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Tra i tanti benefici della corsa, anche la stimolazione della crescita di nuove cellule staminali. Che l'esercizio fisico faccia bene non soltanto al corpo, ma anche al cervello, grazie alla produzione di nuovi neuroni, era risaputo. I ricercatori dell'Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) di Roma hanno però dimostrato per la prima volta che la corsa è in grado perfino di bloccare il processo di invecchiamento cerebrale e di stimolare la produzione di nuove cellule staminali, che migliorano le capacità della memoria. Lo studio è pubblicato sulla rivista scientifica "Stem Cells".

Lo studio

"Questa ricerca - spiega Stefano Farioli-Vecchioli dell'Ibcn-Cnr, coordinatore dello studio - ha scardinato un dogma della neurobiologia: finora si pensava che il declino della neurogenesi nell'età adulta fosse irreversibile. Con il nostro esperimento, lavorando su un campione di topi con deficit neuronali e comportamentali, causati dalla mancanza di un freno proliferativo delle cellule staminali (il gene Btg1), abbiamo invece constatato che nel cervello adulto un esercizio fisico aerobico come la corsa blocca il processo di invecchiamento e stimola una massiccia produzione di nuove cellule staminali nervose nell'ippocampo, aumentando le prestazioni mnemoniche.

Fonte: StaiBene.it

Di solito l'infiammazione è intesa come un processo acuto, di breve durata e che spesso si risolve spontaneamente senza lasciare importanti conseguenze. Tuttavia l'infiammazione può anche essere meno evidente, assumere un andamento cronico, subdolo, e rappresentare uno delle cause principali di molte patologie degenerative o di un invecchiamento precoce. Infatti, secondo i più recenti studi, almeno sette delle dieci principali cause di morte sono dovute ad uno stato di infiammazione cronica di basso livello (chronic low-level inflammation): infarto, cancro, bronchiti croniche, ictus, Alzheimer, diabete e nefrite. I mitocondri sono organelli cellulari deputati alla produzione di energia, sotto forma di ATP. Infatti negli organismi pluricellulari, l'attività vitale dipende da una efficiente funzione mitocondriale. Tuttavia durante la “respirazione” mitocondriale vengono prodotti una serie di radicali liberi che contribuiscono all'infiammazione. Con l'età si diventa sempre più sensibili agli effetti di questi radicali e questo è dovuto al progressivo malfunzionamento dei mitocondri.

Fattori di rischio

Età – nei giovani i prodotti dell'infiammazione, come ad esempio le citochine, aumentano normalmente solo in risposta alle infezioni o ai traumi. Negli anziani invece questi prodotti possono essere costantemente elevati, soprattutto le IL-6 e il TNF-alfa. Ciò può essere riscontrato anche negli adulti apparentemente sani. Questo quadro pare sia legato ad un danno cumulativo dei mitocondri. Obesità – il tessuto grasso è un organo endocrino, che accumula e secerne numerosi ormoni e citochine, influenzando il metabolismo di tutto l'organismo. Per esempio, le cellule adipose producono sia il TNF-a che la IL-6 e il grasso viscerale (addominale) è in grado di produrre queste citochine a livelli tali da provocare una forte risposta infiammatoria. In particolare, le cellule adipose addominali possono produrre tre volte la quantità di IL-6 rispetto ad una normale cellula adiposa del corpo e addirittura in alcuni soggetti obesi la produzione di questa citochina può raggiunge il 35% di quella prodotta in tutto il corpo. Inoltre il tessuto grasso può essere infiltrato dai macrofagi, anch'essi produttori di citochine pro-infiammatorie. Dieta – alcuni studi, ma non tutti, hanno mostrato una significativa associazione tra una dieta ricca di grassi idrogenati e alti livelli di marker dell'infiammazione (IL-6, TNF-a, IL-8, PCR), soprattutto nel caso di soggetti obesi. L'alimentazione moderna, spesso eccessiva e soprattutto ricca di alimenti processati e devitalizzati è certamente uno dei fattori che più contribuisce al mantenimento di uno stato sub-infiammatorio cronico dell'organismo. Inoltre, alcuni studi mostrano che la restrizione calorica e una dieta frugale riducono sensibilmente i livelli di fattori dell'infiammazione.

