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Stare al sole per fare il pieno di vitamina D per aumentare le nostre riserve. È la raccomandazione di uno studio scientifico preliminare. Quindi non solo per proteggere e rinforzare il sistema immunitario da 3 a 5, ma addirittura per evitare le complicanze del Covid-19. Gli innumerevoli benefici della vitamina D, per la salute in generale e per il potenziamento della risposta immunitaria non sono una novità per nessuno e anche in questa occasione si dimostra un potente alleato contro l’infezione da SARS-CoV2. La ricerca, condotta dagli esperti degli Queen Elizabeth Hospital Foundation Trust, dell’Università dell’East Anglia, in Inghilterra, ha evidenziato un collegamento tra i bassi livelli di mortalità per coronavirus e buone riserve di vitamina D. Il team di ricercatori guidati dal professor Petre Cristian Ilie hanno incrociato i dati con quelli della mortalità per Covid-19, osservando che i Paesi colpiti più duramente sono proprio quelli in cui si registra una maggiore deficienza di vitamina D. Al primo posto l'Italia, seguita da Spagna e Svizzera, dove il coronavirus ha colpito duramente e nelle cui popolazioni anziane la carenza vitaminica è una condizione particolarmente diffusa. 

Tra i soggetti maggiormente a rischio: gli anziani. Sono loro la categoria con maggiore carenza di vitamina D. La correlazione tra Covid-19 e vitamina D sostenuta dal gruppo di ricercatori inglesi era già stata anticipata da due ricercatori dell’Università di Torino. I due scienziati torinesi suggerivano già un mese fa di «assicurare adeguati livelli di vitamina D nella popolazione, ma soprattutto nei soggetti già contagiati». Non solo agli anziani, il suggerimento veniva poi esteso a tutti coloro che, per vari motivi, non si esponevano adeguatamente alla luce solare. Nell’indagine, Giancarlo Isaia, docente di geriatria e presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, e Enzo Medico, docente di istologia presso l'Università degli Studi di Torino, richiamano l’attenzione su un aspetto di prevenzione: l’ipovitaminosi D. «Sulla base di numerose evidenze scientifiche – spiegavano gli esperti - e di considerazioni epidemiologiche, sembra che il raggiungimento di adeguati livelli plasmatici di Vitamina D sia necessario anzitutto per prevenire le numerose patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita nelle persone anziane, ma anche per determinare una maggiore resistenza all’infezione COVID-19 che, sebbene con minore evidenza scientifica, può essere considerata verosimile. Tale compenso può essere raggiunto anzitutto con l’adeguata esposizione alla luce solare, poi alimentandosi con cibi ricchi in Vitamina D». I due scienziati hanno anche sottolineato l’importanza di livelli adeguati di vitamina D per offrire all’organismo una maggiore resistenza all'aggressione del patogeno.

Ipovitaminosi D e aumento mortalità 

Si aggiunge così un altro importante tassello al puzzle che lega il Covid-19 al sistema immunitario e di conseguenza alla vitamina D, ma anche alla vitamina C. lo studio infatti indaga sul legame tra bassi livelli di vitamina D e mortalità da Covid-19 in 20 Paesi europei. I risultati hanno mostrato una correlazione statistica tra le cifre, o meglio, le popolazioni con più bassi livelli di vitamina D hanno mostrato una mortalità da Coronavirus più alta. Secondo l'Università di Harvard ne soffrirebbero, a livello mondiale, circa un miliardo di persone. Conosciuta anche come ipovitaminosi D, questa carenza vitaminica è la condizione risultante dall'assenza di adeguate quantità di questo composto organico nel nostro organismo. «Riteniamo – hanno detto gli studiosi – di poter consigliare l’integrazione di vitamina D per proteggersi dall’infezione da SARS-CoV2». La vitamina D è un composto liposolubile raro negli alimenti, ma che può essere assunto anche tramite la corretta integrazione. La principale fonte naturale sono i raggi del sole. Tuttavia, tra i pochissimi alimenti ricchi di vitamina D, ricordiamo pesce azzurro, uovo, funghi, burro e olio di fegato di merluzzo.

Dott. Paolo Giordo - Le verità nascoste sulla vitamina D

Sole, cibo e integrazione: al via la scorta di vitamina D

Cibo, sole e corretta integrazione. Gli esperti spiegano poi le due modalità di assunzione di questa importante vitamina che può essere sintetizzata dalla cute, per effetto delle radiazioni ultraviolette emanate dalla luce solare oppure tramite gli alimenti. Nell’indagine dell’Università degli Studi di Torino, viene proposta anche una “top ten” degli alimenti ricchi di vitamina D (vedi figura). Quindi, mangiare molto pesce e prendere tanto sole. L’esposizione alla luce solare e un sano stile alimentare, ricco soprattutto di cibi che contengono vitamina D, diventano i nostri principali alleati in questa grande battaglia.

vita D

Tra le tante proprietà della vitamina "del sole" anche tante funzioni importanti. Tra le più citate rientrano la modulazione del sistema immunitario e la riduzione nel rischio di sviluppare infezioni respiratorie di origine virale. Inoltre, rinforza le ossa, favorendo la crescita nei bambini, promuove l'assorbimento del calcio nelle vie intestinali, rinforza le ossa e modula, infine, l'assorbimento intestinale di ferro, magnesio, fosfati e zinco. La principale fonte di approvvigionamento è l’esposizione alla luce solare. A tal proposito, l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) raccomanda l’esposizione ai raggi solari per almeno mezzora al giorno.

Prof. Luca Avoledo - Vitamina D: perché è così importante e in quali alimenti si trova?

 

In ultima analisi, la vitamina D fornirebbe un valido aiuto per ridurre l’incidenza di infezioni delle vie respiratorie e dei casi di influenza. Ad avvalorare la testi, le ricerche precedenti che dimostrano il ruolo attivo della Vitamina D sulla modulazione del sistema immune, la stretta correlazione dell’Ipovitaminosi D con una lunga serie di patologie croniche che possono ridurre l’aspettativa di vita, ancor più in caso di infezione; un effetto della Vitamina D nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus, oltre alla sua capacità di limitare il danno polmonare da iperinfiammazione. Ecco, alcune delle motivazioni scientifiche a supporto:

1) Particolarmente attuale ed importante, “Vitamin D Supplementation Could Prevent and Treat Influenza, Coronavirus, and Pneumonia Infections” nel quale viene sottolineato un possibile ruolo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento anche della malattia da coronavirus. Vi si legge che la Vitamina D riduce il rischio di infezioni respiratorie attraverso tre meccanismi:

➢ Mantenimento delle tight junctions, e della barriera polmonare:
➢ Incremento dell’espressione di peptidi antimicrobici quali la catelicidina e beta-defensine: Da notare che questi peptidi sono dotati di attività antivirale:
➢ Stimolo dell’attività immunoregolatoria, potenzialmente rilevante rispetto al rischio di tempesta citochinica e di polmonite, osservata in pazienti con COVID-19

2) Ruolo immunomodulatore della Vitamina D e anche un suo effetto antagonista sulla replicazione virale nelle vie respiratorie.

3) Nel 2014, una review “Vitamin D: a new anti-infective agent?”, esamina le interazioni fra la Vitamina D, il sistema immunitario e le patologie infettive, sottolineando l’associazione tra l’ipovitaminosi D e le infezioni respiratorie ed enteriche, l’otite media, le infezioni da Clostridium, le vaginosi, le infezioni del tratto urinario, la sepsi, l’influenza, la dengue, l’epatite da attribuire alla capacità della vitamina D di incrementare peptidi antimicrobici (catelicidina e beta-defensine) dotati di attività antivirale e immunomodulatoria.

4) Uno studio condotto in Sud Corea ha evidenziato valori ridotti di vitamina D in pazienti con polmonite acuta acquisita in comunità.

5) Una concentrazione di vitamina D si associa al dimezzamento del rischio di infezioni respiratorie acute.

6) Una metanalisi del 2017 ha considerato 25 studi randomizzati, evidenziando che la supplementazione di Vitamina D riduce di due terzi l’incidenza di infezioni respiratorie acute 

7) Il calcitriolo si è dimostrato efficace nei ratti nel ridurre il danno polmonare acuto

Tra le cause dell’ipovitaminosi D rientra l’apporto alimentare insufficiente, l’inadeguata esposizione al sole, l’alterato assorbimento intestinale o un aumento del suo fabbisogno. Da non sottovalutare condizioni particolari come malattie epatiche e renali e l'assunzione di alcuni tipi di farmaci, soprattutto anticonvulsionanti, antivirali e glucocorticoidi. Esistono, poi, fattori di rischio in grado di favorire questa carenza. Tra questi obesità, fumo, alcolismo, fibrosi cistica, celiachia, pancreatite cronica e l'età. Il deficit di vitamina D, contribuisce anche alla comparsa di osteoporosi e rachitismo, di patologie come ipertensione, diabete e sindrome metabolica oltre al non trascurabile rischio cardiovascolare. Precedenti studi hanno dimostrato che, in caso di carenza, l’aumento dei livelli di vitamina D, potrebbe ridurre il rischio di altre infezioni respiratorie. Sul possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D si era già aperto uno spiraglio e stando agli studi citati, sia gli scienziati britannici che quelli italiani suggeriscono come mantenere la vitamina D a livelli ottimali con il supporto di una giusta alimentazione e della corretta integrazione possano essere d'aiuto nel contrasto alla pandemia di coronavirus.

