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Una ricerca dell'Università di Otago e del Riddet Institute in Nuova Zelanda conferma che eliminare gli zuccheri dalla dieta può far perdere peso immediatamente. Un taglio ridotto, di circa 700 grammi di peso in 8 mesi, che però è destinato a durare nel tempo secondo lo studio pubblicato sul British Medical Journal che ha revisionato circa 71 ricerche dedicate al controverso rapporto tra zuccheri e chili di troppo. Al contrario, aumentare il consumo di zuccheri fa lievitare il peso di circa mezzo chilo.

Aiutare il metabolismo in 9 mosse

La meta-analisi è stata commissionata e finanziata dall'Organizzazione mondiale della salute (Oms) per aggiornare le raccomandazioni emanate nel 2003 che suggerivano di limitare gli introiti calorici derivati dagli zuccheri liberi al 10% delle calorie totali. Un conto difficile da fare, in realtà, considerato l'apporto degli zuccheri derivati dai carboidrati, pane e pasta, la principale fonte di zuccheri complessi, fino a quelli adoperati ogni giorno nel caffè o nel tè. Ancora più difficile stabilire l'apporto dato dagli zuccheri aggiunti nei prodotti alimentari o quelli delle bevande. Gli zuccheri liberi, infatti, sono quelli aggiunti dal produttore oppure dal consumatore. Uno dei risultati più interessanti dello studio neozelandese è la durata dei benefici. Ridurre gli zuccheri nella dieta rende la perdita di peso graduale, ma costante nel tempo.

Fonte: Il Sole 24Ore

E' ricco di calcio e vitamina D e contiene molte proteine e grassi buoni: se, da una parte, il latte è l'alimento per eccellenza legato alla sana crescita di bambini e ragazzi, dall'altro sono sempre di più le persone intolleranti o allergiche al lattosio. Secondo la Food Allergy Initiative, la più grande organizzazione non profit statunitense per la ricerca sulle allergie alimentari, quella al latte vaccino è l' allergia alimentare più comune nei neonati e nei bambini. Se per secoli e secoli le uniche tipologie di latte erano quelle provenienti da animali (perlopiù mucche, ma anche capre e pecore), attualmente esistono diversi tipi di latte "alternativo" per soddisfare le esigenze degli intolleranti e degli allergici al lattosio e di tutti coloro che, come i vegani, non consumano nessun prodotto di origine animale (tra cui uova, latte e miele).

Attenzione, avvertono però i nutrizionisti: i vari tipi di latte alternativo non posseggono le stesse caratteristiche nutrizionali del latte vaccino. E' bene, quindi, in caso di intolleranze o allergie al lattosio, provvedere mediante il consumo di altri alimenti ai giusti introiti giornalieri soprattutto di calcio e vitamina D. Ma quali sono i vari latte "alternativi" in commercio? Messo a punto appositamente per gli intolleranti, c'è il latte "lattosio-free", ovvero senza lattosio. C'è poi il latte di soia, prodotto dal fagiolo di soia, con un profilo nutrizionale simile al latte vaccino (8-10 grammi di proteine per porzione), e spesso fortificato con calcio, vitamine A e D e riboflavina. Il latte di mandorle, formato da mandorle tritate e acqua, ha meno proteine del latte di mucca e di soia, ma una consistenza molto simile e un sapore gradevole; a causa del suo scarso contenuto in diverse vitamine (eccezion fatta per la vitamina E, presente in buone quantità), minerali e acidi grassi, non è però una valida alternativa per i bambini piccoli. Anche il latte di cocco, privo di soia e glutine, è una valida alternativa per le persone con più allergie alimentari. Dal punto di vista nutrizionale non è però equiparabile al latte di mucca: una tazza di latte di cocco contiene 80 calorie, 1 g di proteine e 100 mg di calcio mentre 1 tazza di latte di mucca scremato contiene circa 100 calorie, 8 g di proteine e 300 mg di calcio.

Fonte: Il Sole24Ore

Cavolfiore, cavolo verza, cavolo cappuccio, cavoli di Bruxelles. Sono diversi tipi di ortaggi con altrettanti nomi, ma appartengono tutti alla stessa famiglia - quella delle crucifere - e sortiscono gli stessi benefici: sono antiossidanti, e quindi difendono le cellule dallo stress ossidativo e dall'invecchiamento; hanno diverse proprietà antitumorali; prevengono l'anemia grazie all'importante quantitativo di ferro e, mediante le vitamine e i minerali in essi contenuti, risultano estremamente benefici per la salute umana. Il tutto, a fronte di un quantitativo di calorie e grassi molto basso, quasi trascurabile: 250 grammi di uno di questi vegetali lessi - circa una porzione - contiene infatti circa 63 calorie, 1 solo grammo di grassi e 11 grammi di carboidrati (di cui 8 grammi di fibra e 1 grammo di zuccheri), oltre a 5 grammi di proteine.

Cavolfiori, broccoli e simili sono inoltre ricchissimi di vitamine e minerali: è sufficiente sapere che una porzione da 250 grammi di uno di questi vegetali lessi contiene oltre il 250% del fabbisogno giornaliero di vitamina A, oltre 50% del fabbisogno quotidiano di vitamina C, il 26% del fabbisogno di calcio, il 12% di ferro e il 10% di vitamina B-6 e magnesio. Contengono inoltre molta vitamina K (250 gr di cavolo lesso ne contiene 770 microgrammi, oltre il 100% del fabbisogno quotidiano), oltre all'acido folico (vitamina B9), alla tiamina (vitamina B1), alla niacina (vitamina PP), all'acido pantotenico (vitamina B5), alla colina (sostanza che lavora a stretto contatto con le vitamine del gruppo B), al fosforo e al potassio.

