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Domenica, 05 Luglio 2020 08:00

Muffin banana e noci

Soffici e golosi. Quando il buongiorno si vede dal mattino. Un dolce irresistibile dal connubio travolgente e inconfondibile di banane e noci. L'alternativa alla versione classica del plumcake riconoscibile dalla forma rotonda con la cima a calotta semisferica. I tipici dolci della tradizione anglosassone da gustare a colazione.

Ingredienti

 INGREDIENTI 
    2 uova   1/2 cucchiaino di cannella in polvere
    75 g di burro fuso
  1/2 cucchiaino di noce moscata   grattugiata
    200 g di farina di mandorle    Un pizzico di sale rosa himalayano
   Un cucchiaino di lievito in polvere per     dolci    100 g di Sugar Life
  1/2 cucchiaino di bicarbonato di soda    2 banane grandi ben mature
  125 ml di panna   10 gherigli di noce
 TEMPO  ESECUZIONE
40 MINUTI MEDIA


Preparazione

Scaldate il forno a 190 °C. Schiacciate le banane con una forchetta. Passate al setaccio la farina di mandorle assieme al lievito, al bicarbonato, al sale, alla cannella, alla noce moscata e allo Sugar Life; mescolate il tutto in una ciotola. Sbattete con una forchetta le uova con il burro, unitevi la panna, le banane schiacciate e mescolate. Fate un buco al centro degli ingredienti secchi versatevi il composto di banane e mescolate il tutto. Non esagerate con il mescolare, dovreste ottenere un impasto grumoso. Mettete i contenitori di carta nei buchi di una teglia da muffin, oppure imburrate tali buchi; versateci dentro equamente il composto preparato in precedenza. Metteteci sopra i gherigli di noce. Cuocete i muffin per 20/25 minuti o comunque fino a quando vengono via dalla teglia quando toccati. Fateli riposare fuori dal forno per 5 minuti, poi toglieteli dalla teglia e fateli riposare altri 5 minuti prima di servirli. Serviteli completandoli a piacere con fette di banana e dei gherigli di noce sbriciolati.

Riproduzione riservata © Copyright Life 120

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Burro LifeSugar LifeFarina Di MandorleUova LifeSale Rosa DellHimalaya

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Venerdì, 15 Maggio 2020 08:00

Crespelle alle verdure

Golose e versatili, il classico impasto si presenta in una versione alternativa. Le crespelle si vestono di nuovo per una ricetta semplice, gustosa e ancora più leggera. Perfette per le cene con gli amici o per il picnic della domenica. Portiamo a tavola questa ricetta appetitosa e originale.

Ingredienti

 INGREDIENTI PER 4/6 PERSONE PER LE CRESPELLE
  4 uova   Un pizzico di sale rosa himalayano 
  2 cucchiai di farina di mandorle   Panna q.b.
  500 g di burro   

 

 INGREDIENTI PER LA FARCITURA
  2 zucchine   Sale rosa himalayano q.b.
  Una melanzana   2 carote
  Un peperone rosso   50 g di Trentin Grana grattugiato
  Un peperone giallo
  Olio EVO
  Una cipolla   500 ml di besciamella
  Burro urro q.b.  
 TEMPO  ESECUZIONE
50 MINUTI FACILE

Preparazione

Per prima cosa affettare molto finemente le zucchine, la melanzana, la cipolla, le carote ed il peperone giallo, quello rosso e metterli in una teglia da forno con olio e sale. Lasciarli cuocere per una mezzora. Mentre tutti gli ingredienti si cuoceranno e poi si lasceranno raffreddare, si può procedere con la preparazione delle crespelle. Per preparare 24-25 crespelle, bisogna mescolare attentamente, senza far formare grumi, tutti gli ingredienti iniziando con le uova, continuando con i due cucchiai di farina di mandorle il pizzico di sale e se occorre un goccio di panna, mescolare fino ad ottenere una pastella omogenea. Ottenuta la pastella, far scaldare la padella antiaderente per preparare le crespelle sul fuoco lento e posizionarvi una piccola noce di burro, facendolo sciogliere e distribuire su tutta la superficie della padella. Poi, con un mestolo inserire una parte del composto e distribuire anch’essa su tutta la superficie della padella. Una volta che sarà facile staccare la crespella dalla padella, girarla con una paletta da cucina e lasciarla cuocere dall’altro lato, stando attenti a non farla bruciare. Procedere così per tutte le crespelle, aggiungendo ogni volta una noce di burro. Pronte tutte le crespelle, prendere una teglia da forno e stendervi un velo di besciamella per non far attaccare le crespelle alla teglia, con un cucchiaio farcire le crespelle e chiuderle come si preferisce, cioè a sacchetto o anche piegandole in quattro parti, o lasciandole aperte come fossero delle lasagne, quindi continuare facendo i strati di crespella, verdura una spolverata di Trentin Grana e un pò di besciamella fino a terminare tutte le crespelle. Quando si saranno posizionate tutte, cospargerle di besciamella, parmigiano grattugiato ed infornarle a 180°C per 20-25 minuti. Tirare fuori la teglia e servire.

