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Mercoledì, 13 Aprile 2022 09:01

CURCUMA: SOLO CURCUMINA?

La curcuma è conosciuta nella medicina tradizionale e popolare in tutto il mondo per le sue proprietà antinfiammatorie: infatti i componenti attivi quali alcaloidi, flavonoidi e terpenoidi sono in grado di frenare gli enzimi e le citochine pro-infiammatorie riducendo lo stress ossidativo.

L’infiammazione è un processo biologico che porta alla rottura dell’omeostasi (perdita equilibri interni) e può essere definita acuta o cronica a seconda della tipologia degli stimoli. La risposta che il nostro corpo mette in atto è quella di attivare il sistema immunitario per eliminare l’effetto dannoso indotto dall’infiammazione acuta;

Tuttavia, il fallimento di questa risposta può sfociare nell’infiammazione cronica con una vera e propria cascata infiammatoria che predispone allo sviluppo di diverse malattie tra cui l’asma cronica, la malattia infiammatoria intestinale, la psoriasi, l’artrite reumatoide ecc. Diversi dati epidemiologici e studi sperimentali confermano che l’infiammazione e le infezioni croniche rappresentano fattori di rischio significativi per svariate patologie.

I composti bioattivi della Curcuma sono stati ben documentati sia in studi clinici che preclinici per le loro attività antinfiammatorie. I curcuminoidi sono stati ampiamente studiati per le loro attività biologiche su ulcera, fibrosi, batteri, virus, protozoi, fertilità, diabete, tumore, colesterolo e pressione arteriosa. Il costo limitato e la tolleranza nell’uomo ha fatto di questi composti una parte integrante nella ricerca sul cancro.

La curcumina (curcuminoide) è uno dei composti più rilevanti della curcuma ed il suo potenziale è ben noto in numerose patologie. Infatti ha proprietà:

  • Antinfiammatorie: blocca il fattore di trascrizione NF-kB e le citochine proinfiammatorie quindi risulta utile nella prevenzione/trattamento di molte patologie su base infiammatoria come malattie neurodegenerative, autoimmuni, cardiovascolari, colite, pancreatite ecc.

Atoskar ha studiato l’impatto della curcumina dopo un’operazione per l’ernia inguinale o idrocele: per 6 giorni è stata somministrata una dose di 400mg di curcumina ed il punteggio di gravità sembrerebbe diminuito dell’84,2% con la riduzione di tutti i parametri dell’infiammazione.

  • Antiossidanti: alcune ricerche ci indicano che le sue proprietà antiossidanti sono addirittura superiori rispetto alla vitamina C e al beta-carotene (precursore della vitamina A). Infatti è in grado non solo di neutralizzare i radicali liberi già esistenti, ma anche di prevenirne la formazione. Questo sistema di difesa viene sfruttato in molte problematiche caratterizzate da stress ossidativo: invecchiamento, cancro, diabete. Uno studio del 2019 ha evidenziato che l’integrazione con la curcumina nei topi diabetici potrebbe indurre un miglioramento della sensibilità insulinica e una riduzione della glicemia.
  • Neuroprotettive: sempre nel 2019 è stato dimostrato che la curcumina assunta per via orale viene trasformata dai microbi intestinali in un metabolita molto più attivo della curcumina stessa avente un ruolo neuroprotettivo. Sembrerebbe infatti che è in grado di ridurre l’apoptosi (morte) dei neuroni, lo stress ossidativo, la neuroinfiammazione e la neurodegenerazione tipica nella malattia del Parkinson. Mantiene inoltre la funzione e struttura dei vasi cerebrali e delle sinapsi (connessione tra cellule nervose) quindi sembrerebbe avere un ruolo rilevante anche nell’Alzheimer.
  • Microbiota intestinale: una dose di 50mg/kg di curcumina è stata somministrata per 10 giorni a soggetti con la colite. È stato evidenziato un notevole miglioramento della diarrea, una riduzione del danno ai lipidi e della penetrazione dei neutrofili (fenomeno tipico dell’infiammazione). Ma non solo: la somministrazione di curcumina sembrerebbe indurre una variazione sostanziale della composizione del microbiota modificando considerevolmente il rapporto tra batteri benefici e patogeni.

Gli studi clinici hanno dimostrato che la curcumina è sicura nell’uomo, anche ad una dose di 12 g al giorno.

I primi ricercatori credevano fermamente che i curcuminoidi fossero componenti inimitalibi della curcuma per le attività antitumorali ma ad oggi sappiamo che esistono anche altre molecole bioattive nella curcuma avanti effetti sinergici equipotenti come i curcuminoidi, note come non curcuminiodi (privi di curcumina): lo studio di queste molecole ci ha permesso di scoprire le loro proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e antitumorali (incluse neoplasie complesse e resistenti ai farmaci).

Diversi ricercatori hanno accumulato dati sulle attività biologiche dei non curcuminoidi e hanno rivelato il loro potenziale dinamico simile ai curcuminoidi mostrandosi efficienti e non tossici a livello del fegato.  Sono stati riportati numerosi studi clinici sulla sicurezza e sull’efficacia terapeutica dei composti privi di curcumina tra cui possiamo citare:

  • Beta-elemene, ampiamente studiato e accreditato dal Ministero della Salute della Repubblica popolare cinese e dalla farmacia statale cinese come il composto più benefico per scopi medici, utile principalmente contro numerose forme di cancro al polmone, fegato, cervello, carcinoma esofageo. E’ stata osservata una miglior risposta del tumore al polmone nei pazienti trattati sia con il farmaco che con beta-elemene rispetto a pazienti trattati con il solo farmaco.

Molte ricerche evidenziano che l’elemene potrebbe inibire la crescita tumorale di varie cellule a livello della laringe, polmone, ovaio, mammella e cervello: essendo lipofilo e molto piccolo, è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica promuovendo l’apoptosi (morte) delle cellule tumorali nel carcinoma al cervello.

  • Turmeroni: proprietà immunomodulatorie e chemiopreventive con distinto meccanismo di azione per diverse linee cellulari. Alcuni esempi:

-  induce l’apoptosi (morte cellulare) nella leucemia mieloide cronica e nel linfoma istocitico

- sembra avere un potenziale promettente nelle cellule tumorali multiresistenti e nel cancro al colon-retto

- nel cancro al seno, le attività e la biodisponibilità della curcumina sono state potenziate dalla presenza tumeroni.

 

Uno studio recente ha dimostrato che l'utilizzo dell'intera spezia mostra un'efficacia superiore rispetto ai soli curcuminoidi, motivo per cui abbiamo volutamente inserito la curcuma all’interno del nostro Orac Spice (ogni dose contiene ben 3016 mg di curcuma!) il quale, oltre alla curcuma, contiene diverse spezie tra cui il pepe nero: quest’ultimo racchiude la piperina, un alcaloide che si oppone all’eliminazione della curcumina permettendole così di andare in circolo ad esplicare i suoi effetti (mediante il blocco della glucuronazione nel fegato e nell’intestino).

 

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Per approfondimenti:

Bibliografia

  1. Di Meo F., Margarucci S., Galderisi U., Crispi S., Peluso G. Curcumin, Gut Microbiota, and Neuroprotection. Nutrients. 2019 Oct; 11(10): 2426. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6835970/
  2. Rahaman Md., Rakib A., Mitra S. The Genus Curcuma and Inflammation: Overview of the Pharmacological Perspectives. Plants (Basel). 2021 Jan; 10(1): 63. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7824061/
  3. Nair A., Amalraj A., Jacob J. Non-Curcuminoids from Turmeric and Their Potential in Cancer Therapy and Anticancer Drug Delivery Formulations. Biomolecules. 2019 Jan; 9(1): 13. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6358877/

 

 

Pubblicato in Informazione Salute

Ci rende felici ed è un prezioso concentrato di sali minerali. Fresca, gustosa e dissetante. La bevanda dell’estate è una miniera di proprietà benefiche. Infatti, la birra viene da tempo associata per antonomasia al relax e al buonumore. Da soli o in compagnia, a casa o al mare, come premio alla fatica sostenuta o nelle serate spensierate con gli amici. Per un boccale della bionda schiumosa più amata di sempre ogni occasione è quella giusta. Adesso la scienza la annovera tra gli alleati del buonumore. Secondo uno studio condotto dall’Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga pubblicato su Scientific Reports, l’ordenina, una sostanza presente nell’orzo maltato, attiverebbe il recettore della dopamina D2 esclusivamente attraverso le proteine G, stimolando più a lungo il centro di ricompensa del cervello. Ma le scoperte non finiscono qui: alcuni ricercatori dell’Università di Oxford hanno individuato nella birra degli effetti positivi sul piano delle interazioni sociali e, di conseguenza, hanno sottolineato il ruolo fondamentale di locali ad hoc. A confermarlo un’indagine pubblicata su Cbs News, dalla quale risulta che un consumo, seppur moderato, di alcol renda le persone più socievoli, empatiche e disinibite, permettendo loro di individuare volti altrettanto allegri nel mare magnum di persone intorno più velocemente.

«Un moderato consumo della birra può dare notevoli benefici alla nostra salute» suggerisce Christian Orlando, biologo e nutrizionista. Simbolo per eccellenza di familiarità e condivisione, un posto e un momento, felice da ritagliarsi nel caos della quotidianità. «La birra – spiega in un’intervista a Gazzetta Active Ivan Magnus Tagliavia, direttore marketing di Doppio Malto – è da sempre sinonimo di convivialità e ha un grande potere evocativo: ridere insieme dei vecchi aneddoti in attesa di crearne di nuovi è un bel modo per celebrare la giornata dedicata alla felicità». Insomma, contrariamente al pensiero comune, la birra potrebbe avere una lunga serie di benefici per la nostra salute. Secondo alcuni studi pubblicati su Nbc News, il mix di vitamina B, fosforo, acido folico, niacina, proteine, fibre e silicio in essa contenuto può aiutare a impedire la formazione di batteri sui denti, avere un impatto positivo sui livelli di colesterolo e prevenire il rischio di diabete, attacchi di cuore, Alzheimer e osteoporosi. Oltre a essere un ottimo integratore di sali minerali dopo l’attività fisica. Anche il medico della Nazionale italiana di calcio e consigliere della Società italiana nutrizione sport e benessere Luca Gatteschi, in un’intervista aveva spiegato che «lontano dallo sforzo ha effetti positivi e grazie alla minore quantità di zuccheri, al maggior contributo di magnesio, fosforo, calcio e complesso B, se limitata a una piccola quantità, la birra è anche più valida di un qualsiasi altro integratore energetico perché più completo».