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Per approfondimenti:

Il Giornale "Carenza di vitamina D e Coronavirus: esiste una connessione?"

Fanpage "Carenza di vitamina D associata a maggior mortalità per coronavirus: lo suggerisce una ricerca"

Science Alert "I decessi per COVID-19 sono collegati alla carenza di vitamina D. Ecco cosa significa"

Blitz Quotidiano "Coronavirus e Vitamina D, c’è correlazione? Anziani sono carenti e sono la categoria più a rischio"

Università degli Studi di Torino "Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19"

The Lancet "Vitamin D supplementation and musculoskeletal health"

La Stampa "Sole e pesce alleati contro il rischio contagio da coronavirus"

La Repubblica "Coronavirus, studio dell'Università di Torino: assumere più vitamina D per ridurre il rischio di contagio"

Adnkronos "Coronavirus, l'ipotesi: carenza vitamina D può aumentare rischi"

Fanpage "Coronavirus, carenza di Vitamina D possibile fattore di rischio: lo studio italiano"

Leggo "Coronavirus, carenza di vitamina D aumenta il rischio? Lo studio italiano"

Corriere della Sera "Coronavirus: perché serve la Vitamina D"

Io Donna "Coronavirus: perché serve la Vitamina D"

Panorama "Combattere il Coronavirus a tavola: ecco la giusta alimentazione"

Mercola "Perché la vitamina D è meglio di QUALSIASI vaccino e migliora il sistema immunitario di 3-5 volte" 

LEGGI ANCHE: La vitamina D e la sua crociata: tra prevenzione e terapia nella pandemia Convid-19

Il miracolo della vitamina D: aumenta il sistema immunitario da 3 a 5

Sistema immunitario debole e malattie associate alla carenza di Vitamina D: ecco i principali segnali

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Colpisce maggiormente chi ha il cuore malato. Quindi non solo i polmoni a differenza di quello che ci era stato detto fino a oggi. I dati sono riportati in uno studio condotto nel bresciano. Infatti, sono sempre più frequenti, nei soggetti positivi all’infezione da Sars-CoV-2, complicanze come infarti, embolie polmonari o, più in generale, di alterazioni di tipo trombo-embolico. Ad aggravare il quadro clinico già compromesso con il conseguente interessamento cardiaco sono i meccanismi legati alla tempesta infiammatoria e al rilascio di citochine, quindi, all'aumento della richiesta o al ridotto apporto di sangue al miocardio, a una diretta invasione miocardica del virus mediata dai recettori Ace2 o dall'ipercoagulabilità. In questi casi delicati, il coronavirus rischia di complicare un equilibrio circolatorio di per se instabile oppure innescare una vera e propria tempesta coinvolgendo la risposta infiammatoria e la coagulazione.

Questo è quanto emerge dalla ricerca condotta da Marco Metra, direttore dell'Unità di Cardiologia dell'ASST-Spedali Civili dell'Università di Brescia. L’indagine descrive per la prima volta il quadro clinico e la prognosi dei pazienti cardiopatici con infezione da Covid-19 e confronta i dati con quelli di altri pazienti senza patologia cardiaca. I risultati dello studio sono in pubblicazione sulla rivista scientifica European Heart Journal, la più accreditata a livello mondiale in ambito cardiologico. Ricordiamo che per cardiopatia si intende perqualsiasi malattia che interessa il cuore, strutturale (anatomico) o funzionale. Appartengono alla categoria delle cardiopatie per esempio le patologie che interessano le valvole del cuore (stenosi o prolasso), le malformazioni congenite e tutte quelle malattie che possono alterare il funzionamento della pompa cardiaca, compresi l’infarto miocardico e l’ischemia. Le cardiopatie si dividono in congenite, se presenti dalla nascita o acquisite, quando insorgono successivamente.

Fattori di rischio e patologie pregresse

Lo studia dimostra che «i soggetti con cardiopatia positivi al Covid-19 hanno una prognosi più critica di quella già grave dei non cardiopatici con polmonite da Covid-19. Tra le cause di mortalità sono state la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), eventi trombo-embolici, tra cui l'embolia polmonare, e lo shock settico» spiega Metra al Sole 24Ore. «Gli studi eseguiti su casistiche cinesi – continua l’esperto - avevano già suggerito la maggiore suscettibilità per polmonite da Covid-19 dei soggetti cardiopatici e la possibilità di un danno cardiaco in corso d'infezione». «In questo studio – evidenzia il direttore dell’Unità di Cardiologia dell’ASST -, per la prima volta, sono descritte sia le caratteristiche cliniche che i fattori di rischio per aumentata mortalità di questi pazienti: età, storia d'insufficienza cardiaca, storia d'insufficienza renale, diabete». «Viene anche confermato il significato prognostico di alcuni semplici parametri laboratoristici quali la creatininemia (parametro del sangue che indica la funzionalità renale), la troponina plasmatica (indice importante per la salute del cuore), la linfopenia (carenza di specifici globuli bianchi)» conclude il ricercatore.

Lo studio è stato condotto su 99 pazienti con polmonite da Covid-19, di cui 53 con problemi cardiaci e 46 senza patologie cardiache. Tra i pazienti cardiopatici coinvolti nell’indagine, il 40% aveva uno storico di insufficienza cardiaca, il 36%, una fibrillazione atriale e il 30% una cardiopatia ischemica. L’età media dei soggetti è 67 anni e l'81% di sesso maschile. Durante il ricovero, il tasso di mortalità è stato del 26%, mentre negli altri pazienti sono stati registrati eventi tromboembolici (il 15%), sindrome da distress respiratorio acuto (il 19%) e uno shock settico (il 6 %). Dal confronto tra pazienti cardiopatici e non è emersa la mortalità più alta dei primi, rispettivamente il 36% contro il 15%. E di conseguenza, anche un tasso di eventi tromboembolici e di shock settico più elevati: rispettivamente il 23 contro il 6% e il 11% contro lo 0%.

Vitamina C e risposta immunitaria nell'ARDS

Un lavoro che trova riscontro anche in un altro studio. L’autore, Alberto Boretti, esamina l’alta mortalità del Covid 19, la necessità di trovare misure efficienti e a basso costo per i pazienti in terapia intensiva e tutti quei meccanismi con cui il coronavirus arreca danno. E tra questi viene messa in evidenza anche la funzione virucida della tanto discussa vitamina C e l’azione immunomodulante e del completo controllo di quella che viene definita “tempesta di citochine” e dei vari indicatori di infiammazione. L’indagine di questo ricercatore italiano, infatti, esamina gli effetti della vitamina C per via endovenosa sulla risposta del sistema immunitario, le proprietà antivirali dell'IV Vit-C e infine le proprietà antiossidanti dell’acido ascorbico per affrontare in modo specifico le caratteristiche della tempesta di citochine della Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) che si verificano nel ciclo successivo della malattia infettiva SARS-CoV2. A Shanghai, il decremento del tasso di mortalità è stato ottenuto con la somministrazione di vitamina C per via endovenosa. Molti medici cinesi hanno confermato i risultati ottenuti dall’utilizzo della vitamina C contro il Covid-19. Pertanto, lo studio suggerisce di riesaminare urgentemente gli usi della vitamina C IV, pre e post infezione. Secondo gli esperti, infatti, l’acido ascorbico per via endovenosa aiuta a sviluppare una risposta del sistema immunitario più forte aumentando le attività antivirali.

COVID-19 e VITAMINA C: La resa dei conti

Secondo quanto riportato nella review “Intravenous vitamin C for reduction of cytokines storm in acute respiratory distress sindrome(Vitamina C endovena per la riduzione della tempesta di citochine nella sindrome da difficoltà respiratoria acuta) forse, «la riduzione della tempesta di citochine negli ultimi stadi dell'infezione da Covid-19 è l'applicazione più significativa di IV Vit-C». L’indagine evidenzia anche la complessità della polmonite da Covid-19 con il relativo tasso di morbilità e mortalità. Infatti, l’infezione provoca una grave lesione polmonare che sfocia poi nella Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), un disturbo polmonare potenzialmente letale. «Questo processo spiega Boretti nell’articolo - impedisce all'ossigeno necessario di entrare nei polmoni e alla fine provoca la morte». «I coronavirus – si legge nello studio - aumentano lo stress ossidativo che favorisce il malfunzionamento cellulare e alla fine provoca insufficienza d'organo».