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Uova LifeFarina Di MandorleTrentin GranaBurro LifeOlio EvoSale Rosa DellHimalaya

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Questo post non ha l’obiettivo di convincere qualcuno a prediligere una paleo dieta chetogenica. L’elenco che vi riporto di seguito è semplicemente il punto di vista (riassunto) di due importanti ricercatori che stanno giocando un ruolo fondamentale nel mio percorso. Le informazioni sono state tradotte dal bellissimo libro “The art and science of low carbohydrate performance” di Jeff Volek e Stephen Phinney. Alcune scoperte sono state per me rivelatorie prima, e liberatorie poi (durante la dieta). Credo sia utile conoscerle. Poi, ognuno è libero di scegliere come meglio alimentarsi, ma liberarsi di qualche sovrastruttura ideologica è sempre un buon esercizio. Per quanto mi riguarda, probabilmente mai sarei arrivato ad una paleo dieta chetogenica, e forse neppure avrei mai scoperto cos’è. In definitiva, se stai bene, non hai particolari esigenze e ti trovi a tuo agio con i carboidrati, perché ridurli e raggiungere uno stato di chetosi? C’è un modo di dire inglese che recita così: If it ain’t broke, don’t fix it. Ovvero, “Se una cosa funziona bene, non c’è motivo di cambiarla”. Ma se sei abbastanza curioso/a, ti invito a leggere quali potrebbero essere gli eventuali benefici.

Ecco cos’hanno scoperto Volek & Phinney negli ultimi 10 anni di ricerca chetogenica: le diete a basso contenuto di carboidrati sono anti-infiammatorie, producono un minor stress ossidativo durante l’esercizio fisico ed un più veloce recupero tra le sessioni di allenamento Un adattamento fisiologico ad una vita con pochi carboidrati permette una maggiore “dipendenza” dal grasso corporeo, non solo a riposo ma anche durante la fase di allenamento, che significa minor dipendenza dal glicogeno e minor bisogno di ricarica di carboidrati durante e dopo l’esercizio fisico. L’adattamento a regimi con pochi carboidrati accelera l’utilizzo di grassi saturi come rifornimento, permettendo un alto consumo di grassi (anche saturi) senza alcun rischio per la salute. A livello pratico, un allenamento efficace sia per sport di resistenza che di forza / potenza può essere effettuato da persone adattate a diete a basso contenuto di carboidrati, con benefiche trasformazioni della ricomposizione corporea e del rapporto forza : peso.

Il metabolismo

Le riserve energetiche di grasso nel nostro corpo (tipicamente >40.000 Kcal) superano di gran lunga il massimo delle riserve di carboidrati (~2.000 Kcal). Le strategie di rifornimento calorico che enfatizzano diete a base di carboidrati ed integratori a base di zuccheri fanno propendere il proprio metabolismo verso i carboidrati ed allo stesso tempo inibiscono la mobilizzazione e l’utilizzo dei grassi. La soppressione dell’ossidazione dei grassi va avanti per giorni dopo il consumo di carboidrati, non solo per poche ore a seguito dell’ingestione quando i livelli di insulina sono elevati. La routine dei carboidrati elevati produce risultati inaffidabili, specialmente durante l’esercizio prolungato quando le riserve di glicogeno sono esaurite. Per poter sostenere una performance di alto livello in condizioni di assenza di glicogeno e ridotta disponibilità di glucosio, le cellule devono adattarsi ad utilizzare le energie di grasso. Questo processo (keto-adaptation) ha la potenzialità di migliorare la performance sportiva e la sua fase di recupero. I chetoni sono un’importante risorsa a base lipidica di energia, soprattutto per il cervello, quando il livello di carboidrati viene ridotto. Il processo di adattamento chetogenico non avviene dalla sera alla mattina. Solitamente richiede un periodo di 2 settimane di preparazione perché inizi a produrre i benefici sperati. Atleti in chetosi mostrano aumentate capacità nel bruciare grassi, a conferma del fatto che il picco dei livelli di ossidazione dei grassi è stato siginificativamente sottostimato. Persone in chetosi possono sostenere allenamenti di resistenza e registrare profondi miglioramenti nella composizione corporea.

Cambiare il modo di pensare e adattamento chetogenico

L’adattamento allo stato di chetosi fornisce una stabile e duratura riserva di approvigionamento al cervello, proteggendo così gli atleti dal rischio di “crollo”. Lo stato di chetosi può migliorare la sensibilità insulinica ed il recupero post-allenamento. La chetosi risparmia le proteine dall’ossidazione, preservando così la massa magra. Lo stato di chetosi diminuisce l’accumulo di lattato (acido lattico) contribuendo ad un miglior controllo del pH e della funzione respiratoria. I benefici dello stato di chetosi possono essere rilevanti per migliorare la resistenza, la forza, la potenza e la performance cognitiva, così come la velocità della fase di recupero.

Evitare grandi escursioni degli zuccheri nel sangue e nell’insulina bruciando principalmente acidi grassi e chetoni può diminuire la risposta stressoria durante l’esercizio. L’adattamento chetogenico produce una minore generazione di specie reattive dell’ossigeno (radicali liberi) e miglior conservazione degli acidi grassi insaturi nelle membrane cellulari. Minor stress metabolico, miglior flusso energetico e membrane più sane si traducono in una fase di recupero più rapida post-allenamento, minori infiammazione, immunosoppressione, affaticamento gastro-intestinale, resistenza insulinica, danni muscolari e crampi indotti dall’esercizio fisico. Il mantenimento di un corretto livello di acidi grassi insaturi nella membrana può essere supportato dall’adeguata assunzione di omega-3, di anti-infiammatori ed anti-ossidanti come composti nella forma-gamma della vitamina E.