Secondo Eric Rimm, ricercatore di Harvard, - spiega Orlando - può ridurre il rischio di attacco cardiaco del 30% e incrementare il colesterolo buono. Uno studio condotto in Finlandia ha indicato che la birra ha un impatto negativo inferiore sui reni rispetto alle altre bevande alcoliche. Consumare birra può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare calcoli ai reni fino al 40%. Bisogna comunque sempre fare attenzione a non bere alcolici in eccesso e a seguire una dieta sana e bilanciata. Uno studio pubblicato nel 2009 sulla rivista scientifica Diabetes Care ha rivelato che bere alcol con moderazione può contribuire nella prevenzione del diabete di tipo 2 sia negli uomini che nelle donne. Uno studio condotto di recente dall’Università di Cambridge ha rivelato che la birra sarebbe una fonte di acido ortosilicico, che incoraggia lo sviluppo delle ossa. Secondo uno studio condotto dall’Università di Harokopio, in Grecia, bere birra può fare bene al cuore e contribuire a migliorare la circolazione del sangue, in particolar modo rendendo più flessibili le arterie. Secondo i ricercatori greci, i benefici della birra sulla salute del cuore e sulla circolazione sarebbero da ricercare nel suo contenuto di antiossidanti. La birra contiene vitamine. È considerata una fonte di vitamina del gruppo B, in particolare di vitamina B6 e di vitamina B9, che sono importanti per proteggere il nostro organismo dalle malattie cardiovascolari. Un moderato consumo di birra, secondo uno studio olandese, può aiutare ad incrementare il contenuto di vitamina B6 nel sangue. Uno studio condotto di recente in Spagna suggerisce che il silicio contenuto nella birra potrebbe contribuire a proteggersi dagli eventuali effetti deterioranti dell’alluminio sul cervello, che da ricerche precedenti era stato correlato al rischio di Alzheimer. Gli esperti dell’Università di Alcala ricordano comunque che il consumo di bevande alcoliche deve essere mantenuto entro certi limiti, che possono variare a seconda del sesso e dell’età. Bere un bicchiere di birra prima di andare a dormire potrebbe essere d’aiuto a chi soffre di insonnia. La birra tende a generare torpore. Viene dunque indicata a chi fatica a prendere sonno come rimedio per cercare di contrastare l’insonnia. L’alcol contenuto nella birra svolgerebbe una blanda azione sedativa, mentre l’effetto soporifero della birra sarebbe dovuto al luppolo La birra può essere d’aiuto per chi soffre di ansia e stress? Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Montreal, in Canada, bere 2 bicchieri di birra al giorno può rappresentare un antidoto utile per ridurre l’ansia e lo stress, soprattutto se sono legati alla propria situazione lavorativa. Anche in questo caso, però, è importante non cadere vittime del consumo eccessivo di bevande alcoliche.

Un concentrato di potassio

I suoi innumerevoli benefeci passano anche per la salute della pelle. Come alleata nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e nella battaglia contro l’insonnia, ma anche per la bellezza di pelle, capelli e denti. Previene le malattie cardiovascolari: grazie alla concentrazione di potassio e di vitamine del gruppo B (soprattutto la B6) che neutralizzano gli effetti negativi dell’omocisteina, aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari. Inoltre, la birra, aumenta il livello di colesterolo HDL nel sangue, ossia il grasso buono, ovvero quello che riduce il rischio di malattie coronariche. Favorisce il buon riposo: nessun potere soporifero. La birra concilia il sonno grazie alla presenza di alcune sostanze: l’acido nicotinico e la lattoflavina, responsabili rispettivamente dell’effetto di torpore benefico che qualche birretta in più spesso apporta. Toccasana per le ossa: la presenza di flavonoidi stimola l'aumento della calcitonina, l’ormone che previene l’indebolimento delle ossa. Dunque si conferma un alleato nella prevenzione dell’osteoporosi, questo anche grazie al contenuto di silicio( una molecola organica fondamentale per la densità minerale dell’osso).


Un moderato consumo di birra può - dicono gli studiosi - aiutare a combattere l'osteoporosi, la malattia del sistema scheletrico sistemica dell'apparato scheletrico caratterizzata da una bassa densità minerale ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. Un valore questo che fa diventare la bevanda - affermano i ricercatori - una delle principali fonti del minerale nelle diete occidentali. Per quanto riguarda il malto - spiegano i ricercatori - che nella buccia dell'orzo risiede la maggiore concentrazione del minerale, parte che non viene influenzata nel corso della germinazione del cereale. E inoltre le analisi effettuate sul luppolo hanno rilevato livelli di silicio quattro volte superiori rispetto a quelli del malto. La birra contiene alti livelli di malto d'orzo e di luppolo che sono le più ricche fonti di silicio - commenta Charles Bamforth, autore principale dello studio - il grano contiene meno silicio rispetto all'orzo, perché è l'involucro dell'orzo ad essere ricco di questo elemento.

Utili agli sportivi: tra le notevoli capacità anche quella di reintegrare i sali minerali persi durante lo sforzo o in caso di eccessiva sudorazione. Elisir di giovinezza: “Mens sana ma anche in corpore”. Mantiene giovani nel corpo e nello spirito! Contiene due potenti anti age come malto e luppolo che la rendono una fonte importante di antiossidanti e, tra i nemici dei radicali liberi e di tutti quei processi che causano l’invecchiamento. Effetto drenante: favorisce la diuresi in presenza di magnesio e potassio poiché una un basso contenuto di sodio favorisce il normale funzionamento dei reni e previene persino la formazione di calcoli. Ricca di fibre: prodotta dall’orzo, sostanza ricchissima di fibre solubili, la birra ne mantiene l’alto tasso fibroso. Le fibre poi, sono fondamentali per il regolare funzionamento dell’intestino, il prolungato senso di sazietà e per la normale regolazione della glicemia. Tonico per pelle e capelli: nella vasca da bagno o da tamponare sul viso. Grazie al lievito il risultato sarà pelle morbida e idratata. Oppure come soluzione a base di acqua e birra da passare sui capelli prima dello shampoo e il risultato è garantito: una chioma morbida, setosa, voluminosi e brillanti.

Non fa ingrassare


E per mantenere la linea, precisa in un’intervista a Vanity Fair il dottor Daniele Basta, biologo nutrizionista:

La birra contiene acqua, vitamine del gruppo B, tracce di minerali come calcio, ferro, magnesio, fosforo, potassio, manganese e selenio, preziosi per l’organismo. Inoltre, è fonte di antiossidanti, in particolare di polifenoli. Per queste caratteristiche, come dimostrano diversi studi, un consumo moderato di questa bevanda è associato per esempio a un ridotto rischio cardiovascolare. Consigliabile abbinarla a alimenti ipocalorici come un secondo di carne o di pesce accompagnati da un contorno di verdure miste» suggerisce l’esperto nell’intervista. - Secondo diverse evidenze scientifiche un consumo lieve-moderato di birra può avere effetti benefici nei confronti della salute cardiovascolare. Il merito è della presenza di polifenoli che, come dimostrano diversi studi, hanno un’azione antinfiammatoria e antiossidante - precisa il nutrizionista. Inoltre, aiuta nel contrasto all’invecchiamento - Grazie alla presenza di composti antiossidanti, la birra consumata in quantità moderate, può contribuire a combattere lo stress ossidativo alla base dell’invecchiamento contrastando l’azione dannosa dei radicali liberi.

Promossa anche dai medici italiani, considerata genuina per 9 su 10. Che fa bene è vero, ma ricordiamo che non tutte le birre sono uguali. Difatti, quella buona e salutare è rigorosamente artigianale, biologica e low carb. Una bionda tutta da gustare, ancora meglio se non pastorizzata, priva di carboidrati e senza glutine. La birra non pastorizzata poi ha i maggiori vantaggi per la salute perché contiene grandi quantità di Vitamina B12 fondamentale per il sistema nervoso. Nata per caso, o meglio per errore dalla distrazione di una donna che dimenticò una ciotola di cereali fuori casa, quei semi, complice un temporale, si bagnarono al punto tale da trasformarsi nella prima versione di birra della storia. Prodotta intorno al 3500-3100 a.C. tra Egitto e Mesopotamia. Con i sumeri poi, nascono i primi birrai, professionisti del settore retribuiti, seppur in parte, con la birra stessa. La prima legge a regolamentarne la produzione, fu indubbiamente il codice Hammurabi (1728-1686 a. C.) che prevedeva la condanna a morte per chi non ne rispettava i criteri di produzione. La birra poi, assumeva anche una connotazione religiosa e veniva consumata durante le cerimonie funebri in onore del defunto. Inoltre, i sui notevoli benefici non finiscono qui. Secondo un’’indagine condotta dall’IRCCS MultiMedica di Milano, dall’Università di Pisa e dall’Università dell’Insubria di Varese lo xantumolo, un molecola contenuta nel luppolo della birra sarebbe in grado di inibire la proliferazione delle cellule tumorali, affamandole: ossia bloccando il meccanismo attraverso cui tali cellule si procurano l’ossigeno di cui hanno bisogno per diffondersi nell’organismo. In realtà i ricercatori si sono soffermati su due derivati dello xantumolo, i quali esplicherebbero, nello specifico, un’azione anti-angiogenica ancora più efficace rispetto al principio naturale.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Birra, quante proprietà! Rende felici, è un ottimo integratore di sali minerali e…"

Grazia "Bere birra fa bene alla salute (e fa anche diventare più belli)"

AGI "Con alcune birre beviamo anche il glifosato?"

Il Giornale "Una birra al giorno protegge dal diabete"

Today "I benefici della birra: 10 motivi per consumarla"

Libero Quotidiano "La birra previene l'osteoporosi"

Il Giornale "Birra, vino e cioccolato fanno vivere più a lungo"

ADNkronos "Birra: è provato, un litro al dì fa campare 100 anni"

Il Giornale "La birra: un potente antitumorale"

Libero Quotidiano "Bere birra fa bene alla salute. I sei motivi per farsi una bionda"

LEGGI ANCHE: Non tutte le "bionde" sono uguali. L'altra faccia della birra, quella salutare

Sulla salute vince il resveratrolo! Contro gli astemi le virtù di un calice di vino rosso

Il vino e le notevoli proprietà benefiche: tutto merito del resveratrolo

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Infarto del miocardio, ictus, insufficienza cardiaca e morte. Uno scenario catastrofico causato da una dieta a elevato indice glicemico che aumenterebbe il rischio di patologie cardiovascolari e porterebbe ad altre pericolose conseguenze. Un recente studio riporta che in più paesi e regioni geografiche ed economiche, gli stili alimentari con un indice glicemico elevato erano associati a un rischio più elevato di malattie cardiovascolari e morte rispetto alle diete con un indice glicemico basso. Emerge poi, la diversità culturale e socioeconomica di questo studio consente un esame dell'associazione tra indice glicemico e carico glicemico con eventi in una gamma molto ampia di modelli dietetici. Questo studio sottolinea anche che l'indice glicemico e il carico glicemico sono misure rilevanti della qualità dei carboidrati nell'analisi di un'ampia gamma di diversi modelli dietetici in base alla loro associazione con impatti cruciali per la salute. Sul banco degli imputati finiscono sicuramente anche gli zuccheri semplici come quelli presenti nel pane bianco, nella pasta, nel riso bianco, nelle patate, nella pizza, nei dolci e ngli altri prodotti da forno: «Se si mandano in circolo zuccheri semplici, l’insulina viene scaricata improvvisamente e si può creare anche una iperlipidemia. Questa situazione porta ad un aumento dell’ossidazione e ad un aumento della disfunzione endoteliale che alla lunga produce danni anche a livello cardiovascolare» spiega il professor Gazzaruso. Insomma, come dimostra l’indagine condotta da un team di ricercatori dell'Università di Toronto, uno stile alimentare ad elevato indice glicemico incide negativamente sulla nostra salute con conseguenze catastrofiche anche in assenza di una pregressa malattia cardiovascolare. «Studio gli effetti delle diete ad alto indice glicemico da molti anni e questi dati confermano che il consumo di elevate quantità di carboidrati di scarsa qualità rappresenta oggi un problema in tutto il mondo», evidenzia David Jenkins, esperto nutrizionista dell’Università di Toronto e autore della ricerca. «Le diete ricche di carboidrati di scadente qualità sono associate a ridotta longevità [...]».

