiettivo salute': contro le patologie una dieta a basso indice glicemico

Meno carboidrati e più grassi: un regime alimentare ricco di benefici

 

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Dolorosa e invalidante. Acuta o cronica è senza dubbio, la più nota è quella reumatoide. Tra le patologie della mano più comuni e fastidiose c’è sicuramente l’artrite. Dalle dita rigonfie a quelle deformate cosiddette “a collo di cigno”. I tratti distintivi di questa malattia sono senza dubbio dolori localizzati tra al pollice, medio e anulare, formicolii, rigonfiamenti oltre al “dito a scatto”. Una patologia autoimmune sistemica in cui alcune cellule del sistema immunitario che mutano e attaccano il proprio organismo aggredendolo. Nello specifico, la membrana affetta da artrite crea il panno sinoviale che, espandendosi, intacca legamenti, tendini e cartilagini. Le articolazioni maggiormente bersagliate sono sicuramente polsi, gomiti, ginocchia, caviglie, piedi e mani. In pratica, nelle persone malate di artrite reumatoide, produce erroneamente anticorpi che attaccano il rivestimento delle articolazioni (membrana sinoviale), causando infiammazione e dolore. L’infiammazione, a sua volta, produce sostanze chimiche (citochine) che provocano l’ispessimento e l’aumento di volume della membrana sinoviale e danneggiano le ossa, le cartilagini, i tendini e i legamenti circostanti. In assenza di cure, le citochine possono causare la deformazione dell’articolazione e, da ultimo, distruggerla completamente. Le ipotesi più accreditate sostengono che la malattia si manifesti in individui geneticamente predisposti quando siano esposti ad un evento o ad un agente, scatenante (quale un virus o un batterio), non ancora individuato che innesca la reazione immunitaria. Colpisce dalle tre alle sette persone ogni mille, in prevalenza donne, con un picco di insorgenza in una fascia d’età compresa fra i 45 e i 65 anni. Dalla rigidità al movimento alla conseguente perdita della funzionalità delle articolazioni coinvolte. «L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica autoimmune che attacca i tessuti articolari di una persona il cui sistema immunitario, invece di proteggere l’organismo dagli agenti esterni come virus e batteri, si attiva in maniera anomala contro di esso» spiega al Corriere della Sera Roberto Gerli, presidente della Società Italiana di Reumatologia.

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In Italia, 400.000 persone soffrono di artrite reumatoide. L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce in maniera elettiva le articolazioni. La sua prevalenza ovvero il numero di casi di artrite reumatoide nella popolazione mondiale è di circa l’1%. In Italia la media è di un malato ogni 250 persone. Tra le malattie osteoarticolari, l’artrite reumatoide, rappresenta la malattia più grave in termini di danno strutturale delle articolazioni, di danno osseo secondario, di complicanze extra-articolari, di comorbidità associate e di rischio di mortalità. Come accade per altre malattie autoimmuni è lo stesso sistema immunitario (che di norma difende l’organismo dalle aggressioni esterne) ad attaccare i tessuti sani, non riconoscendoli come tali. Il “bersaglio” privilegiato degli anticorpi, in questo caso è la membrana sinoviale, che è il foglietto di rivestimento interno della capsula articolare e che si riflette ai margini di questa andando poi a tappezzare le superfici ossee articolari. Tale membrana reagisce all'infiammazione aumentando di volume e dando origine al panno sinoviale. Questo si espande fino a provocare la graduale distruzione della cartilagine, ma il processo proliferativo nei casi più gravi arriva a toccare le ossa e gli altri tessuti circostanti (osso subcondrale, capsule, tendini, legamenti). Tuttavia, l’infiammazione potrebbe coinvolgere i vasi sanguigni, le sierose, i muscoli, i polmoni, i reni, il cuore, il sistema nervoso centrale e periferico, l’apparato visivo, quello emopoietico. Tra le categorie più a rischio ci sono indubbiamente anche le persone obese o in sovrappeso, questo perché l’aumento di peso sovraccarica le articolazioni aumentando il rischio di infiammazione.

Non sottovalutare le conseguenze dell'artrite

Sotto il nome di artrite, che significa letteralmente “articolazione dolorante, rientrano più di cento condizioni diverse. Unico comune denominatore, la caratteristica di provocare un'infiammazione a livello articolare. Fino a poco tempo fa confusa o associata all’artrosi, malattia ben diversa che colpisce i condrociti, le cellule che costituiscono la cartilagine e che, nonostante abbia una componente infiammatoria non è una malattia infiammatoria. Tra i sintomi manifesti di questa infiammazione articolare dolore, gonfiore, rigidità al movimento e successiva perdita della funzionalità delle articolazioni coinvolte. La rigidità articolare, maggiormente intensa al risveglio, può durare per tutta la giornata. Si tratta di uno dei principali campanelli d’allarme dell’artrite reumatoide: in altre patologie articolari (come l’osteoartrosi) questo disturbo tende a svanire più rapidamente. Inizialmente, la perdita della funzionalità articolare può essere determinata dall’infiammazione della membrana sinoviale (o sinovite). Nella fase avanzata della malattia è più frequentemente associata alle deformità articolari e alle anchilosi. Di solito, l’artrite reumatoide colpisce in modo bilaterale e simmetrico. Tra le varie forme di artrite:


Osteoartrite: più comune soprattutto tra le persone anziane, è la causa principale di disabilità fisica, tra le donne dopo i 45 anni di età. Lesiona le cartilagini e conseguentemente comporta spesso un contatto diretto tra le ossa nelle articolazioni. Si manifesta su mani, collo, fondoschiena e sulle articolazioni su cui si scarica il peso del corpo, come le ginocchia, i fianchi e i piedi.

Artrite reumatoide: (come già detto) interessa le articolazioni, ma anche i tessuti epidermici, polmonari, oculari e i vasi sanguigni. Le persone colpite si sentono stanche e febbricitanti. Una malattia autoimmune che si manifesta solitamente in modo simmetrico nei vari organi (entrambe le mani o entrambe le ginocchia). Può comparire a qualunque età, ma colpisce perlopiù le persone nel loro periodo di maggior produttività. Le donne colpite sono circa due volte più numerose che gli uomini.

Gotta: si manifesta come dolore improvviso e molto intenso e infiammazione e ingrossamento delle articolazioni. Frequentemente gli attacchi sono notturni e possono essere conseguenti all’uso di alcol, droghe o altre malattie pre-esistenti. E’ dovuta all’accumulo di cristalli di acido urico nei tessuti connettivi che si trovano nelle articolazioni. E’ più frequente negli uomini tra i 40 e i 50 anni, mentre nelle donne compare solitamente solo in menopausa.

Artrite reumatoide giovanile: la forma più comune tra i bambini, che causa dolore, irrigidimento, gonfiore e perdita di funzione delle articolazioni. Può essere associata ad episodi di febbre e può colpire diverse parti del corpo.

Fibromialgia: una malattia cronica che causa dolori in tutti i tessuti che supportano ossa e articolazioni. I dolori e l’irrigidimento si manifestano nei muscoli e nei tendini, soprattutto sul collo, colonna vertebrale, spalle e fianchi.


Lupus sistemico eritematoso: malattia autoimmune che comporta infiammazione di articolazioni, pelle, reni, cuore, polmoni, vasi sanguigni e cervello.

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Oltre a queste, ci sono anche altre forme di artrite che colpiscono anche tessuti e organi interni: lo scleroderma (che colpisce soprattutto la pelle), la spondiloartropatie (un insieme di forme che interessano principalmente la colonna vertebrale), l’artrite infettiva (causata da un agente batterico o virale, come i gonococchi o i porvovirus), la polimialgia reumatica (colpisce tendini, muscoli, legamenti, e tessuti articolari), la polimiositi (genera infiammazione muscolare), l’artrite psoriasica (che si manifesta in persone già colpite da psoriasi, soprattutto sulle dita di mani e piedi), le borsiti (infiammazione delle bursae, che contengono liquidi atti a ridurre la frizione tra le ossa) e le tendiniti (comportano infiammazione dei tendini, sia per eccessivo e scorretto uso che per una pregressa condizione reumatica).

Dieta antinfiammatoria, una terapia naturale


Una dieta a ridotto contenuto infiammatorio è associata a una maggiore perdita di peso, riduzione dell’infiammazione, migliori prestazioni fisiche e minore dolore articolare. Difatti, uno stile alimentare “a basso contenuto infiammatorio” potrebbe portare persino alla riduzione del dolore e al miglioramento delle funzioni fisiche. Come suggerito dal dottor Gianfrancesco Cormaci, specialista in biochimica clinica «il regime alimentare previsto per alleviare questi sintomi è la dieta antinfiammatoria che si basa essenzialmente sui cibi ad alto contenuto di antiossidanti, polifenoli, carotenoidi, acidi grassi omega 3, cibi a basso indice glicemico». In questo regime alimentare viene favorito anche l’utilizzo dell’olio extravergine di oliva come principale fonte di grassi ed è altresì consigliata la riduzione o la minimizzazione di carboidrati, alcolici e zuccheri. Sono, invece, da prediligere tutti quegli alimenti che contengono grassi omega 3 la curcuma perché in grado di contrastare gli stati infiammatori, l’olio EVO perché è da considerarsi un farmaco naturale. Insomma, da evitare assolutamente, zuccheri, cereali e tutti i cibi OGM. Questi cibi se inseriti all’interno di un’alimentazione sana e bilanciata, possono offrire un valido aiuto per alleviare i fastidiosi sintomi dell’artrite.