Carboidrati, proteine, grassi e minerali

Sebbene vari da persona a persona, per mantenere i livelli di chetoni sopra 1 mmol/L, solitamente è necessario consumare meno di 50 grammi di carboidrati al giorno. Nell’ambito di una dieta chetogenica ben formulata, questo livello di carboidrati (<50 gr.) è sicuro, sostenibile e soddisfacente. Come si diventa consapevoli del contenuto di carboidrati nei cibi, si scopre che è possibile consumare una varietà di pasti gustosa anche con l’assunzione di pochi carboidrati. Nonostante consumare cabroidrati dopo l’esercizio fisico sia comunemente raccomandato, questa pratica è controproduttiva durante lo stato di chetosi. Una volta adattati allo stato di chetosi, a seconda del metabolismo e dell’obiettivo da raggiungere, è possibile incorporare qualche carboidrato a rilascio lento come vegetarli (radici) e legumi.

Troppe proteine o troppo poche possono essere problematiche durante lo stato di chetosi. Concentratevi su un’assunzione di proteine che va da 1.2 a 2 grammi per Kg. di massa magra. Invece di consumare abbondanti porzioni di carne o altri cibi proteici, preferite piccole o moderate porzioni di proteine associate con generose porzioni di grassi. Per mantenere lo stati di chetosi, la proprorzione del totale calorico dovrebbe essere composta da grassi tra il 65% e l’80%. Considerando che il totale dei cabroidrati e delle proteine è relativamente basso, l’ammontare dei grassi varierà a seconda dell’obiettivo. Sia esso perdere peso o mantenerlo. I grassi che consumiamo rappresentano un’importante fonte di approvvigionamento e quindi l’energia primaria che il corpo preferisce utilizzare, ovvero: grassi monoinsaturi e grassi saturi. Limitare i cibi ad alto contenuto di grassi polinsaturi. Bilanciare il rapporto tra grassi omega-3 ed omega-6.

Le diete a basso contenuto di carboidrati aumentano la perdita di sodio ed acqua attraverso i reni. Il mancato rifornimento delle perdite di sodio danneggia i livelli di potassio e produce effetti negativi (affaticamento, svenimento, mal di testa, perdita di massa magra). La gran parte dei crampi muscolari è dovuta a mancanza di magnesio. Adeguate assunzioni di magnesio aiutano a prevenire i crampi. Una integrazione di magnesio a rilascio lento per 20 giorni risolve efficacemente la gran parte dei crampi muscolari.

Diete a confronto

In una ricerca del 2010 condotta da Volek, Quann e Forsythe, fu condotto il seguente esperimento. I gruppi che si allenavano erano sottoposti a sessioni alternate di allenamenti da 45 minuti per 3-4 volte alla settimana con differente intensità (molto intensi, moderati, leggeri) alternando training di resistenza a esercizi con i pesi. Dieta a confronto: grassi contro carboidrati Il gruppo che seguiva una dieta chetogenica (low-carb) registrò una maggiore perdita di grasso ed una più grande diminuzione dei livelli di insulina. L’allenamento di resistenza produsse un aumento di massa magra senza compromettere la perdita di grasso in entrambi i gruppi (low-fat & high-fat). Ad ogni modo, la riduzione di massa grassa più importante fu registrata nel gruppo che seguiva la dieta chetogenica (low-carb, high-fat) e che si allenava con sessioni di resistenza. Il caso più eclatante fu di un signore che in 12 settimane perse 13.5 Kg.di massa grassa e guadagnò 5 Kg. di massa magra.

Fonte: Codice Paleo

La presenza diffusa di sensibilità al glutine, allergie al grano e celiachia sono state ben documentate. Problemi come disturbi gastrointestinali (IBS), eruzioni cutanee, problemi di assorbimento dei nutrienti e la perdita ossea sono stati segnalati e osservati. Fortunatamente per molti, una dieta priva di glutine può alleviare queste condizioni e rivitalizzare la salute. Ma, oltre a questi disturbi, ci può essere un altro motivo per evitare il glutine: il suo effetto sul cervello. La celiachia è una malattia autoimmune causata da intolleranza al glutine che danneggia il piccolo intestino. Se si dispone di malattia celiaca e si consumano cibi con glutine, il sistema immunitario risponde danneggiando l’intestino tenue. Il glutine è una proteina presente nel grano, segale e orzo. Si trova principalmente negli alimenti, ma può trovare anche in altri prodotti come medicinali, vitamine e integratori, balsamo per le labbra e anche la colla per francobolli e buste. La celiachia colpisce ogni persona in modo diverso. I sintomi possono verificarsi nel sistema digestivo o in altre parti del corpo. Una persona potrebbe avere diarrea e dolori addominali, mentre un’altra persona può essere irritabile o depressa o avere frequenti mal di testa ed emicranie. L’irritabilità è uno dei sintomi più comuni nei bambini. Alcune persone non hanno sintomi.