Ormoni sessuali – tra le loro numerose funzioni, gli ormoni sessuali hanno anche quella di modulare la risposta immunologica/infiammatoria. Le cellule mediatrici dell'infiammazione (come i neutrofili e i macrofagi) hanno dei recettori per gli estrogeni e gli androgeni e quindi la loro funzione viene influenzata dai livelli circolanti di ormoni sessuali. Un esempio sono gli osteoclasti, responsabili del rinnovamento del tessuto osseo (demoliscono le ossa). Gli estrogeni riducono l'attività di queste cellule, ma con la menopausa questa attività inibitoria viene meno e qusto accelera la perdita ossea. Studi in vitro hanno mostrato che il testosterone e gli estrogeni sono in grado di reprimere la secrezione di diversi fattori dell'infiammazione, tra cui IL-1ß, IL-6, TNF-a, NF-kß). Livelli bassi di testosterone negli uomini anziani e di estrogeni nelle donne in menopausa sono associati ad alti livelli di fattori infiammatori (IL-1ß, IL-6, TNF-a). Al contrario, livelli ottimali di ormoni sessuali sono associati ad una riduzione del rischio di patologie “infiammatorie”, come l'aterosclerosi, l'asma nelle donne e l'artrite reumatoide negli uomini. Fumo di sigaretta – contiene diversi induttori dell'infiammazione, soprattutto radicali liberi. L'abitudine al fumo aumenta la produzione di diverse citochine pro-infiammatorie (TNF-a, IL-1ß, IL-6, IL-8) e allo stesso tempo riduce le molecole antinfiammatorie. Disturbi del sonno - la produzione di citochine pro-infiammatorie segue il ritmo circadiano e potrebbe essere coinvolta nel ritmo sonno-veglia, sia negli animali che nell'uomo. Un'eccessiva sonnolenza diurna, la narcolessia e l'apnea notturna sono tutte condizioni associate ad livelli aumentati di TNF-a e IL-6. Stress – sia emotivo che fisico è in grado di aumentare il rilascio di citochine pro-infiammatorie (IL-6). Inoltre, lo stress è spesso accompagnato da un aumento di peso (dovuto all'aumento del cortisolo) ed entrambe le condizioni sono due fattori di rischio per l'infiammazione cronica. Eccesso di zucchero – quando lo zucchero è utilizzato adeguatamente, allora le nostre cellule producono energia in modo efficiente, se invece la sensibilità all'insulina diminuisce, l'eccesso di glucosio si accumula nel sangue (iperglicemia). Troppo zucchero nel sangue da una parte costituisce una forma di “combustibile” e foraggia oltremodo i processi di infiammazione cronici e dall'altra reagisce con le proteine dei tessuti causando danni da glicazione. Diete relativamente ricche di alimenti con alto Indice Glicemico e Carico Glicemico sono state associate ad un aumentato rischio di ictus, malattie cardiovascolari e diabete di tipo II, soprattutto negli individui obesi. Infine, lo zucchero in eccesso si trasforma in trigliceridi che vengono poi immagazzinati come grasso che, come abbiamo visto, aumenta i prodotti dell'infiammazione.

Integratori e nutrienti

Magnesio – alcuni studi hanno mostrato che maggiori sono le assunzioni di magnesio e più bassi sono i livelli di PCR-altamente sensibile, IL-6 e TNF- a recettori (un indice di attività di TNF-a). In altri studi, le maggiori assunzioni di magnesio sono state associate ai più bassi livelli di omocisteina e fibrinogeno, due proteine infiammatorie. Tra 42 nutrienti testati per la loro capacità di ridurre la PCR, il magnesio si è classificato al primo posto. Vitamina D – la vitamina D sembra esercitare la sua azione antinfiammatoria attraverso la soppressione dell'attività delle prostaglandine e l'inibizione del mediatore dell'infiammazione NF-kß. Diversi studi mostrano che la carenza, oggi molto diffusa, della vitamina D può favorire l'infiammazione, tra cui l'artrite reumatoide, Crohn, rettocolite ulcerosa, lupus e diabete. Per altro, bassi livelli di questa vitamina sono più frequenti nelle fasce della popolazione più inclini all'infiammazione cronica, come quella degli obesi e degli anziani. Bassi livelli di vitamina D associati a ad alti titoli di PCR sono stati riscontrati in 548 pazienti con insufficienza cardiaca. Infine, bassi livelli di questa vitamina associati ad alti livelli di mediatori dell'infiammazione (IL-6, NF-kß) sono stati riscontrati in un gruppo di uomini di mezza età con patologie endoteliali. Vitamina E – è un potente antiossidante. Viene incorporata nelle LDL e protegge queste particelle dai danni ossidativi. Pare che abbia anche un'ottima azione anti-aterosclerotica. Come integratore, il migliore effetto antinfiammatorio si ottiene combinando il gamma-tocoferolo con l'alfa-tocoferolo. In alcuni studi, questa combinazione, paragonata al placebo, ha soppresso efficacemente la PCR e il TNA-a. Zinco e Selenio – Zinco e Selenio sono contenuti nel SOD (Super-Ossido-Dismutasi) e nel Glutatione, due potenti antiossidanti che inibiscono direttamente l'attività dell' NF-kß e prevengono la produzione di diversi enzimi e citochine pro-infiammatorie. Lo zinco inibisce l'NF-kß anche in modo diretto. La supplementazione di zinco riduce la tendenza infiammatoria nei bambini e negli anziani, come dimostrano diversi studi. Anche la carenza di selenio è comune negli stati cronici infiammatori.