Proprio grazie alle loro caratteristiche nutrizionali, le crucifere sono responsabili di molti e diversi benefici per la salute. Diversi studi hanno messo in evidenza che il consumo di broccoli e cavoli allontana il rischio di sviluppare diverse neoplasie, tra cui quelle al polmone e al colon-retto. Ricerche più recenti hanno anche evidenziato i benefici effetti contro il cancro alla mammella e alla prostata, oltre che contro il melanoma, contro il cancro del pancreas e quello dell'esofago. Grazie all'elevata quantità di vitamina K, i cavoli migliorano l'assorbimento del calcio e ne riducono l'eliminazione attraverso le urine, rinforzando le ossa. Attraverso l'alto contenuto di fibre e acqua stimolano la regolarità intestinale e mantengono l'apparato digerente in salute. Le fibre contenute in questi vegetali, inoltre, sono valide alleate contro il diabete (è stato dimostrato che nei soggetti con diabete 2 una dieta a base di fibre aiuta a mantenere nei giusti livelli glicemia, lipidi e insulina).

Grazie all'elevato apporto di vitamina A (indispensabile per la crescita di tutti i tessuti) e di vitamina C (fondamentale per la costruzione e il mantenimento del collagene), inoltre, cavoli e simili rendono pelle e capelli più belli e più forti. L'acido folico previene poi il deposito di livelli eccessivi di omocisteina nell'organismo, effettuando un'azione anti-depressiva (l'omocisteina interferisce con la produzione di dopamina, serotonina e noradrenalina, ormoni che giocano ruoli importanti nella regolazione di sonno, appetito e umore). La colina, infine, collabora nel mantenere compatta la struttura delle membrane cellulari, favorisce la trasmissione degli impulsi nervosi, facilita l'assorbimento dei grassi e riduce le infiammazioni croniche.

Fonte: Il Sole 24Ore

Ricchi di antiossidanti, prevengono lo sviluppo dei tumori, ma non solo. Ecco perché vale la pena di mangiarli regolarmente Funghi: nemici-amici della salute, verrebbe da dire. Se, infatti, ogni autunno torna a farsi viva la paura che nel piatto degli italiani finisca qualche varietà velenosa raccolta da incauti esperti improvvisati, d'altra parte la maggioranza delle tipologie commestibili sono veri e propri concentrati di salute. Naturalmente poveri di calorie (in 70 grammi ne sono contenute solo 15), lo sono anche di sodio, grassi e colesterolo. D'altra parte si tratta di una buona fonte di fibre, vitamine e minerali che esercitano diversi effetti benefici sulla salute.

I funghi contengono infatti vitamina D e diverse vitamine del gruppo B – tra cui l'acido folico – minerali – tra cui il selenio e il potassio – colina, beta-glucani e chitina. Il primo vantaggio derivante dal loro consumo è aumentare le scorte di antiossidanti a disposizione dell'organismo per contrastare lo sviluppo del cancro. Da questo punto di vista al consumo di funghi possono essere associati benefici simili a quelli di una dieta in cui non manchino alimenti come le carote e i pomodori, i peperoni, la zucca, i fagiolini e le zucchine. Sempre ragionando in termini di prevenzione dei tumori, il selenio presente nei funghi aiuta a detossificare l'organismo da sostanze potenzialmente cancerogene favorendo il buon funzionamento del fegato, mentre la vitamina D inibisce la crescita delle cellule tumorali e l'acido folico contrasta la comparsa di mutazioni nel Dna.

Prevenire il cancro non è però l'unico buon motivo per introdurre i funghi nella propria alimentazione. Infatti grazie alle loro fibre e ai loro nutrienti questi alimenti contrastano il sovrappeso (la chitina aumenta il senso di sazietà), il diabete (i beta-glucani migliorano la resistenza all'insulina), le malattie cardiovascolari (il potassio tiene sotto controllo la pressione, mentre i beta-glucani agiscono sul colesterolo nel sangue) e i disturbi del sonno (grazie alla colina). Ma c'è di più. La colina sembra infatti anche promuovere il buon funzionamento dei muscoli, regolarizzare l'assorbimento dei grassi e proteggere le membrane cellulari, mentre contrasta l'infiammazione cronica. Inoltre favorisce la trasmissione dell'impulso nervoso e migliora capacità di apprendimento e memoria. Le controindicazioni sembrano, invece, praticamente assenti. I rischi maggiori sono associati al consumo di varietà non commestibili, mentre i funghi eduli possono tranquillamente essere consumati da chiunque. L'unica eccezione potrebbe riguardare chi soffre di malattie autoimmuni come il lupus eritematoso o l'artrite reumatoide: fra le proprietà dei beta-glucani c'è infatti la capacità di stimolare il sistema immunitario, effetto che potrebbe risultare controproducente nel caso in cui si abbia a che fare con una patologia di questo tipo.

Fonte: Il Sole 24Ore

Sono oltre mille al giorno i casi di tumore in Italia e il 40% può essere prevenuto con uno stile di vita corretto e diagnosticato tempestivamente, prima, cioè, che si manifesti a livello clinico. Questi sono i dati presentati dall'Associazione Italiana Registri Tumori (Airtum). Nel 2019, in Italia, i tumori gastrointestinali hanno colpito circa 89.400 persone di cui 49.000 colon-retto. La diminuzione maggiore, nello specifico, 2.800 negli ultimi 5 anni (2014-2019), rispetto agli anni precedenti, si registra soprattutto nel cancro del colon-retto grazie al fondamentale ruolo della prevenzione. Ancora dati alla mano, un'altra ricerca, riportata nel libro di Adriano Panzironi, Vivere 120 anni: le ricerche, dimostra che «il cancro colorettale è la terza causa principale di morte per cancro negli Stati Uniti, con circa 143.000 nuovi casi diagnosticati e 52.000 decessi registrati ogni anno. Sebbene l'eziologia del cancro al colon sporadico rimanga in gran parte indeterminata, la dieta e altri fattori di rischio modificabili giocano indubbiamente un ruolo significativo».