La malattia celiaca è genetica. Gli esami del sangue possono aiutare il medico a diagnosticare la malattia. Il medico può anche richiedere di esaminare un piccolo pezzo di tessuto dal piccolo intestino. Il trattamento è una dieta priva di glutine. Recenti ricerche sui problemi causati dal glutine si sono concentrati sull’ impatto che ha sul cervello. Gli scienziati hanno scoperto una stretta connessione tra il cervello e il sistema nervoso enterico (il ‘cervello’ del tratto digestivo). Sulla base di questa conoscenza, i ricercatori hanno iniziato ad osservare l’ effetto del glutine sulla risposta immunitaria, l’assorbimento dei nutrienti e sul cervello. I risultati raggiunti finora, sono terrificanti. Mal di testa? Forse è colpa del glutine Frequenti mal di testa e l’emicrania possono essere irritanti e dolorosi. Mentre una tipica risposta potrebbe essere quella di assumere un paio di aspirine e cercare di andare avanti con il giorno, la risposta migliore potrebbe essere quella di scoprire la causa. Il mal di testa potrebbe essere causato da qualche alimento e in particolare..dal glutine. Uno studio recente ha suggerito un legame tra sensibilità al glutine e celiachia con IBS ed emicrania. La ricerca ha indicato che chi soffre di celiachia e IBS, soffre di mal di testa ed emicranie più frequenti rispetto alle persone sane. Ulteriori ricerche hanno suggerito che la risposta del corpo inizia nel tratto digestivo e crea una risposta nervosa troppo sensibile, leader di debilitanti emicranie. Un altro studio ha valutato i bambini con malattia celiaca che hanno subito frequenti mal di testa. I bambini sono stati alimentati con una dieta priva di glutine per determinare se questo cambiamento poteva alleviare i mal di testa … e nella stragrande maggioranza dei casi ha funzionato. Naturalmente, se il glutine vi sta causando solo mal di testa, consideratevi fortunati, o forse no …

L’intolleranza al glutine può causare anomalie cerebrali? Nei pazienti affetti da malattia celiaca sono state trovate notevoli anomalie cerebrali, identificate tramite RM (risonanza magnetica). Coloro che soffrono di mal di testa hanno mostrato il più alto grado di anomalie del cervello. Nei bambini, le complicazioni neurologiche si sono verificate in risposta alla sensibilità al glutine e malattia celiaca. Problemi neurologici verificatisi negli adulti, sono risultati anche più gravi. In alcuni casi, il problema è una perdita di materia cerebrale. Anche se questa condizione può portare a problemi più gravi, l’adozione di una dieta priva di glutine si è dimostrata utile trattamento.. I ricercatori della John Hopkins University School of Medicine hanno esplorato l’impatto dell’ infiammazione gastrointestinale ( creata da celiachia) nella schizofrenia. Hanno esaminato fattori come l’attivazione del sistema immunitario e la maggiore capacità di tossine e agenti patogeni di entrare nel flusso sanguigno. In tal modo, hanno trovato che i fattori immunitari attivati nell’intestino suggeriscono un collegamento alla malattia mentale. Glutine e ictus ischemico Il glutine è stato indicato come uno dei responsabili di ictus ischemico e coagulazione del sangue nel cervello. In alcuni casi di ictus ischemico, l’unico fattore che i medici hanno trovato che poteva contribuire alla causa, era la malattia celiaca. I ricercatori hanno suggerito che il fattore primario in questi casi poteva essere stata la risposta autoimmune causata dalla malattia celiaca.  Proprio come con nell’ ictus, la coagulazione del sangue nel cervello è stata riportata con l’unica causa sottostante della celiachia.Gluten Free e senza sintomi

Oltre al mal di testa, anomalie cerebrali e coagulazione del sangue che possono portare a ictus, il glutine è stato direttamente collegato agli attacchi epilettici eSLA (malattia di Lou Gehrig). Questi collegamenti sono causa immediata di preoccupazione. La buona notizia è che c’è speranza. Gli studi hanno trovato cambiamenti nel cervello, provocati dalla sensibilità al glutine. I ricercatori hanno osservato calcificazioni in determinate parti del cervello che hanno causato crisi epilettiche. In ognuno di questi casi, i sintomi si sono interrotti una volta che il paziente ha iniziato una dieta priva di glutine.Lo stesso risultato si è verificato in un individuo affetto da lesioni al cervello simili a quelli osservati nella SLA. Gli esami del paziente, hanno rivelato che era affetto da celiachia. Una volta che è stato sottoposto ad una dieta priva di glutine, la MR imaging (MRI) ha mostrato una riduzione delle lesioni e un miglioramento complessivo della sua condizione. Anche se la ricerca sull’impatto del glutine sul cervello è nuova, il messaggio è chiaro: il glutine ha un impatto molto più vasto sulla nostra salute, più di quanto si pensasse. La ricerca suggerisce che una componente significativa del problema deriva dalla risposta immunitaria e dall’irritazione causata dalla risposta del corpo al glutine . Sulla base di questo chi sa o sospetta un’allergia al glutine dovrebbe seriamente prendere in considerazione l’adozione di una dieta priva di glutine: il vostro cervello vi ringrazierà.

Fonte: Medi Magazine

Una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Neurology suggerisce che una dieta più ricca di proteine può ridurre il rischio di ictus. E’ noto che una dieta povera è un fattore di rischio di ictus . Gli alimenti ricchi di grassi possono portare ad un accumulo di placche di grasso nelle arterie che causano l’aterosclerosi, mentre il sovrappeso e l’obesità causano pressione alta e diabete . Ma secondo i ricercatori di questo recente studio condotto dal dottor Liu Xinfeng della Nanjing University School of Medicine in Cina, le proteine ??nella dieta possono ridurre il rischio di ictus abbassando la pressione sanguigna. Il team ha valutato il legame tra l’assunzione di proteine con la dieta e il rischio di ictus, attraverso una meta-analisi di tutte le ricerche disponibili in materia. Più alti livelli di proteine ??nella dieta hanno ridotto il rischio di ictus del 20%. L’analisi ha incluso sette studi condotti su un totale di 254.489 partecipanti. Tutti i soggetti sono stati seguiti per una media di 14 anni.