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Per approfondimenti:

Corriere della Sera "Artrite reumatoide, la remissione è possibile per metà dei malati (se la diagnosi è precoce)"

Istituto Superiore di Sanità "Artrite reumatoide"

SkyTg24 "Artrite reumatoide, i primi sintomi e come diagnosticarla"

Il Giornale "Artrite reumatoide: insorgenza, sintomi e rimedi"

EpiCentro "Artriti"

Che Donna "Soffri di artrite reumatoide? Ecco i cibi da evitare"

Affari Italiani "Artrite reumatoide, 7 sintomi iniziali da non sottovalutare"

Fondazione Veronesi "Artrite reumatoide"

Leggo "Lotta all'Artrite reumautoide"

Today "Medici: esperti Sir, 'remissione artrite reumatoide traguardo possibile'"

Corriere della Sera "Fratture da fragilità: quelle del femore sono le più temibili"

Ravenna Today "Artrite: è possibile alleviare i sintomi con una dieta mirata"

Today "Artrite, quali cibi mangiare e quali evitare"

Ministero della Salute "Osteoporosi"

Ministero della Salute "La probabilità di ammalarsi di osteoporosi aumenta con l’aumentare dell’età [...]"

Che Donna "Come prevenire l’osteoporosi | mettiamo più calcio e magnesio a tavola"

Ministero della Salute "Prevenzione delle fratture da fragilità"

PubMed "The Effect of Vitamin D Supplementation in Elite Adolescent Dancers on Muscle Function and Injury Incidence: A Randomised Double-Blind Study"

MDPI "Vitamin D and Sport Performance"

Gazzetta dello Sport "Vitamina D: preziosa per ossa, muscoli e prestazioni sportive"

LEGGI ANCHE: Artrosi, artrite, reumatismi e altri dolori d’inverno. A rischio centinaia di italiani

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Contro infezioni virali, tumori e malattie autoimmuni la riscossa delle proteine. Il nome, una garanzia. Deriva dalla loro nota “capacità di interferire” con la crescita del virus, gli interferoni fanno parte della grande famiglia delle citochine, nome composto dalla radice cito-cellula e chinetico/cinetico (dal greco κινέω «muovere, mettere in movimento»). In sostanza, un gruppo di proteine prodotte dalle cellule per difendersi dall'invasione di un virus e chiamate così perché si formano per l'interferenza reciproca tra il virus e la cellula. Acclarata da tempo poi anche la funzione del sistema immunitario nella cura e nella prevenzione. E di conseguenza, di quella svolta dai micronutrienti che ne costituiscono la principale linea di difesa e di attacco nella lotta contro le infezioni. Da sempre, unica e principale difesa naturale, è proprio questo sofisticato circuito di allarme che, per buona parte (circa il 70%) si trova nel nostro intestino. Un sistema che reagisce e ci difende anche se messo a dura prova e sotto continuo attacco da parte di inquinamento, alimentazione scorretta, stress e abuso dei farmaci. E laddove si trova indebolito si arrende a un crollo delle difese che apre le porte a microrganismi patogeni e virus, spianando la strada all’attuale pandemia da Covid. «Gli interferoni sono delle citochine, ovvero delle proteine con funzione di segnalazione e comunicazione tra le cellule», spiega in un’intervista a Gazzetta Active il professor Lorenzo Dagna, primario dell’Unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore associato di Medicina Interna all’Università Vita-Salute San Raffaele.

sistema immunitario

Foto: Corriere della Sera

Gli interferoni, secondo quanto riportato in una nota dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), sono “proteine (molecole, sostanze) prodotte naturalmente dalle cellule in risposta ad una grande varietà di stimoli”. Scoperti nel 1957 dagli scienziati Isaacs e Lindenman, nel corso dei loro studi sull'infezione, causati dal virus dell'influenza. All'epoca, i due ricercatori isolarono un fattore capace di interferire con la crescita del virus. Oltre alla capacità di conferire resistenza a molti virus, è stato poi scoperto che gli interferoni hanno anche quella di inibire la crescita di cellule normali e maligne (tumorali) e di modulare le funzioni di diverse cellule del sistema di difesa dell'organismo (sistema immunitario). Da queste molteplici funzioni derivano le diverse applicazioni terapeutiche degli interferoni, che spaziano dalle infezioni virali (epatite B e C) ai tumori e alle malattie autoimmuni. Queste molecole si diffondono nei tessuti e negli organi in cui vengono prodotte o in cui sono trasportate dal circolo sanguigno, permettono la comunicazione a distanza tra le rispettive cellule. Questi esercitano la loro azione sulle cellule legandosi a molecole presenti sulla superficie cellulare, i cosiddetti recettori, che innescano una serie di reazioni. Esse culminano con la produzione di numerose proteine, chiamate proteine responsive all'interferone che, a loro volta, svolgono diversi ruoli nella difesa della cellula da agenti infettivi o, comunque, pericolosi.

La strada della resistenza

Ma in che modo gli interferoni si attivano all’interno del nostro sistema immunitario e come esercitano la loro azione contro le infezioni virali?


Gli interferoni attivano le cellule del sistema immunitario e anche alcune cellule esterne al sistema immunitario in modalità di difesa da virus e agenti pericolosi per l’organismo. Il loro nome deriva proprio dal fatto che, quando gli interferoni vennero scoperti, si notò che interferivano con la replicazione dei virus. Il virus è più subdolo del batterio: mentre quest’ultimo resta al di fuori delle cellule, e quindi può essere attaccato in vari modi, dagli anticorpi, ad esempio, o dai macrofagi, il virus penetra all’interno della cellula. Per questo motivo il sistema immunitario deve attivare dei programmi intracellulari che vadano ad interferire con la replicazione virale e ad uccidere la cellula infetta. L’interferone mette in atto questi programmi intracellulari e rende le cellule del sistema immunitario più aggressive nei confronti delle cellule infette.

INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico

Ciononostante, non tutti sanno che queste proteine, all’occorrenza, si trasformano in una sorta di “farmaco” preziosi nel trattamento di tantissime terapie.


Esistono diverse classi di interferoni, con funzioni leggermente diverse tra loro. Alcune di queste classi, per esempio, rendono il sistema immunitario in grado di controllare infezioni virali come l’epatite B e l’epatite C, mentre altri interferoni sono in grado di contrastare una patologia neurodegenerativa autoimmune come la sclerosi multipla. Gli stessi interferoni alfa capaci di combattere l’epatite B e C sono anche utili nell’acuire la risposta del sistema immunitario nei confronti di alcuni tipi di tumore.


Inoltre, tra le tante infezioni virali che riescono a ostacolare, anche il Covid:


Gli interferoni sono una delle citochine chiave nelle risposte antivirali. Da qui il presunto legame con il Covid. Quello che ad oggi si ipotizza è che nelle fasi iniziali dell’infezione virale da coronavirus Sars-CoV-2 il sistema immunitario normalmente funzionante produca le citochine e, in particolare, anche una buona quantità di interferoni. Quel che sembra, anche se al momento non vi sono certezze a riguardo, è che in alcune persone con Covid grave la produzione di interferoni sia molto ridotta e di conseguenza non si abbia un ottimale controllo del virus nella fase iniziale di malattia. Questa condizione ha portato ad ipotizzare di somministrare l’interferone per fermare la replicazione del Covid. Va altresì ricordato che non sempre una abbondanza di interferoni, anche attraverso somministrazione di farmaci, è cosa buona: alcune malattie autoimmuni come il lupus, ad esempio, sono caratterizzate da un eccesso di interferoni, e aumentarli non sarebbe sicuramente indicato.

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Per approfondimenti: 

Gazzetta Active "Interferoni, cosa sono e come agiscono. Forse anche contro il Covid…"

Istituto Superiore di Sanità "Interferoni"

Focus "Che cos'è l'interferone?"

Enciclopedia Treccani "Interferone"

Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"

Salute Prevenzione "Nella guerra contro i Virus la scienza si dimentica sempre del Sistema Immunitario"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

Sapere "I sistemi di difesa dell'organismo"

Corriere del Mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"

Il fatto alimentare "Coronavirus: dieta e trattamenti terapeutici naturali proposti da docenti di medicina"

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Utile nella prevenzione, nel trattamento e nel rinforzo delle nostre difese immunitarie. Ancora sotto i riflettori dopo centinaia di anni è sempre la vitamina C. Conosciuta anche con il nome di acido ascorbico, è nota e apprezzata da tutti grazie alle sue notevoli proprietà antiossidanti che stimolano la risposta del sistema immunitario e fortificano il nostro organismo rendendolo meno esposto agli attacchi esterni e al rischio di tante patologie. Inoltre, se inserita all’interno di una dieta sana e bilanciata, questo prezioso nutriente, si dimostra un valido alleato anche nella lotta dei tumori, in combinazione con le terapie anticancro. «Si tratta di una vitamina idrosolubile, che quindi non può essere accumulata nel nostro organismo e deve essere assunta regolarmente attraverso l’alimentazione», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Fondamentale per il nostro organismo, la vitamina C è un prezioso antiossidante, importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario e la sintesi di collagene, il costituente primario di vasi sanguigni, pelle, muscoli, ossa, articolazioni e legamento parodontale che fornisce le proprietà elastiche e di resistenza a organi e tessuti e compone il 75% della nostra pelle e il 30% del nostro corpo. Inoltre, è una proteina essenziale per la riparazione e la guarigione di quasi tutti i tessuti del nostro corpo.