«Cerchiamo di chiarire ulteriormente la relazione tra carico glicemico (GL) e tumore del colon in uno studio caso-controllo incidentale basato sulla popolazione del Kentucky, caratterizzato da un'alta incidenza di cancro del colon-retto. L’elevato GL provoca un aumento dei livelli circolanti d’insulina e fattori di crescita simili all'insulina (IGF). È stata proposta l'ipotesi dell'iperinsulinemia-cancro del colon, che implica che una dieta ricca di energia e carboidrati porta all'insulino resistenza, promuovendo così la carcinogenesi del colon. Diversi studi caso-controllo hanno riportato un'associazione significativa tra aumento del rischio di tumore del colon-retto, alto indice glicemico (GI) e GL dietetico. Un'alta dieta GL è stata ipotizzata per aumentare il rischio di cancro al colon. In effetti,il nostro studio ha rivelato un aumento del 61% nel rischio di cancro al colon confrontando il più alto rispetto al quartile più basso di GL dietetico tra i partecipanti. Il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto aumenta con l'età, con gli uomini a più alto rischio rispetto alle donne. È interessante notare che abbiamo riscontrato un aumento duplice del rischio di cancro associato a una dieta GL elevata nei partecipanti più anziani, ma solo un aumento modesto e non significativo del rischio nei partecipanti più giovani» spiega la ricerca.

grafico tumore colon

Prevenirlo? Niente più carboidrati

Tra i principali alleati in questa lotta, i flavonoidi. Infatti, mangiare frutta e verdura è fondamentale. Già dimostrato negli studi condotti nell'ultimo ventennio, i ricercatori hanno scoperto di recente, in che modo, questi composti naturali di frutta e verdura, intervengono nella prevenzione del cancro. Ed è proprio l’acido 2,4,6-triidrossibenzoico, uno dei composti prodotti quando il corpo metabolizza o scompone i flavonoidi, che inibisce la crescita delle cellule tumorali in condizioni specifiche. Quindi, per prevenirlo forse basterà ridurre drasticamente nella dieta i carboidrati, cioè zuccheri e amidi. Da non trascurare poi, il fattore ereditario. Sappiamo bene, infatti, che il tumore al colon può avere una predisposizione genetica: può insorgere con maggiore frequenza in chi ha consanguinei con lo stesso tumore. Ma perché il tumore insorge in alcuni soggetti geneticamente predisposti e non in altri? Qual è la concausa non genetica? Qui i ricercatori si dividono: alcuni davano la colpa al microbioma dell'intestino, cioè la popolazione di batteri che lo colonizza; altri allo stile di vita e, in particolare, all'alimentazione. Bene, hanno ragione entrambi, la continua interazione fra genetica e ambiente viene confermata da Alberto Martin, immunologo dell'Università di Toronto, in Canada, sulla rivista scientifica Cell.

Almeno, questo è ciò succede nei topi, mammiferi onnivori come l'uomo. E se gli studi di Martin saranno confermati nell'uomo, chi teme il tumore al colon avrà finalmente a disposizione non una, ma due strategie per prevenirlo: ridurre la quota di carboidrati nell'alimentazione (zucchero, amidi, eccetera...) e selezionare accuratamente i batteri che vivono nel suo intestino. È noto che il tumore del colon è spesso associato a due mutazioni: la mutazione del gene APC che, nella sua forma non mutata, agisce come freno allo sviluppo anomalo delle cellule; e la mutazione del gene MSH2, che invece è un manutentore, cioè ripara i danni al materiale genetico. Di solito, però, la mutazione di un gene riparatore predispone a un maggior rischio per tutti i tumori: in questo caso invece la mutazione predispone all'aumento del solo tumore del colon e questo a Martin sembrava incomprensibile.

Un fattore, invece, che favorisce l’insorgenza del cancro del colon-retto è dovuto allo squilibrio nel microbiota intestinale, meglio conosciuto come disbiosi. «Tra i fattori di rischio spiccano familiarità, età e alcune patologie infiammatorie intestinali croniche - spiega in un'intervista al Corriere della Sera, Armando Santoro, direttore dell’Humanitas Cancer Center di Milano e direttore scientifico dell’Accademia Nazionale di medicina -. La maggior parte dei tumori deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi intestinali. I polipi in genere non provocano nessun sintomo e rimangono per anni o decenni sulle pareti intestinali senza che ce ne si accorga. Talvolta possono dare perdite di sangue nelle feci che meritano un approfondimento diagnostico con la colonscopia. Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Lo sono solo quelli definiti adenomatosi . Sedentarietà, eccessivo consumo di grassi animali, sovrappeso e obesità, fumo e abuso di alcolici sono tutti fattori associati a un aumentato rischio di ammalarsi. La familiarità resta comunque un fattore importante che deve indurre a fare controlli endoscopici anche prima dei 45-50 anni».

Sempre nell'intervista, l'esperto fornisce alcuni suggerimenti per prevenirlo. «Le regole sono: aumentare frutta e verdura, ridurre pane e cereali raffinati, patate, carne rossa, dolci e zucchero. E poi attività fisica regolare e stop a sigarette e alcol. Fondamentale è lo screening. La ricerca di sangue occulto nelle feci è consigliata a tutti dopo i 45 anni. La positività al test non indica di per sé la presenza certa di un tumore, perché può anche essere spia di altri problemi (per esempio emorroidi), però è un segnale che va approfondito. La raccomandazione è ricorrere alla colonscopia, esame che permette sia di individuare e rimuovere eventuali lesioni pretumorali, sia di evidenziare lesioni tumorali che vengono diagnosticate in modo corretto attraverso la successiva biopsia. In alcuni casi si può ricorrere alla cosiddetta colonscopia virtuale, basata sull’utilizzo della Tac. Si tratta di una tecnica di studio non invasiva che però non consente la rimozione di eventuali lesioni durante la sua esecuzione».