I ricercatori hanno scoperto che alla fine del periodo di studio, i partecipanti che avevano più alti livelli di proteine nella loro dieta aveano il 20% in meno di probabilità di avere un ictus rispetto ai soggetti che avevano i livelli più bassi di proteine, nella loro dieta. Inoltre, il gruppo ha trovato che per ogni ulteriori 20 g di proteine consumate ogni giorno, il rischio di ictus è diminuito del 26%. Questi risultati sono stati confermati anche dopo aver preso in considerazione altri fattori che possono influenzare il rischio di ictus, come il fumo e colesterolo alto e potrebbero avere importanti implicazioni per la popolazione di tutto il mondo: “Secondo il risultato di questa meta-analisi, a 20 g / di incremento del consumo di proteine è stata associata una riduzione del rischio di ictus del 26%. Tale riduzione del rischio si potrebbe tradurre in una riduzione di 1.482.000 morti ogni anno nel mondo”. Le ragioni precise per spiegare perché le proteinenella dieta sembrano ridurre il rischio di ictus non sono ancora ben chiare , ma i ricercatori credono che in parte, questo beneficio potrebbe essere attribuito ad un effetto di riduzione della pressione sanguigna da parte delle proteine. Inoltre, i ricercatori sostengono che le proteine potrebbero ridurre il rischio di ictus attraverso un “effetto di sostituzione” di altri alimenti potenzialmente dannosi. Proteine nella dieta ‘dovrebbe essere assunte dal pesce piuttosto che dalla carne rossa’. La riduzione del rischio di ictus era più forte tra i partecipanti che hanno consumato proteine animali piuttosto che proteine vegetali.

Tuttavia, il team rileva che i loro risultati suggeriscono che le proteine nella dieta dovrebbe essere acquisite dal pesce piuttosto che dalla carne rossa, che è stata associata con un elevato rischio di ictus. Lo studio è soggetto ad alcune limitazioni. Ad esempio, il numero di partecipanti che hanno consumato proteine vegetali era piuttosto piccolo. L’ictus è la quarta causa di morte negli Stati Uniti. Circa il 60% degli ictus si verificano nelle donne. Nel 2010, le spese mediche ictus-correlate e le spese di disabilità negli Stati Uniti sono stati pari a circa 73,7 miliardi di dollari. Inoltre, il team afferma che l’assunzione di proteine ??nella dieta tende ad essere collegata con altri nutrienti che possono prevenire l’ ictus, come la fibra alimentare, magnesio e potassio. Fonte Quantitative analysis of dietary protein intake and stroke risk, Xinfeng Liu et al., published in Neurology, 11 June.

Fonte: Madi Magazine

I reni sono uno degli organi più importanti del corpo umano. Aiutano a disintossicarsi e filtrare le impurità dal sangue, così come i prodotti di scarto dalle urine. I calcoli renali si formano quando i reni non sono in grado di elaborare le tossine in modo efficiente. In particolare, quando una cristallizzazione di minerali non trasformati, si accumula. I calcoli renali causano dolore e l’eventuale blocco del flusso di urina. Di seguito sono elencati alcuni semplici rimedi naturali che possono aiutare a lenire il disagio dei calcoli renali e accelerare il processo di guarigione naturale del corpo. 

1. Succo di limone, olio d’oliva e Aceto di mele Questo è uno dei rimedi più efficaci per i calcoli renali e il dolore che essi provocano. Al primo sintomo, mescolare 50 gr di olio di oliva con 2 cucchiai di succo di limone .Bere tutto d’un sorso e di seguito bere un bicchiere con 250 gr di acqua purificata. Attendere 30 minuti. Poi, spremere il succo di 1/2 limone in 250 gr di acqua purificata, aggiungere 1 cucchiaio di aceto di sidro di mela e bere. Ripetere questa operazione ad ogni ora fino al miglioramento dei sintomi. 2. Uva Ursina. L’uva ursina è un rimedio popolare comune per i calcoli renali. Non solo aiuterà a combattere l’infezione nei reni, ma può anche contribuire a ridurre il dolore e pulire il tratto urinario. 500mg tre volte al giorno è la dose raccomandata per i calcoli renali. 3. Radice di tarassaco. La radice di tarassaco è un ottimo tonico e detergente per i reni. Assumere fino a 500 mg due volte al giorno può essere utile. 4. Fagioli Fagioli per i calcoli renali. La forma di questo fagiolo che simboleggia i reni, può essere indicativa del sua potenziale di guarigione. Un rimedio naturale ed efficace per combattere i calcoli renali sono tradizionalmente i baccelli di fagioli che sono stati utilizzati come tonico medicinale. Provare a rimuovere i fagioli dall’interno dei baccelli e poi bollire i baccelli in acqua calda purificata per sei ore. Questo liquido può essere filtrato attraverso un panno, raffreddato e bevuto per tutto il giorno per un giorno, per alleviare il dolore dei calcoli renali. 5. Equiseto. L’equiseto tè è un efficace rimedio naturale per i calcoli renali. Bere fino a 3-4 tazze di tè di equiseto al giorno o assumere 2 grammi di erba in forma di capsula, al giorno. 6. Succo di melograno Abbiamo tutti sentito dire che il melograno ha molti benefici per la salute. Ma, più specificamente, i semi e il succo di melograno possono essere considerati un rimedio naturale per i calcoli renali. Questo può essere correlato alla loro acidità e proprietà astringenti. E’ ottimo mangiare melograno biologico o bere succo di melograno appena spremuto. 7. Magnesio Gli studi dimostrano che le persone con calcoli renali ricorrenti che hanno assunto integratori di magnesio hanno avuto un tasso di miglioramento del 92,3 per cento nella riduzione di calcoli renali. 300 mg di magnesio è la dose raccomandata ogni giorno per la prevenzione e la riduzione dei calcoli. 8. Sedano. Sedano per i calcoli renali Il sedano in forma di ortaggio e semi di sedano, sono grandi urine-promotori e tonici renali. L’uso regolare di semi di sedano, come spezia o come un tè, può prevenire la formazione di calcoli renali. 9. Basilico Un tonificante del rene, il tè di basilico può essere assunto durante il giorno per la salute generale del rene. Se si dispone di calcoli renali, provate a prendere un cucchiaino di succo di basilico con miele grezzo al giorno, per un massimo di sei mesi. Si ritiene che i rimedi popolari con succo di basilico puro possono contribuire ad indurre l’espulsione dei calcoli dal tratto urinario. 10. Cambiamento nella dieta L’assunzione di cibo non salutare è una causa primaria di calcoli renali. Ridurre la quantità di soda e bevande energetiche. Evitare gli alimenti trasformati e bevande alcoliche. Aggiungere più frutta e verdura alla vostra dieta..