La vitamina C - emerge da un recente studio - oltre ad essere fondamentale per numerosi processi, supporta tante preziose funzioni per la nostra salute, prima tra tutte quella immunitaria. Stimola la produzione di interferoni (che proteggono le cellule dagli attacchi virali) e la proliferazione dei neutrofili, protegge le proteine dall'inattivazione da parte dei radicali liberi prodotti durante i processi ossidativi, facilita la biosintesi del collagene (interviene nella conversione della prolina in idrossiprolina e della lisina in idrossilisina, mantenendo il ferro in forma ridotta) e quella degli acidi biliari, favorisce la sintesi della noradrenalina (neurotrasmettitore) a partire dalla dopamina e del triptofano in serotonina, contribuisce all’assorbimento intestinale del ferro, alla sintesi della carnitina (essenziale per il trasferimento di acili nei mitocondri), al catabolismo della tirosina ad acidi fumarico e acetacetico attraverso la formazione dell'acido omogentisinico, riduce la tossicità di alcuni minerali, collabora alla stimolazione della reduttasi del citocromo (responsabile dell'idrossilazione del colesterolo, necessaria per la sintesi dell'acido colico), favorisce l'uso del selenio a dosi fisiologiche e l’attivazione dell'acido folico in acido tetraidrofolico, regola i livelli endogeni di istamina, inibendone il rilascio e favorendone la degradazione (a scopo terapeutico per prevenire lo shock anafilattico, la pre-eclampsia e la prematurità nelle complicanze della gravidanza), fiosintesi degli ormoni steroidei della corteccia surrenale, favorisce la riduzione degli ioni superossidi, dei radicali idrossilici, dell'acido ipocloroso e altri potenti ossidanti, proteggendo la struttura del DNA, delle proteine, delle membrane da eventuali danni oltre alla riduzione dell'efficienza dell'assorbimento intestinale del rame, esercita un’azione preventiva nella cancerogenesi da nitrosamine, inibendo la loro sintesi e, insieme alla vitamina E, protegge dal danno ossidativo provocato dai radicali liberi.

La vitamina della prevenzione

 

Le innumerevoli proprietà della vitamina C l’hanno inclusa nell’elenco dei medicinali essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e quindi, tra i più sicuri ed efficaci necessari al sistema sanitario. Valido supporto nella prevenzione delle malattie da raffreddamento da oltre trent’anni. La teoria della vitamina C contro il raffreddore diventa popolare intorno al 1970 quando, il premio Nobel Linus Pauling, pubblica un libro su come prevenire le malattie da raffreddamento con mega dosi di vitamina C. Secondo Pauling, un'assunzione giornaliera di vitamina C di 1.000 mg può ridurre l'incidenza del raffreddore di circa il 45% e l'assunzione giornaliera ottimale di vitamina C per vivere in modo sano e prevenire le malattie dovrebbe essere di almeno 2,3 g. Una sua carenza, per contro, si traduce in una condizione nota come lo scorbuto. tra i principali sintomi di una sua carenza, nota anche come scorbuto. Attenzione quindi ai segnali! Debolezza, confusione, esaurimento fisico, scarso appetito (che può trasformarsi anche in anoressia), letargia, irritabilità, dolori alle gambe, anemia, gengivite, ematomi, carie, dolori articolari, dolori muscolari, caduta dei capelli, pelle secca, sensibilità alla luce, sbalzi d’umore, depressione, sanguinamento gastrointestinale e mal di testa. Tra le sue numerose peculiarità riportate in numerose ricerche, ecco le principali:

  • È un antiossidante necessario per produrre collagene nella pelle.
  • Capacità di ridurre la gravità e la durata del raffreddore.
  • Contribuisce alla riduzione dei rischi di malattie cardiovascolari e del cancro
  • Favorisce la tonicità muscolare e il contrasto della sarcopenìa
  • Rafforza i vasi sanguigni e la resistenza alle infezioni
  • Facilita l’assorbimento del ferro
  • Aumenta la resistenza alla fatica

VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici

 

Tra le tante virtù, la sua capacità antiossidante permette un utilizzo della vitamina C anche nell’industria alimentare:


L’acido ascorbico viene spesso usato come additivo in alcune preparazioni alimentari per la sua azione conservante che deriva proprio dalle caratteristiche chimiche tipiche dell’antiossidante. - spiega la dottoressa Falcone - Questa caratteristica rende la vitamina C utile nel contrastare i radicali liberi in condizioni di stress ossidativo, combattendo l’infiammazione. Non si pensi, però, che un integratore di vitamina C possa avere poteri antitumorali: l’effetto antinfiammatorio è dato da una dieta ricca di fonti di questa vitamina. - precisa la nutrizionista - L’acido ascorbico partecipa a moltissime reazioni metaboliche, come la sintesi di aminoacidi, degli ormoni e del collagene, ed è utile anche al benessere della pelle. Grazie al suo potere antiossidante è di aiuto anche nella fase post allenamento, perché migliora il recupero a livello muscolare e cellulare, e può utile in periodi in cui ci sentiamo particolarmente affaticati. Ma, a differenza di quanto si pensa, non cura il raffreddore, anche se aumenta le barriere del sistema immunitario.

Una vitamina miracolosa e dove trovarla.


La troviamo prevalentemente in frutta e verdura, in particolare negli agrumi (limone, arance, mandarini…), nei kiwi, nelle fragole, nelle crucifere (cavolfiori, broccoli, broccoletti), peperoni, pomodori. - chiarisce la dottoressa Falcone - Attenzione però alla preparazione di questi alimenti: la vitamina C è termolabile, sensibile alle temperature, e se l’alimento viene cotto troppo si può disperdere. Lo stesso rischio si ritrova nel caso di cottura in eccessiva acqua. D’altro canto l’acido ascorbico è un facilitatore dell’assorbimento del ferro non eme, il ferro di origine vegetale contenuto nelle verdure. Se a questi abbiniamo una fonte di acido ascorbico il ferro non eme cambia struttura molecolare e viene assorbito più facilmente. Trattandosi di una vitamina idrosolubile ne abbiamo bisogno quotidianamente, quindi è bene che fonti di acido ascorbico siano presenti ogni giorno nell’alimentazione. Ma se seguiamo una dieta varia ed equilibrata, ricca di verdura e frutta di stagione, soddisfiamo il fabbisogno.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Vitamina C, sistema immunitario e non solo: ecco a cosa serve e dove si trova"

Il Giornale "Agrumi: proprietà e benefici del frutto dell'inverno"

Frontiers in Immunology “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19

PubMed "Evolution and the need for ascorbic acid"

MDPI "Vitamin C and Immune Function"

Il Messaggero "Covid, influenza stagionale e coronavirus: come distinguere i sintomi in caso di febbre"

Centro meteo italiano "Coronavirus, influenza stagionale e raffreddore, come distinguerli: i sintomi e le caratteristiche"

Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"

Salute Prevenzione "Nella guerra contro i Virus la scienza si dimentica sempre del Sistema Immunitario"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

Sapere "I sistemi di difesa dell'organismo"

Corriere del Mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"

Il fatto alimentare "Coronavirus: dieta e trattamenti terapeutici naturali proposti da docenti di medicina"

LEGGI ANCHE: Storia della vitamina C: dalla prevenzione del raffreddore al trattamento del Covid

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Uno studio siciliano riaccende i riflettori sui benefici degli integratori alimentari soprattutto nella prevenzione dell’infezione da coronavirus. Insomma, oltre ai tanti e già noti benefici per il nostro organismo, queste sostanze riducono il rischio di malattia grave e di sviluppare, in caso di contagio, pericolose complicanze. L’indagine, realizzata da un équipe di ricerca coordinato dal professore Salvatore Corrao, componente del comitato tecnico scientifico della Regione Siciliana e direttore del reparto Covid dell'Ospedale Civico di Palermo, ha indagato e dimostrato l'efficacia antinfiammatoria di integratori a base di vitamina C, D, melatonina e zinco nel trattamento del Covid-19. La ricerca è stata poi pubblicata sulla rivista internazionale Nutrients. Un complesso di sostanze capaci di favorire il benessere contrastando i processi degenerativi. «L’integrazione può essere un valido aiuto per migliorare il nostro sistema immunitario su diversi fronti anche per contrastare le malattie infettive» suggerisce Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. Premesso, questo è indiscutibile, che uno stato nutrizionale ottimale riduca efficacemente l'infiammazione e lo stress ossidativo, migliorando la regolazione del sistema immunitario. Inoltre, un'integrazione consapevole potrebbe essere efficace per migliorare lo stato di salute, non solo in generale, ma soprattutto quella dei pazienti considerati ad alto rischio di infezioni virali, ovvero di tutte quelle persone affette da patologie, e quindi, maggiormente esposte e suscettibili a una maggiore aggressività della malattia.

INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico

La risposta immunitaria è la nostra prima linea di difesa contro gli attacchi di agenti esterni. Questa, interviene in due modalità: tramite l’immunità innata e quella adattiva. Mentre la prima è presente sin dalla nascita e lavora per impedire agli agenti esterni di entrare nel nostro corpo, la seconda è acquisita a partire dal primo anno di vita e viene potenziata ed “educata” in risposta alle infezioni e agli agenti estranei in cui il corpo si imbatte ogni giorno. Infatti, il nostro corpo memorizza virus e batteri già incontrati così essere in grado di attuare le difese necessarie nel caso si ripresentassero. Quindi, è vero sì che le nostre difese immunitarie sono pronte a intervenire in caso di necessità, ma è necessario aiutarle e rafforzarle con uno stile di vita sano e un’alimentazione equilibrata grazie all’apporto di vitamine, minerali e sostanze nutritive. Gli integratori che non dobbiamo intendere come sostitutivi di una dieta varia, sana ed bilanciata, non sono scorciatoie a uno stile di vita equilibrato, ma hanno la funzione di “integrare” appunto eventuali carenze permettendo al nostro organismo di essere più forte in grado di difenderci dagli attacchi esterni, tra cui virus e influenze stagionali. senza contare poi che il valore ottimale di alcuni nutrienti, è fondamentale per la nostra salute.