La ricerca conferma la riduzione del rischio

È qui che entrano in gioco i batteri e i carboidrati. Per individuare le loro responsabilità Martin ha usato topi predisposti al tumore perchè portatori delle stesse mutazioni che affliggono l'uomo. Li ha prima trattati con alte dosi di un cocktail di antibiotici (ampicillina, metronidazolo, neomicina e vancomicina) fin dalla gravidanza, riducendo così di 10 mila volte i batteri presenti nel loro colon. E già con questo intervento il ricercatore aveva ottenuto due risultati: il numero dei polipi, che di solito precorrono l'insorgere del tumore, si era ridotto di 2-6 volte, e i polipi stessi, osservati al microscopio, erano più benigni del solito. Il metronidazolo in particolare era l'antibiotico che più influiva sul numero dei polipi senza alterare troppo l'abbondanza del microbiota, a riprova che non tutti i batteri contribuiscono in ugual misura allo sviluppo del tumore del colon. Ma altri ricercatori avevano notato che lo sviluppo dei polipi nei topi non avviene dalla nascita, ma tra la terza e la sesta settimana di vita, quando vengono svezzati e passano all'alimentazione adulta. Questi studi hanno consentito a Martin di concentrare l'attenzione sulla dieta. Altri studi avevano messo i carboidrati sul banco degli imputati: uno in particolare, pubblicato a novembre del 2012 da un altro giovane ricercatore, Jeffrey Meyerhardt del Dana Farber Cancer Institute di Boston, Massachusetts, aveva dimostrato che il consumo di carboidrati influenza il rischio di ricadute nei pazienti con tumore al colon avanzato.

Per verificare l'ipotesi, Martin ha diviso i topi in due gruppi: a uno ha dato la solita dieta nella quale il 58% delle calorie era fornito da carboidrati; nella dieta dell'altro gruppo la quota calorica fornita dai caroidrati non superava il 7% del totale. La dieta con pochi carboidrati ha ridotto il numero di polipi in modo analogo a quanto avevano fatto gli antibiotici, e anch'essa ha agito sul microbiota: pur non alterandone l'abbondanza, come gli antibiotici, ne ha cambiato la composizione riducendo la presenza dei batteri che metabolizzano i carboidrati e produttori di acido butirrico, come i Firmicutes e i Clostridia. E pare che il brutto ceffo di questa storia sia proprio lui, il butirrato: quando i ricercatori hanno somministrato questo acido grasso ai topi trattati con antibiotico, sono aumentati sia la proliferazione cellulare sia i tumori nel piccolo intestino. Lo studio sembra insomma dimostrare che il cancerogeno sia il butirrato, metabolita prodotto dai batteri nalla digestione dei carboidrati, e che proprio lui induca l'abnorme proliferazione delle cellule nei topi geneticamente predisposti al tumore del colon. Tanto che Martin conclude: «Il nostro studio suggerisce che sia riducendo i carboidrati della dieta, sia cambiando la composizione della comunità batterica intestinale si potrebbe ottenere una riduzione del rischio di tumore al colon in chi è ereditariamente predisposto a questo tumore».

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Fonte: Focus

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Il microbiota intestinale, cioè i batteri che popolano l’intestino, metabolizzano i carboidrati durante i pasti e causano la proliferazione delle cellule intestinali. Una dieta ricca di carboidrati può aumentare il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto. Negli ultimi anni sono state raccolte molte informazioni sui meccanismi che portano alla formazione di questo tumore: infiammazioni intestinali croniche, una dieta scorretta e più recentemente il microbiota ( quella comunemente nota come “flora intestinale”, cioè i batteri che popolano l’intestino) sono stati individuati come fattori che giocano un ruolo determinante. Ora una ricerca dell’Università di Toronto, condotta su cavie di laboratorio e pubblicata su Cell, ha cercato di fare chiarezza sulle “relazioni pericolose” tra microbiota, infiammazione e alimentazione che possono favorire le mutazioni genetiche che scatenano poi un carcinoma colorettale.

Attenti ai carboidrati troppo raffinati

I carboidrati rappresentano circa la metà dell’apporto calorico giornaliero nella dieta occidentale: diversi studi avevano già collegato un elevato consumo di carboidrati al cancro del colon-retto. Ad oggi è ormai stato dimostrato scientificamente che un’alimentazione di tipo mediterraneo (ricca di frutta, verdura, cereali integrali, olio d’oliva e pesce) ha un buon effetto protettivo verso questa malattia e il rischio di ammalarsi può diminuire persino del 46 per cento. È anche stato dimostrato che da limitare sulle nostre tavole sono i carboidrati troppo raffinati (per esempio farina “0” o “00”, riso bianco) a favore di quelli integrali e le patate. È poi importante avere familiarità con l’indice glicemico, un numero che indica quanto un cibo alza i livelli di glicemia rispetto a un altro poco dopo aver mangiato: il carico glicemico alto deriva da una dieta con molti cibi che provocano una rapida salita nel tasso di zucchero nel sangue, come appunto quelli ricchi di farina bianca, i carboidrati le patate e i dolci.