Fonte: Medi Magazine

Contro l'osteoporosi, un aiuto dall'uva passa. L'uvetta è una delle fonti più ricche di boro, un minerale importante per ridurre la perdita di densità ossea in post-menopausa. Per consumarla, una buona idea potrebbe essere metterne una manciata in un vasetto di yogurt. Se si preferisce, si possono aggiungere anche delle noci pecan, ricche di boro a loro volta. L'assunzione di boro media è di 1-2mg al giorno, ma una quantità tra i 3 e i 10 mg è la quantità migliore. Per alleviare la fatica, i datteri Quando si è molto affaticati l'organismo fa sentire l'esigenza di consumare cibi zuccherati. La scelta più sana, in questi casi, dovrebbe ricadere sui datteri che, pur essendo molto dolci, hanno un basso indice glicemico, il che consente loro di rilasciare gli zuccheri lentamente e mantenere livelli di energia costante. Consumati con qualche noce, poi, aiutano il senso di sazietà. Ricordando sempre di non esagerare. Ciliegie disidratate contro la gotta Le antocianine presenti nelle ciliegie possono essere utili per mitigare una serie di condizioni legate a infiammazioni, come l'artrite, il dolore muscolare post sforzo e la gotta. Un'efficace dose per gli esseri umani sembrerebbe corrispondere a mezza tazza di ciliegie secche due volte al giorno.

Pressione sanguigna alta? Le albicocche secche aiutano. Le albicocche secche hanno il triplo di potassio delle banane e contengono solo una traccia di sale: l'ideale, per il contenimento della pressione sanguigna. Recenti ricerche presso i Centri per il Controllo delle Malattie e la Prevenzione di Atlanta ha dimostrato che consumare più potassio che sodio risulta protettivo contro la pressione alta e le malattie cardiache. Infezioni della vescica: l'aiuto dai mirtilli rossi secchi. Uno spuntino a base di mirtilli rossi secchi contro le infezioni della vescica - di cui soffre una donna su 5. Uno studio statunitense ha messo in evidenza che due manciate (42.5 g) sono in grado di rendere più «viscido» il batterio Escherichia coli: questo significa un minor numero di infezioni delle vie urinarie perché i batteri non riescono ad «attecchire» alla parete della vescica. Alla base di questo effetto anti-aderenza ci sono le proantocianidine, il principio attivo dei mirtilli. Le care e vecchie prugne (disidratate) contro la stipsi. Le nostre mamme e le nostre nonne avevano ragione: sei prugne secche (50 gr circa) due volte al giorno aiutano a eliminare la classica «stitichezza». Le prugne secche sono infatti ricche di sorbitolo, sostanza che attira l'acqua nella feci, rendendo più facile l'evacuazione. I fichi secchi contro l'anemia. Quattro fichi secchi forniscono un quarto della dose giornaliera raccomandata di ferro per contrastare l'anemia. Un consiglio che può risultare valido soprattutto per i vegetariani, che non consumando carne possono incorrere più facilmente dei «carnivori" in livelli più bassi di ferro. Per ottenere il massimo vantaggio è bene consumarli accompagnandoli con una spremuta d'arancia senza l'aggiunta di zucchero: la vitamina C aiuta infatti a migliorare la modalità con cui l'organismo assorbe il ferro da fonti vegetali.

Fonte: Il Sole 24Ore

Parliamo di infiammazione, e di come questa incida sulle malattie cardiovascolari in presenza di valori elevati di colesterolo. Mark Sisson su colesterolo e infiammazione Per esempio, gli abitanti Giapponesi dell’isola di Okinawa risultano essere tra le popolazioni più in salute al mondo. Il tasso di malattie del cuore è estremamente basso, anche se tendono ad avere elevati livelli di colesterolo. Il punto è che tutto è collegato all’infiammazione. L’infiammazione è il fattore principale nelle malattie cardiovascolari. E’ ormai un argomento assodato, tuttavia riceve sempre poca attenzione, senza particolare prevenzione né trattamento. Per controllare i livelli di infiammazione esiste un test che si chiama Proteina C Reattiva (PcR) tramite prelievo del sangue. E’ solo un marker, ma che può dirci molto.