La conferma alle teorie precedenti

Il gruppo di ricerca dell'Ospedale Civico di Palermo è coordinato dal professore Salvatore Corrao, Raffaella Mallaci Bocchio, nutrizionista, Marika Lo Monaco, infermiera, Giuseppe Natoli, biostatistico, Christiano Argano, internista e con la collaborazione di altri due medici: Attilio Cavezzi ed Emidio Troiani, rispettivamente dell'Eurocenter Venalinfa di San Benedetto del Tronto, e Cardiology Unit, State Hospital, Social Security Institute, Cailungo, di San Marino. Ecco cosa suggerisce lo studio palermitano per ridurre l’aggressività del Covid:


Ad oggi - spiega il ricercatore - è passato più di un anno da quando la malattia da Covid-19, dovuta alla sindrome respiratoria acuta grave (SARS) -CoV-2, è stata descritta per la prima volta a Wuhan (Cina), evolvendosi rapidamente in una pandemia. Questa malattia infettiva è diventata la principale sfida per la salute pubblica nel mondo. Purtroppo ad oggi non esistono antivirali specifici di provata efficacia per il Covid-19 e nonostante siano disponibili i vaccini, il tasso di mortalità non sta scendendo. Una delle strategie terapeutiche è stata focalizzata sulla prevenzione delle infezioni e sulle misure di controllo. A questo proposito, l'uso di supporti nutraceutici può giocare un ruolo per quanto riguarda alcuni aspetti dell'infezione, in particolare lo stato infiammatorio e la funzione del sistema immunitario dei pazienti, rappresentando così una strategia per controllare gli esiti peggiori di questa pandemia. Per questo motivo, abbiamo eseguito una ‘overview’ che include meta-analisi e revisioni sistematiche per valutare l’associazione tra melatonina, vitamina C, vitamina D, integrazione di zinco e marcatori infiammatori utilizzando 3 database come MEDLINE, PubMed Central e Cochrane Library of Systematic Reviews. Servono dosaggi terapeutici di melatonina, vitamina C, vitamina D, integrazione di zinco per ridurre non tanto l'impatto dell'infezione, ma di una malattia che potrebbe avere aspetti severi che sappiamo può portare alla morte. Possono essere presi singolarmente o alcuni combinati. I fatti ci dicono che prendendo singolarmente uno o due grammi di vitamina C al giorno, che 50 mila unità di vitamina D una volta al mese, che la melatonina intorno tra 6 e 25 milligrammi la sera, che 50 milligrammi di zinco base ogni giorno, si abbassa la proteina C reattiva che come tutti sanno è un indicatore di infiammazione. Tali sostanze possono ridurre anche le citochine infiammatorie tipiche del Covid. Non comprendiamo perché non sia stata fatta una campagna di popolazione dall'Oms e dagli enti governativi che potrebbe abbattere il Covid grave in soggetti come ad esempio i diabetici.

Quindi, stando al risultato dell'indagine, la “chimica” potrebbe non essere l’unica strada per combattere l’infezione da SARS-CoV2. Sulla base dei dati riportati dallo studio, il ricercatore suggerisce di considerare una possibile integrazione delle attuali misure preventive con il supporto di questi nutrienti su larga scala.

Dalle prove disponibili sulla vitamina D, l’assunzione di 50.000 UI (si parla di 50.000 UI in un’unica assunzione ogni 1-2 mesi o una volta la settimana per 2-3 mesi in caso di carenza), ha mostrato la riduzione in modo particolarmente efficace della produzione della Proteina C Reattiva (PCR) in diverse popolazioni di pazienti. – mentre - Uno o due grammi al giorno di vitamina C hanno dimostrato di essere efficaci sia sulla PCR che, stavolta, sulla funzione endoteliale. Un dosaggio di melatonina, invece, compreso tra 5 mg e 25 mg al giorno ha rilevato una buona evidenza di efficacia su PCR, TNF-alfa (fattore di necrosi tumorale) e IL-6 (un’interleuchina che agisce come citochina multifunzionale, sia pro-infiammatoria, sia anti-infiammatoria). Una dose invece di 50 mg al giorno di integrazione di zinco elementare ha mostrato risultati positivi sulla PCR.

Vitamina C


Confermato e poi contestato il ruolo dell’acido ascorbico nella cura del coronavirus. Il trattamento della vitamina C è riconosciuto per il suo effetto benefico nel prevenire/neutralizzare la risposta infiammatoria, ridurre lo stress ossidativo e stimolare gli interferoni e altre citochine antivirali, peculiarità che rendono la vitamina C importante nella terapia di contrasto al virus. Inoltre, il ruolo benefico della vitamina C come antiossidante e antinfiammatorio ha portato l’intera comunità scientifica a indagare sull’efficacia e sugli effetti di alte dosi di vitamina C nel trattamento e nella riduzione delle complicanze relative a una serie di infezioni virali. Conosciuto anche come acido ascorbico, questo nutriente è noto per il suo effetto antiossidante e immunomodulante. Un concentrato di proprietà nutritive benefiche per il nostro organismo, non solo d’estate. Infatti, questo indispensabile nutriente rinforza le difese immunitarie, contrasta i radicali liberi e protegge dalle infezioni. Diversi ricercatori e medici hanno ipotizzato che l'uso di acido ascorbico potrebbe ridurre l'infezione da SARS-CoV-2 attraverso la capacità degli integratori di aumentare la risposta immunitaria insieme alla diminuzione della gravità della risposta infiammatoria mediata dal virus.

VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici

Numerosi studi supportano la teoria che una dose elevata di vitamina aiuta a rafforzare il sistema immunitario. La vitamina C, preziosa per il sistema immunitario, interviene nella formazione di ossa, pelle e denti, sostiene l’attività muscolare, partecipando alla produzione di energia a livello cellulare. Numerose ricerche indicano che la vitamina C si concentra nelle cellule del sistema immunitario e viene consumata velocemente durante un’infezione portando, infine, a sintomi più lievi e a una durata inferiore. La vitamina C è fondamentale per il mantenimento dell’integrità delle barriere mucosali, ad esempio nel tratto gastrointestinale e respiratorio supporta infatti la sintesi del collagene e protegge le membrane cellulari allo stress ossidativo. È coinvolta nella regolazione delle cellule immunitarie, potenzia l’azione dei linfociti natural killer e l’attività dei macrofagi, e promuove la sintesi di anticorpi. Le evidenze scientifiche secondo cui un apporto elevato di vitamina C potrebbe portare a una minore suscettibilità alle infezioni delle vie respiratorie ha origine dalle teorie di Linus Pauling pubblicate negli anni Settanta.


Vitamina D


Tra le diverse patologie associate a una maggiore esposizione al Covid, viene allocata sin dall’esordio di questa pandemia, anche l’ipovitaminosi D. Inoltre, recenti evidenze scientifiche hanno confermato che il trattamento con vitamina D riduce l'incidenza di infezioni virali delle vie respiratorie, specialmente nei pazienti con carenza di vitamina D. Dalla capacità di modulare e influenzare meccanismi fisiologici dell’organismo al mantenimento di ossa e denti in salute, dal buon funzionamento dei muscoli al rinforzo del sistema immunitario. L’azione della vitamina D è ormai da anni oggetto di ricerca. Studi precedenti avevano già evidenziato un legame tra livelli più bassi di vitamina D e tassi più elevati di malattie respiratorie, come asma, tubercolosi o infezioni virali capaci di compromettere la regolare attività polmonare.

Vitamina D, un prezioso alleato ricco di proprietà e benefici

 

Melatonina


Secondo un recente studio statunitense, la melatonina potrebbe aiutare ad abbassare il rischio di contrarre l’infezione. Dopo le numerose indagini e delle evidenze scientifiche circa il rapporto tra vitamina D e SARS-CoV2, la scoperta dei ricercatori della Cleveland Clinic (Ohio) che identificando nell’ormone che regola il ciclo sonno-veglia, solitamente utilizzato come integratore alimentare per risolvere i problemi di insonnia una possibile opzione di trattamento per il Covid. Secondo gli studiosi, l’uso regolare di questo ormone che regola il ritmo circadiano, comunemente utilizzato come integratore contro l’insonnia, è associato a una probabilità ridotta di quasi il 30% di positività al test diagnostico per Sars-Cov-2. Insomma, considerate le alte prestazioni della melatonina, la sua prescrizione nella profilassi del COVID-19 è fortemente raccomandata.

Dalla MELATONINA alle teorie del dottor PIERPAOLI: tutte le verità

Zinco


«Presente nel fegato, nella carne in generale e nei molluschi (soprattutto ostriche), riduce la replicazione dei coronavirus. Altro importante modulatore della risposta immunitaria è proprio lo zinco a cui si attribuisce la capacità di rimarginare rapidamente le ferite (comprese le ulcere e i danni alle arterie), di aiutare a prevenire i raffreddori (migliora la risposta immunitaria), di migliorare la vista, di migliorare l’odore corporeo, di combattere l’acne e l’ingrossamento prostatico» si legge nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti di Adriano Panzironi.