Sperimentazione e controprova

Il tumore del colon retto è anche frequentemente associato con le mutazioni in un gene anti-cancro chiamato Apc nonché del gene Msh2, che svolge un ruolo fondamentale nella riparazione del danno del Dna. I ricercatori ipotizzano che l’interazione dei microbi intestinali con la dieta possa spiegare queste mutazioni, più comuni in questo tipo di tumore che in altri. Gli scienziati hanno utilizzato cavie che avevano le mutazioni dei geni Apc e Mshm, quindi predisposti a sviluppare il cancro del colon-retto. Quando erano trattati con antibiotici o venivano alimentati con una dieta povera di carboidrati la proliferazione delle cellulare “killer”, il numero di tumori nell’intestino tenue e nel colon, subivano una diminuzione. I due trattamenti avevano anche ridotto i livelli di alcuni microbi intestinali che metabolizzano i carboidrati per produrre un acido grasso chiamato butirrico.

La controprova del legame tra consumo di carboidrati e aumentano del tumore del colon-retto è avvenuta quando gli scienziati hanno aumentato livelli di acido butirrico nei topi trattati con antibiotici: le proliferazione cellulare e i tumori sono tornati a crescere. La conclusione che ne hanno tratto è dunque che i metaboliti prodotti da microbi dell’intestino durante la trasformazione dei carboidrati aumentato una proliferazione cellulare anomala di cellule e lo sviluppo del tumore nei topi geneticamente predisposti al cancro del colon-retto. «Abbiamo stabilito un collegamento diretto - conclude Alberto Martin, autore della ricerca - tra la genetica e la popolazione microbica intestinale, i nostri risultati suggeriscono quindi che una dieta a basso contenuto di carboidrati potrebbe essere utile per i soggetti che sono geneticamente predisposti al cancro del colon-retto.

Fonte: Corriere della Sera

Il vincitore del Premio Nobel per la Medicina, Richard J.Roberts, denuncia il modo in cui operano le grandi industrie farmaceutiche nel sistema capitalistico, anteponendo i benefici economici alla salute e rallentando lo sviluppo scientifico nella cura delle malattie perché guarire non è fruttuoso come la cronicità. Qualche giorno fa è stata pubblicata una nota sui dati rivelati che mostrano che le grandi compagnie farmaceutiche degli Stati Uniti spendono centinaia di milioni di dollari all’anno pagando medici affinchè essi promuovano i loro farmaci.

Per completezza riproduciamo questa intervista con il Premio Nobel per la Medicina Richard J. Roberts che segnala che i farmaci che curano non sono redditizi e per questo non sono sviluppati dalle industrie farmaceutiche che al contrario sviluppano farmaci cronicizzanti che siano consumati in modo massivo e continuativo.  Questo, segnala Roberts, determina anche che alcuni farmaci che potrebbero curare completamente una malattia non siano sperimentati. E si chiede fino a che punto è valido ed etico che la industria della salute sia retto dagli stessi principi del mercato capitalista, i quali arrivano ad assomigliare molto a quelli mafiosi. L’intervista fu originariamente pubblicata dal quotidiano spagnolo “La Vanguardia”:

La ricerca si può pianificare ?
- Se io fosso ministro della Salute o responsabile della Scienza e Tecnologia, cercherei persone entusiaste con progetti interessanti; darei loro i fondi sufficienti affinché non possano fare altro che fare ricerca e li lascerei lavorare dieci anni per sorprenderci.

- Sembra una buona politica.
- Si è abituati a credere che, per arrivare molto lontani devi appoggiare la ricerca di base; però se vuoi risultati più immediati e redditizi, devi puntare sulla ricerca applicata.

- E non è cosi ?
- Spesso le scoperte più redditizie si sono fatte a partire da domante molto fondamentali. Così nacque la gigantesca e multimilionaria industria biotech statunitense per la quale lavoro.

- Come è nata ?
- La biotecnologia nacque quando persone appassionate cominciarono a chiedersi se si potessero clonare geni e cominciarono a studiarli e a tentare di purificarli.

- Tutta un’avventura.
- Sí, però nessuno si aspettava di diventare ricco con queste domande. Era difficile ottenere fondi per questa ricerca, fino a che Nixon lanciò la guerra contro il cancro nel 1971.

- Fu scientificamente produttiva ?
- Permise, con una enorme quantità di fondi pubblici, molta ricerca, come la mia, che non serviva direttamente contro il cancro, però fu utile per capire i meccanismi che permettono la vita.

- Cosa scoprì Lei ?
- Phillip Allen Sharp ed io fummo premiati per la scoperta degli introni nel DNA eucaristico ed il meccanismo di “gen splicing” (giuntura dei geni)

- A cosa servì ?
- Questa scoperta permise di capire come funziona il DNA e tuttavia ha solo una relazione indiretta con il cancro.

- Che modello di ricerca Le sembra più efficace, lo statunitense o l’europeo?
- E’ ovvio che lo statunitense, nel quale prende parte attiva il capitale privato, è molto più efficace. Prenda per esempio le spettacolari innovazioni dell’industria informatica, dove il denaro privato è quello che finanzia la ricerca basica e quella applicata, però per quanto riguarda l’industria della salute…. Ho le mie riserve…

- La ascolto.
- La ricerca nella salute umana no può dipendere solo dalla sua redditività economica. Ciò che è buono per i soci della impresa non sempre è buono per le persone.

– Si spieghi.
- L’industria farmaceutica vuole servire i mercati del capitale…..

- Come qualsiasi altra industria.
- Il fatto è che non si tratta di qualsiasi altra industria: stiamo parlando della nostra salute e delle nostre vite e di quelle dei nostri figli e di milioni di esseri umani..

- Però se sono redditizie, ricercheranno meglio.
- Se pensi solo agli introiti, smetti di preoccuparti di servire gli esseri umani.

- Per esempio…
- Ho verificato come in alcuni casi le ricerche che dipendono da fondi privati avrebbero scoperto medicine molto efficaci che avrebbero curato definitivamente una malattia….