Resveratrolo e Pterostilbene – il resveratrolo è in grado di inibire parecchi mediatori dell'infiammazione (ciclossigenasi, TNF-a, IL-1ß, NF-kß), sia in vitro che in vivo. In modelli animali di cancro, infarto, pancreatite e infiammazione intestinale, il resveratrolo ha mostrato notevoli effetti protettivi. Assunto con un pasto grasso e ricco di carboidrati, il resveratrolo (100mg) è stato in grado di prevenire il modesto aumento di mediatori dell'infiammazione che si verifica dopo mangiato. I pterostilbene ha mostrato un'attività molto simile al composto precedente. Curcumina – numerosi studi in vitro e su modelli patologici animali (aterosclerosi, artrite, diabete, patologie epatiche, gastrointestinali, cancro, ecc) hanno mostrato la notevole azione antinfiammatoria di questa sostanza contenuta nella curcuma. Anche nei pochi studi sull'uomo, la curcumina ha confermato la sua azione antinfiammatoria in varie condizioni, come la psoriasi, colon irritabile, artrite reumatoide, congiuntiviti. Polifenoli del tè – l'azione antinfiammatoria dei polifenoli del tè, verde e nero, è stata ampiamente dimostrata da decine di studi in vitro e su animali. Le epigallo catechine gallate e la teaflavina esercitano la loro azione antinfiammatoria inibendo l'azione di numerosi mediatori biochimici, tra cui anche l'istamina. Nei trial clinici, il tè nero si è dimostrato più efficace del tè verde nel ridurre i mediatori dell'infiammazione. Particolarmente interessante è l'effetto sulla PCR, che si riduce sensibilmente fino ad uno stupefacente 50% nel caso di quei soggetti con i più alti valori. Carotenoidi – nel Women Health and Aging Study le donne con i livelli ematici più elevati di betacarotene e di carotenoidi totali mostravano i più bassi livelli di IL-6. Le pazienti con i livelli più bassi di alfa e beta carotene, luteina/zexantina e carotenoidi totali mostravano una maggiore tendenza ad alti valori di IL-6.

EPA/DHA (omega 3) – l'olio di pesce è la migliore fonte di omega-3. L'EPA e il DHA sono prodotti dal nostro organismo in modo molto limitato e una buona assunzione con la dieta o sotto forma di integratori è di fondamentale importanza. Hanno una provata azione antinfiammatoria in grado di prevenire o migliorare le patologie cardiovascolari, l'asma, l'artrite reumatoide e le malattie infiammatorie intestinale. Una buona integrazione di omega 3 di pesce è in grado di abbassare significativamente gli indici di attività del TNF-a. Lo studio ATTICA, condotto su oltre 3000 greci cittadini greci di ambo i sessi non affetti da patologie cardiovascolari, ha mostrato che il consumo di 300 etti di pesce a settimana riduceva in media del 33% la PCR e la IL-6 e del 21% il TNF-a . N-acetil cisteina (NAC) – la via biochimica del NF-kß gioca un ruolo centrale nell'attivazione dei geni che esprimono le citochine infiammatorie. Il NAC è in grado di inibire l'NF-kß in vitro e quindi di ridurre le interleuchine IL-6 e IL-8. Dati sull'uomo sono promettenti, ma ancora molto limitati. La somministrazione di NAC per 8 settimane ha ridotto in modo modesto ma significativo i livelli di IL-6 nel sangue nei pazienti con affezioni croniche dei reni. In un piccolo studio, il NAC è stato in grado di ridurre gli indici di infiammazione sistemica nei pazienti ustionati. Boswellia, Boswellia serrata – è una pianta utilizzata tradizionalmente nella Medicina Ayurvedica. Possiede proprietà antinfiammatorie: inibizione della 5-LOX e riduzione della produzione dei leucotrieni pro-infiammatori. L'azione farmacologica è attribuita soprattutto agli acidi boswellici. Nelle culture cellulari è in grado di inibire la produzione del TNF- a e IL-1ß. Alcuni, seppur piccoli, studi randomizzati condotti sull'uomo hanno prodotto risultati molto incoraggianti nell'artrosi e nell'asma. Risultati discordanti si sono ottenuti nel caso delle patologie infiammatorie intestinali (Crohn e rettocolite ulcerosa). Lignani del sesamo – i semi di sesamo , e più precisamente il suo olio, contengono interessanti sostanze antinfiammatorie, i lignani (sesamina, sesamolina, sesaminolo). Diversi studi in vitro e in vivo hanno mostrato che i lignani possono inibire la produzione diversi fattori pro-infiammatori (prostaglandine, trombossani, leucotrieni). Nell'uomo, 5 settimane di integrazione con sesamina (39mg/die) ha ridotto del 30% la concentrazione di un mediatore della vasocostrizione (20-HETE). Anche altri studi hanno messo in evidenza la notevole azione ipotensiva dei lignani.

Bromelina – è un enzima ad azione proteolitica e antinfiammatoria derivato dal gambo di ananas. Riduce l'attività del COX-2, la sintesi delle prostaglandine e del trombossano, riduce i livelli di fibrinogeno circolanti e la adesione delle cellule pro-infiammatorie ai siti infiammatori. Gli studi sull'uomo hanno dato promettenti risultati. Nell'artrosi infiammata dell'anca e del ginocchio si è dimostrata efficace quanto il diclofenac (Voltaren®). I generale, è un ottimo sostituto degli antinfiammatori non steroidei nel caso di infiammazione articolare su base artrosica. Coenzima Q10 (CoQ10) e pirroloquinolina chinone (PQQ) – sono due potenti protettori mitocondriali e inoltre possiedono documentate proprietà antinfiammatorie. Il PQQ è un co-fattore degli enzimi coinvolti nella omeostasi energetica e nell'equilibro redox. Ha un'azione protettiva nel caso di stress mitocondriale e aumentato carico ossidativo. Negli animali è capace di ridurre i trigliceridi e migliorare l'ossigenazione del tessuto cardiaco, in condizioni sperimentali avverse per la funzione cardiaca. Il CoQ10 è un indispensabile componente nella produzione di energia (ATP) da parte del mitocondrio. Gli studi mostrano che in condizioni di infiammazione acuta e cronica i livelli di Q10 sono bassi. E' capace di modulare l'espressione di diverse centinaia di geni coinvolti nella risposta infiammatoria. In particolare, in un esperimento ha ridotto del 25% la produzione di TNF-a .