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Per approfondimenti:

Ansa "Covid: studio, integratori riducono rischio malattia grave"

La Repubblica "Dalla vitamina D alla melatonina: ecco i nostri alleati contro Covid-19"

Gazzetta del Sud "Covid, studio siciliano: integratori riducono rischio malattia grave"

Sanità in Sicilia "Infiammazione e nutraceutica: una strategia per controllare il virus"

Blog Sicilia "Integratori per combattere il Covid, da Palermo uno studio pubblicato su Nutrients"

Vanity Fair "Gli integratori per rinforzare il sistema immunitario"

LEGGI ANCHE: Covid, l’Iss conferma: con carenza di vitamina D il virus è più aggressivo

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Melatonina e vitamina D: il connubio vincente contro il Covid

Nuova ricerca sulla vitamina C: un potenziale aiuto contro il Covid

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L'abuso di antibiotici altera il sistema intestinale. Sul banco degli imputati, terapie antibiotiche ad ampio spettro come vancomicina e streptomicina che alterano sensibilmente le funzioni del sistema immunitario. È quanto emerge da uno studio condotto dal gruppo di ricercatori del Dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano che, coordinati da Federica Facciotti e Francesco Strati, hanno studiato su modelli sperimentali l’effetto di alcune terapie antibiotiche ad ampio spettro. I risultati dell’indagine, pubblicati sulla rivista Microbiome, mostrano che alcune terapie antibiotiche aumentano il rischio di sviluppare malattie infiammatorie oltre a diminuire l'efficacia delle terapie anticancro. Miliardi di batteri, virus, funghi, archeobatteri e protozoi abitano il nostro apparato digerente. Tuttavia, gli antibiotici colpiscono senza distinzione tra nemici e amici, tutti i microrganismi. Premesso che il microbiota intestinale gioca un ruolo centrale nella fisiologia dell'ospite e in diversi meccanismi patologici nell'uomo, gli antibiotici influenzano questo sistema compromettendo la composizione e le funzioni del microbiota intestinale inducendo effetti dannosi anche a lungo termine sull'ospite. Studi recenti, infatti, suggeriscono che l'efficacia di diverse terapie cliniche dipende dall'azione del microbiota intestinale. Nella ricerca in questione, è stata indagata la capacità d'azione dei diversi trattamenti antibiotici di influenzare il microbiota intestinale nel controllo dell'infiammazione intestinale al trapianto di microbiota fecale in un modello sperimentale di colite e in esperimenti ex vivo con biopsie intestinali umane.

DISBIOSI e INFIAMMAZIONE INTESTINALE, scopri le vere cause


Utilizzati per combattere gli agenti patogeni, gli antibiotici, non limitano la loro azione distruttiva esclusivamente ai batteri patogeni a cui sono destinati, ma la estendono indiscriminatamente ai microbi cosiddetti "buoni", fra cui quelli che risiedono nel nostro intestino e che formano il microbiota. Infatti, danneggiando la biodiversità del microbiota, gli antibiotici compromettono l'equilibrio, conosciuto come omeostasi, tra il microbiota e il sistema immunitario, diminuendo di fatto la capacità del colon di monitorare gli stati infiammatori o di resistere all'invasione di nuovi batteri patogeni. Inoltre, l'alterazione del microbiota, nota come disbiosi, a opera degli antibiotici compromette infatti la normale funzionalità dei linfociti T nella mucosa intestinale e delle cellule iNKT (Invariant Natural Killer T) particolarmente sensibili, queste ultime, alla composizione del microbiota intestinale. Il microbiota intestinale umano svolge un ruolo cruciale nel mantenimento dell'integrità del tratto gastrointestinale, dell'omeostasi del sistema immunitario e del metabolismo energetico dell'ospite. Le alterazioni di questa rete possono portare ad anomalie patologiche e infiammazioni. Tuttavia, gli antibiotici, oltre ai patogeni, influenzano anche la crescita di microbi benefici, compresi quelli che risiedono nell'intestino. Riducendo così la diversità del microbiota, gli antibiotici compromettono le interazioni ospite-microbi, l'omeostasi del sistema immunitario e anche la resistenza alla colonizzazione verso i batteri patogeni in arrivo. In sintesi, dall’indagine emerge che diversi regimi antibiotici influenzano la capacità del microbiota intestinale di controllare l'infiammazione intestinale nella colite sperimentale alterando la struttura della comunità microbica e i metaboliti derivati dal microbiota.

Mettono ko il sistema immunitario

Dalla malattia di Crohn alla rettocolite ulcerosa, le patologie che aumentano il rischio di sviluppare tumori del colon. Forti evidenze epidemiologiche collegano l'uso di antibiotici con un aumentato rischio di condizioni infiammatorie come l'IBD, indicando un ruolo importante per il microbiota intestinale nella modulazione dell'immunità intestinale.


La nostra scoperta – spiega Facciotti - ha un grande valore clinico per la prevenzione e la cura di malattie importanti come le malattie infiammatorie croniche intestinali quali la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa, che, oltre ad avere di per sé un impatto negativo sulla qualità di vita, sono collegati ad un aumentato rischio individuale di sviluppare tumori del colon. I dati epidemiologici hanno già evidenziato il legame fra l'uso di antibiotici ad ampio spettro e rischio aumentato di sviluppare funzioni aberranti del sistema immunitario. Noi abbiamo approfondito il perché e lo abbiamo dimostrato in modelli sperimentali di malattia. In sintesi la terapia antibiotica infrange i meccanismi di compensazione fra microbiota e sistema immunitario, privando l'organismo delle più efficaci barriere naturali contro diverse patologie dell'apparato digerente, incluso il cancro al colon.

DISBIOSI INTESTINALE e correlazione con le patologie autoimmuni

Ognuno di questi antibiotici poi, agisce e influenza in modo diverso il microbiota intestinale. La disbiosi indotta da antibiotici promuove anche disfunzioni sostenute dai linfociti T e una maggiore suscettibilità all'infiammazione e alle infezioni interferendo con la regolazione microbiota-dipendente dell'immunità intestinale innata.


Gli antibiotici - continua Strati - hanno diversi meccanismi di azione e per questo possono alterare diversamente il microbiota in seguito al loro utilizzo. Abbiamo scoperto che l'uso di vancomicina e streptomicina modifica il microbiota al punto da favorire l'aumento di microorganismi con caratteristiche pro-infiammatorie, compromettendo la corretta funzionalità del sistema immunitario. L'uso di metronidazolo, invece, ha mantenuto la capacità del sistema immunitario di controllare l'infiammazione intestinale favorendo l'espansione di specie microbiche con proprietà anti-infiammatorie, nonostante il suo uso abbia comunque alterato la composizione del microbiota intestinale.

Tra i tanti effetti negativi, quello sulle terapie oncologiche:

Negli ultimi anni - aggiunge Facciotti - si è capito che l'alterazione del microbiota intestinale a causa dell'utilizzo degli antibiotici rende le terapie anticancro meno efficaci proprio perché indebolisce le funzioni del sistema immunitario, che sono invece fondamentali nel successo delle terapie oncologiche. In questo momento in laboratorio stiamo studiando come le alterazioni del microbiota in pazienti di cancro al colon contribuiscano a rendere difettivo il sistema immunitario e quindi diminuire la capacità dei pazienti di combattere efficacemente i tumori del colon-retto. Il nostro prossimo passo è quindi quello di trovare dei sistemi per riportare il microbiota alterato ad uno stato di normalità ad esempio attraverso la dieta o con la somministrazione di batteri 'buoni', in modo da sostenere le funzioni anti-tumorali del sistema immunitario.

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Per approfondimenti:

AGI "L'abuso di antibiotici altera il sistema intestinale"

La Repubblica "Antibiotici, l’uso eccessivo altera il microbioma e aumenta il rischio di tumore al colon"

Microbiome "Antibiotic-associated dysbiosis affects the ability of the gut microbiota to control intestinal inflammation upon fecal microbiota transplantation in experimental colitis models"

Nurse Times "Scoperta IEO: troppi antibiotici possono alterare il sistema immunitario intestinale"

Ministero della Salute "Rapporto sull'uso di antibiotici"

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Dai prati verdi alle temperature sopra la media. Stagionali e non, tra fiori che sbocciano e pollini che imperversano ovunque. Con l’arrivo nuova stagione tornano le belle giornate, ma anche le allergie. Naso chiuso, starnuti continui e gola arrossata sono tra i sintomi principali. Questa sintomatologia può durare da pochi giorni ad alcune settimane sempre in assenza di febbre e dolori articolari, tipici di disturbi come raffreddore e influenza. Un disturbo molto diffuso tra le persone che diventa più incisivo in questo periodo dell’anno, proprio a causa delle fioriture primaverili. L'allergia, è una condizione fisica causata dall'ipersensibilità del sistema immunitario a sostanze presenti nell'ambiente. Questo agente esterno scatena una risposta da parte del nostro sistema immunitario. Gli anticorpi coinvolti nella risposta immunitaria sono le Immunoglobuline E (IgE) che, legandosi a specifici globuli bianchi presenti nel circolo sanguigno, inducono una serie di reazioni a cascata, coinvolgendo anche le cellule responsabili dello stato infiammatorio. Istamina, prostaglandine e leucotrieni sono i responsabili delle infiammazioni alle mucose di naso e gola provocando anche bruciore e fastidio. Tuttavia, per prevenire le fastidiose allergie stagionali esistono diversi rimedi. Primo tra tutti, la cura dell’alimentazione. Prestare attenzione alla dieta oltre che forma di prevenzione a questo disturbo ciclico diventa anche una modalità di riduzione della sintomatologia stessa. Evitare, dunque, tutti gli alimenti capaci di accentuare il processo infiammatorio allergico.