Sicurezza ed efficacia del sovradosaggio di Vit-C IV

Questo processo che aiuta ad aumentare in modo considerevolmente lo stress ossidativo, a causa della generazione di radicali liberi e citochine porta, infine, a gravi lesioni cellulari e, nella peggiore delle ipotesi, anche alla morte. In base ai dati emersi fino ad ora, sembra evidente che la somministrazione di agenti antiossidanti insieme a terapie di supporto convenzionali collaudate svolga un ruolo importante nel controllo di un quadro clinico complesso come quello da SARS-CoV2. In ultimo, viene ribadita l’assenza di vaccini e farmaci antivirali adeguati per la pandemia e la conseguente importanza della vitamina C e altri antiossidanti, agenti estremamente utili nel trattamento clinico dell’ARDS. Lo studio conferma, infine, la sicurezza e l’efficacia di un sovradosaggio di vitamina C: «È importante sottolineare che la dose elevata di Vit-C IV è sicura ed efficace». «Qui esaminiamo – spiegano nel report - il principale meccanismo d'azione della Vit-C IV che aiuta a rafforzare il sistema immunitario, riduce la tempesta di citochine e inibisce i processi ossidativi, quindi, le proprietà antivirali saranno riviste, con particolare attenzione alla riduzione delle vie ossidative tipiche delle Covid19 ARDS».

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Per approfondimenti:

Il Sole 24Ore "Covid-19 e cardiopatia, uno studio italiano apre la strada alle future ricerche sull’infezione"

European Heart Journal "CAPACITY-COVID: a European registry to determine the role of cardiovascular disease in the COVID-19 pandemic"

European Heart Journal "Life-threatening cardiac tamponade complicating myo-pericarditis in COVID-19 "

Pharma Nutrition "Intravenous vitamin C for reduction of cytokines storm in acute respiratory distress syndrome"

U.S. National Library of Medicine "Use of Ascorbic Acid in Patients With COVID 19"

Treatment for severe acute respiratory distress syndrome from COVID-19

Medicine in Drug Discovery "Can early and high intravenous dose of vitamin C prevent and treat coronavirus disease 2019 (COVID-19)?"

New York Post "New York hospitals treating coronavirus patients with vitamin C"

Daily Mail "New York hospitals are treating coronavirus patients with high dosages of VITAMIN C after promising results from China"

National Cancer Institute  "High-Dose Vitamin C (PDQ®)–Health Professional Version"

Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936

Othomolecular "Shanghai Government Officially Recommends Vitamin C for COVID-19"

LEGGI ANCHE: Coronavirus, New York come Shanghai: somministrati alti dosaggi di vitamina C

Dopo New York, Palermo: al via con la sperimentazione di vitamina C ad alto dosaggio

COVID-19, la verità da Oriente: Vitamine C e D nella prevenzione delle malattie polmonari

Vitamina C: rafforza il sistema immunitario e combatte virus e malanni di stagione

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Arriva la conferma a tutte le teorie su Covid e vitamina C. Uno studio che porta la firma di un ricercatore italiano, Alberto Boretti. Un articolo di medicina ufficiale, con 150 fonti, già consultabile, sarà pubblicato a giugno sulla rivista Pharma Nutrition, edita da Elsevier, il più grande editore mondiale nel settore medico-scientifico. Nel report vengono esaminati tutti gli aspetti importanti: si parte dall’alta mortalità del Covid 19, viene spiegata la necessità di trovare misure efficienti e a basso costo per i pazienti in terapia intensiva e poi si passa a esaminare tutti i meccanismi con cui il coronavirus arreca danno. Nella terza parte dello studio, poi, si evidenzia l’azione virucida della vitamina C, elencando tutti gli effetti notevolmente apprezzabili nei pazienti incubati e tutto, in un arco temporale decisamente stretto: si parla di due giorni. Viene sottolineata, altresì, la scarsa presenza di effetti collaterali nel trattamento oltre al basso costo per il sistema ospedaliero. Si parla anche di attività immunomodulante e del completo controllo di quella che viene definita “tempesta di citochine” e dei vari indicatori di infiammazione di cui sentiamo parlare ogni giorno.

COVID-19 e VITAMINA C: La resa dei conti

Tra l’assenza di un vaccino in grado di arrestare la pandemia del Covid-19 e la controversa efficacia degli antivirali, seppur sviluppati per altre patologie, scelti come terapie dall’OMS, emerge la vitamina C per via endovenosa (IV Vit-C) come alternativa nel contrasto del virus. L’indagine di questo ricercatore italiano, infatti, esamina gli effetti della vitamina C per via endovenosa sulla risposta del sistema immunitario, le proprietà antivirali dell'IV Vit-C e infine le proprietà antiossidanti dell’acido ascorbico per affrontare in modo specifico le caratteristiche della tempesta di citochine della Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) che si verificano nel ciclo successivo della malattia infettiva SARS-CoV2. A Shanghai, il decremento del tasso di mortalità è stato ottenuto con la somministrazione di vitamina C per via endovenosa. Molti medici cinesi hanno confermato i risultati ottenuti dall’utilizzo della vitamina C contro il Covid-19. Pertanto, lo studio suggerisce di riesaminare urgentemente gli usi della vitamina C IV, pre e post infezione. Secondo gli esperti, infatti, l’acido ascorbico per via endovenosa aiuterebbe a sviluppare una risposta del sistema immunitario più forte aumentando le attività antivirali.

Capacità di prevenzione e trattamento dell'infezione

Secondo quanto riportato nella review “Intravenous vitamin C for reduction of cytokines storm in acute respiratory distress sindrome” (Vitamina C endovena per la riduzione della tempesta di citochine nella sindrome da difficoltà respiratoria acuta) forse, «la riduzione della tempesta di citochine negli ultimi stadi dell'infezione da Covid-19 è l'applicazione più significativa di IV Vit-C». L’indagine evidenzia anche la complessità della polmonite da Covid19 con il relativo tasso di morbilità e mortalità. Infatti, l’infezione provoca una grave lesione polmonare che sfocia poi nella Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), un disturbo polmonare potenzialmente letale. «Questo processo spiega Boretti nell’articolo - impedisce all'ossigeno necessario di entrare nei polmoni e alla fine provoca la morte». «I coronavirus – si legge nello studio - aumentano lo stress ossidativo che favorisce il malfunzionamento cellulare e alla fine provoca insufficienza d'organo». In sintesi, l'insufficienza polmonare (ARDS) è considerata la principale causa dell'azione di Covid19 sull'uomo. Questo processo che aiuta ad aumentare in modo considerevolmente lo stress ossidativo, a causa della generazione di radicali liberi e citochine porta, infine, a gravi lesioni cellulari e, nella peggiore delle ipotesi, anche alla morte. In base ai dati emersi fino ad ora, sembra evidente che la somministrazione di agenti antiossidanti insieme a terapie di supporto convenzionali collaudate svolga un ruolo importante nel controllo di un quadro clinico complesso come quello da SARS-CoV2. In ultimo, viene ribadita l’assenza di vaccini e farmaci antivirali inadeguati per la pandemia e la conseguente importanza della vitamina C e altri antiossidanti, agenti estremamente utili nel trattamento clinico dell’ARDS. Lo studio conferma, infine, la sicurezza e l’efficacia di un sovradosaggio di vitamina C.

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«È importante sottolineare che la dose elevata di Vit-C IV è sicura ed efficace». Le proprietà antivirali della vitamina C aiutano a ridurre i sintomi e la mortalità. L'azione antivirale dell'acido ascorbico è nota dalle prime ricerche sulla poliomielite. «I vaccini clinicamente efficaci appropriati – spiegano i ricercatori - e gli antivirali specifici possono servire se sono disponibili». «Considerando la situazione attuale – viene ribadito -, dovrebbe essere considerato anche l'uso della Vit-C come agente antivirale, in particolare, la Vit-C può essere utilizzata da sola o in combinazione con altri medicinali disponibili per esercitare effetti sinergici positivi». «Qui esaminiamo – spiegano nel report - il principale meccanismo d'azione della Vit-C IV che aiuta a rafforzare il sistema immunitario, riduce la tempesta di citochine e inibisce i processi ossidativi, quindi, le proprietà antivirali saranno riviste, con particolare attenzione alla riduzione delle vie ossidative tipiche delle Covid19 ARDS».