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

Oggi anche al più scalcinato, inutile e contraddittorio studio sui pericoli della carne rossa e dei grassi animali viene subito ripreso dai media e strombazzato ai quattro venti. Invece quando vengono pubblicati articoli dal tono opposto, nessuno ne parla. Come mai? La scienza e la medicina, quando prendono una strada, pervicacemente fanno di tutto per non abbandonarla, spesso in barba a tutte le evidenze. Magari, il ravvedimento avviene a distanza di anni o di generazioni: “ah, sì, ci siamo sbaglianti sul quel e quell'altro farmaco, su quel e quell'altro alimento, bla, bla, bla.” Beh, d'altronde si sa che la scienza è spesso e volentieri è mossa più dall'amore per i dollari che per la verità.

Alcuni articoli diciamo “eretici” li ho pubblicati su questo sito e sul mio libro Mangia Grasso e Vivi Bene. L'ennesimo esempio è dato da un recente studio, di cui riporto l'abstract (1):
“ La carne è una parte fondamentale della dieta umana. Oltre alla presenza di amminoacidi essenziali e altri fattori nutritivi di alta qualità e la facile assimilazione, la carne fornisce spesso altri componenti, non sufficientemente presi in considerazione ma molto importanti per la salute umana. Si tratta di alcuni componenti amminoacidici e sostanze bioattive che possono fornire i seguenti benefici:
1) protezione della muscolature in quelle condizioni di impoverimento muscolare, come nel caso della sarcopenia;
2) riduzione dell'apporto di cibo e calorie e quindi prevenzione della sindrome metabolica;
3) mantenimento dell'omeostasi pressoria attraverso l'azione ACE-inibitrice di alcuni componenti;
4) mantenimento di un' ottimale funzione dell'ambiente intestinale grazie ai nucleotidi e nucleosidi forniti dalle cellule della carne.
Inoltre, la carne è una importante fonte di acido fitanico, acido linoleico coniugato e antiossidanti”.

Riassumiano i benefici della carne:
1. La carne contiene molte proteine e questo è di grande vantaggio dato che tutti i nostri tessuti sono fatti principalmente di proteine e grassi. Le proteine migliorano la salute, il benessere generale, sono impiegate nella riparazione dei tessuti, nella formazione del sangue e del sistema immunitario, tonificano la muscolatura, che serve anche per sorreggere la struttura scheletrica, e sono utili per il benessere delle ossa. La carne è tra le più complete fonti di proteine, è facilmente assimilabile, tanto che può essere anche consumata cruda, cosa che non si può dire dei cereali e dei legumi.

2. Oltre ai fattori già menzionati nello studio citato, la carne contiene ferro, zinco e selenio. Il ferro-eme è quello più facilmente utilizzato dal nostro corpo per formare l'emoglobina, lo zinco aiuta la formazione dei tessuti, attiva il metabolismo e il sistema immunitario, protegge la prostata, mentre il selenio oltre ad un'azione antitumorale e antidegenerativa aiuta la demolizione dei grassi corporei. Lo zinco si trova anche in altri alimenti, ma quello della carne è il più assimilabile.

3. Le vitamine A, D, riboflavina, sono frequentemente presenti nella carne. Sono vitamine che promuovono la vista, denti e ossa sane e supportano il buon funzionamento del sistema nervoso centrale. Per non parlare poi della vitamina B12, che non si trova nel mondo vegetale, e che ha numerose e importanti funzioni nel nostro organismo: favorisce la crescita, serve per la formazione del DNA, previene l'anemia e le patologie cardiovascolari, mantiene livelli di energia ottimali e influisce positivamente sull'umore.
4. Il consumo di carne rende più sazi e soddisfatti e riduce il ricorso a cibi più calorici e che poi fanno ingrassare.
Molte persone stanche, sonnolenti, sovrappeso, con ritenzione idrica trovano un grande giovamento dal ridurre i carboidrati e aumentare le proteine. Ovviamente, io consiglio di consumare il più possibile carne di origine biologica.

Fonte: Dr. Francesco Perugini Billi

 

Bruciore e dolore. Due fenomeni associati da una sostanza presente all’interno del peperoncino, la capsaicina. Secondo uno studio dell'Università della California pubblicato su Cell, il consumo di peperoncino sarebbe il segreto per una vita più longeva. I ricercatori hanno analizzato dei topi di laboratorio verificando l'effetto dell'inibizione di un recettore del dolore chiamato Trpv1. Hanno così scoperto che i topi vivevano più a lungo – il 14 per cento in più – e mostravano di essere più in salute, sviluppando meno tumori e beneficiando di un metabolismo migliore. Uno degli autori della ricerca, Andrew Dillin, spiega: “abbiamo ipotizzato che bloccare il recettore del dolore servisse non solo per porre fine a delle sofferenze, ma anche per allungare la vita. Quando si invecchia aumentano i casi in cui si prova dolore, cosa che fa pensare che il processo di invecchiamento del corpo sia direttamente collegato al dolore stesso".  