Boom di allergie quest’anno soprattutto nei più piccoli. Con un incremento del 40% rispetto agli anni precedenti, stavolta le vittime sono proprio i bambini. È questo l’allarme lanciato dalla Società italiana di Allergologia. Insomma, bel tempo e fastidi respiratori vanno a braccetto. Pollini e graminacee non risparmiano nessuno, nemmeno i bambini. È tornata la stagione della “febbre da fieno”. Ricordiamo inoltre anche chi soffre di fastidi di altra natura come ad esempio l’inquinamento e gli acari della polvere. Tra i disturbi respiratori causati da questi allergeni figurano in primis le riniti di cui, il 50% sono di natura allergica, legate a un periodo preciso dell’anno oppure possono essere persistenti se legate ad allergeni a cui siamo esposti con frequenza. Mentre il 30% fa riferimento, invece, a quelle non allergiche, come il comune raffreddore. Il restante 20% poi, si divide in forme specifiche meno frequenti, come le riniti gravidiche tipiche delle donne in gravidanza o quelle che colpiscono prevalentemente gli anziani. «Negli ultimi decenni c’è stato un notevole incremento delle malattie allergiche. Inizialmente il fenomeno ha interessato i Paesi industrializzati o comunque più ricchi e poi ha coinvolto gradualmente anche molti altri Paesi in via di sviluppo, dove le condizioni di vita sono diventate più simili a quelle dei Paesi occidentali. Tale aumento è risultato particolarmente evidente nei bambini» spiega in un’intervista al Corriere della Sera, Gualtiero Leo, titolare di incarico di Alta Specializzazione in Allergia e Asma presso la U.O.C. di PediatriaCasa Pediatrica dell’Ospedale Fatebenefratelli, ASST FBF e Sacco di Milano.

Le vere cause delle allergie

 

I pollini rappresentano una frequente causa di allergia respiratoria sia negli adulti che nei bambini. I sintomi si manifestano più frequentemente con starnuti, prurito al naso e secrezione nasale liquida a cui spesso si associa arrossamento e prurito congiuntivale, configurando il quadro clinico della rinocongiuntivite allergica. Giocare al parco in belle giornate di sole e con un po’ di vento rappresenta l’occasione più frequente per la comparsa di questi sintomi nei bambini allergici ai pollini. La rinite allergica pur non essendo una malattia grave può creare situazioni di disagio al bambino, per esempio per la necessità di soffiarsi il naso ripetutamente, o per dover limitare la sua attività all’aperto con gli amici, con la percezione di essere isolato. La rinite, specialmente se associata a ostruzione nasale, può disturbare il sonno con conseguente influenza sull’attività di apprendimento o anche con giorni di assenza da scuola. L’allergia ai pollini, come anche verso gli acari della polvere, i derivati epidermici di animali domestici o le muffe, può causare anche asma che si manifesta con tosse secca durante l’attività fisica e sensazione di difficoltà respiratoria.


L’esperto poi mette in risalto la correlazione tra l’aumento delle allergie e il microbiota intestinale:


Sappiamo che lo sviluppo delle allergie è dovuto all’interazione di fattori genetici e ambientali, ma l’incremento di frequenza è avvenuto in tempi troppo brevi da poter essere giustificato da modificazioni genetiche, per cui l’attenzione è stata rivolta verso i fattori ambientali. Una delle ipotesi avanzate per spiegare l’aumento delle allergie fu proposta agli inizi degli anni ‘90 e prese il nome di “ipotesi igienica”. Questa ipotesi derivava dall’osservazione che i bambini appartenenti a famiglie numerose sviluppavano meno frequentemente malattie allergiche. Si ipotizzò che ciò fosse dovuto a una maggiore esposizione, nelle prime epoche della vita, a infezioni derivanti dai contatti con i fratelli. L’attenzione su queste osservazioni si è evoluta nei decenni successivi con studi epidemiologici che hanno portato, però, a ritenere che la maggior incidenza di malattie allergiche non fosse dovuta in maniera specifica alla ridotta frequenza di infezioni, intese come contatti con microrganismi patogeni che causavano malattie infettive (virus, batteri), ma piuttosto allo stile di vita occidentale che avrebbe causato un cambiamento del microbiota umano rispetto a quello che avevano le precedenti generazioni.

RINITE ALLERGICA, ecco come stare meglio cambiando stile di vita

Il microbiota è l’insieme dei microrganismi, costituiti prevalentemente da batteri oltre a virus, funghi e parassiti, che colonizzano l’intero nostro organismo distribuendosi su tutte le superfici, sia quelle esterne come la cute che quelle interne come le mucose degli apparati respiratorio, digerente e genitourinario. Il numero di questi microrganismi, dell’ordine di trilioni, è simile o addirittura superiore al numero delle nostre cellule e sono maggiormente numerosi a livello dell’intestino dove esplicano numerose funzioni indispensabili al nostro benessere. Nel bambino, inoltre, hanno la funzione fondamentale di stimolare lo sviluppo del sistema immunitario. Durante la gravidanza il feto vive in un ambiente altamente protetto dalle infezioni e il suo sistema immunitario, che è in grado di dare una buona protezione verso eventuali infezioni, ha il compito principale di non innescare reazioni contro il sistema immunitario della madre nonostante vi sia una parziale incompatibilità, essendo il corredo genetico del feto per metà di origine paterna. Potremmo dire che il sistema immunitario del feto, pur essendo dotato di tutti i suoi componenti che gradualmente si formano, vive in una condizione di “riposo”. Lo stimolo alla maturazione del sistema immunitario avviene per opera dei microrganismi che compongono il microbiota. La colonizzazione dei batteri nel bambino comincia già durante la vita fetale con il passaggio di batteri dall’intestino materno attraverso la placenta e prosegue in maniera più massiva dalla nascita in poi per raggiungere una completa configurazione verso i 3 anni. I fattori principali che concorrono alla formazione del microbiota nel bambino sono il parto (naturale o cesareo), il tipo di allattamento, l’introduzione di alimenti solidi e vari fattori ambientali, come la presenza di fratelli o il contatto con animali domestici e abitare vicino ad ambienti rurali o con fattorie. Comunque, nelle prime epoche della vita, il microbiota si modifica continuamente in seguito all’influenza dei vari fattori che lo condizionano.

Lo Eaaci (European Academy of Allergy and Clinical Immunology) ritiene che l’allergia sia la quarta malattia più diffusa in Italia e che nel 2050 arriverà a coinvolgere più del 50% della popolazione. nel libro di Adriano Panzironi "Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti", le cellule del nostro sistema immunitario vengono considerate i principali attori principali della risposta allergica. Esse attuano - viene spiegato nel libro - un meccanismo che dovrebbe difenderci dall’invasione di batteri ma la sua azione esagerata, infiamma i tessuti. Nello specifico, i primi responsabili. Le malattie del nostro tempo - sottolinea Panzironi - sono gli anticorpi detti immunoglobuline di tipo E (IgE), i quali si legano ai recettori presenti sia sui mastociti che su quelle dei leucociti basofili. Le IgE permettono a tali cellule del sistema immunitario di attivarsi ogni qual volta sono in presenza di un determinato antigene (polline, polvere, etc.), rilasciando le citochine infiammatorie, l’istamina, l’eparina e l’acido arachidonico. L’effetto è quello di rendere permeabili i vasi sanguigni (facendo trasudare la linfa nei tessuti) causando i tipici fenomeni dell’allergia (rigonfiamento della pelle, pruriti, arrossamento, infiammazione). Esistono diverse patologie che hanno nomi diversi in base alla parte del corpo interessata. Se i tessuti coinvolti sono quelli polmonari si parla di asma, se è la pelle si parla di dermatite, se sono le mucose di riniti, etc...


Sappiamo che le allergie sono l’espressione di una reazione abnorme o esagerata del sistema immunitario verso sostanze ambientali innocue per il nostro organismo come per esempio gli alimenti, i pollini o gli acari della polvere, verso cui il sistema immunitario non dovrebbe reagire ma tollerare, cioè manifestare una tolleranza immunologica. Nei soggetti che invece sviluppano allergie, questo meccanismo è come “bloccato” e sostituito da una reazione immunologica con produzione di particolari anticorpi detti immunoglobuline E (IgE). Tali anticorpi non hanno funzione di difesa o protezione, ma quando vengono a contatto con la sostanza verso cui sono stati sintetizzati, causano una reazione avversa che può andare da semplici eruzioni cutanee, a sintomi gastrointestinali, a disturbi respiratori fino, in caso di alimenti o farmaci, a reazioni più gravi. Le malattie allergiche dovute alla produzione di anticorpi IgE vengono definite atopiche e comprendono la dermatite atopica, la rinite allergica e l’asma bronchiale.

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Per approfondimenti:

Corriere della Sera "Con la primavera tornano le allergie, come riconoscerle nei bambini?"