Antivirale sicuro ed efficace contro il virus

«La vitamina C non fa male alle persone ed è uno dei pochi, se non l'unico, agente che ha la capacità di pevenire e trattare l'infezione COVID-19» è il messaggio che mandava al resto del mondo, qualche settimana fa, Richard Z. Cheng, MD, PhD, leader internazionale del team di supporto medico epidemico della vitamina C in Cina. Ricordiamo che il dottor Cheng è stato tra i primi a incoraggiare gli ospedali cinesi a implementare la terapia con alti dosaggi di vitamina C per IV. I medici coreani dell’ospedale di Onvit confermavano la capacità di un uso estensivo di alte dosi di vitamina C di rallentare notevolmente e immediatamente il virus o fermarne la crescita. Gli specialisti sottolineavano il ruolo importante svolto nella prevenzione della crescita dei virus, stimolando le difese immunitarie dell’organismo oltre che per il suo fondamentale effetto antivirale diretto sul virus. D’accordo anche il collega Andrew W. Saul, direttore del servizio di notizie di medicina ortomolecolare: «Il COVID-19 dovrebbe essere trattato con elevate quantità di vitamina C per via endovenosa».

Shanghai, New York, Palermo e una terapia somministrata da quasi cent'anni 

Dopo Shanghai è la volta di New York. Gli ospedali curano i malati di Covid-19 con alti dosaggi di vitamina C. La notizia arriva dal New York Post «nel più grande sistema ospedaliero dello stato di New York, i pazienti gravemente malati di coronavirus, ricevono dosi massicce di vitamina C». Andrew G. Weber, pneumologo e specialista in terapia intensiva del Northwell Health a Long Island, racconta nell’intervista al NYP la somministrazione di 1.500 milligrammi di vitamina C tre o quattro volte al giorno ai pazienti affetti da Covid-19 e in terapia intensiva. Il dottor Richard Cheng evidenzia l’importanza di un intervento tempestivo: «È fondamentale una dose tempestiva e sufficientemente elevata di vitamina C per via endovenosa». «La vitamina C - spiega l'esperto - non è solo un noto antiossidante, ma è anche parte attiva nel contrasto dei virus e nella prevenzione della replicazione degli stessi. L'importanza della vitamina C per via endovenosa ad alte dosi non è solo a livello antivirale». E in ultimo Palermo. Anche qui è partita la sperimentazione di alte dosi di vitamina C somministrate per endovena ai soggetti positivi al coronavirus.

COVID-19 e Vitamina C: Anche Palermo si muove

Non dimentichiamo, tuttavia che l’uso dell’acido ascorbico contro le polmoniti e le infezioni polmonari è una pratica diffusa già dagli anni '30. Nel 1936 Gander e Niederberger, due medici tedeschi scoprirono che la vitamina C aveva la capacità di abbassare la febbre e riduceva il dolore nei pazienti affetti da polmonite (Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936). Mentre, un altro esperto tedesco otteneva risultati positivi con la somministrazione di 500 milligrammi di vitamina C, ogni novanta minuti, ai pazienti affetti da polmonite (Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936). Due medici americani, Slotkin & Fletcher, curarono con l’acido ascorbico un paziente che aveva sviluppato una grave infezione polmonare a seguito di un intervento (Slotkin & Fletcher, "Acido ascorbico in complicanze polmonari a seguito di chirurgia prostatica” Jour. Urol. , 52: 6 novembre 1944). Era il 1944 e due anni più tardi, la vitamina C veniva usata abitualmente dai chirurghi del Millard Fillmore Hospital, a Buffalo, come profilassi contro la polmonite. All’epoca, i medici militari curavano le polmoniti dei soldati con l’acido ascorbico iniettato per endovena.

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Per approfondimenti:

Pharma Nutrition "Intravenous vitamin C for reduction of cytokines storm in acute respiratory distress syndrome"

 U.S. National Library of Medicine "Use of Ascorbic Acid in Patients With COVID 19"

Treatment for severe acute respiratory distress syndrome from COVID-19

Medicine in Drug Discovery "Can early and high intravenous dose of vitamin C prevent and treat coronavirus disease 2019 (COVID-19)?"

Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936

Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936

New York Post "New York hospitals treating coronavirus patients with vitamin C"

Daily Mail "New York hospitals are treating coronavirus patients with high dosages of VITAMIN C after promising results from China"

Journal of Rawalpindi Medical College "Efficacy of Vitamin C in Reducing Duration of Severe Pneumonia in Children" Khan IM et al 18 (1): 55-57

National Center for Biotechnology Information "The clinical effects of vitamin C supplementation in elderly hospitalised patients with acute respiratory infections" Int J Vitam Nutr Res 1994; 64: 212-19

National Cancer Institute  "High-Dose Vitamin C (PDQ®)–Health Professional Version"

Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936

Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936

Othomolecular "Shanghai Government Officially Recommends Vitamin C for COVID-19"

LEGGI ANCHE: Coronavirus, New York come Shanghai: somministrati alti dosaggi di vitamina C

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Vitamina C: rafforza il sistema immunitario e combatte virus e malanni di stagione

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La primavera, i pollini e le allergie. Arriva la stagione della “febbre da fieno”. Raffiche di starnuti e occhi gonfi sono le inevitabili conseguenze che si ripetono ad ogni stagione. In questo periodo dell’anno, le allergie da pollini colpiscono tra il 10 e il 20% delle persone. Tuttavia, quest’anno, in piena pandemia e, ancor più, in un clima generale di allarmismi potrebbe essere scambiato per coronavirus. E anche se, almeno in apparenza, i sintomi potrebbero sembrare gli stessi, tra i due ci sono differenze sostanziali. Queste diversità sono fondamentali per capire se è il caso di preoccuparsi, a cominciare proprio dalla febbre che, raramente si presenta nelle reazioni allergiche spiega Greg Poland, direttore del Mayo Clinic's Vaccine Research Group. «La questione con le allergie stagionali è che colpiscono il naso e gli occhi - spiega l'esperto - tendono ad essere nasali e la maggior parte dei sintomi è localizzata nella testa, a meno che non si abbia uno sfogo cutaneo». «Il coronavirus, come anche l'influenza, sono più sistemici, colpiscono tutto il corpo» sottolinea Poland.

Sia il Covid-19 sia l'influenza, colpiscono le basse vie respiratorie. «Probabilmente non si avrà il naso che cola - aggiunge Poland -, ma si potrebbe sentire la gola infiammata, tosse, febbre e respiro corto. Bisogna prestare attenzione alla temperatura, è molto improbabile che le allergie diano febbre. Di solito non causano neanche respiro corto, a meno che non si abbia una condizione preesistente come l'asma». Nonostante questo e soprattutto nella fase iniziale, i sintomi delle due malattie potrebbero essere facilmente confusi. «Ecco perché bisogna fare attenzione soprattutto a vedere se i sintomi persistono, soprattutto se si è in un gruppo a rischio» conclude l’esperto. Anche gli specialisti di Auxologico fanno chiarezza su differenze e analogie, proponendo una sorta di vademecum con differenze e similitudini tra i sintomi delle allergie stagionali e il coronavirus.

 SOS febbre da fieno

Tra i sintomi propri o riconducili alle allergie annoverano raffreddore “acquoso” e lacrimazione profusa che, per contro, non appartengono al Covid-19. Al contrario, invece, di tosse e congiuntivite. Questi sintomi, purtroppo potrebbero trarre in inganno e confondere poiché tipici di entrambe le patologie. Altra differenza sostanziale, l’assenza di febbre nelle forme allergiche che è invece quasi un tratto caratteristico proprio dell’infezione virale. Infatti, la febbre è solo una conseguenza dell’infezione e non dell’allergia, pertanto rappresenta un segnale distintivo importante tra l’una e l’altra. Tuttavia, è bene ricordare che ci sono sempre delle eccezioni e questo è il caso dei cosiddetti asintomatici, i pazienti che consapevoli o meno di aver contratto il virus SARS-CoV2, e quindi dall’esame del tampone, non presentano comunque i principali sintomi. Particolare attenzione per chi soffre di asma. E anche se non è un fattore che predispone al contagio, si rischia comunque un’acutizzazione dell’infezione esistente con il rischio di gravi complicazioni. Allergy UK pubblica una guida per chi soffre di allergie: «I sintomi del coronavirus in genere includono tosse persistente e febbre alta e talvolta causano mal di testa e dolori muscolari. Questi non sono sintomi riconducibili a quelli dovuti alla febbre da fieno. I sintomi della febbre da fieno sono infatti persistenti ma relativamente prevedibili, a seconda della concentrazione di pollini nell’aria».