3a Puntata "I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?" de IL CERCA SALUTE

I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 137.851 volontari tra i 35 e i 70 anni di tutti e cinque i continenti, con un follow-up medio di 9,5 anni. Facendo compilare ai partecipanti questionari relativi alle loro abitudini alimentari hanno potuto osservare che una dieta ad alto indice glicemico era associata ad un aumento del rischio di eventi cardiovascolari e morte sia in coloro che avevano patologie cardiovascolari pregresse sia in coloro che non le avevano. Nel corso dell'indagine sono stati utilizzati questionari sulla frequenza alimentare specifici per paese per determinare l'assunzione alimentare e stimato l'indice glicemico e il carico glicemico sulla base del consumo di sette categorie di alimenti a base di carboidrati. Poi sono stati calcolati gli hazard ratio utilizzando modelli di fragilità di Cox multivariabili. L'outcome primario era un composito di un evento cardiovascolare maggiore (morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus e insufficienza cardiaca) o morte per altra causa. Nella popolazione in studio si sono registrati 8.780 decessi e 8.252 eventi cardiovascolari maggiori si sono verificati durante il periodo di follow-up. Tuttavia, solo dopo aver confrontando i quintili dell'indice glicemico più basso e più alto è stato scoperto che una dieta con un indice glicemico elevato era associata a un aumentato rischio di un evento cardiovascolare maggiore o di morte, sia tra i partecipanti con malattia cardiovascolare preesistente (rapporto di rischio, 1,51; 95% intervallo di confidenza [CI], da 1,25 a 1,82) e tra quelli senza tale malattia (rapporto di rischio, 1,21; 95% CI, da 1,11 a 1,34). Per cui, un alto indice glicemico era anche associato ad un aumentato rischio di morte per cause cardiovascolari. I risultati relativi al carico glicemico erano simili ai risultati relativi all'indice glicemico tra i partecipanti con malattia cardiovascolare al basale.

Dannati carboidrati

L'infiammazione che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Quindi, alimenti, più di altri, innescano meccanismi che aumentano il rischio dell’insorgenza di una lunga serie di malattie. «Alla base ci sono quegli alimenti che vanno a contrastare i processi infiammatori innescati dallo squilibrio tra citochine pro-infiammatorie e citochine anti-infiammatorie. Ritrovando l’equilibrio si spegne l’infiammazione a livello cellulare» spiega a Gazzetta Act!ve Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Oltre l’asma, anche il Parkinson.

L'INFIAMMAZIONE CRONICA, le vere cause del killer silenzioso

 

Come agisce la iperglicemia a livello di aggravamento dell’infezione da coronavirus e perché è importante tenere la glicemia bassa anche a livello di protezione dal coronavirus?


L’iperglicemia in sé va ad ostacolare quella che si chiama immunità innata o generica, che aggredisce qualunque virus o batterio esterno. Esiste poi anche l’immunità adattativa, che riconosce i virus e i batteri e forma anticorpi specifici contro quel virus o quel batterio. Nel diabetico la iperglicemia va ad inficiare l’immunità innata, quindi c’è una carica maggiore di virus che penetra. E per questo, forse, il Covid è più grave. Va infatti ricordato che il Covid-19 non è grave in sé, ma è grave l’infiammazione che il virus innesca nell’organismo, è la risposta immunitaria del soggetto. Se all’inizio dell’infezione non ho uno schermo che mi limita l’entrata del virus, questo scatena una reazione immunitaria massiva». Inoltre «La glicemia va mantenuta bassa sempre, rispetto a tutte le malattie infettive. 

INDICE GLICEMICO e alimenti: tutto quello che dobbiamo sapere

Utilizzati per l'energia necessaria all'organismo. Una teoria - quella dei grassi - ampiamente supportata e dimostrata nello stile Life 120 ideato da Adriano e Roberto Panzironi che a differenza della dieta chetogenica, non porta alla chetosi poiché prevede un apporto di carboidrati provenienti da verdure (consumate a sazietà durante i pasti) e frutta (uno al mattino). Inoltre, prevede anche una quantità di zuccheri giornaliera, funzionale ai soli due organi che utilizzano come fonte di energia, ovvero cuore e cervello. Tra le altre patologie, secondo quanto conferma uno studio dell'Università di Bonn pubblicato sulla rivista scientifica Immunity, una dieta a basso contenuto di carboidrati potrebbe aiutare anche nel contrasto dell’asma. «La prevalenza di asma è aumentata drammaticamente negli ultimi decenni forse, questo è anche correlato a una dieta sempre più comune ad alto contenuto di zuccheri [...]», ipotizza Christoph Wilhelm, esperto di chimica e farmacologia clinica dell’Università di Bonn.

Scatta l’allarme tumori

Un’indagine che è stata condotta con partecipanti dei cinque continenti, quindi, senza influenze da parte della genetica:  «Significa che il danno non ha cause diverse da quelle innescate propriamente dall’indice glicemico degli alimenti, che porta all’assorbimento rapido del glucosio che si riflette sui vasi - sottolinea il professor Gazzaruso - va notato che a creare danni è l’iperglicemia post-prandiale, quella che si ha dopo aver mangiato, legata all’indice glicemico dei cibi: è questa che aumenta il rischio cardiovascolare, molto di più della glicemia del mattino». Ma qual è l'associazione tra l'indice glicemico e le malattie cardiovascolari e la mortalità per tutte le cause in un ampio studio che coinvolge partecipanti con un'ampia gamma di assunzioni di carboidrati e diversi modelli dietetici? «Un eccesso di insulina circolante è un fattore di crescita per i tumori, li favorisce, in particolare i due più comuni, ovvero quello alla mammella e quello al colon. Questo dato, però, non è legato ad una iperglicemia del momento, bensì ad una iperinsulinemia cronica che si ha nei soggetti con insulino-resistenza, che siano diabetici o semplicemente obesi, - chiarisce il professor Gazzaruso - come società scientifiche di tutto il mondo abbiamo ormai assodato l’importanza di ridurre la quantità di zuccheri semplici che si assumono nella dieta». Tuttavia, esiste una dieta sana per limitare al minimo il rischio cardiovascolare. Tra gli alimenti ad alto indice glicemico, e quindi banditi assolutamente dalla tavola ci sono, il pane bianco e tutti gli alimenti costituiti da farine raffinate, lo zucchero e quindi i dolci, i cereali non integrali e le patate. Fatte queste premesse, la cosiddetta dieta mediterranea a base di pasta e pizza sembra venir meno nelle proprie basi… «Infatti la vera dieta mediterranea non si fonda sui cereali raffinati. La dieta mediterranea originaria prevedeva molti legumi (ricchi di fibre e proteine), verdura, frutta, molto pesce (anche quello grasso, ricco di omega 3), olio extravergine di oliva, uova e un po’ di carne. Con questo non si vuol dire che ci siano degli alimenti vietati. […] In generale, la pizza si può mangiare, non in maniera frequente e preferendo l’impasto integrale. Purché lo si faccia con la consapevolezza del circolo dannoso che viene innescato dagli zuccheri semplici».

Ecco come la PASTA potrebbe influenzare la nostra salute

Semplici o complessi. Una definizione viene presentata da Adriano Panzironi nel libro “Vivere 120 anni. Le verità che nessuno vuole raccontarti”: «I carboidrati (zuccheri) si distinguono in semplici o complessi, in base alla lunghezza della catena di atomi di cui sono formati. Gli zuccheri semplici contengono una catena corta di facile scomposizione. Al contrario gli zuccheri complessi hanno una catena più lunga (si necessita di più tempo per l’assimilazione). Della prima categoria fanno parte molti zuccheri, i più conosciuti dei quali sono, quello di barbabietola (lo zucchero bianco che abbiamo tutti in casa) o di canna (si riconosce dalla composizione di cristalli marroncini). Della seconda categoria fanno parte gli amidi come la farina (e tutti i suoi derivati: pane, pasta, pizza, etc.), il riso, il mais, le patate ed i legumi. Tutti i carboidrati una volta scomposti si trasformano in glucosio che serve poi alle cellule solo per produrre energia tramite il processo della glicolisi (o dopo la sua trasformazione in piruvato, anche nei mitocondri). Gli zuccheri incamerati in eccesso, sono trasformati dal fegato in grasso saturo e stipati nelle cellule adipocite (soprattutto nella pancia, nei fianchi e sui glutei)».

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Una dieta ad elevato indice glicemico aumenta il rischio di infarto e di morte: lo studio"

PubMed "Glycemic Index, Glycemic Load, and Cardiovascular Disease and Mortality"

American Colleg of Cardiology "Glycemic Index and Cardiovascular Disease"

Gazzetta dello Sport "Ecco la dieta antinfiammatoria, uno stile alimentare per prevenire le patologie dell’era moderna"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"

Università di Toronto "Ecco perché una dieta ricca di carboidrati aumenta il rischio di cancro al colon"

Quotidiano di Ragusa "Dieta ipoglicemica: cosa può mangiare chi soffre di diabete?"

Gazzetta Active "Diabete e Covid-19, il primario: “I rischi arrivano dalla glicemia e dal peso”"

Il Messaggero "Dieta chetogenica, può avere effetti benefici nelle persone che soffrono di asma"

The Italian Times "Dieta chetogenica: cos'è, come funziona ..."

Immunity "Lipid-Droplet Formation Drives Pathogenic Group 2 Innate Lymphoid Cells in Airway Inflammation"

Universität Bonn "Researchers suggest a special diet against asthma"

Il Messaggero "Una dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"

Ansa "Dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"

Il Giornale "Asma, una dieta con pochi carboidrati potrebbe essere di aiuto"

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Una dieta sana può aiutare il decorso della malattia. «Siamo ciò che mangiamo», la frase di Ludwig Feuerbach racchiude un concetto filosofico molto più articolato. Il filosofo tedesco ha teorizzato un pensiero che pone al centro la corporeità, in simbiosi con lo spirito e la psiche. L’uomo è ciò che mangia perché i cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello e questi rispettivamente in sentimenti e pensieri. Lo scorso ottobre l’Ufficio regionale europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riunito esperti e rappresentanti di vari paesi (tra cui l’Italia) per discutere del ruolo dell’obesità in pazienti con Covid-19. Dall’incontro è emerso che secondo molti studi, l’obesità aumenta il rischio di complicanze e ancor peggio, di morte, nelle persone affette da Coronavirus. Infatti, l’obesità è anche associata ad altri problemi che possono aumentare questo pericolo tra cui disfunzioni respiratorie, alti livelli di infiammazione, alterata risposta immunitaria ad infezioni virali e altre patologie associate. Quindi, non esiste una dieta anti Covid, ma uno stile alimentare antinfiammatorio capace di scongiurare questo pericolo incombente. Il cibo non è una medicina da assumere come trattamento a una malattia, tuttavia è importante mangiare bene per stare bene e difendersi al meglio dagli attacchi esterni.