Il recettore è stato bloccato grazie a un procedimento di ingegneria genetica, ma c'è anche un modo molto più semplice e naturale, ovvero il consumo di peperoncino. Il principio attivo, infatti, sembra manifestare lo stesso effetto. "Un'ingestione regolare di capsaicina può prevenire problemi metabolici legati all'età e aumentare la longevità", assicura il ricercatore. Anche un'altra ricerca dell'Università del Texas è giunta alle stesse conclusioni. Nell’articolo pubblicato su Journal of Clinical Investigation, i medici americani affermano che il nostro organismo, laddove avverte dolore, produce una sostanza chiamata Olem che agisce su un gruppo di recettori specifici, i quali a loro volta creano la sensazione di dolore. Olem sarebbe molto simile alla capsaicina, come conferma l’esperimento condotto dai ricercatori, che in alcuni topi hanno disattivato il gene che produce i recettori. A quel punto, gli animali hanno mostrato un’inedita insensibilità alla capsaicina. 

Ora i ricercatori stanno studiando il modo di applicare la scoperta a nuovi farmaci in grado di bloccare gli stessi recettori anche nell’uomo, come spiega l’autore dello studio Kenneth Hargreaves: “è un'importante scoperta nel campo del dolore. Se riusciamo a bloccare questo meccanismo con una nuova classe di antidolorifici che non creano dipendenza potremo trattare diversi tipi di dolore, da quello associato al cancro alle artriti alla fibromialgia”. Già in passato, la capsaicina era stata associata al tema del dolore da alcuni esperti di emicrania. Secondo i cefalologi, infatti, il peperoncino sarebbe un ottimo rimedio naturale per il mal di testa proprio in virtù di questa sostanza.

Fonte: Italia Salute

Tempi duri per lo zucchero... Per anni le industrie non hanno fatto che aumentarne la presenza nei loro prodotti, ma gli effetti negativi del saccarosio, diretti e indiretti, stanno oggi emergendo con sempre maggiore chiarezza. Lo studio dell'infiammazione, e in particolare dell'infiammazione da cibo, ci ha insegnato che certi alimenti (verso cui esiste una reazione) e certe modalità alimentari (ad esempio saltare la prima colazione) creano una catena di eventi che porta all'ingrassamento secondo uno schema preciso: 1) Produzione di sostanze infiammatorie (citochine come il BAFF o il PAF); 2) Attivazione di resistenza insulinica e 3) Ingrassamento.

È ovvio e ben risaputo che un eccesso di zucchero stimoli la resistenza insulinica e poi faciliti l'ingrassamento; lo sanno benissimo tutti i diabetici che hanno vissuto sulla propria pelle l'eccesso di introduzione zuccherina e le sue conseguenze. Il fatto nuovo è la scoperta che lo zucchero provoca e induce uno stimolo infiammatorio con la sua stessa presenza. Non ha bisogno di essere mangiato in eccesso per attivare la catena che porta poi all'ingrassamento: può bastare l'assunzione di una piccola quantità di zucchero o di altri dolcificanti, anche a basse calorie, per trovarsi in una condizione metabolica precaria, in cui viene stimolata l'infiammazione e poi, come in un circolo vizioso viene indotta ulteriore resistenza insulinica. In pratica è come se un po' di zucchero fosse sufficiente ad indurre infiammazione, a facilitare l'ingrassamento e a indurre una dipendenza dall'assunzione di altro zucchero che genera ulteriore richiesta di sostanze dolci e poi un ingrassamento definitivo.

Durante le recenti festività Brain, Behavior and Immunity ha pubblicato un importante articolo che ha consentito di precisare alcuni aspetti relativi all'interferenza dello zucchero o dello zucchero mischiato a sostanze grasse (come ad esempio in un gelato o in una brioche) sul comportamento alimentare e sulla attivazione infiammatoria dei ratti (Beilharz JE et al, Brain Behav Immun. 2013 Dec 3. pii: S0889-1591(13)00575-8. doi: 10.1016/j.bbi.2013.11.016. [Epub ahead of print]). In genere i ratti hanno sempre dimostrato (purtroppo) profonde analogie di comportamento con l'essere umano, quindi è molto probabile che lo stesso tipo di interferenza possa verificarsi anche nell'uomo. Parliamo di tre tipi di interferenza, che lo studio ha documentato attivarsi nel momento in cui ai ratti veniva fornito un menù addizionato di zucchero. Si trattava di un menù tipico da "prima colazione americana" (cafeteria style) con lardo, pancetta, zucchero, brioche (quindi anche grasso) cui veniva aggiunto un liquido con il 10% di saccarosio (equivalente di una bibita dolce) confrontato con nelle diverse possibilità con il mangime standard predisposto per i ratti.