Da cosa è causata l’infiammazione?

Non dai grassi, ma dai carboidrati. Zuccheri e carboidrati raffinati sono al primo posto nella lista dei responsabili, ma anche cereali e amidacei contribuiscono al problema. Il colesterolo LDL non aumenta proporzionalmente con un maggiore consumo di grassi saturi, ma con l’incremento dei livelli di infiammazione causati dai carboidrati e dai grassi idrogenati. Inoltre, quasi ogni studio suggerisce che il colesterolo LDL sia una vera minaccia solo quando è ossidato (dai radicali liberi). Stiamo parlando principalmente di grassi idrogenati. Per contrastare i radicali liberi, è necessario consumare antiossidanti come vegetali, frutta, noci, olio d’oliva e così via. Quando i valori dei trigliceridi ematici sono elevati (solitamente ciò è dovuto a un’alimentazione ad alto tenore di carboidrati che provoca un eccessivo rilascio di insulina), la produzione di VLDL (very low density lipoprotein) aumenta vertiginosamente per gestire la quantità anomala, e molte di queste particelle possono essere convertite in particelle LDL piccole e dense (le più pericolose). Si è appurato che queste ultime sono le particelle di colesterolo che possono aderire alle pareti delle arterie e successivamente ossidarsi e infiammarsi. Il processo aterosclerotico è ulteriormente accelerato dal consumo dei PUFA, facilmente ossisabili. Una dieta con un ridotto contenuto in carboidrati consente la riduzione del numero di queste pericolose particelle. Su questo argomento, quanto sostenuto dalle opinioni convenzionali è totalmente sbagliato. Mentre è vero che i farmaci che riducono i livelli di colesterolo (statine), o un’alimentazione a basso contenuto di grassi e/o vegetariana può ridurre i livelli di trigliceridi e colesterolo nel sangue, una dieta che comporta un’eccessiva produzione di insulina avrà come effetto quello di infiammare e ossidare tutte le LDL piccole e dense che siano ancora presenti. Un esempio “sfortunato” è stato quello del giornalista Tim Russert, stroncato nel 2008 da un infarto all’età di 58 anni, malgrado avesse livelli di colesterolo totale estremamente bassi (105 mg/dl) grazie all’uso delle statine.

In definitiva, non c’è alcuna correlazione diretta tra il consumo di colesterolo e grassi saturi e la malattia cardiaca; l’ipotesi convenzionale che i grassi facciano male al cuore si verifica esclusivamente qualora sia presente nel sangue, per lunghi periodi, una quantità eccessiva di glucosio e di insulina. Sul colesterolo totale cosa dicono? Cerca di mantenere il colesterolo totale sotto 200, altrimenti prima o poi ti verrà un infarto. Mark Sisson: Quanto appena scritto non ha alcun significato. Anche se l’evidenza epidemiologica suggerisce che un colesterolo totale tra 200 e 240 mg/dl è migliore per limitare tutte le cause di mortalità, non possiamo essere completamente d’accordo. Prima di tutto, il valore del colesterolo totale è limitato poiché ci dice solamente la quantità di colesterolo contenuto in tutte le lipoproteine senza dirci niente circa il tipo di lipoproteine che abbiamo o che ci sono. Secondariamente, il colesterolo totale è limitato poiché viene determinato tramite una formula bizzarra (HDL-C+LDL-C+[Trigliceridi/5]) che riduce i vari tipi di lipidi nel sangue, ognuno con un ruolo differente nell’organismo ed un unico impatto sul rischio di ammalarsi, a semplici numeri. Qualcuno con un basso livello di HDL e trigliceridi alti potrebbe facilmente avere lo stesso colesterolo totale di qualcun altro con livelli alti di HDL e bassi trigliceridi. Per cui, sebbene sia utilizzato per prevedere malattie o salute di ferro, il colesterolo totale in sé non ha alcun valore. Il Dr. Joseph Mercola su colesterolo e rischio cardiovascolare
Secondo il Dr. Mercola, il livello totale di colesterolo non è un grande indicatore del rischio cardiovascolare.

Nei test di laboratorio viene indicato un valore massimo di 200 per il colesterolo totale come ottimale per ridurre i rischi cardiovascolari. Ma quello che non si dice è che i livelli di colesterolo totale non hanno alcun significato a meno che tale valore non sia superiore a 330. Negli ultimi 20 anni, il colesterolo è stato considerato il primo responsabile per la demonizzazione di intere categorie di alimenti (come uova e grassi saturi) e accusato per ogni caso di malattie del cuore. Qualcosa da tenere il più basso possibile per non subirne le conseguenze. Del resto, ancora oggi, vive quasi indisturbato il mito che descrive i grassi ed il colesterolo come alcuni tra i peggiori cibi che si possano consumare. Ecco, sappiate che questi sono miti da sfatare che fanno male alla vostra salute. Non solo il colesterolo (molto probabilmente) non rovinerà la nostra salute (come ci hanno fatto credere), ma non è neppure la causa delle malattie cardiovascolari. Robb Wolf su colesterolo HDL e carboidrati Ho accennato al fatto che l’acido palmitico può aumentare le particelle LDL, ma la verità è che sono i carboidrati ad avere un effetto molto maggiore sul colesterolo e, in generale, sul rischio di malattie cardiovascolari. Ecco di seguito alcune cose da ricordare riguardo l’eccessivo consumo di carboidrati e all’iperinsulinismo che ne consegue. Quando si assumono troppi carboidrati il colesterolo LDL viene convertito nella sua versione piccola, densa e aterogenica (la più pericolosa).