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Prendere l’abitudine di mangiare sano e stare bene diventerà un’abitudine! L’alimentazione è il modo migliore che abbiamo per prevenire le malattie e costruire uno stile di vita sano, complice anche l’attività fisica, fondamentale per l’assunzione di alcuni nutrienti importanti come la vitamina D. «Queste sono fondamentale per [...] rendere l’intestino forte». Inoltre, essere in buona salute significa anche un rischio inferiore di contrarre il virus o comunque evitare conseguenze nefaste. Insomma, oltre alla prova costume, avere buone abitudini alimentari significa regalare al nostro fisico un peso consono alla sua struttura e una giusta circonferenza addominale. Obiettivo da raggiungere: ridurre il peso corporeo e aumentare le difese immunitarie. «Assumere un certo quantitativo di vitamine aiuta a combattere i patogeni, soprattutto la vitamina C e D». Inoltre, suggerisce Buono «Fare attività fisica al sole è un ottimo modo per introdurre vitamina D: il connubio è salubre e benefico». L’esperto poi chiama all’appello anche gli omega 3, funzionali per sfiammare la mucosa del nostro intestino, di cui è ricco il pesce azzurro. «L’Omega 3 è antinfiammatorio quindi è consigliatissimo». Insomma, uno stile alimentare capace di prevenire una lunga serie di condizioni infiammatorie oltre a numerose patologie. Ad esempio, l'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). A tal proposito, numerosi studiosi hanno dimostrato che l’aggiunta spezie riduce sensibilmente questo rischio.

Buone abitudini

Per evitare un’infiammazione sistemica nel corpo, e di conseguenza, il rischio di sviluppare, a contatto con il virus, una patologia più grave è necessario regolarizzare il nostro peso corporeo.


Chi è in sovrappeso – spiega Emilio Buono, biologo e nutrizionista - e quindi ha una circonferenza addominale importante produce delle sostanze infiammatorie, le citochine che possono aggravare la situazione in caso di Covid. Le citochine aumentano il processo infiammatorio e permettono al virus di trovare un ambiente più favorevole per replicarsi e creare maggiori danni. Un elemento importante è il microbioma intestinale che va mantenuto in salute. Un intestino e una flora batterica sani rendono il sistema immunitario più forte. - Ma questo non è l'unico aspetto da tenere sotto controllo. - L’insulina può essere un fatto infiammatorio, quindi è importante controllare l’insulina in circolo. Questo avviene attraverso il controllo dei carboidrati, sia semplici che complessi, per regolare la glicemia e non aumentare il grasso a livello addominale. Sono preferibili i carboidrati integrali.

Il cibo come prevenzione



Una dieta ‘preventiva’ di tutte le condizioni patologiche figlie del benessere, come il diabete, l’obesità, le patologie cardiovascolari, ma anche il cancro: per questo più che di dieta antinfiammatoria si dovrebbe parlare di stile di vita antinfiammatorio - spiega a Gazzetta Act!ve Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. - Lo stesso Covid-19 ha alla base un processo infiammatorio. Un processo che può essere bloccato attraverso una dieta che sia però uno stile alimentare continuo, non un regime che si segue per un breve periodo e poi si abbandona. Alla base ci sono quegli alimenti che vanno a contrastare i processi infiammatori innescati dallo squilibrio tra citochine pro-infiammatorie e citochine anti-infiammatorie. Ritrovando l’equilibrio si spegne l’infiammazione a livello cellulare. In realtà ci sono stati infiammatori silenti, asintomatici. Ma se soffriamo di stipsi o di gastrite, per esempio, oppure abbiamo difficoltà a digerire o a dormire, potremmo avere in atto un processo infiammatorio, che può anche diventare cronico. E’ quindi bene bloccarla prima che cronicizzi, ascoltando questi segnali di allarme. - Tra gli effetti protettivi degli omega 3, tra i più rilevanti, ricordiamo sicuramente l’azione antiaggregante piastrinica o effetto antitrombotico, il controllo del livello plasmatico dei lipidi, soprattutto dei trigliceridi, la riduzione del rischio di problemi cardiovascolare, il controllo della pressione arteriosa mantenendo fluide le membrane delle cellule, e dando elasticità alle pareti arteriose. Per supportare e favorire l’introduzione degli omega 3 sarebbe opportuno consumare dalle 2 alle 3 porzioni settimanali di pesce, in particolare sgombro, merluzzo, pesce spada, tonno, trota, sardina e aringa. Oppure in alternativa di avvalersi del supporto di integratori alimentari. Altra importante fonte di omega 3 sono i semi di lino, valido supporto per sopperire alla carenza di questi preziosi acidi. Tuttavia, ce ne sono altri che sarebbe meglio evitare. Sicuramente alcolici e bevande zuccherate. - Inoltre, un'ultima raccomandazione a tutti gli sportivi: - Chi fa sport ha un livello di infiammazione un po’ più alto a causa dello stress ossidativo prodotto dall’attività sportiva, che produce più citochine infiammatorie. La vitamina C è fondamentale proprio per bloccare l’infiammazione a livello cellulare. Ma in generale gli sportivi dovrebbero seguire un'alimentazione particolarmente ricca di antiossidanti.

OMEGA 3, ecco perché è importante integrarli per la nostra salute


In cima alla lista degli ingredienti le regine induscusse delle vitamine: la C e la D. Un importante contributo in merito ai benefici di questi nutrienti viene riportato nel libro di Adriano Panzironi Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti:

Essa è fondamentale grazie alla sua interazione con gli elementi (enzimi, vitamine, minerali, etc...). Preziosa per la formazione del collagene, permette di migliorare la fase anabolica del nostro corpo, mantenendo il giusto equilibrio con la fase catabolica. La sua presenza è ancora più evidente nei processi di rimarginazione delle ferite, nella cura delle ustioni, nella riparazione delle pareti arteriose (anche dei capillari) e per il buono stato del muscolo cardiaco. È utilizzata dall’industria cosmetica per le creme anti rughe, visto l’effetto protettivo e rigenerativo che ha sulla pelle. Tale vitamina ha ottenuto molti riconoscimenti per la sua funzione antisclerotizzante, agendo su più fronti di questa patologia. Innanzitutto brucia le concentrazioni di grassi che si depositano sulle pareti delle vene e nel contempo partecipa alla riparazione dell’epitelio interno delle arterie, impedendo la riformazione aterosclerotica. Inoltre l’acido ascorbico, riduce del 15-20% il tasso di colesterolo nel sangue. Questa vitamina ha un effetto antitossico. Ma forse l’effetto più conosciuto della vitamina C è quello di contrastare le infezioni batteriche. altro alleato prezioso che influenza e rinforza il nostro sistema immunitario.

L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi

Si legge ancora nel libro:

Le cellule dendritiche, come abbiamo spiegato, hanno il compito d’inglobare l’anti-gene, giungere fino ai linfonodi (dove si trovano i linfociti T vergini), maturare e trasmettere le informazioni del gene da combattere. La vitamina D si lega al recettore (Dvr) e permette la maturazione delle cellule dendritiche, che possono così attivare la duplicazione dei linfociti specifici contro l’anti-gene identificato. La carenza di vitamina D diminuisce il numero di cellule dendritiche mature, allungando il tempo di reazione immunitaria del corpo. E’ per questo motivo che d’inverno esistono le epidemie da influenza. Se ci pensate bene, i virus vivono meglio al caldo e d’estate è molto più facile entrare in contatto con i fluidi corporei (sudiamo di più e siamo più scoperti). Ma nonostante ciò non ci sono epidemie influenzali. Il motivo è che siamo più forti (prendiamo il sole, attivando la vitamina D) ed i virus non riescono a sopraffarci. La vitamina E è assorbita in presenza degli acidi biliari nell’intestino e trasportata nel fegato dove viene depositata. La proprietà più importante di tale vitamina è la capacità antiossidante nella guerra ai radicali liberi. Difatti una molecola è in grado di proteggere dall’ossidazione 1.000 molecole di acidi grassi (polinsaturi e saturi), aumentando del 100% la resistenza all’ossidazione delle lipoproteine. La sua azione antiossidante protegge le cellule dalle mutazioni cancerose. Per ultimo, ma non meno importante, la vitamina E sopprime l’azione di diverse citochine pro-infiammatorie: l’interleuchina 1 (IL1) e 6 (IL6), entrambe responsabili di una serie di patologie croniche. Utilizzata per trattare diverse malattie quali il morbo di Parkinson, le malattie reumatiche, le malattie gastrointestinali, la distrofia muscolare, la sclerosi multipla, l’Alzheimer, le vene varicose, il diabete, la malattia di Crohn, le cefalee, la sindrome mestruale e per il rafforzamento delle difese immunitarie. 

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Alimentazione e Covid: ecco perché è importante uno stile di vita sano"

Gazzetta dello Sport "Ecco la dieta antinfiammatoria, uno stile alimentare per prevenire le patologie dell’era moderna"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"

Frontiers in Immunology “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19

PubMed "Evolution and the need for ascorbic acid"

MDPI "Vitamin C and Immune Function"

Il Messaggero "Covid, influenza stagionale e coronavirus: come distinguere i sintomi in caso di febbre"

Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

Corriere del Mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"

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Fate largo agli ultracentenari! Quanto dura la vita umana? Esiste davvero un limite? Sulla correlazione tra invecchiamento e durata della vita si interrogano da tempo medici, biologi e studiosi dell’evoluzione. Molti studi confutano la tesi sostenuta in un’indagine del 2016 dove, si evidenziava che la soglia massima di vita era fissata al tetto dei 115 anni. Ma qual è veramente il massimo che possiamo vivere? Una soglia precisa non c’è, sostengono i nuovi studi, ma qualora ci fosse, sarebbe ben più alta dei 115 anni. Per Jim Vaupel, esperto di invecchiamento presso il Max Planck Institute for Demographic Research in Germania, «I dati indicano che non c'è un limite delineato. Al momento le evidenze scientifiche sembrano suggerire che, se di limite si può parlare, questo si situa oltre i 120 anni, forse anche di più, o forse non esiste affatto un limite». I nuovi dati fanno scricchiolare le conclusioni a cui era sopraggiunta della ricerca di Jan Vijg, il genetista dell'Albert Einstein College of Medicine di New York che aveva firmato il paper originale. Tuttavia, il presunto calcolo messo a punto dallo studio precedente sembrerebbe errato poiché basato su interpretazioni "visive" delle curve di longevità, su eccezioni che falsano i risultati, nonché su conclusioni arbitrarie e circolari. Inoltre, i notevoli progressi raggiunti soprattutto nell'alimentazione e nella cura della persona introdotti dai primi del '900 hanno portato ad un aumento pressoché costante nell'aspettativa di vita media. Difatti, l'Italia è tra i Paesi più longevi. Insomma, uno stile di vita sano oggi per diventare i “pionieri della longevità” di domani.

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Sicuramente la scienza concorda che la capacità di vita delle cellule umane sia ben oltre i 120 anni e lo dimostrano tutte quelle persone che hanno superato quella soglia di età. Gli scienziati si sono concentrati sulle persone che hanno raggiunto o superato i 110 anni di età nei quattro Paesi con il maggior numero di ultracentenari (USA, Francia, Giappone e Gran Bretagna) e hanno notato che l'età della morte di questi individui super longevi è aumentata rapidamente tra gli anni '70 e i primi anni '90, per raggiungere un plateau attorno al 1995. Non a caso, nel 1997 è morta la francese Jeanne Calment, 122 anni, la persona più longeva che sia mai esistita. Molto spesso sentiamo parlare di persone che sostengono di aver vissuto anche più a lungo, ma la loro nascita non può essere verificata. Si dice che la maggior parte degli animali esistenti sulla terra possa vivere fino a sei volte oltre il periodo di crescita. Sulla base di questa teoria, molti studiosi ritengono che la durata della vita umana, la quale include un periodo di crescita di vent’anni, possa essere portata a 120 anni. Numerose tradizioni orientali di allenamento mente-corpo suggeriscono che gli esseri umani possano vivere in buona salute fino all’età di 120 anni, ovviamente se capaci di prendersi cura di se stessi, in accordo con i principi naturali. Dati alla mano, il limite assoluto di durata di vita umana è stato fissato, in base ai calcoli, a 125 anni. Tra i fattori capaci di migliorare l'aspettativa di vita media indubbiamente l’importanza della prevenzione e del trattamento delle malattie croniche. Tirando le somme, in considerazione di un prolungamento della vita umano ben oltre i 100 anni, ne consegue un altro aspetto importante: vivere questi anni nelle migliori condizioni di salute. Questo perché, in certe condizioni, uno stile di vita sano ed equilibrato diventa il nostro grande alleato nel contrasto a tante malattie, consentendo così alla vecchiaia di procedere ad oltranza.