Le vere cause delle allergie

 

Anche il sistema sanitario nazionale britannico sottolinea che i principali sintomi del coronavirus siano febbre alta e continua tosse secca. «In questo periodo dell’anno ci aspettiamo di ricevere segnalazioni di un gran numero di pazienti affetti da sintomi di rinite allergica, una reazione allergica a vari tipi di polline. In genere, i pazienti che soffrono di febbre da fieno avvertono sintomi come naso che cola o ostruito, con starnuti, dolori diffusi e lacrimazione. Non è rara anche l’insorgenza di tosse. Alcuni di questi fastidi, in particolare la tosse, potrebbero però anche essere sintomi di Covid-19». Martin Marshall presidente del Royal College of General Practitioners (RCGP). «Non deve quindi sorprendere che – aggiunge Marshall -, data la sovrapposizione tra alcuni sintomi della febbre da fieno e del coronavirus, le persone si preoccupino». «I sintomi dell’allergia – continua l’esperto - tendono ad essere più lievi e a variare d’intensità a seconda dell’ora del giorno, poiché i livelli di polline sono spesso più alti nel pomeriggio e nella sera». In questo periodo dell’anno sono praticamente all’ordine del giorno i casi di allergie da polline. «Nei casi in cui un paziente sperimenti una deviazione significativa da questo tipo di sintomi, come una tosse persistente e una temperatura corporea elevata, dovrebbe immediatamente autoisolarsi e contattare il sistema sanitario nazionale».

Allergie e altri disturbi respiratori

Non solo pollini e graminacee. Ricordiamo anche chi soffre di fastidi di altra natura come l’inquinamento o gli acari della polvere. Tra i disturbi respiratori causati da questi allergeni figurano in primis le riniti. Il 50% delle riniti che colpiscono la popolazione sono allergiche «possono essere legate a un periodo preciso dell’anno, ad esempio quando fioriscono le graminacee, e quindi, passeggere oppure possono essere persistenti se legate ad allergeni a cui siamo esposti sempre, come gli acari della polvere» spiega Alberto Macchi, dirigente della clinica di otorinolaringoiatria ASST Sette Laghi di Varese e presidente Accademia Italiana di Rinologia (IAR). Un 30% fa riferimento, invece, a quelle non allergiche, come il comune raffreddore. «Le chiamiamo riniti vasomotorie o cellulari» sottolinea il presidente IAR. Il restante 20% poi, si divide in forme specifiche meno frequenti, come le riniti gravidiche tipiche delle donne in attesa o quelle che colpiscono prevalentemente gli anziani.

RINITE ALLERGICA, ecco come stare meglio cambiando stile di vita

«Il periodo in cui si manifesta l’allergia dipende dal tipo di polline verso cui si è sensibilizzati. Le graminacee, per esempio, iniziano a fiorire ora e per questa primavera la previsione è legata a minori crisi allergiche» sostiene Gianenrico Senna, presidente della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC). «Inoltre, l’uso diffuso delle mascherine, può aiutare ad evitare che gli allergeni, di dimensioni maggiori a quelle di un virus, possano raggiungere le vie aeree» conclude il presidente del SIAAIC.

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Per approfondimenti:

AGI "Come distinguere i sintomi delle allergie da quelli del coronavirus

Ansa "Coronavirus: tornano allergie, possibile confondere sintomi"

Adnkronos "Coronavirus, ecco come distinguerlo dalle allergie"

Il Mattino "Coronavirus, gli allergici non rischiano più di altri ma la mascherina è fondamentale"

Torino Today "Covid-19 e allergie: primavera, come non confondere i sintomi"

Focus Tech "Coronavirus: ecco come distinguerlo dalla rinite allergica stagionale"

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È ormai noto il ruolo fondamentale del sistema immunitario, nella cura e nella prevenzione. E di conseguenza anche della funzione svolta dai micronutrienti (come le vitamine) che ne costituiscono la principale linea di difesa e di attacco nella lotta contro le infezioni. Infatti, da sempre, la nostra unica e principale difesa natura è proprio questo sofisticato sistema di allarme che, per buona parte (circa il 70%), si trova nel nostro intestino. Messo a dura prova e indebolito da una serie di fattori esterni quali inquinamento di aria e acqua, alimentazione sbilanciata, stress e l’abuso dei farmaci. Secondo i dati riportati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il sistema immunitario della popolazione a livello mondiale e, ancora più, di quella del mondo occidentale, è stato pericolosamente indebolito, soprattutto quello della fascia over 65. Detto e fatto, questo crollo delle difese apre le porte ai microrganismi patogeni, virus inclusi, spianando la strada alle pandemie.

Come dimostrano anche gli studi di Luc Montagnier, medico, biologo, virologo e docente all’Istituto Pasteur e co-scopritore del virus dell’AIDS e premio Nobel per la medicina nel 2008,  emerge, in modo evidente, che sostenere e favorire le capacità del sistema immunitario dei singoli individui permette la protezione dai virus, talvolta capaci di mantenersi asintomatici. E quindi perché non dovrebbe essere lo stesso anche per il Covid-19? «Sostenere il Sistema Immunitario sembra comunque una scelta logica, se non addirittura essenziale, e questo, avrebbe dovuto essere il primo gesto di prevenzione da compiere e da diffondere, prima di pensare alle misure di barriera che – lo ripeto per non essere frainteso – sono certamente utili, ma restano ahimè misure troppo deboli e tardive di fronte a un’epidemia così grave, aggressiva e rapida» spiega Philippe Lagarde, medico specializzato in oncologia, conosciuto in tutto il mondo per le sue idee e tecniche innovative di applicazione delle cure per il cancro e per il suo impegno sociale verso le persone affette dalla malattia.

Uno scudo contro la pandemia

Vediamo ora in che modo interviene il nostro sistema immunitario nel contrasto alle infezioni. «Il nemico numero 1 – ricorda Lagarde riportando le parole del biologo francese Jean-Marie Pelt, scomparso qualche anno fa del nostro sistema immunitario sono i radicali liberi (frammenti di molecole altamente reattive, ndr) che non devono accumularsi in alcun modo. Il corpo deve distruggerli perché sono iper-tossici. Sono quelli che sono coinvolti nella genesi delle malattie, ma sono anche quelli che promuovono le infezioni batteriche o virali». Infatti, secondo Lagarde, il primo scudo contro la pandemia è proprio il sistema immunitario. Ad agire, per il medico francese, una volta assorbiti, sarebbero i micronutrienti, come appunto le vitamine, gli oligoelementi, i polifenoli, etc.... «Essi agiscono in sinergia tra loro - prosegue l’esperto -, ma anche assieme agli enzimi e ai sistemi antiossidanti della cellula per neutralizzare i radicali liberi costantemente sviluppati all’interno delle cellule». «Questa sinergia è essenziale – continua Lagarde -, eppure viene totalmente trascurata nella lotta alle infezioni, in particolare contro quelle virali». «Le vitamine C, E, A, il selenio, lo zinco, l’acido lipoico, il glutatione e suoi precursori, i carotenoidi (flavonoidi, antociani, tannini) agiscono in sinergia e sono il “nutrimento” di cui il sistema immunitario ha bisogno» conclude il noto oncologo francese.

Ma c’è dell’altro. Per il professor Lagarde, tuttavia, questo non è sufficiente a far funzionare a dovere il sistema immunitario, «non basta cioè consumare la sola vitamina C, anche se in dosi elevate o per via venosa, per far sì che agisca, che sia davvero efficace, dobbiamo farla ‘lavorare’ insieme con tutte le altre molecole antiossidanti: in collaborazione e dunque in sinergia con loro». E quindi, per funzionare, devono appunto lavorare insieme. Da questa premessa emerge chiaramente il legame fondamentale tra salute e qualità dell’alimentazione. Per cui, un’alimentazione sana ed equilibrata, sarebbe la soluzione ideale, alla portata di tutti. A confermare l’ipotesi anche un report dell’OMS: «L’83% della popolazione con più di 40 anni è carente di micronutrienti». Per sommi capi, le difese immunitarie delle persone sono sempre più indebolite e, di conseguenza, meno resistenti alle aggressioni. Su quanto detto, il dottor Lagarde ci da un consiglio: «dai ‘cibo’ alle tue difese, apri gli occhi, se ciò non ti impedirà di incontrare il virus lungo la strada, ti consentirà perlomeno di resistere molto meglio all’infezione».

La resistenza contro l'aggressione esterna

La difesa dell'organismo contro l'aggressione dall'esterno da parte di microrganismi patogeni (virus, batteri, protozoi, funghi) formano nel loro complesso il sistema immunitario. Costituito principalmente da globuli bianchi o leucociti. I leucociti, che derivano da cellule staminali presenti nel midollo osseo e nel tessuto linfoide, intervengono in modi differenti nella difesa dell'organismo: alcuni sono in grado di inglobare l'agente esterno e distruggerlo (fagociti), altri agiscono indirettamente liberando diverse sostanze. «Il nostro corpo è attaccato continuamente dall’esterno da virus, batteri, funghi e solo la nostra pelle riesce a difenderci efficacemente» scrive Adriano Panzironi nel libro “Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti”. «Tali microrganismi patologici – continua nel libro - cercano in ogni modo di entrare nel nostro organismo, utilizzando le ferite o le abrasioni, oppure tramite la bocca e il naso o anche l’intestino, dove colonie di batteri patogeni, presenti nel colon, si scontrano con le nostre difese immunitarie».