- E perché rinunciano alla ricerca ?
- Perché le industrie farmaceutiche spesso non sono tanto interessate a curare Lei ma piuttosto a toglierle denaro, così la ricerca, immediatamente è deviata verso la scoperta di medicine che non curano completamente, ma che mantengono la malattia cronica e Le fanno sperimentare un miglioramento che scompare quando smette di assumere il farmaco.

- E’ un’accusa grave.
- E’ normale che le farmaceutiche siano interessate in linee di ricerca non per curare ma per convertire solamente in affezioni croniche con medicinali cronicizzanti molto più redditizi rispetto a quelli che curano del tutto e definitivamente. E non avrebbe altro che seguire le analisi finanziarie dell’industria farmaceutica e verificherà ciò che Le dico.

- Ci sono dividenti che uccidono.
- Per questo Le dicevo che la salute non può essere un ulteriore mercato e non si può intendere come un mezzo per guadagnare denaro. Per questo credo che il modello europeo misto di capitale pubblico e privato è meno facile che propizi questo tipo di abuso.

- Un esempio di questi abusi ?
- Si è smesso di ricercare antibiotici perché sono troppo efficaci e guarivano completamente. Siccome non si sono sviluppati nuovi antibiotici, i microorganismi infettivi son diventati resistenti e oggi la tubercolosi, che nella mia infanzia era stata sconfitta, stà risorgendo e ha già ucciso l’anno scorso un milione di persone.

- Non mi parla del Terzo Mondo ?
- Questo è un altro triste capitolo: c’è pochissima ricerca sulle malattie del Terzo Mondo, perché i farmaci che le combatterebbero non sarebbero redditizi. Però io Le sto parlando del nostro Primo Mondo: la medicina che guarisce del tutto non è redditizia e per questo non investono in questa.

- I politici non intervengono ?
- Non si faccia illusioni: nel nostro sistema i politici sono dei semplici impiegati dei grandi capitali, che investono il necessario affinché siano eletti i suoi figli, e se non lo sono, comprano quelli che sono stati eletti.

- Ci sarà di tutto.
- Al capitale gli interessa solo moltiplicarsi. Quasi tutti i politici – e so di cosa parlo – dipendono sfacciatamente da queste multinazionali farmaceutiche che finanziano le loro campagne. Il resto sono parole…..

Fonte: MedNat News

Luigi De Marchi, psicologo clinico e sociale, autore di numerosi saggi conosciuti a livello internazionale, parlando con un amico anatomo-patologo del Veneto sui dubbi dell’utilità delle diagnosi e delle terapie anti-tumorali, si sentì rispondere: «Sì, anch’io ho molti dubbi. Sapessi quante volte, nelle autopsie sui cadaveri di vecchi contadini delle nostre valli più sperdute ho trovato tumori regrediti e neutralizzati naturalmente dall’organismo: era tutta gente che era guarita da sola del suo tumore ed era poi morta per altre cause, del tutto indipendenti dalla patologia tumorale». «Se la tanto conclamata diffusione delle patologie cancerose negli ultimi decenni – si chiese Luigi De Marchi – in tutto l’Occidente avanzato fosse solo un’illusione ottica, prodotta dalla diffusione delle diagnosi precoci di tumori che un tempo passavano inosservati e regredivano naturalmente? E se il tanto conclamato incremento della mortalità da cancro fosse solo il risultato sia dell’angoscia di morte prodotta dalle diagnosi precoci e dal clima terrorizzante degli ospedali, sia della debilitazione e intossicazione del paziente prodotte dalle terapie invasive, traumatizzanti e tossiche della Medicina ufficiale. Insomma, se fosse il risultato del blocco che l’angoscia della diagnosi e i danni delle terapie impongono ai processi naturali di regressione e guarigione dei tumori?”.

Con quanto detto da Luigi De Marchi – confermato anche da autopsie eseguite in Svizzera su cadaveri di persone morte non per malattia – si arriva alla sconvolgente conclusione che moltissime persone hanno (o avevano) uno o più tumori, ma non sanno (o sapevano) di averli. In questa specifica indagine autoptica (autopsie) fatta in Svizzera, ed eseguita su migliaia di persone morte in incidenti stradali (quindi non per malattia), è risultato qualcosa di sconvolgente:

- Il 38% delle donne (tra i 40 e 50 anni) presentavano un tumore (in situ) al seno;
- Il 48% degli uomini sopra i 50 anni presentavano un tumore (in situ) alla prostata;
- Il 100% delle donne e uomini sopra i 50 anni presentavano un tumore (in situ) alla tiroide.

Con tumore in situ s’intende un tumore chiuso, chiuso nella sua capsula, non invasivo che può rimanere in questo stadio per molto tempo e anche regredire. Nel corso della vita è infatti “normale“ sviluppare tumori, e non a caso la stessa Medicina sa bene che sono migliaia le cellule tumorali prodotte ogni giorno dall’organismo. Queste, poi, vengono distrutte e/o fagocitate dal Sistema Immunitario, se l’organismo funziona correttamente.
Molti tumori regrediscono o rimangono incistati per lungo tempo quando la Vis Medicratix Naturae (la forza risanatrice che ogni essere vivente possiede) è libera di agire. Secondo la Medicina Omeopatica , la “Legge di Guarigione descrive il modo con cui tale forza vitale di ogni organismo reagisce alla malattia e ripristina la salute”.Cosa succede alla Legge di Guarigione, al meccanismo vitale di autoguarigione, se dopo una diagnosi di cancro la vita viene letteralmente sconvolta dalla notizia del male? E cosa succede all’organismo (e al Sistema Immunitario) quando viene fortemente debilitato dai farmaci ?