120 e oltre


«120 anni è il limite previsto dal nostro DNA», sottolineava qualche anno fa l’oncologo Umberto Veronesi. Ecco come continuare ad essere “diversamente giovani”. E finalmente, dopo anni di ricerche, gli scienziati cominciano a capire come raggiungerlo, controllando i nostri geni e l’alimentazione. Spinta dal progresso tecnologico, l'aspettativa di vita umana è aumentata notevolmente dal XIX secolo ad oggi. L'evidenza demografica ha rivelato una continua riduzione della mortalità in età avanzata e un aumento dell'età massima alla morte con la conseguente estensione, seppur graduale, della longevità stessa. Insieme alle osservazioni secondo cui la durata della vita in varie specie animali è flessibile e può essere aumentata, questi risultati hanno portato a suggerire che la longevità potrebbe non essere soggetta a vincoli genetici specifici per specie. Nello studio in questione, analizzando i dati demografici globali, viene mostrato come i miglioramenti nella sopravvivenza con l'età tendano a diminuire superati i 100 anni.

EMMA MORANO e il segreto della donna più vecchia del mondo

Questi risultati suggeriscono fortemente che la durata massima della vita degli esseri umani è fissa e soggetta a vincoli naturali. Lo dimostrano anche i dati delle Nazioni Unite del 2015, la popolazione mondiale con età superiore ai cento anni è di circa 500.000 individui. Si tratta di un aumento quadruplo rispetto a vent’anni fa e si prevede che la cifra aumenterà ancora più rapidamente in futuro. Secondo un sondaggio, nel 2014 avevano più di cento anni 72.000 americani.

Meglio essere chiari, l’elisir di lunga vita non esiste. Invecchiare in buona salute però è possibile, ritardando al massimo la comparsa della fragilità, che è sinonimo di vulnerabilità — spiega Nicola Ferrara, presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) —. Un anziano fragile non ha acciacchi evidenti, ma vive in equilibrio precario perché la sua funzionalità si è pian piano deteriorata: un evento acuto come una frattura, una polmonite, un lutto possono alterare la situazione in maniera irreversibile, facendo precipitare le condizioni di salute.

Superare i 100 non è un’utopia


Centenari si nasce o si diventa grazie all’alimentazione? Dieta corretta, una buona vita sociale per stimolare la mente e un’attività fisica adeguata. È questa la ricetta per invecchiare in salute. Con un regime alimentare corretto l’“invecchiamento attivo” (il momento in cui si dovrà affrontare il declino), dovrà aspettare. E anche se l’elisir di lunga vita non esiste, esistono tuttavia una serie di raccomandazioni per invecchiare in buona salute. Insomma, quello che mangi diventa il tuo corpo e la tua energia, da qui l’importanza nella scelta di come e cosa portare a tavola. Nascosto in Ecuador, il segreto di lunga vita. Nel 1969, il cardiologo ecuadoriano Miguel Salvador decide di esaminare 338 persone, tra uomini, donne e bambini di Vilcabamba per scoprire successivamente che nessuno di loro non solo non era affetto da arteriosclerosi e disfunzioni cardiache, ma neanche da cancro, diabete e Alzheimer. Inoltre, gli uomini sopra i 65 anni erano incredibilmente sani. «Verrebbe da pensare che alla base della longevità – come spiega un medico di Quito – ci sia una semplice dieta […], capace di ridurre l’insidia delle malattie cardiache. Alla salute di queste persone contribuiscono l’alimentazione, con il grande consumo dei prodotti naturali locali, frutta e verdura, ma anche carne e pesce». 

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Ad esempio, una ricerca dell’università di Londra condotta su 65.000 soggetti ha rivelato che chi consumava porzioni di frutta e verdura quotidianamente, presentava un tasso di mortalità prematura inferiore del 42% rispetto a chi le consumava sporadicamente o in misura ridotta. Inoltre, per mantenersi sani e forti, altro valido aiuto arriva dal movimento fisico, con benefici anche sulla qualità della vita stessa. Il passo diventa meno sicuro, i movimenti più lenti, i muscoli più deboli ed il pensiero meno lucido. Tanti piccoli segnali che, insieme all’avanzare degli anni ci allontanano dal benessere. La buona notizia è che il momento in cui si diventa vulnerabili non è scritto, ma può essere allontanato nel tempo con l’obiettivo di restituire vita agli anni. Vecchietti si, ma arzilli e pieni di energie. «Significa però poter diventare “grandi vecchi” in buona forma fisica e autonomia. Succede sempre più spesso: negli ultimi dieci anni i centenari sono cresciuti del 300%, oggi in Italia sono circa 17mila» Niccolò Marchionni, vicepresidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica. E molti di loro sono arzilli, energici, vecchietti.


Un corretto lifestyle, il segreto della longevità


Obiettivo: vivere fino a 120 anni, ma senza patologie. Nessun gene della longevità, solo comportamenti salutari. Tra le più efficaci strategie antiage, mangiare meglio e soprattutto alimenti che nutrono correttamente e proteggono le cellule. Praticare poi attività fisica regolare, ridurre lo stress, l’ansia, i pensieri negativi e, infine, dormire bene. Prima regola: un’attenzione particolare all’alimentazione evitando quei cibi che intaccano la salute e accorciano la nostra vita

Una volta si pensava che il grasso addominale fosse un magazzino inerte. Invece abbiamo capito che quando le cellule del grasso diventano più grandi si mettono a produrre degli ormoni che causano infiammazione - spiega Luigi Fontana, docente di Nutrizione all’Università di Salerno e alla Washington University in St. Louis, Stati Uniti. - L’accumulo di grasso addominale favorisce gli stati infiammatori, il diabete, le malattie cardiovascolari e i tumori. Il girovita deve rimanere piatto: ogni volta che aumenta di un centimetro mi devo mettere a dieta e devo cominciare a fare attività fisica [...].

Come rallentare l’invecchiamento? Oltre alla durata cellulare scritta nel nostro DNA, invecchiamo anche a causa dell’accumulo, con il tempo, di danni cellulari all’organismo. Il conto alla rovescia è scandito dai telomeri, una sorta di tappi che rivestono la parte finale del DNA. Quando la cellula si divide, i telomeri si accorciano fino al loro deperimento che porta alla morte della cellula stessa. Colpevoli dei danni, invece, i radicali liberi, molecole che aggrediscono e danneggiano tutte le strutture cellulari. Questo avviene, ad esempio, quando introduciamo quei cibi che aumentano la produzione di radicali liberi che vanno poi a infiammare e a distruggere le nostre cellule. Nel corso degli ultimi anni sono stati scoperti circa 25 geni dell’invecchiamento (gerontogeni) che regolano la durata della vita nei topi, nei vermi e nei topolini: eliminandoli, gli animali vivono più a lungo. Lo stesso avviene anche per il genere umano. Per sommi capi, contro un declino inesorabile la soluzione per manipolare i geni dell’invecchiamento è nascosta proprio in quello che ogni giorno decidiamo di mettere nel piatto.

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Per approfondimenti:

Nature "Maximum human lifespan may increase to 125 years"

New York Post "Scientists claim many people could soon live beyond 120 years old"

Focus "Esiste o no un limite alla durata della vita?"

Corriere della Sera "Vivere fino a 120 anni è possibile, la guida per arrivarci in buona forma"

Focus "Si può stabilire un limite massimo della vita umana?"

Riza "I segreti per vivere 120 anni"

Time "The New Age of Much Older Age"

Gazzetta dello Sport "Ecco la dieta antinfiammatoria, uno stile alimentare per prevenire le patologie dell’era moderna"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

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L'alimentazione, la grande alleata dei nostri occhi

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3 milioni in Italia e 200 milioni nel mondo occidentale. Considerata una vera e propria malattia sociale, l’endometriosi colpisce una donna su dieci. Una patologia che intacca l’apparato riproduttivo delle donne in età fertile e le accompagna dall’adolescenza fino alla menopausa, causando dolori e altri disturbi. Questa patologia invalidante impatta notevolmente sulla qualità della vita e potrebbe essere causa di sub-fertilità o infertilità (come avviene nel 30-40% dei casi). Definita dal Ministero della Salute come la presenza di endometrio, mucosa che normalmente riveste esclusivamente la cavità uterina, all’esterno dell’utero e può interessare la donna già alla prima mestruazione (menarca) e accompagnarla fino alla menopausa. In Italia sono affette da endometriosi il 10-15% delle donne in età riproduttiva, questa patologia interessa circa il 30-50% delle donne infertili o con difficoltà a concepire. Il picco si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire anche in fasce d'età più basse. Sintomo principale, il dolore cronico e persistente, con aggravamento durante il periodo mestruale passando poi per astenia o lieve ipertermia. «L’endometriosi è una patologia ginecologica che si presenta quando le cellule endometriali che normalmente si trovano nel rivestimento uterino proliferano in altre zone, che possono essere zone pelviche, come le ovaie, o zone non pelviche, per esempio a livello intestinale o renale», spiega in un’intervista a Gazzetta Active la dottoressa Alice Cancellato, biologa nutrizionista del Centro scienze della natalità e ginecologia oncologica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano – Gruppo San Donato.

L'INFIAMMAZIONE CRONICA, le vere cause del killer silenzioso

Ad un'alimentazione sana, composta principalmente da alimenti antinfiammatori in grado di contrastare questa patologia, contribuiscono i dati raccolti dal Progetto Nutrizionale della Fondazione italiana endometriosi. Insomma, uno stile alimentare sano e corretto per ridurre i sintomi di questa malattia e limitare così il consumo di farmaci, ormonali, antidolorifici o antinfiammatori. L’alimentazione come mezzo per ridurre i sintomi di questa malattia. Il segreto è presto detto: ridurre i cibi che favoriscono l’infiammazione e puntare su quelli antinfiammatori, in grado di diminuire i livelli di estrogeni. Aumentare, quindi, il consumo di verdura, frutta secca, pesce azzurro e avocado, ricchi di omega 3 dall’azione antinfiammatoria. Eliminare, invece, gli zuccheri perché favoriscono i processi infiammatori e tutti i carboidrati insulinici. Altro sostegno importante in questa estenuante battaglia è quello fornito dagli integratori alimentari che, riducendo l’infiammazione e i dolori, incidono sulla percentuale di sviluppo della malattia stessa. Correre ai ripari con gli amici del benessere e non sottovalutare i sintomi predittivi di questa patologia come dismenorrea (dolore pelvico durante il ciclo mestruale), dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali), dolore pelvico cronico, mestruazioni abbondanti, perdite di sangue tra un flusso e l'altro, costipazione, diarrea, difficoltà a rimanere incinta. Ma anche stanchezza fisica cronica e disturbi dell'attenzione.

Fertilità e qualità della vita

Originata dallo stimolo degli estrogeni, l’endometriosi è tra le patologie femminili più comuni.