Il colesterolo totale aumenta a causa della sovraregolazione della HMG-CoA reduttasi. L’infiammazione sistemica aumenta attraverso la sovraregolazione delle molecole proinfiammatorie come le prostaglandine, le citochine e i leucotrieni. Quando si parla di colesterolo e malattie cardiovascolari, le cose importanti da ricordare sono: concentrare l’attenzione sulle quantità e sulla qualità dei carboidrati che si consumano, privilegiando le verdure e utilizzando la frutta e i tuberi come fonte di energia per l’esercizio fisico intenso. cercare di creare equilibrio tra omega-3 ed omega-6 che rispecchi le proporzioni di 1:1 o 1:2, mangiando prevalentemente carne di animali alimentati esclusivamente a erba e pesce non allevato, e limitando al contempo l’assunzione di omega-6. Colesterolo basso, statine, infiammazione ed infarti. Questo studio indica che la maggior parte delle persone che hanno un infarto hanno il colesterolo basso! Ora, tutti sono impegnati nel cercare di abbasare i livelli di colesterolo e somministrare statine per salvare le persone, ma la gran parte degli infarti avviene in persone con livelli bassi di colesterolo! Sorprendentemente, le statine sembrano diminuire il tasso di infarti in pazienti con livelli bassi di colesterolo. Il meccanismo? Possibilmente una riduzione della Proteina C Reattiva, un indicatore di infiammazione sistemica. Sapete cos’altro riduce l’infiammazione sistemica? Una paleo dieta che controlli i livelli di insulina, che elimini i cibi irritanti per l’intestino, che riequilibri il rapporto tra omega 3 ed omega 6. Che aggiunga vitamina D ed ore di sonno. Così facendo, si disattivano i fattori infiammatori causanti malattie cardiovascolari, cancro e neurodegenerazione.

Fonte: Codice Paleo

Mangiare quotidianamente noci, mandorle e nocciole può migliorare la salute delle persone che soffrono di sindrome metabolica, abbassando i livelli di infiammazione nell'organismo e proteggendo il cuore, diminuendo così il rischio - particolarmente alto per questi pazienti - di sviluppare patologie cardiache, diabete di tipo 2 e ipertensione. La scoperta è stata pubblicata sul Journal of Proteome Research da Cristina Andrés-Lacueva e colleghi dell'Università di Barcellona e dai ricercatori dell'Università Rovira i Virgili di Tarragona.

Secondo gli esperti l'aiuto contro la sindrome metabolica da parte di questi frutti secchi proverrebbe dall'alto contenuto di grassi sani e antiossidanti in essi contenuti e dal fatto che stimolano la serotonina, un neurotrasmettitore - già conosciuto come l'«ormone del buonumore» - che, oltre a favorire la trasmissione dei segnali nervosi all'interno del cervello, è anche in grado di diminuire la sensazione di fame. Per fare la differenza sembra ne siano sufficienti 30 grammi al giorno. La sindrome metabolica è caratterizzata da una situazione clinica ad alto rischio cardiovascolare che comprende, contemporaneamente, sintomi come obesità, ipercolesterolemia, ipertensione e iperglicemia. I ricercatori sono giunti al risultato paragonando gli effetti ottenuti su 22 pazienti sottoposti a una dieta integrata con noci e simili per 12 settimane con i dati riscontrati in altri 20 pazienti tenuti invece appositamente «a distanza», per lo stesso periodo, dalla frutta secca.

Fonte: Il Sole 24Ore

Una dieta ricca di Omega-3 riduce i livelli ematici di una proteina, la beta-amiloide, strettamente associata allo sviluppo della malattia di Alzheimer. La dimostrazione arriva dalle pagine di Neurology, dove un gruppo di ricercatori guidato da Nikolaos Scarmeas del Columbia University Medical Center di New York (Stati Uniti) ha pubblicato uno studio in cui ha rilevato che il consumo di cibi caratterizzati da alti livelli di Omega-3 è associato a concentrazioni plasmatiche di Aß42 – la forma di beta-amiloide che tende a formare più facilmente le fibre dannose per il sistema nervoso - ridotte del 20-30%.

Per giungere a questa conclusione è stato necessario analizzare le abitudini alimentari di più di 1.200 individui di età superiore ai 65 anni. All'inizio dello studio nessuno dei partecipanti era affetto da disturbi neurologici e le concentrazioni di Aß42 sono state rilevate tramite semplici esami del sangue. Dopo un anno e mezzo Scarmeas e collaboratori hanno scoperto che chi aveva assunto i livelli più elevati di omega-3 aveva accumulato meno beta-amiloide nel plasma.

Le principali fonti alimentari di questi nutrienti erano il pesce, il pollame, la margarina e le noci. Tuttavia, Scarmeas è stato prudente nel suggerire una dieta contro l'Alzheimer. “Lo scopo di questo studio è vagliare e confermare o smentire i meccanismi attraverso cui gli omega-3 possono influenzare l'attività cerebrale – ha spiegato l'autore -. Ma non è pensato per ricavare consigli di salute pubblica”.

Fonte: Il Sole 24Ore

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