Nel menù ricco di grassi i ratti rispondevano mangiando comunque in modo molto aumentato (fino a 5 volte quanto fanno di solito), indipendentemente dalla presenza o meno dello zucchero. Il menù cui era invece aggiunto zucchero (sia che fosse il menù ricco di grassi o quello solito) determinava interferenze molto precise che portano a serie riflessioni, se riferite al mondo umano, perché fanno pensare alle possibili azioni dell'uso dello zucchero all'interno della dieta: Dal punto di vista comportamentale i ratti mantenevano la capacità di riconoscere gli oggetti, ma non quella di riconoscere gli spazi, come cioè se fossero confusi (come si guida dopo un dolcetto?). Sul piano infiammatorio era riconoscibile una aumentata presenza di citochine infiammatorie, in particolare IL1 e TNFalfa (stretto parente del BAFF, che sappiamo correlato al cibo, e induttore indiretto di ingrassamento). Riconoscibile nello stesso modo un aumento dello stress ossidativo, cioè dei fenomeni che inducono invecchiamento cellulare e facilitano la degenerazione dei tessuti. Sappiamo che non è certo la presenza occasionale dello zucchero a deterninare questi effetti, ma la sua presenza ripetuta nel tempo.

Questo porta a ribadire quanto Eurosalus ha sempre segnalato, che cioè l'uso occasionale di un dolce ben fatto, congruo con la tradizione culinaria, inserito in un contesto alimentare equilibrato, non farà male. Il nostro blog ne presenta spesso alcuni (soprattutto durante il week end) che lasciano una relativa libertà all'uso delle sostanze dolci, proprio perché questa è una componente naturale nell'organismo umano (abbiamo appositi neuro-ormoni la cui unica funzione è quella di indurre la ricerca di sostanze dolci) che non deve però diventare quotidiana, sistematica e inavvertita (come per lo zucchero presente in tanti fiocchi di cereali o nelle salse). I risultati di questo lavoro evidenziano che anche una breve esposizione allo zucchero (i dati, tutti significativi, sono stati raccolti a 5 e 20 giorni) peggiora la memoria di riconoscimento degli spazi ben prima che emergano fenomeni di incremento del peso, e indica un ruolo attivo dello zucchero nella creazione di stress ossidativo e infiammazione che causano probabilmente questi fenomeni comportamentali.

Sempre più sappiamo che le calorie di un cucchiaino di zucchero NON sono simili a quelle di una mela perché l'effetto dei due nutrienti può essere profondamente differente in ogni singolo organismo. Da anni in SMA seguiamo persone con specifiche manifestazioni infiammatorie attraverso percorsi terapeutici specifici che aiutano il riequilibrio delle abitudini alimentari e che valutano anche gli effetti infiammanti ed ingrassanti delle sostanze dolci e dei dolcificanti. Oggi sappiamo con verosimile certezza che l'effetto infiammatorio dello zucchero, da sempre sospettato nella nostra pratica clinica, va tenuto in serissima considerazione quando si affronta qualsiasi condizione infiammatoria cronica (dall'artrite alle malattie infiammatorie intestinali); il controllo dell'impiego dello zucchero o delle sostanze dolci può diventare uno strumento fondamentale nel percorso verso l'autonomia, pur nel rispetto della socialità e del piacere.

Fonte: Eurosalus

Un nuovo studio suggerisce che una carenza di zinco può ridurre la stabilità proteica e determinare la formazione di grumi nel sangue, favorendo l’insorgere di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. Il cioccolato fondente è una buona fonte di zinco: una sua carenza potrebbe essere un fattore di rischio per malattie come l'Alzheimer e il Parkinson.  Le vitamine, i Sali minerali… sono tutte sostanze che contribuiscono al (buon) funzionamento dell’organismo. Quando infatti vi sia una carenza, possono insorgere vari disturbi e anche malattie più o meno gravi. E’ il caso dello zinco, una sostanza che si trova naturalmente in diversi tipi di alimenti come, per esempio, pesce, cacao, carne, cereali, legumi e frutta secca.

Secondo un nuovo studio, una carenza di zinco può influire sulla forma e la relativa stabilità proteica. La forma delle proteine è essenziale al fine del trasporto delle molecole e gli atomi su una cellula, promuoverne l’intelaiatura e identificare gli agenti patogeni al fine di predisporne l’attacco. Se queste proteine sono danneggiate e perdono la loro forma, accade che smettano di fare il loro lavoro, raggruppandosi: questo processo si ritiene sia precursore di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. Ad aver scoperto questo legame tra la carenza di zinco e la riduzione di stabilità proteica sono stati i ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison, che hanno pubblicato i risultati del loro studio sulla versione online della rivista Journal of Biological Chemistry.

Il dottor Colin MacDiarmid, insieme a David Eide e colleghi, hanno studiato il sistema su di un lievito (fungo) unicellulare, poiché in questo modo è più semplice valutare gli effetti e il ruolo degli ioni di zinco, dato che questo si adatta facilmente sia alla carenza che a un eccesso di zinco. In più, vi è un’affinità tra questo lievito e le cellule umane. In questo studio si è scoperto che il gene Tsa1 è in grado di creare delle proteine “accompagnatrici” che impediscono l’aggregazione delle proteine nelle cellule con una carenza di zinco. Mantenendo le proteine in una soluzione, si è anche trovato che Tsa1 previene i danni che, altrimenti, portano alla morte cellulare.