Lo stimolo degli estrogeni stimola la proliferazione delle cellule endometriali. Proprio per questo colpisce le donne in età fertile, e nel momento in cui la produzione di estrogeni si abbassa, come in menopausa, i sintomi si riducono. Quando parlo di sintomi intendo sintomi importanti, che spesso incidono sulla qualità della vita della paziente. Si tratta di dolori molto forti in prossimità e durante la mestruazione, dolori che rendono difficili anche normali attività quotidiane e che possono colpire anche durante i rapporti sessuali. Questa patologia può anche provocare difficoltà di concepimento, tanto che talvolta alle giovani pazienti viene suggerita la crioconservazione. E ci possono essere ripercussioni anche a livello intestinale, con sindrome del colon irritabile.

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Ecco come incide l’alimentazione e quali sono i cibi da preferire in una dieta per contrastare questa sintomatologia:


L’alimentazione incide molto, perché è in grado di ridurre (o di aumentare) i livelli di infiammazione. La dieta anti endometriosi, quindi, deve essere antinfiammatoria e particolarmente ricca di vitamine A, C ed E. Inoltre è bene evitare il sovrappeso perché gli estrogeni vengono prodotti anche dal tessuto adiposo, e in caso di eccesso ponderale si rischia un peggioramento dei sintomi dell’endometriosi. – Tra gli alimenti raccomandati, poi - sicuramente sono fondamentali tutti gli alimenti ricchi di acidi grassi omega 3, grassi buoni che stimolano la produzione di prostaglandine antinfiammatorie, mediatori chimici dell’infiammazione che possono avere funzione proinfiammatoria o antinfiammatoria. Le prostaglandine proinfiammatorie vengono prodotte a partire dagli acidi grassi omega 6 e sono utili nel caso di infiammazione acuta, perché modulano la risposta immunitaria. Quando invece siamo di fronte ad una infiammazione cronica come la endometriosi abbiamo bisogno di prostaglandine antinfiammatorie e, di conseguenza, di omega 3. Questi si trovano nel pesce azzurro e nel pesce grasso pescato. Quindi attenzione al salmone allevato, che contiene più omega 6 che omega 3. Meglio evitare anche tonno e pesce spada, che contengono anche metalli pesanti. L’ideale è il pesce azzurro, come sgombro, sardine, alici. Gli omega 3 sono poi presenti anche nei semi di lino, che andrebbero consumati macinati o sotto forma di olio, nelle noci, nei semi di canapa. Anche gli acidi grassi monoinsaturi hanno proprietà antinfiammatorie e sono importanti per la fertilità, perché aiutano la attività ovarica. Gli acidi grassi monoinsaturi si trovano nell’olio extravergine di oliva, nell’avocado e nelle noci macadamia.

Banditi a tavola


Per contro, invece, ci sono alimenti che favoriscono questa patologia e quindi, sarebbe meglio evitare.


Sicuramente è bene limitare gli zuccheri [...] e i latticini, che promuovono l'infiammazione. Gli alcolici andrebbero evitati, perché hanno un metabolismo epatico, abbassano la funzionalità epatica, e chi soffre di endometriosi ha bisogno di un fegato che funzioni bene per rimuovere l’eccesso di estrogeni implicati nella patologia. Attenzione anche a tutte le sostanze nervine presenti in caffè, tè e cioccolato, perché peggiorano la sintomatologia dolorosa legata all’endometriosi [...].

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Endometriosi, la dieta che la contrasta: i cibi sì e quelli che è meglio evitare"

Io Donna "Endometriosi: un aiuto dai cibi antinfiammatori"

Il Giorno "Marzo è il mese dell'endometriosi: cos'è, quali sono i sintomi, come si "cura""

Ministero della Salute "Endometriosi"

Io Donna "Giornata dell’endometriosi: che cos’è, i sintomi, le cure. Per non rassegnarsi al dolore"

Gazzetta dello Sport "Ecco la dieta antinfiammatoria, uno stile alimentare per prevenire le patologie dell’era moderna"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

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L'alimentazione, la grande alleata dei nostri occhi

 

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Rinchiuse e stressate. Mantenere i “nervi saldi” sembra ormai un lontano ricordo. Un anno difficile per gli italiani, il lockdown e la pandemia hanno messo a dura prova il nostro sistema nervoso. Per non parlare poi di tutte le attività connesse alla vita sociale che siamo costretti a svolgere tra le mura domestiche. Scuola, lavoro e attività sportiva. Tutto rigorosamente “fatto in casa”. Un sondaggio dell'EURODAP (Associazione Europea per il Disturbo da Attacchi di Panico) ha evidenziato che a incidere sullo stress è stato anche lo smart working e la didattica a distanza dei figli. Le prime vittime di questo stress da pandemia sono proprio le donne che hanno registrato un incremento dell’ansia di ben il 73%. Un dato notevole che, tra smart working e DAD (didattica a distanza), ha stravolto gli equilibri familiari, infliggendo un duro colpo soprattutto alle donne. Una percentuale importante della popolazione femminile quella che emerge da un sondaggio promosso dall’EURODAP a cui hanno risposto 532 donne. Insomma, intere giornate trascorse al chiuso tra impegni e stress ci hanno trasformato in vere e proprie “casalinghe disperate” alle prese con una moltitudine di faccende da sbrigare. I figli, il lavoro, lo studio, gli esami e la casa. Senza contare poi la mancata interazione con i colleghi. «La pandemia ha creato inevitabilmente squilibri, disagi e pressioni che hanno modificato il nostro modo di vivere e, in questo scenario, il ruolo che si è trovata a rivestire la donna non è da sottovalutare», spiega Eleonora Iacobelli, psicoterapeuta e presidente EURODAP.

La necessità di gestire le nuove dinamiche relazionali e familiari che si sono presentate, dal lavoro alla cura dei figli e della casa, ha portato le donne - prosegue - ad accumulare stati di stress e ansia e ad adattarsi a una nuova quotidianità, dove mitigare sentimenti come tristezza, depressione e paura rischia di passare pericolosamente in secondo piano. Inoltre, lo smart working e, in alcuni casi, la perdita del lavoro hanno contribuito ad aumentare il tempo che le donne passano in casa. Se già in passato gestire tutti i differenti aspetti della vita costituiva una delle problematiche principali della donna, ora è diventato ancor più complicato.

Salute a rischio con STRESS e CORTISOLO, come influisce lo stile di vita

Un circolo vizioso che ci lascia alla mercè del virus. Difatti, poiché lo stress abbassa le nostre difese immunitarie, oltre a renderci particolarmente irritabili e ansiosi ci espone maggiormente al rischio di contagio. Ora, più che mai, è importante non abbassare la guardia e tenere alla larga stress e brutti pensieri cercando, perlomeno, di non peggiorare la situazione. Lo stress, legato a una situazione temporanea, contingente, facilita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. Tra le soluzioni tra adottare nell’immediato sicuramente quelle accomunate dallo stesso fine, ovvero abbassare i livelli di cortisolo e aumentare la capacità immunitaria del nostro organismo. Tra i primi alleati in questo impegno quotidiano sicuramente l’alimentazione, una dieta sana ed equilibrata è fondamentale per immagazzinare tutti i nutrienti necessari a rafforzare le nostre difese. Prezioso un apporto di vitamina C e D oltre a sali minerali. Poi, a fare la differenza sono anche il corretto riposo e la qualità della vita. Ecco perché diventa importante agire anche sullo stile di vita. Quindi, tra le azioni positive per il nostro benessere: mantenere uno stile di vita sano, svolgere regolarmente attività fisica e dormire bene! Un valido aiuto arriva poi anche dall'assunzione di integratori alimentari che influenzano la produzione di cortisolo.

 Stress e ansia, un bagaglio pericoloso

Lo stress (dall’inglese “sforzo o spinta”) è un termine mutuato dalla fisica. A partire dalle ricerche del medico austriaco Hans Selye nel 1936 si inizia a fare riferimento allo stress in quanto sindrome prodotta da diversi agenti nocivi per l'organismo, fino a identificare questa condizione come uno stato di tensione in grado di manifestarsi con “trasformazioni morfologiche tangibili in vari organi, particolarmente nelle ghiandole endocrine che stanno sotto il controllo dell'ipofisi anteriore”. In base a recenti statistiche è possibile osservare un aumento dei disturbi legati a stress e ansia, con un’impennata nell’ultimo anno a seguito della pandemia e le previsioni per il futuro sembrano tutt’altro che incoraggianti. «È un ormone prodotto dalle due ghiandole surrenali che, come dice il nome, si trovano alle estremità dei due reni», spiega a Gazzetta Active il dottor Carmine Gazzaruso, endocrinologo e diabetologo, responsabile delle Unità Operative di Diabetologia, Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Vascolari, nonché del Pronto Soccorso dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano (Pavia) e responsabile dell’Unità di crisi Covid dell’Istituto. Viene definito un ormone perché: «La funzione principale di questo ormone - prosegue il diabetologo - è proprio quella di rispondere alle situazioni di stress, intendendo con questo termine qualsiasi situazione che l’organismo non riconosce come normale, fisiologica, ma di pericolo, sia esso fisico o psichico». Altro fattore importante è la sua capacità dello stress di abbassare le nostre difese immunitarie. «Infatti il cortisolo, tra le sue molte funzioni, riduce anche l’immunità, come si può osservare con il cortisone, che è la formulazione farmaceutica del cortisolo, ed è un antinfiammatorio e immunosoppressore».

Le reazioni di stress: le tre fasi della Sindrome Generale di Adattamento

Stress grafico

Tra le altre funzioni del cortisolo oltre ad indebolire il sistema immunitario:

Modifica tutte le funzioni dell’organismo. Di fronte ad una situazione di pericolo l’organismo si prepara a combattere o a scappare. Questo può avvenire di fronte ad una situazione di pericolo acuto, come una infezione o un trauma, o davanti ad una situazione di pericolo cronico, come uno stress prolungato nel tempo. In tutte queste situazioni il cortisolo agisce sul cuore, aumentando la pressione e la frequenza cardiaca, agisce sul sistema respiratorio, stimolando la funzione respiratoria, aumenta la funzione metabolica, e quindi i livelli di glicemia nel sangue, dal momento che ha bisogno di energia immediata in quel momento. In altre parole, di fronte ad uno stress il cortisolo fa aumentare tutte quelle funzioni che servono per scappare o difendersi, mentre fa diminuire tutte le funzioni che in quel momento non servono. Così, per esempio, il sistema digestivo rallenta e il sistema immunitario si abbassa, perché in quel momento le forze vanno dislocate altrove. Il sonno viene inibito, perché in quel momento è importante essere svegli, e così aumenta il livello di attenzione. Anche la funzione riproduttiva ha delle ripercussioni, perché in una situazione di pericolo non serve fare figli. Il cortisolo fa tutto questo.

Lo STRESS e i tanti rischi per la nostra salute


Senza dimenticare poi che elevati livelli di cortisolo potrebbero aumentare il rischio di una serie di patologie come ipertensione, diabete e altre malattie metaboliche. «Sì, si va incontro alla sindrome metabolica, quindi al rischio di obesità, diabete, ipertensione e patologie cardiovascolari». Ma cos’è l’ipercortisolismo noto anche come sindrome di Cushing? Una prerogativa solo delle persone obese o in sovrappeso? Sono una aumentata produzione di ACTH (per una iperplasia o un adenoma dell’ipofisi o per la produzione da parte di un tumore) che stimola il surrene a produrre cortisolo, oppure la presenza a livello del surrene di una iperplasia o di un adenoma che produce cortisolo in maniera autonoma. Inoltre, nelle condizioni di obesità l’asse ipofisi-surrene che regola il sistema ACTH-cortisolo è più attivo, per cui nei soggetto obesi, sebbene in forma più sfumata, si possono avere alcuni disturbi da ipercortisolismo. Insieme all'obesità, la presenza di una vita stressante e problemi di ipertensione, soprattutto se insorta in giovane età, sono elementi che devono far pensare a un rischio di ipercortisolismo.