Poco nota al grande pubblico è la vasta ricerca condotta per 23 anni dal prof. Hardin B. Jones, fisiologo dell’Università della California, e presentata nel 1975 al Congresso di cancerologia presso l’Università di Berkeley. Oltre a denunciare l’uso di statistiche falsate, egli prova che i malati di tumore che NON si sottopongono alle tre terapie canoniche (chemio, radio e chirurgia) sopravvivono più a lungo o almeno quanto coloro che ricevono queste terapie. Il prof. Jones dimostra che le donne malate di cancro alla mammella che hanno rifiutato le terapie convenzionali mostrano una sopravvivenza media di 12 anni e mezzo, quattro volte superiore a quella di 3 anni raggiunta da coloro che si sono invece sottoposte alle cure complete.

Un’altra ricerca pubblicata su The Lancet del 13/12/1975 (che riguarda 188 pazienti affetti da carcinoma inoperabile ai bronchi), dimostra che la vita media di quelli trattati con chemioterapia è stata di 75 giorni, mentre quelli che non ricevettero alcun trattamento ebbero una sopravvivenza media di 120 giorni. Se queste ricerche sono veritiere, una persona malata di tumore ha statisticamente una percentuale maggiore di sopravvivenza se non segue i protocolli terapeutici ufficiali. Con questo non si vuole assolutamente spingere le persone a non farsi gli esami, gli screening e i trattamenti oncologici ufficiali, ma si vogliono fornire semplicemente, delle informazioni che normalmente vengono oscurate, censurate e che possono, proprio per questo, aiutare la scelta terapeutica di una persona. Ma ricordo che la scelta è sempre e solo individuale: ogni persona sana o malata che sia, deve assumersi la propria responsabilità, deve prendere in mano la propria vita. Dobbiamo smetterla di delegare il medico, lo specialista, il mago, il santone che sia, per questo o quel problema.
Dobbiamo essere gli unici artefici della nostra salute e nessun altro deve poter decidere al posto nostro. Possiamo accettare dei consigli, quelli sì, ma niente più.

Fonte: MedNat News

Gli oncologi si farebbero la chemio? Domanda molto importante, perché è giusto sapere cosa farebbero i medici oncologi - quelli che usano ogni giorno i chemioterapici su altre persone - se avessero loro un tumore. Nel marzo del 2005 al Senato australiano è stata presentata una “Inchiesta sui servizi e sulle opzioni di trattamento di persone con cancro”, prodotta dal Cancer Information & Support Society, del St. Leonards di Sydney. Secondo tale inchiesta, alcuni scienziati del McGill Cancer Center di Montreal in Canada, inviarono a 118 medici, esperti di cancro ai polmoni, un questionario per determinare quale grado di fiducia nutrissero nelle terapie da loro applicate, nel caso essi stessi avessero sviluppato la malattia.  Risposero 79 medici e 64 di loro non avrebbero acconsentito a sottoporsi ad un trattamento che contenesse Cisplatino (un chemioterapico molto utilizzato a base di platino). Mentre 58 dei 79 reputavano che tutte le terapie sperimentali in questione fossero inaccettabili a causa dell'inefficacia e dell'elevato grado di tossicità!

Un risultato eclatante: l'81% degli oncologi intervistati, in caso di tumore, non si farebbero somministrare un chemioterapico, mentre il 73% di loro reputano addirittura le “terapie sperimentali inaccettabili per l'elevato grado di tossicità”. Anche se il numero di oncologi intervistati non è molto elevato, ognuno tragga le proprie conclusioni…Considerando i due principali strumenti terapeutici nelle mani degli oncologi (chemio e radio), vediamo il costo di un tumore oggi in Italia. Attualmente sappiamo esserci in Italia 1,7 milioni di ammalati e oltre 270.000 nuovi malati ogni anno (in America ogni anno i nuovi malati di cancro sono 1.372.910. La conclusione, senza entrare troppo nel dettaglio, è la seguente: il tumore in Italia (solamente tra chemio e radio, escludendo quindi chirurgia, costi di degenza, farmaci vari, apparato medico e infermieristico, i soldi fagocitati dalle industrie per la ricerca, ecc.) è indubbiamente una delle patologie più costose, non solo in termini di vite umane, ma soprattutto dal punto di vista economico. In Appendice del libro sono stati appositamente pubblicati, oltre una ventina di “bugiardini” di chemioterapici con i loro effetti collaterali devastanti (foglietti illustrativi), anche i costi ufficiali (dichiarati dalle rispettive case di produzione) dei più diffusi chemioterapici in circolazione, per rendersi conto di quello che è stato appena detto. Un qualsiasi tumore trattato con chemio e radioterapia (ad esclusione della chirurgia i cui costi sono paragonabili a quelli della chemioterapia), costa al Sistema Sanitario Nazionale svariate centinaia di migliaia di euro. 

Una testimonianza esemplare è stata pubblicata dal settimanale “Gente” poco tempo fa. Si tratta della vicenda di Gennaro De Stefano, un uomo normalissimo, che nel suo “Diario di un malato di cancro” ha provato a comporre la “lista della spesa” per la sua malattia. Dopo aver consultato medici e fotocopiato le fustelle dei farmaci, ha messo insieme tutte queste informazioni.  Il suo calvario è iniziato con due interventi chirurgici (biopsia più operazione alla vescica) e una degenza di 22 giorni, per un totale di 30.000 euro. Il primo ciclo di chemio è costato 9.000 euro e 1.500 euro spesi per ogni TAC effettuata (ne ha fatte oltre 20). «Un ciclo completo di cocktail chemioterapici partiva da alcune migliaia di euro per arrivare anche a 50 mila euro al mese per ogni paziente». «Durante la chemioterapia, che, com'è noto, fa abbassare i globuli bianchi e quelli rossi (tralasciando la quantità impressionante di medicinali di sostegno per lo stomaco, l'intestino, la fatica, la nausea, il vomito e via cantando), occorre sottoporsi a cure ormonali che aiutino la crescita dei globuli bianchi. Di solito si fanno tre o quattro iniezioni che costano una 1.500 euro, le altre 150 euro ognuna. Arriva poi l'Epo, l'ormone diventato famoso come doping dei ciclisti, che costa dai 500 ai 1.000 euro a iniezione. Di queste bombe ne avrò fatte, fino a oggi, una quarantina». 