Il fatto quotidiano "Allergie di primavera: quali sono i sintomi, i rimedi e i rischi dei farmaci tradizionali"

Corriere della Sera "Allergie, come affrontare la stagione dei pollini"

Brescia Today "Arriva la primavera ma è allarme allergie: colpito il 40% dei bambini"

AGI "Come distinguere i sintomi delle allergie da quelli del coronavirus

Ansa "Coronavirus: tornano allergie, possibile confondere sintomi"

Adnkronos "Coronavirus, ecco come distinguerlo dalle allergie"

Il Mattino "Coronavirus, gli allergici non rischiano più di altri ma la mascherina è fondamentale"

Torino Today "Covid-19 e allergie: primavera, come non confondere i sintomi"

Focus Tech "Coronavirus: ecco come distinguerlo dalla rinite allergica stagionale"

LEGGI ANCHE:  Allergie ai tempi del Covid: dalla primavera alla rinite stagionale e come riconoscerla

Asma, difficoltà respiratoria? La scienza conferma che dipende da quello che si mangia

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Una rondine non fa primavera, ma due minerali si! Nella transizione dalla stagione invernale a quella primaverile ci accompagnano due alleati per contrastare i nemici del benessere: stanchezza e affaticamento, scarsa concentrazione e irritabilità. Arrivano ferro (Fe) e magnesio (Mg) per aiutarci a superare i tipici fastidi del passaggio di stagione. Uova, noci e banane. Quello che mangiamo ci aiuta a stare meglio. Fondamentali per la maggior parte delle attività metaboliche del nostro organismo, diventano cruciali in questo particolare periodo dell’anno. Tuttavia, i sali minerali non vengono prodotti autonomamente dal nostro corpo per cui dobbiamo necessariamente assumerli tramite l’alimentazione e l’integrazione. Primizie ricche di sali minerali e vitamine sbocciano anche nell'orto di Heinz Beck che per la gioia dei gourmant più esigenti propone nuovi piatti, pensati per un pasto buono, equilibrato e soprattutto salutare. Causa delle carenze nutrizionali e di un più diffuso senso di malessere, sicuramente un’alimentazione poco equilibrata. Infatti, per combattere la stanchezza non basta solo il riposo, ma è bene selezionare con attenzione quello che si decide di portare a tavola. Insomma, la combinazione giusta di micro e macro elementi per il supporto delle regolari attività quotidiane.

INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico

Sul banco degli imputati, anche alcuni farmaci, il cui consumo prolungato contribuisce alle carenze di minerali (e vitamine) diminuendo l'assorbimento o aumentando la perdita di micronutrienti essenziali. Ecco spiegata la motivazione per cui, quasi sempre, a sostegno della terapia farmacologica vengono associati specifici integratori alimentari, al fine di evitare, in questo modo, quadri di importanti deficit. Nel caso specifico, per fare qualche esempio i diuretici, gli antiacidi e la pillola anticoncezionale incidono negativamente sulla carenza di ferro e magnesio. Difatti, gli integratori non sono sostitutivi di una dieta varia, non sono scorciatoie a uno stile di vita equilibrato, ma hanno la funzione di “integrare”, appunto, eventuali carenze permettendo al nostro organismo di essere più forte capace di difenderci dagli agenti esterni, tra cui virus e influenze stagionali. «L’integrazione può essere un valido aiuto per migliorare il nostro sistema immunitario su diversi fronti anche per contrastare le malattie infettive» suggerisce Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti. E poiché un’alimentazione corretta potrebbe non essere sufficiente, sarebbe meglio giocare d’anticipo, bilanciando la propria dieta tra cibo sano ed integratori alimentari così da fornire al nostro corpo la "benzina" necessaria. «Gli integratori sono degli alimenti pensati per colmare eventuali carenze nutrizionali», sostiene Alessandra Bordoni in un'intervista a Vanity Fair, docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna. Ecco i due super minerali per affrontare la nuova stagione in salute e difendersi al meglio da malanni, virus e batteri.

Aiuta a ritrovare la concentrazione perduta

Tra i principali sintomi di una carenza, nota come anemia (una delle più comuni condizioni patologiche del sangue), stanchezza, astenia e abbassamento del tono dell’umore, spiega in un’intervista a Fanpage il dottor Luca Di Russo, biologo e nutrizionista:

Il ferro è fondamentale perché si trova nell'emoglobina, la molecola che trasporta l'ossigeno nel sangue.- La principale fonte di ferro è di origine animale: - Dobbiamo distinguere il ferro in due categorie, quello non eme, che si trova in alimenti di origine vegetale, e quello eme di origine animale. Ma il ferro presente nell'emoglobina è soltanto quello di tipo eme. Per questo chi segue un'alimentazione vegetariana o vegana deve fare molta attenzione a eventuali carenze e valutare con il proprio medico la necessità di un'eventuale integrazione. Chi deve fronteggiare questo tipo di carenza con l'aiuto di un'integrazione dovrà quasi sempre assumere anche della vitamina C, un'alleata fondamentale nell'assimilazione del ferro. 

Nella categoria dei microelementi, il ferro (insieme a iodio, rame, etc…), ovvero i minerali presenti in quantità minore rispetto ad altri (come magnesio, potassio, calcio e fosforo). Aiuta a ritrovare la concentrazione. Entra poi a far parte della molecola di emoglobina che costituisce i globuli rossi. Trasporta ossigeno e anidride carbonica nel sangue. Tra le sue principali funzioni, il ferro favorisce la/il:

  • Funzione cognitiva
  • Metabolismo energetico
  • Formazione dei globuli rossi e dell’emoglobina
  • Trasporto di ossigeno nell’organismo
  • Funzione del sistema immunitario
  • Riduzione della stanchezza e dell’affaticamento
  • Processo di divisione delle cellule

Il minerale del buonumore

Presente in circa trecento enzimi, è indispensabile per l'attivazione della vitamina D e per l'assorbimento del calcio. Tutto merito del magnesio, il minerale del buonumore. Al via con la scorta di un macroelemento importantissimo soprattutto dal punto di vista del livello energetico psicofisico. Inoltre, svolge anche un ruolo importante nella regolazione del tono dell'umore, stimolando la produzione di serotonina. «Lo troviamo principalmente nella frutta secca – spiega il dottor Di Russo nell’intervista – in particolare nelle mandorle, ma anche […] nel cacao». La carenze di magnesio, frequente, anche se asintomatica di lieve entità, si chiama ipomagnesemia e si manifesta spesso con sintomi comuni come debolezza muscolare, crampi, stanchezza cronica, depressione, mal di testa e insonnia. E un deficit di questo minerale potrebbe essere associato a copiosa sudorazione, a seguito di un’intensa attività fisica o peggio, ad altre importanti patologie. Ne sono ricchi diversi alimenti tra cui cioccolato (fondente e al latte), cacao, mandorle, pistacchi e noci. Presente, seppur in minore quantità nel parmigiano, nelle banane, nelle carni rosse e nei carciofi. Nella sua inesauribile miniera di peculiarità, il magnesio contribuisce al/alla:

  • Riduzione della stanchezza e dell’affaticamento
  • Equilibrio elettrolitico
  • Metabolismo energetico
  • Funzionamento del sistema nervoso
  • Funzione muscolare
  • Sintesi proteica
  • Funzione psicologica
  • Mantenimento di ossa 
  • Mantenimento di denti

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Per approfondimenti: 

La Repubblica "Arriva la primavera: contro la stanchezza ferro e magnesio diventano alleati a tavola"

Fanpage "Ferro, calcio, magnesio e potassio: l’importanza dei sali minerali che regolano il nostro organismo"

Gazzetta Active "Magnesio: a cosa serve, quali sono le fonti e i sintomi di una carenza"

Huffington Post "7 motivi per cui magnesio e potassio salveranno la tua estate"

National Library of Medicine "Scientific Opinion on Dietary Reference Values for magnesium"

PubMed "Magnesium intake and depression in adults"

MSN Lifestyle "Dieta del magnesio: la migliore per l’estate"

Grazia "La dieta del magnesio fa dimagrire e rinforza le ossa: ecco come seguirla"

Lecce Prima "Magnesio: proprietà e benefici per il benessere fisico e l'umore"

Ragusa News "I benefici del magnesio nella nostra dieta"

Vivere più sani "Benefici del magnesio: tutto quello che dovete sapere"

LEGGI ANCHE: Vitamine, minerali, spezie e altri nutrienti: gli ingredienti per vivere al massimo

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Una relazione tanto discussa che torna, ancora una volta, alla ribalta della cronaca nazionale grazie a una nuova ricerca italiana sull’importanza dell’ormone del sole nella lotta contro l’infezione da SARS-CoV2. Dall’indagine emerge che una carenza di vitamina D sembrerebbe peggiorare le condizioni, con evidenti criticità riscontrate nel quadro clinico delle persone positive al Covid. I ricercatori parlano appunto di "stadi clinici di Covid-19 più compromessi" per indicare una malattia più grave. Allo studio retrospettivo, pubblicato sulla rivista Respiratory Research e condotto su 52 pazienti, hanno collaborato l'Istituto superiore di sanità (Iss), l'Ospedale Sant'Andrea di Roma e altre istituzioni. Tra ipovitaminosi D e malattie polmonari, l’ennesima indagine prova a far chiarezza una volta per tutta: «[...] I nostri dati sottolineano una relazione tra i livelli plasmatici di vitamina D e diversi marcatori di malattia». Nelle persone con deficit di vitamina D, la sua integrazione è in grado di ridurre il rischio di sviluppare diverse infezioni virali. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a maggior rischio di essere positivi per Covid-19 rispetto a quei soggetti con stato di vitamina D sufficiente. Oltre all’esposizione solare e all’alimentazione, la supplementazione di vitamina D è una raccomandazione utile e sicura.

Insomma, molto di più di un micronutriente coinvolto nel metabolismo del calcio e nella salute delle ossa. La vitamina D, per l'appunto, svolge tra le altre funzioni anche un ruolo importante come ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. Come noto, infatti, i suoi recettori sono ampiamente distribuiti in tutto l’organismo e in particolare nell’epitelio alveolare polmonare e nel sistema immunitario. Ad, oggi, l'infezione da Covid-19 è ancora una sfida aperta. Sebbene siano note le caratteristiche cliniche a seguito della penetrazione del virus nel nostro sistema respiratorio, la patobiologia ei meccanismi che regolano questo ingresso e le ragioni alla base dei molteplici quadri clinici osservati sono ancora sconosciuti. Sfortunatamente, circa il 20% dei pazienti contagiati ha sviluppato una grave malattia respiratoria caratterizzata da infiltrati polmonari diffusi e danno di pneumociti alveolari, che va incontro ad apoptosi e morte. Le unità alveolari coinvolte sembrano essere periferiche e subpleuriche. Inoltre, è stata segnalata un'iperinfiammazione virale. Una precoce sovrapproduzione di citochine pro-infiammatorie conosciuta come tempesta di citochine. Tra questi, i livelli plasmatici elevati sono stati inclusi come predittori di mortalità. L'insufficienza della vitamina D è stata correlata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all'esacerbazione nelle malattie polmonari ostruttive croniche e nell'asma.