No, l’obesità in sé probabilmente non crea ipercortisolismo, ovvero cortisolo in valori superiori alla norma. Ad incidere sono prima di tutto la predisposizione genetica e lo stress. Anche i magri possono avere livelli elevati di cortisolo. In uno studio condotto su persone obese si è osservate che avevano livelli minori di cortisolo coloro che facevano yoga, senza aver perso peso, rispetto a coloro che si sottoponevano a chirurgia bariatrica, e quindi perdevano peso. La componente nervosa, legata al cervello è fondamentale. Sicuramente l’ordine di produrre cortisolo parte dal cervello, per l’esattezza da due aree cerebrali presenti nella zona dell’ipotalamo. C’è un asse nervoso-endocrino ma soprattutto un asse puramente nervoso nella produzione del cortisolo. E purtroppo una volta che il cervello si abitua a stimolare la produzione di cortisolo in eccesso è difficile bloccare questo processo. Per questo motivo è fondamentale iniziale a fare una vita sana da giovani, con attività fisica, dieta equilibrata e sonno a sufficienza. Ma soprattutto a tenere a bada lo stress.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Active "Cortisolo, cos’è e come agisce l’ormone dello stress legato (anche) all’obesità"

Agi "Le donne vittime dello stress da pandemia: per il 73% aumenta l'ansia"

Donna Moderna "Cortisolo: cos’è e come abbassarlo"

La Stampa "Ansia, il disturbo di molti è aumentato durante il lockdown. Gli esperti: “Mai sottovalutarlo

Io Donna "Post lockdown: 6 bambini su 10 mostrano ansia, irritabilità e disturbi del sonno"

La Repubblica "Coronavirus: irritabilità, insonnia e paura per il 70% dei ragazzi"

LEGGI ANCHE: Arriva la dieta antistress. Alla riconquista delle energie perdute con vitamine e minerali

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Stare all’aria aperta riduce il rischio di malattie e contrasta insonnia e stress

 

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Grande amico della buona cucina e della nostra salute, l’olio extravergine di oliva sta conquistando sempre più consumatori. Colonna portante della nostra alimentazione e pilastro fondamentale della tradizione italiana. Non solo condimento. Difatti, l’olio EVO è molto di più. Un concentrato di proprietà benefiche per il nostro organismo. Protegge il cuore e ringiovanisce il cervello. Le sue notevoli doti, conosciute sin dall’antichità, sono state confermate nel corso degli anni da una serie di evidenze scientifiche che ne mostrano tutte le peculiarità. Sposa perfettamente la filosofia di un’alimentazione ricca ed equilibrata è considerato anche tra i migliori ingredienti “anticancro”. Un potente alleato nella lotta ai tumori intestinali. È quanto mostrato da uno studio pubblicato dalla rivista Gastroenterology e ripreso in Italia in un dossier pubblicato dall’Associazione Italiana di Ricerca contro il Cancro (Airc). I ricercatori hanno riscontrato nell’olio la presenza di una sostanza utile nel contrasto ai tumori intestinali. Questo è dovuto all’acido oleico, spiegano gli scienziati, una sostanza in grado di regolare la proliferazione cellulare. Nelle cellule dei topi di laboratorio, i ricercatori hanno potuto simulare l’azione di alcuni geni alterati e di stati di infiammazione intestinale, dimostrando che la somministrazione di una dieta arricchita di acido oleico è in grado di garantire notevoli benefici per la salute. Il team di esperti ha dimostrato poi in laboratorio che questa sostanza riduce le infiammazioni intestinali e lo sviluppo dei tumori. Infatti, secondo l’Airc, il consumo quotidiano dell’olio di oliva extravergine contribuisce a prevenire e combattere le neoplasie tumorali. Ricco di acidi grassi essenziali, se consumato abitualmente, si trasforma in un elisir di lunga vita.

Toccasana per mente, cuore e intestino. Dalla raccolta delle olive alla conservazione, dall'estrazione alle tempistiche di lavorazione. Il comun denominatore è il parametro di acidità che dev'essere inferiore o uguale allo 0,8%. A lavorazione ultimata, il pH dell'olio extravergine di oliva rappresenta, assieme ad alcune proprietà organolettiche e gustative, il parametro fondamentale nella valutazione qualitativa del prodotto. Il made in Italy alla conquista del mondo. Come testimonia un recente report della Commissione Europea, in Europa ha registrato un incremento del 15,6% nelle esportazioni verso i paesi extraeuropei fra ottobre 2019 e settembre 2020. Relativamente all’Italia, fra ottobre 2019 e agosto 2020 le esportazioni intraeuropee sono aumentate del 24,7 %. E in Italia, considerato anche il lockdown dovuto al Covid-19 di bar e ristoranti, secondo Coldiretti, 9 famiglie su 10 consumano quotidianamente olio extravergine d’oliva. «Durante il lockdown le persone hanno avuto modo di fermarsi e riflettere sulla propria alimentazione e questo ha influito su ciò che cercano sugli scaffali dei supermercati: prediligono ingredienti di qualità, sani e preferibilmente nostrani», spiega Federica Bigiogera, marketing manager di Vitavigor. Ecco come l’olio extravergine contribuisce al nostro benessere. Un recente studio pubblicato da ABC News precisa che l’olio Evo, ricco di fenoli e grassi monoinsaturi, può diminuire il grado d’infiammazione e il livello di grassi nel sangue, e aumentando la quantità di HDL, il colesterolo "buono" che aiuta a ridurre il rischio di malattie cardiache. «Le proprietà benefiche dell’olio Evo sono legate principalmente alla sua composizione – evidenzia la biologa nutrizionista Alice Parisi –. L’alta concentrazione di polifenoli e tocoferoli, infatti, contrasta l’ossidazione delle macromolecole biologiche, ovvero Dna, proteine e lipidi, e aiuta a prevenire cancro, diabete e numerose malattie cronico-degenerative. Io ne raccomando il consumo a crudo, in quanto le alte temperature degradano i composti dell’olio». Consumare olio extravergine d’oliva è «la prima profilassi anti-cancro che possiamo fare», ha spiegato a Affari Italiani, la dottoressa Farnetti. Esso è infatti ricco di idrossitirosolo e tirosolo, sostanza dalle proprietà antitumorali. L’olio Evo rinforza anche il sistema immunitario e regola il microbiota intestinale, ossia l’insieme dei microrganismi che si formano nell’intestino.


Tutti pazzi per l’EVO


Fondamentale, non solo a tavola, ma anche nella prevenzione di malattie cronico degenerative. La sua utilità nel combattere lo stress ossidativo e la formazione di radicali liberi è ormai nota e consolidata. Da una recente ricerca condotta presso l'Università degli studi di Bari con la collaborazione dell'Airc (l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro) è emerso che l'olio d'oliva possiede la capacità di proteggere il nostro organismo dall'insorgenza del tumore all'intestino. Nel corso dell’indagine, i ricercatori, inattivando il gene che codifica per SCD1, hanno dimostrato che l'assenza dalla dieta di acido oleico (di cui è l'olio EVO è particolarmente ricco) e la ridotta produzione endogena ad opera di questo enzima, comporta in un primo momento uno stato di infiammazione. Lo stesso potrebbe poi evolvere in un cancro dell'intestino. Antonio Moschetta, coordinatore della ricerca e autore del libro "Il tuo metabolismo", spiega perché l’olio extravergine di oliva è così prezioso per la nostra salute:

L'olio extravergine di oliva è ricco di acido oleico, una sostanza in grado di regolare la proliferazione cellulare. In studi preclinici abbiamo potuto simulare geni alterati e stati di infiammazione intestinale, dimostrando che la somministrazione di una dieta arricchita di acido oleico è in grado di garantire notevoli benefici per la salute. Tali effetti positivi sembrano essere dovuti anche alla presenza dell'enzima SCD1 nell'epitelio intestinale che funziona quale principale regolatore della produzione di acido oleico nel nostro corpo.

grafico olio

Insomma, un alimento che non dovrebbe mai mancare nelle nostre case. Consigliato nelle diete anche dai nutrizionisti per i benefici notevoli che fornisce. È un amico del benessere e fa bene all’apparato digerente, al cuore, al fegato e alle ossa. Dal valore nutrizionale eccellente al concentrato di vitamine, antiossidanti, fitosteroli e acidi grassi monoinsaturi. Insomma, l’olio d’oliva si presenta come una composizione nutrizionale che lo rende un alimento di grande importanza per il nostro organismo. Migliora la funzionalità del sistema cardiocircolatorio. L'olio d'oliva è stato anche correlato con una riduzione dei composti infiammatori che possono contribuire alla progressione della malattia cardiovascolare. Le olive contengono sostanze chimiche vegetali chiamate polifenoli che possono aiutare a ridurre l'infiammazione. Concentrato di proprietà importanti contiene antiossidanti, acidi grassi essenziali, polifenoli in grado di mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo nel sangue. In particolare, favorisce l’aumento del colesterolo buono (HDL) e diminuisce, per contro, quello cattivo (LDL). Favorisce poi la corretta funzionalità dell’apparato digerente facilitando il transito degli alimenti e aiutando l’intestino grazie al suo leggero effetto lassativo. Migliora, inoltre, l’assorbimento delle vitamine, in particolare A, E, D e K2. Contribuisce, dunque, alla salute della pelle, aiuta la memoria e rinforza le ossa. Consente infatti di assorbire più calcio e magnesio. In ultimo, ma non per importanza, il suo effetto anti-age. L’olio EVO favorisce anche la longevità con il suo potente effetto anti-invecchiamento.

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Per approfondimenti:

Il Giorno "L’olio extravergine è un concentrato di grassi anti-cancro"

Il Giornale "Cancro all'intestino: l'olio extravergine d'oliva lo previene"

Donna Moderna "Con l’olio extravergine d’oliva il cervello ringiovanisce"

La Repubblica "L'olio extravergine d'oliva conquista il mondo: nel 2026 mercato da 1,8 mld di dollari"

Harvard Medical School "Olive oil or coconut oil: Which is worthy of kitchen-staple status?"