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Per approfondimenti:

Salute Prevenzione "Nella guerra contro i Virus la scienza si dimentica sempre del Sistema Immunitario

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

Sapere "I sistemi di difesa dell'organismo"

American Association for the Advancement of Science "Key feature of immune system survived in humans, other primates for 60 million years"

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Oltre a un'azione diretta sulle cellule endoteliali, il Covid-19, induce una risposta infiammatoria scatenata dall'infezione, con aumento del pericolo di trombosi ed embolie, sia a carico delle arterie che delle vene. «Se è vero che i dati provenienti da tutto il mondo, a partire dalla Cina per giungere fino alle osservazioni dell'Istituto Superiore di Sanità sui decessi in Italia, indicano come la presenza di comorbilità cardiovascolari (ipertensione o cardiopatia ischemica in testa) rappresentano fattori di rischio specifici in termini di mortalità per i pazienti ricoverati per Covid-19, è altrettanto innegabile che l'infezione induce direttamente una serie di alterazioni nella coagulazione del sangue» spiega Claudio Cuccia, direttore del dipartimento Cardiovascolare della Fondazione Poliambulanza di Brescia.

«Nel nostro ospedale – continua Cuccia -, che vista l'elevatissima richiesta è particolarmente impegnato nel trattamento dei pazienti che hanno sviluppato l'infezione, stiamo appunto vedendo come proprio le problematiche cardiovascolari, anche in soggetti più “giovani”, sia spesso alla base di complicazioni al decorso del quadro, anche indipendentemente dalla situazione respiratoria. Non per nulla i dati dell'Istituto superiore di sanità sui decessi in Italia dicono proprio che nell'11,6% dei pazienti deceduti si è osservato un danno miocardico acuto, a riprova dell'interessamento cardiovascolare l'infezione». Insomma, il virus Sars-Cov-2-, porterebbe a uno squilibrio nelle vie della coagulazione, sia con una probabile azione diretta sconosciuta del virus sia attraverso l'infiammazione.

Problemi cardiovascolari, alterazioni e altri fattori

«Il nostro processo di coagulazione del sangue – precisa Cuccia - si svolge fondamentalmente attraverso due diverse vie: la prima, quella della fibrinolisi spontanea, porta al dissolvimento di possibili coaguli, l'altro termina invece con la formazione di fibrina, che è la costituente di base di un trombo». «L'infiammazione indotta dal virus – aggiunge il professore - e probabilmente un'azione non ancora compresa, ma legata alla presenza del Sars-Cov-2 , portano a uno squilibrio nella regolazione di questi sistemi, che nel soggetto normale operano in equilibrio». «A questa alterazione si aggiunge anche l'azione diretta del virus sull'endotelio delle arterie e il risultato finale del processo è un eccesso di coagulazione che si ripercuote in un incremento del rischio di formazione di trombosi arteriose e di tromboembolie venose. Sul piano clinico questo si può tradurre nel maggior rischio di comparsa di infarti del miocardio, anche in soggetti più giovani, e di embolie polmonari» conclude l’esperto.

A sostegno di tale ipotesi, la ricerca condotta dall'equipe di Ning Tang del Laboratorio del Tongji Hospital di Wuhan, su 183 pazienti con Sars-Cov2-19 in Cina, pubblicato su Journal of Thrombosis and Haemostasis. L’indagine dimostra come nell'11,5% dei soggetti deceduti è stato rilevato un aumento di un particolare parametro, il D-Dimero, rispetto a quelli che sono sopravvissuti. «Questo è un prodotto di degradazione della fibrina – sottolinea Claudio Cuccia - e quanto più è elevato, tanto più il sangue tende a coagulare all'interno dei vasi. Per questo, come accade per altre patologie, nella valutazione del paziente con Covid-19 e individuarne il rischio sotto questo aspetto, occorre prendere in considerazione uno score clinico definito Sofa che si basa sostanzialmente su quattro elementi: il valore del D-dimero, lo stato mentale alterato, la frequenza respiratoria (il cut off è fissato a partire dai 22 atti respiratori al minuto) e il livello della pressione arteriosa sistolica, cioè la massima, inferiore a 100 millimetri di mercurio».

Dall'infiammazione all'infarto miocardico

Tuttavia, oltre a queste alterazioni dell’apparato cardiovascolare, entrano in gioco anche altri fattori. «Covid-19 non ha le stesse conseguenze dell'influenza stagionale sul cuore» sostiene Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia (Sic) -. Infatti, secondo il presidente del Sic, il «Covid-19 può interessare il cuore con due diverse presentazioni: la prima con una predominate interessamento respiratorio con aumento dei marcatori di miocardionecrosi (cioè di morte delle cellule del miocardio, simili a quello che si osserva dopo un infarto) associato a un aumento degli indici di infiammazione sistemica. La seconda è, invece, un predominante interessamento cardiaco con anomalie all'elettrocardiogramma, dolore toracico tipico e/o ipotensione causata da una miocardite, cardiomiopatia da stress o un vero e proprio infarto miocardico». «Il rischio cardiovascolare è più alto dopo alcuni giorni dall'inizio dei sintomi di Covid-19» precisa Indolfi. In ultimo, ma non meno importante, soprattutto in questo periodo alle prese con pandemia e quarantena, la lotta a stress, ansia e depressione. Questi, sono tra i fattori di rischio cardiovascolare. Un studio pubblicato su The Lancet individua per la prima volta un collegamento diretto tra stress cerebrale e problemi cardiocircolatori: a fare da 'ponte', il sistema immunitario.

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Per approfondimenti:

Il Sole 24Ore "Covid-19, perché è pericoloso per la coagulazione e per il cuore"

Cronaca Torino "Coronavirus, da Fondazione Poliambulanza arriva il decalogo per i cardiopatici"

Corriere Nazionale "Coronavirus: dieci regole per i cardiopatici"

LEGGI ANCHE:

Coronavirus: stress, ansia e depressione. I 7 consigli anti-panico

 

 

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«Fa che il cibo sia la tua medicina» raccomandava Ippocrate. È ormai noto che una dieta non equilibrata renda il nostro sistema immunitario incapace di fronteggiare l’attacco di agenti patogeni, virus inclusi. Pertanto, con questa nuova infezione, è bene non sottovalutare l’importanza di un’alimentazione sana, ricca e consapevole. Lei Zhang e Yunhui Liu due ricercatori dell’ospedale dell’Università Medica di Shenyang, in Cina, sostengono che «in assenza di un trattamento specifico per questo nuovo virus, vi sia una urgente necessità di trovare una soluzione alternativa per prevenire e controllare la replicazione e la diffusione del virus». Questi docenti, considerano fondamentali e non trascurabili i risultati delle ricerche effettuate su altre infezioni virali come l’influenza, l’Aids, e le due infezioni del 2003 e del 2012, rispettivamente la sindrome respiratoria acuta grave (Sars) e la sindrome respiratoria mediorientale (Mers), causate entrambe dai coronavirus Sars-CoV e Mers-CoV.

Gli scienziati ipotizzano due tipi di trattamenti per combattere il nuovo coronavirus: interventi di carattere nutrizionale e terapie di cui è stata già evidenziata un’attività antivirale. Inoltre, fanno notare che, ad oggi, non è stata data la giusta rilevanza al ruolo che svolge il sistema nutrizionale nella difesa contro le malattie, in particolar modo, di quelle infettive. Questo accade nonostante sia ormai acclarato che le carenze nutrizionali possano compromettere la nostra capacità di difesa dagli agenti patogeni. Come avvenne, ad esempio tra il 1918 e 1920, con l’influenza spagnola dove, la maggior parte dei morti, presentava carenze nutrizionali. Secondo Zhang e Liu, i nutrienti che potrebbero svolgere un ruolo determinante nella difesa contro il COVID-19 sono le vitamine A, B2, B3, B6, C, D ed E, oltre ai micronutrienti come selenio, zinco e ferro e agli acidi grassi polinsaturi omega 3. Questi nutrienti partecipano al corretto funzionamento del sistema immunitario. Una battaglia, quella contro il nuovo coronavirus, che si potrebbe combattere anche con le sostanze dotate di potere virucida. In primis, diventa fondamentale per far fronte a questa pandemia, sopperire all'ipovitaminosi D (carenza di vitamina D), considerata come una delle cause di maggiore frequenza dell’infezione da coronavirus. Questa vitamina aiuta il nostro organismo nel contrasto alle infezioni virali respiratorie e ancora meglio se con un alleato come lo zinco che rinforza il corpo contro l’assalto di virus e malattie dell'apparato respiratorio.