«Nel lievito, se una cella è carente in zinco, le proteine possono perdere stabilità, e Tsa1 è necessario per mantenere le proteine intatte in modo che possano funzionare – spiega il dottor Eide – Se non si dispone di zinco, e non si ha il Tsa1, le proteine si agganciano insieme in grandi aggregazioni che sono o tossiche da loro stesse, o tossiche perché le proteine non stanno facendo quello che dovrebbero fare. In entrambi i casi, si finisce per uccidere la cellula». Anche se saranno necessari ulteriori studi di approfondimento, una carenza di zinco pare possa in ogni caso causare danni cellulari che possono in effetti essere causa di malattia.

Fonte: La Stampa

Chi non ha mai gustato un buon piatto aromatizzato con delle foglioline di salvia? L'utilizzo di questa pianta in cucina è ben noto, ma forse non tutti sanno che la salvia apporta anche molti benefici per la salute e per la bellezza, ed è usata fin dall'antichità per la cura del corpo e dell'organismo. Originaria dell’Europa, la salvia cresce generalmente nell’area mediterranea, ma viene ormai coltivata dappertutto, in orti, serre e giardini. I componenti principali e fissi della salvia sono flavonoidi, fenoli, acidi ossitriterpenici, tannini. Essa però ha anche una componente volatile formata, fra le varie cose, da eucaliptolo, limonene, alfa e beta-pinene.

Per la salute di gola e bocca

La salvia è nota soprattutto per le sue proprietà balsamiche, espettoranti, antisettiche e antinfiammatorie. È, infatti, consigliata in caso di asma, infezioni della gola e delle vie respiratorie. In caso di mal di gola, potete preparare un ottimo infuso con un litro d'acqua e 30 gr. di foglie di salvia: fate bollire l’acqua, mettete in infusione le foglie nell’acqua bollente per 20 minuti, lasciate raffreddare e infine bevete a piccoli sorsi, alternandoli a de i gargarismi. Il beneficio sarà doppio, dato che la salvia aiuta anche la digestione, agendo come stimolante.  Le proprietà antinfiammatorie di questa pianta sono usate spesso in caso di infezioni alla bocca. Ad esempio, un decotto di salvia è ottimo per curare una gengivite. Non dovete fare altro che far bollire in un litro di acqua 50 gr. di foglie di salvia, dopodiché lasciate riposare per mezz’ora, filtrate il liquido e fate dei risciacqui 2-3 volte al giorno. Per una cura ancora più efficace è bene tenere in bocca una o due foglie fresche di salvia per 2-4 ore, due volte al giorno, in modo che la salvia eserciti al massimo l'azione antisettica del suo olio essenziale. Inoltre, contemporaneamente a tutto ciò, è importante che spazzoliate energicamente le vostre gengive, tutti i giorni: all'inizio può essere doloroso e può provocare sanguinamento, ma è un'operazione che, in caso di gengivite, non va tralasciata. Se la gengivite è in fase acuta e vi provoca molto dolore, provate ad affiancare alla salvia la tintura madre di propoli, da spruzzare due volte al giorno sulla parte dolorante.
Il dentifricio degli antichi.

A proposito di bocca, sapete come facevano già migliaia di anni fa a tenere puliti i denti? Proprio con la salvia. Come? Semplicemente strofinando per bene una foglia lungo tutta la dentatura. Al giorno d'oggi trovate i dentifrici alla salvia in tutti i supermercati e farmacie ma, se volete sperimentare, provate anche voi la foglia fresca sui denti, come gli antichi: la placca e i residui di cibo se ne andranno via in un baleno e sentirete nella bocca una fresca sensazione di pulito. Oppure mettete della salvia secca grattugiata direttamente sullo spazzolino e passatelo su denti e gengive, per concludere poi con una bella passata di filo interdentale. La pianta amica delle donne. La salvia è una pianta molto preziosa per le donne: non solo contribuisce a calmare i dolori mestruali, ma è efficace anche contro l'amenorrea, ovvero la scomparsa repentina e precoce del ciclo. La salvia, infatti, contiene un fitoestrogeno che regola la fertilità femminile. Per ristabilizzare il ciclo e sedare i dolori al bassoventre possono essere utili 35 gocce al giorno di olio essenziale di salvia, da prendere insieme a preparati a base di lampone.  Anche i capelli possono trarre beneficio dalla salvia. Per renderli più morbidi e lucidi provate a preparare questa lozione tutta naturale: sminuzzare le foglie di salvia e mettetele in un pentolino, aggiungete l'acqua e portate a ebollizione, dopodiché aggiungete un po' di spremuta di limone. Fate raffreddare, filtrate con il colino e utilizzate il composto sui capelli umidi appena lavati, frizionando ben bene. Infine, sciacquate abbondantemente con acqua tiepida.