Ha dovuto eseguire la radioterapia (6.000 euro); un nuovo intervento chirurgico per alcune metastasi (9.000 euro); di nuovo radioterapia, ecc. Risultato: la Sanità pubblica ha pagato per il sig. De Gennaro, circa 200.000 euro. Questo che avete appena letto, purtroppo, è l'iter seguito dalla stragrande maggioranza dei malati oncologici.  Moltiplicate questa cifra per il numero dei malati vecchi e nuovi, e capirete dal risultato che forse per qualcuno - e dico forse - non c'è convenienza nel trovare la soluzione definitiva ad una patologia che sviluppa centinaia di miliardi di euro ogni anno in Italia.  Ogni anno la “lobbies del cancro” - solamente con i nuovi ammalati (270.000 persone), e supponendo che tutti entrino nei percorsi terapeutici - movimenta una cifra superiore a 54.000.000.000 di euro. Cinquantaquattro miliardi di euro ogni anno per un trattamento oncologico.  Se a questi ci aggiungiamo tutte le persone ammalate di cancro oggi in Italia (1 milione e 700 mila), che ripetono i trattamenti, che necessitano di trapianto di midollo, che muoiono nonostante, o per colpa delle terapie, ecc., tale cifra, come detto prima, raggiungerà i centinaia di miliardi di euro.  Pensate all'industria della morte, meglio nota come “imprese funebri”. Ogni anno sono 162.000 le persone che muoiono per cancro in Italia (dati Istat).  I costi per un servizio funebre privato (pagato dalle famiglie) vanno da un minimo di 2.155 euro (Roma) a un massimo di 3.575 euro (Milano) [9] a persona. Facendo una media più che ragionevole di 3000 euro…il 'lutto per cancro' (funerale, epigrafi, fiori, trasporto, organizzazione) sottrae alla società 486.000.000 di euro. Tutti gli anni inesorabilmente.  Pensate nel mondo intero… Ecco cosa riporta il “bugiardino” (pubblicato assieme agli altri in appendice) di uno dei più usati chemioterapici: la Doxorubicina della Ebewe Italia Srl

Doxorubicina:

Multinazionale: Ebewe Italia srl
Principio attivo: Doxorubicina
Concentrato per soluzione iniettabile per infusione
Categoria terapeutica: Antracicline
Effetti controindicati:
- Gravi aritmie acute sono state descritte durante o poche ore dopo la somministrazione;
- Una mielosoppressione grave può provocare insorgenza di emorragia e superinfezioni, e costituisce una indicazione alla riduzione o alla sospensione della Doxorubicina;
- Esiste un rischio accertato di sviluppo di cardiomiopatia indotta dalle antracicline e dipendente dalla dose cumulativa;
- Il rischio di insufficienza cardiaca nei pazienti neoplastici trattati con Doxorubicina persiste per tutta la vita;
- Può potenziare la tossicità della radioterapia e di altre terapie anti-neoplastiche;
- Neoplasie benigne e maligne;
- Il verificarsi di una leucemia mieloide acuta secondaria;
- Il danno del tratto gastrointestinale può indurre ad ulcera, emorragia e perforazione;
- La Doxorubicina è altamente irritante e lo stravaso nella sede dell'infusione può provocare dolore locale, irritazione, infiammazione, tromboflebiti, che possono causare un'ulcera grave e necrosi della cute.

Smaltimento:

Il personale che manipola la Doxorubicina deve indossare indumenti protettivi: occhiali, camici, maschere e guanti monouso. Tutti gli articoli usati per la somministrazione e la pulizia, inclusi i guanti, dovranno essere posti in appositi sacchi per rifiuti ad alto rischio, per l'incenerimento ad alte temperature.
Le fuoriuscite o le perdite di soluzione devono essere trattate con ipoclorito di sodio diluito che preferibilmente va lasciato agire per tutta la notte e a cui va fatto seguire un risciacquo con acqua.
Tratto dal libro Cancro SPA: leggere attentamente le avvertenze prima dell'uso”, di Marcello Pamio

Fonte: Scienza e conoscenza

Lunedì, 20 Luglio 2020 08:00

Salmone in crosta di pistacchio

Gustoso e originale. Un secondo di pesce alternativo e versatile per portare a tavola tutto il sapore del mare. Delizio e raffinato, leggero e saporito. La crosta di pistacchi avvolge il trancio di salmone in un'armonico connubio. Una preparazione fantasiosa da mettere in pratica con pochi minuti.

Ingredienti 

 INGREDIENTI PER 2 PERSONE
    400 g di salmone    Olio EVO Bio
    Una cipollina tagliata a fettine sottili
   Un cucchiaio di basilico tritato
    150 g pistacchio tritato    Un pizzico di sale rosa himalayano e        pepe
 TEMPO  ESECUZIONE
20 MINUTI FACILE

Preparazione

Mettete in una ciotola il pistacchio tritato, sale, pepe, cipollina tritata e basilico. Dividete il salmone in tranci e passateli nell’olio extravergine di oliva e poi nel composto di pistacchio, premete bene per far aderire la panatura. Cuocete il pesce in una padella antiaderente con un filo di olio oppure, se preferite, in forno preriscaldato a 180°C per 15 minuti. Servite caldo.

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