Nella lista della spesa: vitamine e minerali

La miglior difesa inizia dalla tavola. Sull'importanza di vitamine e minali e della scelta degli alimenti per vivere in salute, sarebbe opportuno ricordare il ruolo svolto da questi nutrienti e micronutrienti nella prevenzione e nel contrasto alle infezioni. La vitamina A è considerata la vitamina antinfettiva per antonomasia, la sua assunzione riduce la mortalità in differenti infezioni. Le vitamine B2, B3 e B6, influenzano la risposta immunitaria contro batteri e virus. La vitamina C è un antiossidante che riduce la durata e l'intensità dei raffreddori e contrasta le infezioni respiratorie di origine virale. La vitamina D svolge un ruolo rilevante nella modulazione della risposta immunitaria e una sua carenza aumenta il rischio e la gravità delle infezioni, in particolare di quelle del tratto respiratorio. Il selenio influenza differenti tipi di risposta immune. Nei bambini affetti da morbillo, lo zinco riduce la morbilità e la mortalità dovuta alle infezioni respiratorie. La combinazione di zinco e piritione a basse concentrazioni inibisce la replicazione di diversi virus a RNA, compreso il coronavirus SARS-CoV2. Il ferro, quando carente, aumenta rischio di infezioni acute del tratto respiratorio. Infine, gli omega 3, dotati di proprietà antinfiammatorie, inibiscono la replicazione del virus dell’influenza A e ne riducono la mortalità .

Vitamine e minerali

Ormai, viviamo in balia tra la paura di uscire, col rischio di essere contagiati e lo stare a casa, con l’attività fisica ridotta al minimo, e quindi, con la certezza di mettere su qualche chilo di troppo. L’isolamento sta mettendo a dura prova sia il nostro sistema nervoso che il nostro stomaco. Dalla fame nervosa a chi mangia per noia. E poi, a peggiorare una situazione già critica di suo, le ricette estremamente elaborate che, con la scusa di ingannare il tempo non aiuto di certo. «Un sistema immunitario efficiente — sottolinea Annamaria Colao in uno studio pubblicato sull’European Journal of Clinical Nutrition  — è importantissimo per difenderci da malattie e virus e passa anche per una nutrizione corretta». La resistenza alle infezioni può essere, quindi, migliorata e facilitata grazie agli antiossidanti, che aiutano il nostro organismo a difendersi dall’attacco dello stress ossidativo. Via libera a tavola, quindi, agli agrumi e a tutti i cibi ricchi di vitamina C, considerata da sempre l’antiraffreddore per eccellenza.

Mangiare in quarantena, tra salute e "comfort food"

«Per evitare di perdere il controllo – spiega in un’intervista a Fanpage, Renata Bracale, ricercatrice e docente in nutrizione umana presso l’Università degli Studi del Molise  – è bene fissare alcune regole alimentari semplici, ma rigorose e che, in qualche modo, ci faranno riscoprire anche delle abitudini e dei piaceri che abbiamo perso a causa della nostra vita frenetica». La nutrizionista sottolinea l’importanza, mai come ora in cui siamo impegnati in questa lotta al virus, di tutti quegli alimenti, come frutta e verdura, a cui dovremmo attingere per rafforzare il nostro sistema immunitario. Nell’articolo, l’esperta spiega l’importanza della scelta di alimenti ricchi di vitamine, minerali e antiossidanti: «La regola da tenere presente è che è importantissimo mangiare colorato. I colori nascondono dietro di sé dei segreti importanti: ad ognuno corrisponde una vitamina, un minerale, un antiossidante. Una volta fatta la spesa possiamo lavare e tagliare le verdure e congelarle, sia crude che cotte. Possiamo preparare il dado fatto in casa, un minestrone o una vellutata e conservare tutto nel nostro freezer. A differenza delle preparazioni industriali sicuramente avranno anche meno sale». «L'importante è avere una dieta quanto più varia possibile, anche restando in casa e riducendo al minimo le uscite per la spesa» raccomanda la nutrizionista.

Ecco perché l'integrazione alimentare è un valido aiuto per la nostra salute

E dopo il dovere arriva sempre il piacere! Quando le ore che scandiscono le nostre giornate in quarantena sembrano interminabili e non riusciamo a resistere fino al pasto successivo possiamo concederci dei peccati di gola con i cosiddetti comfort food. Al via con lo “scaccia tristezza” per antonomasia: il cioccolato. Concesso, quindi, anche l’uovo di Pasqua, come da tradizione. «Scegliamo una tavoletta fondente – suggerisce Renata Bracale a Fanpage - che abbia una percentuale di cacao almeno del 70%». La nutrizionista spiega che il cioccolato è ricco di triptofano, un aminoacido precursore della serotonina, l'ormone della felicità, che ci dà quella sensazione di essere sempre di buonumore. In alternativa, possiamo sempre ripiegare sulla frutta secca: «La frutta secca è ricca di omega 3, vitamina B6, acido folico e anche triptofano – aggiunge l’esperta - poi contiene il magnesio, che è importante per i muscoli, ma anche per riequilibrare i ritmi circadiani, ovvero il ritmo sonno-veglia, che in questo momento, a causa delle abitudini sballate potrebbe essere messo a dura prova».

Anche le banane rientrano nella categoria dei comfort food: «Sono ricche di potassio, vitamina A, vitamina C, B6, ferro, ma soprattutto di fosforo, che fa benissimo alla nostra memoria. In questo momento infatti il cervello potrebbe essere un po' ‘indolenzito’, per questo un attivatore come le banane è un ottimo rimedio». Infine un cereale: l'avena. «Ricca di fibre – continua nell’articolo, possiamo usarla come sostituto della pasta, inoltre, contiene anche tantissimo zinco, un minerale utile per contrastare la fatica e stimolare la serenità». Ovviamente, oltre a cioccolato, noci, mandorle e tutti gli altri comfort food, c’è anche una soluzione per i nostalgici dell’aperitivo. Da evitare categoricamente il cibo spazzatura e puntare su una vasta selezione di verdure meglio se fresche e da consumare crude come finocchi, cetrioli, carote, ravanelli e sedano. «Possiamo farle diventare delle simpatiche crudités per fare un piccolo aperitivo salutare tra le nostre quattro mura» consiglia la nutrizionista.

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Non solo acqua: l'importanza dell'idratazione

In ultimo, Renata Bracale, sottolinea l’importanza di bere molta acqua: «Sono soprattutto gli anziani a correre questo rischio, perché con l'età si perde lo stimolo della sete.». Non dimentichiamo poi che per preservare la giusta idratazione, possiamo ricorrere a piccoli stratagemmi, sicuramente più gustosi dell’acqua stessa. Parliamo proprio delle tisane: «Il nostro fabbisogno di liquidi può essere soddisfatto anche con delle tisane». «Istituiamo questo nuovo rituale – propone l’esperta -, visto che abbiamo del tempo a disposizione, possiamo farci una tisana digestiva, oppure una tisana prima di andare a letto». «Con il cambio di stagione chi soffre di reflusso potrebbe prepararsi una tisana a base di malva o di melissa, o ancora, si può preparare il classico canarino con acqua calda e buccia di limone. Ottima anche quella al finocchietto e chi ha problemi di digestione, ma non soffre di pressione alta, potrebbe prepararsi una tisana a base di liquirizia» conclude la nutrizionista.

 

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Per approfondimenti:

 Journal of Medical Virology "Potential Interventions for Novel Coronavirus in China: A Systemic ReviewLei Zhang e Yunhui Liu

 Fanpage "Dieta in quarantena: i 5 consigli della nutrizionista per mangiare bene ed evitare gli eccessi"

Corriere della sera / Corriere del mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"

Il fatto alimentare "Coronavirus: dieta e trattamenti terapeutici naturali proposti da docenti di medicina"

Ministero della Salute "Cosa mangiare ai tempi dell'isolamento""Cosa mangiare ai tempi dell'isolamento"

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«La vitamina C per via endovenosa è un antivirale sicuro, efficace e ad ampio spettro» è la rivelazione di Richard Z. Cheng, MD, PhD, medico specialista cinese-americano. Dopo Shanghai e New York, è la volta di Palermo. Anche in Italia si parte con la sperimentazione di alte dosi di vitamina C somministrate per endovena ai soggetti positivi al coronavirus. Lo studio, sarà condotto nell’Ospedale Nazionale di Rilevanza Arnas Civico, di Cristina Benfratelli, nel palermitano. Nell’indagine saranno inclusi tutti i pazienti ricoverati con esito positivo al tampone e polmonite interstiziale o sottoposti a intubazione. Saranno successivamente raccolte, sui soggetti, una serie di informazioni tra cui informazioni personali e anamnestiche, risultati clinici e di laboratorio come genere, età, etnia, comorbidità, droghe, azoto ureico nel sangue, creatinina, elettroliti, conta delle cellule del sangue, clearance dei lattati, PCR, PCT, Punteggio SOFA, funzionalità epatica, coagulazione, analisi dei gas nel sangue, pressione arteriosa sistolica e diastolica, Sp02, glicemia, indice di massa corporea (BMI). Sarà poi registrata per ciascuno anche la durata della degenza. Previa autorizzazione, ai soggetti verranno poi somministrati 10 gr di vitamina C in 250 ml di soluzione salina con una frequenza di 60 gocce al minuto.