Ancora, la salvia agisce contro le impurità del viso e l'acne. Per un decotto efficace, fate macerare per 2 ore delle foglie di salvia essiccate in un pentolino con dell'alcol denaturato. Con l'aiuto di un batuffolo di cotone, passatevi un po' d'acqua calda (meglio se fatta bollire precedentemente) sul viso: servirà a dilatare i pori. Prendete le foglie macerate e mettetele su fronte, guance e mento, lasciate agire per 5 minuti e poi toglietele. Passate sul viso, picchiettando leggermente, un pezzo di cotone imbevuto dell'alcol usato per le foglie, dopodiché risciacquate con acqua tiepida e tamponate con un asciugamano. Non usate sapone o detergenti dopo aver usato questo impacco.

Fonte: Fiori Blu Magazine

Venerdì, 31 Luglio 2020 08:00

Spiedini di pesce panati

Croccanti fuori e morbidi dentro. Una portata fantasiosa e deliziosa dove il sapore del pesce la fa da padrone. Perfetti da servire come antipasto, gustosi da portare a tavola come secondo leggero. Il connubio perfetto tra il sapore deciso di salmone, pesce spada, seppie e totani incontra il gusto delicato delle zucchine.


Ingredienti  

 INGREDIENTI PER 4 SPIEDINI
    2 fette di salmone    Una manciata di pomodorini pachino
    Una fetta di pesce spada    Pangrattato q.b.
    3 seppie bianche    Un pizzico di sale rosa himalayano e pepe
    4 totani    Un ciuffetto di prezzemolo tritato
    Una zucchina    Olio EVO Bio
 TEMPO  ESECUZIONE
30 MINUTI MEDIA


Preparazione

Per renderli più teneri in modo che possano cuocere in modo uniforme con il resto del pesce, ho scottato per circa 5 minuti, nella pentola a pressione, le seppie e i totani. Nel frattempo ho tagliato a tocchetti il salmone, il pesce spada, la zucchina e ho lasciato i pomodorini interi. Ho tagliato a strisce le seppie e a rondelle i totani e ho iniziato a comporre gli spiedini, alternando gli ingredienti fino al loro esaurimento. Ho impanato bene tutti gli spiedini (nel pan grattato ho messo anche un po' di prezzemolo tritato) e li ho cotti alcuni in padella antiaderente con dell'olio extravergine di oliva, (altrimenti potete farli al forno, adagiati in una teglia ricoperta di carta da forno a 200°C fino a doratura. Le due cotture hanno un risultato diverso: quella in padella è molto più veloce e li rende croccanti fuori ma morbidi dentro, quella in forno è più lunga e rende tutto lo spiedino saporito ma più morbido). Una volta cotti adagiate sopra un piatto da portata e decorate con qualche pachino e una spolverata di prezzemolo tritato.

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Giovedì, 04 Febbraio 2021 08:00

Fagottini di melanzane ripiene

Uno sfizioso antipasto, un delizioso finger food. la ricetta ideale per ottenere un gustoso finger food da portare a tavola per aprire le danze o come interessante stuzzichino per accompagnare un aperitivo gli amici.


Ingredienti

 INGREDIENTI PER 8 FAGOTTINI
   Una melanzana lunga   Sale rosa himalayano e pepe q.b.
   250 g di ricotta di bufala campana
  Qualche foglia di basilico
   2 pomodori da insalata   Olio extravergine di oliva
 TEMPO  ESECUZIONE
20 MINUTI MEDIA

 

Preparazione


Lavate la melanzana e spuntatela, affettatela poi nel senso della lunghezza tagliando 8 fette non troppo spesse e nemmeno troppo sottili, di circa mezzo centimetro. Scaldate una piastra o una padella ed arrostite le fettine di melanzana. Quando le avrete tutte arrostite lasciatele intiepidire, se le fettine risultano troppo lunghe tagliatele e adagiatele a croce sopra un tavolo da lavoro (se sono piccole: due per un fagottino, altrimenti una fetta lunga tagliata a metà). Una volta sistemate tutte le fette, al centro di ciascuna di esse mettete un cucchiaio di ricotta, una fetta di pomodoro ed una  fogliolina di basilico, chiudete il fagottino e fermatele con uno stecchino di legno. Una volta terminato di preparare tutti i fagottini, metteteli su un piatto da portata, condite con un goccio di olio extravergine di oliva, una spolverata di sale e pepe e decorate con una fogliolina di basilico. Servite.

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Giovedì, 29 Ottobre 2020 08:00

Insalata di spinaci, pere e noci

Ricca di nutrienti e di benefici per la salute. Ingredienti semplici per una preparazione sfiziosa e versatile. Il connubio perfetto tra pere e noci rende questa insalata di spinaci ancora più gustosa e originale l'evergreen dei contorni della nostra cucina. 

Ingredienti 

INGREDIENTI PER 4 PERSONE
   150 g di spinaci freschi   50 g di scaglie di Trentin Grana
    2 pere   Sale rosa himalayano e pepe q.b.
    Olio EVO Bio    Aceto balsamico di Modena
 TEMPO  ESECUZIONE
10 MINUTI FACILE

Preparazione


Tagliate le pere a spicchi non togliendo la buccia. Spezzate le noci in 2 parti o poco più. In una ciotola mettete gli spinaci, le pere, le scaglie di Trentin Grana e le noci, condite con olio extravergine di oliva, con l’aceto balsamico, il sale e il pepe. Mescolate delicatamente e servite.

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