Dalla carenza alle complicanze

Coinvolti nella ricerca 52 pazienti (con età media di 68 anni) affetti da coronavirus con coinvolgimento polmonare (27 femmine e 25 maschi, nella fascia di età compresa tra i 29 ed i 94 anni). I livelli di vitamina D erano carenti (con livelli plasmatici di vitamina D molto bassi, sotto 10 ng/ml) nell'80% dei pazienti, insufficienti nel 6,5% e normali nel 13,5%. Circa l'8% della coorte di studio aveva livelli plasmatici di vitamina D normali. I pazienti alle prese con la forma più aggressiva di coronavirus avevano livelli plasmatici di vitamina D più bassi indipendentemente dall'età. Francesco Facchiano, ricercatore dell'Iss, coautore dello studio spiega il metodo di ricerca utilizzato:


Nella nostra indagine abbiamo correlato, per la prima volta, i livelli plasmatici di vitamina D a quelli di diversi marcatori (di infiammazione, di danno cellulare e coagulazione) e ai risultati radiologici tramite Tac durante il ricovero per Covid-19 e abbiamo osservato che i pazienti con bassi livelli plasmatici di vitamina D, indipendentemente dall'età, mostravano una significativa compromissione di tali valori, vale a dire risposte infiammatorie alterate e un maggiore coinvolgimento polmonare. Anche se gli effetti in vivo della Vitamina D non sono completamente compresi – si legge nello studio – una serie di osservazioni sottolineano il ruolo della vitamina D nello sviluppo delle malattie polmonari. La sua insufficienza è stata collegata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all’esacerbazione delle malattie polmonari ostruttive croniche e dell’asma. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a un più alto rischio di essere positivi al Covid-19 rispetto ai soggetti con sufficiente stato di vitamina D.

Vitamina D

Da un punto di vista generale, l'attività della vitamina D sembra essenziale anche nella regolazione dello stress ossidativo e dei meccanismi di sopravvivenza. L'epitelio alveolare respiratorio rappresenta la prima linea di difesa in grado di contrastare e impedire l'ingresso di agenti patogeni. Rappresenta uno dei principali attori dell'immunità innata compresi i macrofagi alveolari e le cellule dendritiche. Se stimolate, queste cellule attivano una varietà di vie di segnalazione intracellulare per specifiche difese antimicrobiche, rilascio di mediatori infiammatori e risposte immunitarie adattative. La risposta immunitaria adattativa è strettamente correlata alla capacità dei linfociti T e B di secernere citochine e produrre rispettivamente immunoglobuline. La carenza di vitamina D è stata correlata all'aumento dei livelli di IL-6, mentre l'integrazione di vitamina D riduce i livelli di IL-6 in diversi studi. L'IL-6 è elevata nei pazienti Covid-19 con malattia grave ed è anche considerata un marcatore prognostico rilevante. È stato riportato altresì che la mortalità è maggiore nei pazienti con livelli elevati di IL-6. Una conta dei neutrofili elevata predice l'infiammazione in corso e la diminuzione della conta dei linfociti è considerata un indicatore di prognosi infausta. Nel caso di infezione acuta, lo stato più grave è spesso associato a un aumento della conta delle cellule dei neutrofili e a una riduzione dei linfociti.

L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi

Numerosi i lavori condotti sia retrospettivamente (Meltzer D et al.), che con metanalisi (Pereira M et al.), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al.) e di una più elevata mortalità ad essa associata (De Smet D et al.): tutti questi dati forniscono interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana che, soprattutto in Italia, è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al.). In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici (Castillo ME et al.), la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva è stata del 2% se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% nei pazienti non trattati. Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione tra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli di questo nutriente (Kaufman HW et al.). In 77 soggetti anziani ospedalizzati per Covid (Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study), la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente oppure al momento della diagnosi. Nei pazienti positivi i livelli di vitamina D sono risultati significativamente inferiori rispetto a quelli dei pazienti negativi (D’Avolio et al.). E ancora in una sperimentazione clinica (Rastogi A. et al., SHADE Study) su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo contro il 20,8% dei pazienti del gruppo di controllo.

Vitamina D, un prezioso alleato ricco di proprietà e benefici

Dati poi confermati da altri lavori condotti dall’inizio della pandemia hanno evidenziato l’importanza di questa sostanza come strategia di prevenzione e trattamento:

  • Una review pubblicata su Nutriens evidenziava la capacità dell’integrazione della vitamina D di incidere sul rischio di sviluppare infezioni da Covid-19.
  • Uno studio norvegese mostra laddove vi è un consumo abituale dell'olio di fegato di merluzzo, fonte di vitamina D, una percentuale inferiore di contagi o una forma più lieve della malattia.
  • L'indagine dell'Università della Cantabria a Santander sottolinea la correlazione tra le persone positive al coronavirus, ricoverate in ospedale, e la carenza di vitamina D.
  • Lo studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism sottolinea che nell’82,2% dei pazienti ricoverati in un ospedale spagnolo sono stati riscontrati scarsi livelli di vitamina D.
  • La ricerca dell'Università di Chicago, pubblicata sul Journal of American Medical Association Network Open, dimostra che le persone con scarsi livelli di vitamina D potrebbero avere fino al 60% di probabilità in più di contrarre il coronavirus e di conseguenza collegata a una minore probabilità di sviluppare un'infezione in forma grave.
  • Lo studio condotto al The Queen Elizabeth Hospital Foundation Trust con l’Università dell’East Anglia mostra un’associazione tra tasso di decessi superiore per Covid-19 e popolazioni con vitamina D carente.
  • Lo studio di Barcellona sostiene il ruolo del calcifediolo contro il Covid, morti in calo del 60% con la vitamina D.
  • La ricerca condotta dall'Accademia di Medicina mostra la prevalenza di soggetti con scarsa vitamina D è risultata pari al 31,86% negli asintomatici e al 96,82% in quelli che sono stati poi ricoverati in terapia intensiva. 
  • L’indagine condotta all’Università di Torino sulla necessità di adeguati livelli di questa vitamina, soprattutto negli anziani.

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Per approfondimenti:

Respiratory Research "Circulating Vitamin D levels status and clinical prognostic indices in COVID-19 patients"

Agi "La carenza di vitamina D può aggravare la malattia"

Nurse Time "Coronavirus, carenza di vitamina D associata a stadi clinici più compromessi"

Comune di Torino "Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19: nuove evidenze"

Regione Piemonte "Covid, aggiornato il protocollo delle cure a casa"

Ansa "ANSA-IL-PUNTO/ COVID: PIEMONTE si attrezza contro varianti"

Nutrients "Effectiveness of In-Hospital Cholecalciferol Use on Clinical Outcomes in Comorbid COVID-19 Patients: A Hypothesis-Generating Study"

Jama Network "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"

Springer Link "Associations between hypovitaminosis D and COVID-19: a narrative review"

Il Messaggero "Covid, morti in calo con l'assunzione di vitamina D"

Ansa "Covid: calo morti con trattamento con vitamina D"

Il Resto del Carlino "Covid, con la vitamina D rischio di decesso e ricovero in Intensiva calato dell'80%"

La Nazione "Covid, calo di morti con la vitamina D"

La Gazzetta di Parma "Calo dei morti da Covid col trattamento con vitamina D: uno studio anche parmigiano"

Il Giornale "La Vitamina D ci salverà dal Covid?"

The Guardian "Add vitamin D to bread and milk to help fight Covid, urge scientists"

ANSA "Covid: carenza vitamina D per oltre 80% pazienti ricoverati"

Queen Mary University "Clinical trial to investigate whether vitamin D protects against COVID-19"

ISS "COVID-19: la vitamina D potrebbe cooperare con l’interferone nella risposta antivirale"

Today "Coronavirus e Vitamina D: la ricerca sull'olio di merluzzo e Covid-19"

Journal of American Medical Association Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19"

Università di Torino "Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19"

Leggo "Covid, 8 pazienti su 10 ricoverati in ospedale erano carenti di vitamina D"

Giornale di Brescia "Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti ricoverati"

Corriere del Ticino "Carenza di vitamina D nell’80% dei pazienti COVID"

Corriere della Sera "La carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo in Covid-19?"

AGI "Le carenze di vitamina D potrebbero aumentare la vulnerabilità al Covid"

Fanpage "La vitamina D riduce il rischio di COVID-19, lo conferma un nuovo studio"

Huffington Post "Bagni di sole e camminate nei boschi per difendervi dal virus. I consigli del Trinity College"

LEGGI ANCHE: Il Piemonte rompe gli schemi: vitamina D introdotta nel protocollo contro il Covid

Calcifediolo contro il Covid. Lo studio di Barcellona: morti in calo del 60% con la vitamina D

Dalla vitamina D al Covid: una lunga storia tra mito e scienza

Covid, calo morti e trasferimenti in terapia intensiva dell'80%: merito della vitamina D

Il sole contro il Covid: la vitamina D ci rende più forti e meno vulnerabili

Covid, studio a Pavia: carenza di vitamina D associata all’infezione

Regno Unito: contro il Covid, vitamina D a oltre 2 milioni di persone

Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti

Covid: aumenta il rischio del 60% con carenza di vitamina D

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