COVID-19 e Vitamina C: Anche Palermo si muove

Dieci giorni fa, gli ospedali di New York, iniziavano a curare i malati di Covid-19 con alti dosaggi di vitamina C. La notizia si diffonde in fretta, il primo a pubblicarla il New York Post in un articolo: «Nel più grande sistema ospedaliero dello stato di New York, i pazienti gravemente malati di coronavirus, ricevono dosi massicce di vitamina C». Andrew G. Weber, pneumologo e specialista in terapia intensiva del Northwell Health a Long Island, un’intervista al NYP, spiega che per curare il virus e limitarne le complicanze stava somministrando, ai pazienti, in terapia intensiva, affetti da coronavirus, 1.500 milligrammi di vitamina C tre o quattro volte al giorno. Tuttavia, l’uso dell’acido ascorbico contro le polmoniti e le infezioni polmonari è una pratica nota dagli anni '30. Infatti, già nel 1936 Gander e Niederberger, due medici tedeschi scoprirono che la vitamina C aveva la capacità di abbassare la febbre e riduceva il dolore nei pazienti affetti da polmonite (Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936). Sempre lo stesso anno, un altro esperto tedesco otteneva risultati positivi con la somministrazione di 500 milligrammi di vitamina C, ogni novanta minuti, ai pazienti affetti da polmonite (Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936). Era il '44 quando due medici americani, Slotkin & Fletcher, curarono con l’acido ascorbico un paziente che aveva sviluppato una grave infezione polmonare a seguito di un intervento (Slotkin & Fletcher, "Acido ascorbico in complicanze polmonari a seguito di chirurgia prostatica” Jour. Urol. , 52: 6 novembre 1944). Due anni dopo, la vitamina C veniva usata abitualmente dai chirurghi del Millard Fillmore Hospital, a Buffalo, come profilassi contro la polmonite. Inoltre, i medici militari curavano le polmoniti dei soldati con l’acido ascorbico iniettato per endovena.

Dalla scomparsa dei sintomi alla riduzione della mortalià

Dal trattamento clinico per i contagiati alla misura di prevenzione per contrastare il virus, Ken Walker Gifford-Jones lancia il suo j'accuse contro la mancanza di intervento dei governi degli Stati colpiti dall'emergenza e dei rispettivi sistemi sanitari: «L'efficacia della vitamina C, nel ridurre la mortalità dovuta all'infezioni virali, è ampiamente stata dimostrata, non somministrarla ai pazienti affetti da COVID-19 è uguale all'omicidio». A sostegno della sua tesi, Lendon H. Smith autore della Clinical Guide to the Use of Vitamin C che riprende la ricerca del Dr. Frederick R. Klenner, pioniere nell'utilizzo della vitamina C e nella sua applicazione, con successo, a varie malattie virali e batteriche. Diverse ricerche hanno dimostrato, infatti, che l’acido ascorbico (vitamina C) influenza positivamente lo sviluppo e la maturazione dei linfociti T, in particolare le cellule NK (Natural Killer) coinvolte nella risposta immunitaria agli agenti virali. Contribuisce, inoltre, all’inibizione della produzione di ROS e alla rimodulazione della rete di citochine tipiche della sindrome infiammatoria sistemica. I recenti studi, poi, hanno anche dimostrato e confermato l’efficacia della somministrazione di vitamina C in termini di riduzione della mortalità, ai pazienti con sepsi ricoverati nei reparti di terapia intensiva, di scomparsa dei sintomi e di modifica dello stato del tampone. In considerazione dell’attuale emergenza SARS-CoV-2, è stato predisposto questo studio sui pazienti ospedalizzati con polmonite Covid-19.

Dopo la sua comparsa in Cina, il coronavirus, si è diffuso nel resto del mondo, trasformandosi, in pochi mesi, in una pandemia, tramutando in un lazzaretto, Paese dopo l’altro. Di pari passo alla diffusione di questo nuovo virus si registra anche un aumento del numero di polmoniti identificate con il termine “polmonite infettata da coronavirus” (2019-nCoV) (NCIP), caratterizzata da febbre, astenia, tosse secca, linfopenia, prolungata tempo di protrombina, elevata deidrogenasi lattica e imaging tomografico indicativo di polmonite interstiziale (vetro smerigliato e ombre irregolari). La decisione di adottare l’uso della vitamina C per via endovenosa, in aggiunta alla terapia convenzionale, deriva dall’evidenza sperimentale delle sue proprietà anti-infiammatorie e antiossidanti. La vitamina C, infatti, provoca una maggiore proliferazione di assassini naturali senza comprometterne la funzionalità. Inoltre, la vitamina C riduce la produzione di ROS (specie reattive dell’ossigeno) che contribuiscono all’attivazione dell’infiammosomi e, in particolare, della NLRP3 che influenza la maturazione e la secrezione di citochine come IL1beta e IL-18 che sono coinvolte nella sindrome sistemica infiammatoria che ha caratterizzato la sepsi. La vitamina C blocca l’espressione di ICAM-1 e l’attivazione di NFKappaB. Ed è proprio per questo motivo che l’uso dell’acido ascorbico potrebbe essere efficace in termini di riduzione della mortalità e di risultati positivi sulle eventuali complicanze.

Cina, pioniera nell’uso dell’acido ascorbico

«Il dosaggio della Vitamina C somministrato negli ospedali di New York è troppo basso» spiega Richard Z. Cheng, MD, PhD, leader internazionale del team di supporto medico epidemico della vitamina C in Cina.  Sulla smentita di FB Fact Check, in merito alla raccomandazione ufficiale da parte del governo di Shanghai di somministrare la vitamina C ad alte dosi per il trattamento del coronavirus, chiarisce Cheng: «Non solo Shanghai, ma anche Guangzhou, nella provincia del Guangdong, un’altra grande città della Cina, ha approvato ufficialmente IVC ad alte dosi per il trattamento di Covid-19». Il dottor Cheng ritiene necessario un intervento immediato oltre a un trattamento efficace e sicuro per salvare vite umane e limitare la diffusione del virus e, quindi, di conseguenza il contagio

«La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) – scrive Cheng in un articolo pubblicato su Science Direct - è un fattore chiave di mortalità. Lo stress ossidativo significativamente aumentato dovuto al rapido rilascio di radicali liberi e citochine è il segno distintivo di ARDS che porta a lesioni cellulari, insufficienza d’organo e morte». «L’uso precoce di antiossidanti ad alte dosi – prosegue l’articolo -, come la vitamina C (VC), può diventare un trattamento efficace per questi pazienti. Gli studi clinici dimostrano anche che il VC orale ad alte dosi fornisce una certa protezione contro l’infezione virale». «Né la somministrazione endovenosa né orale di VC ad alte dosi è associata a significativi effetti collaterali. Pertanto, questo regime deve essere incluso nel trattamento di COVID-19 e utilizzato come misura preventiva per le popolazioni sensibili come gli operatori sanitari con rischi di esposizione più elevati» conclude Cheng.

Using vitamin C as a treatment

Il coronavirus e l’influenza sono tra i virus pandemici che possono causare lesioni polmonari letali e morte per ARDS. Le infezioni virali potrebbero evocare una ‘tempesta di citochine’ che porta all’attivazione delle cellule endoteliali dei capillari polmonari, all’infiltrazione dei neutrofili e all’aumento dello stress ossidativo (specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto). L’ARDS, caratteristica dell’ipossiemia grave, è generalmente accompagnata da infiammazione incontrollata, lesioni ossidative e danni alla barriera alveolare-capillare. L’aumento dello stress ossidativo è un grave insulto nella lesione polmonare, inclusa la lesione polmonare acuta (ALI) e l’ARDS, due manifestazioni cliniche di insufficienza respiratoria acuta con morbilità e mortalità sostanzialmente elevate.

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Per approfondimenti:

 U.S. National Library of Medicine "Use of Ascorbic Acid in Patients With COVID 19"

Treatment for severe acute respiratory distress syndrome from COVID-19

Science Direct - Medicine in Drug Discovery "Can early and high intravenous dose of vitamin C prevent and treat coronavirus disease 2019 (COVID-19)?"

Gander and Niederberger "Vitamin C in the handling of pneumonia" Munch. Med. Wchnschr., 31: 2074, 1936

Hochwald A. Beobachtungen "Ascorbinsaurewirkung bei der krupposen Pneumonie" Wien. Arch. F. Inn. Med. , 353, 1936

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