Journal of the American College of Cardiology "Olive Oil Consumption and Cardiovascular Risk in U.S. Adults"

La Stampa "L’olio d’oliva vince su tutti gli altri: lo conferma ricerca di Harvard Medical School"

Il Secolo XIX "L’olio d’oliva vince su tutti gli altri: lo conferma ricerca di Harvard Medical School"

Consiglio Nazionale delle Ricerche "L'olio fa bene al cervello, soprattutto negli anziani"

LEGGI ANCHE: Al via con la sfida del più sano: conquista il podio l’olio d’oliva

SOS invecchiamento? Arriva l'olio EVO, potente alleato del cervello

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“Gli uomini preferiscono le bionde” capolavoro cinematografico e preludio di un amore millenario. Segni particolari: artigianale, biologica e low carb. Non tutte le birre sono uguali, ma soprattutto non tutte fanno bene alla nostra salute. Dalle grigliate alle feste popolari. Una scelta che dilaga anche tra le donne e valida alternativa al buon vino. Tra le bevande alcoliche più antiche e più amate al mondo. Anche se ne rivendicavano la paternità egizi e sumeri, la leggenda narra una storia tutta femminile. Nata per errore dalla distrazione di una donna che dimenticò una ciotola di cereali fuori casa, quei semi, complice un temporale, si bagnarono al punto tale da trasformarsi nella prima versione di birra della storia. Prodotta intorno al 3500-3100 a.C. tra Egitto e Mesopotamia. Con i sumeri poi, nascono i primi birrai, professionisti del settore retribuiti, seppur in parte, con la birra stessa. La prima legge a regolamentarne la produzione, fu indubbiamente il codice Hammurabi (1728-1686 a. C.) che prevedeva la condanna a morte per chi non ne rispettava i criteri di produzione. La birra poi, assumeva anche una connotazione religiosa e veniva consumata durante le cerimonie funebri in onore del defunto. Una delizia da gustare, ancora meglio se biologica, non pastorizzata, priva di carboidrati e senza glutine. Insomma, una bevanda buona e rinfrescante che se assunta con moderazione fa bene alla salute. Promossa anche dai medici italiani, considerata genuina per 9 su 10. Sali minerali, antiossidanti e vitamine sono le proprietà apprezzate. Il consumo eccessivo della birra industriale e di scarsa qualità che non rispetta precisi criteri di produzione potrebbe alterare il microbiota intestinale, infatti «La quantità eccessiva di zucchero, alcol e funghi capaci di alterare la nostra flora batterica la rendono un alimento poco salutare» spiega Adriano Panzironi. Tuttavia, se il malto è inserito nel mosto attraverso la fermentazione, trasformandosi poi in alcol, il problema è solo la qualità (e ovviamente, anche la quantità) oltre naturalmente al processo produttivo e agli ingredienti utilizzati. I cereali se, in piccole quantità e miscelati con altri elementi non sono nocivi perché in realtà, il carico glicemico che ne deriva non è dannoso per il nostro organismo.

Dalle proprietà digestive a quelle antiossidanti. Tra le numerose proprietà benefiche per l’organismo, secondo una ricerca italiana, va aggiunta anche la capacità di contrastare l’angiogenesi, ossia il meccanismo alla base della proliferazione dei tumori. L’indagine condotta dall’IRCCS MultiMedica di Milano, dall’Università di Pisa e dall’Università dell’Insubria di Varese si è focalizzata sullo xantumolo, molecola contenuta nel luppolo della birra che parrebbe in grado di inibire la proliferazione delle cellule tumorali, affamandole: ossia bloccando il meccanismo attraverso cui tali cellule si procurano l’ossigeno di cui hanno bisogno per diffondersi nell’organismo. In realtà i ricercatori si sono soffermati su due derivati dello xantumolo, i quali esplicherebbero un’azione anti-angiogenica ancora più efficace rispetto al principio naturale. Tra gli alimenti OGM Free, riduce del 24,7% il rischio di malattie coronariche e del 17% gli incidenti cardiovascolari. Le buone notizie per gli amanti del luppolo arrivano da uno studio svolto dal Department of Food Science and Technology presso l'Università della California, secondo i ricercatori la birra servirebbe a prevenire l'osteoporosi. Lo studio ha evidenziato che la birra è una ricca fonte di silicio organico, un ingrediente fondamentale per aumentare la densità minerale ossea. Un moderato consumo di birra può aiutare a combattere l'osteoporosi. Attenzione poi all’intruso. Ebbene sì, in alcune birre c’è un ingrediente non gradito: il glifosato, un pesticida comunissimo associato al cancro. È ciò che emerge da uno studio condotto dallaUS Public Interest Research Group secondo cui il 95% delle bottiglie esaminate è risultato positivo. Il glifosato è tra gli ingredienti principali contenuti nei diserbanti. E poi che chi beve birra campa cent’anni lo dice la scienza. A conferma della teoria, i risultati di una ricerca europea condotta dall'Istituto nazionale della Nutrizione insieme all'Istituto di Medicina interna dell'Università Cattolica di Roma e all'Istituto di industrie agrarie dell'università di Perugia, sugli effetti della somministrazione di birra nei topi e presentati al Cnr di Roma. «La birra come prodotto vegetale contiene micronutrienti, molecole antiossidanti in piccola quantità, ma molto potenti dal punto di vista fisiologico, medico, biochimico, nel neutralizzare i famosi radicali liberi, rallentando così gli effetti dell'invecchiamento» sottolinea il professor Giuseppe Rotilio presidente dell'Istituto nazionale della nutrizione. E per mantenere la linea, precisa in un’intervista a Vanity Fair il dottor Daniele Basta, biologo nutrizionista: 


La birra contiene acqua, vitamine del gruppo B, tracce di minerali come calcio, ferro, magnesio, fosforo, potassio, manganese e selenio, preziosi per l’organismo. Inoltre, è fonte di antiossidanti, in particolare di polifenoli. Per queste caratteristiche, come dimostrano diversi studi, un consumo moderato di questa bevanda è associato per esempio a un ridotto rischio cardiovascolare. Consigliabile abbinarla a alimenti ipocalorici come un secondo di carne o di pesce accompagnati da un contorno di verdure miste» suggerisce l’esperto nell’intervista. - Secondo diverse evidenze scientifiche un consumo lieve-moderato di birra può avere effetti benefici nei confronti della salute cardiovascolare. Il merito è della presenza di polifenoli che, come dimostrano diversi studi, hanno un’azione antinfiammatoria e antiossidante - precisa il nutrizionista. Inoltre, aiuta nel contrasto all’invecchiamento - Grazie alla presenza di composti antiossidanti, la birra consumata in quantità moderate, può contribuire a combattere lo stress ossidativo alla base dell’invecchiamento contrastando l’azione dannosa dei radicali liberi.

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L'analisi svolta ha infatti evidenziato che sia il luppolo che il malto, i due principali ingredienti da cui si produce la birra, contengono alti livelli di silicio. Il silicio organico è presente nella birra in forma solubile di acido orto silicico, con un tenore medio di 6,4-56,5 mg per litro.


Un moderato consumo di birra può - dicono gli studiosi - aiutare a combattere l'osteoporosi, la malattia del sistema scheletrico sistemica dell'apparato scheletrico caratterizzata da una bassa densità minerale ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. Un valore questo che fa diventare la bevanda - affermano i ricercatori - una delle principali fonti del minerale nelle diete occidentali. Per quanto riguarda il malto - spiegano i ricercatori - che nella buccia dell'orzo risiede la maggiore concentrazione del minerale, parte che non viene influenzata nel corso della germinazione del cereale. E inoltre le analisi effettuate sul luppolo hanno rilevato livelli di silicio quattro volte superiori rispetto a quelli del malto. La birra contiene alti livelli di malto d'orzo e di luppolo che sono le più ricche fonti di silicio - commenta Charles Bamforth, autore principale dello studio - il grano contiene meno silicio rispetto all'orzo, perché è l'involucro dell'orzo ad essere ricco di questo elemento.

Tanti buoni motivi per "farsi una bionda"

L’obiettivo dello studio, pubblicato sullo European Journal of Medicinal Chemistry e durato quattro anni, era invece quello di sperimentare sostanze analoghe allo xantumolo, che potessero essere utilizzate come chemiopreventivi efficaci, alternativi e a basso costo. Negli esami effettuati è stata evidenziata una capacità di riduzione dell’angiogenesi, da parte delle nuove sostanza sperimentate, addirittura dell’80%. I ricercatori sostengono che i derivati neo-sintetizzati analizzati sono risultati particolarmente efficaci nell’interferire con funzioni chiave della cellula endoteliale (lo scheletro che costituisce i vasi sanguigni tumorali) quali: la proliferazione, l’adesione, la migrazione, l’invasione e la formazione di strutture simil-capillari. Ecco tanti buoni motivi per “farsi una bionda”. In primis per l'elevato contenuto di vitamine e sali minerali (un bicchiere di birra contiene fosforo, iodio, magnesio, potassio e calcio) e il suo consumo, quindi, aiuta a proteggere la densità minerale delle ossa. La birra non pastorizzata poi ha i maggiori vantaggi per la salute perché contiene grandi quantità di Vitamina B12 fondamentale per il sistema nervoso. Altro ingrediente prezioso, gli antiossidanti naturali. Utile, come dimostrano numerose ricerche, nella prevenzione di malattie come il diabete e l'Alzheimer, patologia associata ad alti livelli di allumino che il silicio contenuto nella birra potrebbe compensare. Inoltre, fa bene al cuore perché migliora la flessibilità delle arterie. Amica delle donne, grazie ai fitoestrogeni del luppolo aiuta a ridurre i sintomi della menopausa come le vampate di calore e l'abbassamento della libido. Inoltre, riequilibra gli ormoni in caso di sindrome da ovaio policistico, endometriosi e perimenopausa. Importante per mantenere l'idratazione, grazie alle sue caratteristiche che la rendono una bevanda per reintegrare i liquidi e i sali minerali persi durante lo sforzo fisico: aminoacidi, minerali, vitamine del gruppo B e antiossidanti. 

«Un moderato consumo della birra può dare notevoli benefici alla nostra salute» suggerisce Christian Orlando, biologo e nutrizionista:


Secondo Eric Rimm, ricercatore di Harvard, può ridurre il rischio di attacco cardiaco del 30% e incrementare il colesterolo buono. Uno studio condotto in Finlandia ha indicato che la birra ha un impatto negativo inferiore sui reni rispetto alle altre bevande alcoliche. Consumare birra può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare calcoli ai reni fino al 40%. Bisogna comunque sempre fare attenzione a non bere alcolici in eccesso e a seguire una dieta sana e bilanciata. Uno studio pubblicato nel 2009 sulla rivista scientifica Diabetes Care ha rivelato che bere alcol con moderazione può contribuire nella prevenzione del diabete di tipo 2 sia negli uomini che nelle donne. Uno studio condotto di recente dall’Università di Cambridge ha rivelato che la birra sarebbe una fonte di acido ortosilicico, che incoraggia lo sviluppo delle ossa. Secondo uno studio condotto dall’Università di Harokopio, in Grecia, bere birra può fare bene al cuore e contribuire a migliorare la circolazione del sangue, in particolar modo rendendo più flessibili le arterie. Secondo i ricercatori greci, i benefici della birra sulla salute del cuore e sulla circolazione sarebbero da ricercare nel suo contenuto di antiossidanti. La birra contiene vitamine. È considerata una fonte di vitamina del gruppo B, in particolare di vitamina B6 e di vitamina B9, che sono importanti per proteggere il nostro organismo dalle malattie cardiovascolari. Un moderato consumo di birra, secondo uno studio olandese, può aiutare ad incrementare il contenuto di vitamina B6 nel sangue. Uno studio condotto di recente in Spagna suggerisce che il silicio contenuto nella birra potrebbe contribuire a proteggersi dagli eventuali effetti deterioranti dell’alluminio sul cervello, che da ricerche precedenti era stato correlato al rischio di Alzheimer. Gli esperti dell’Università di Alcala ricordano comunque che il consumo di bevande alcoliche deve essere mantenuto entro certi limiti, che possono variare a seconda del sesso e dell’età. Bere un bicchiere di birra prima di andare a dormire potrebbe essere d’aiuto a chi soffre di insonnia. La birra tende a generare torpore. Viene dunque indicata a chi fatica a prendere sonno come rimedio per cercare di contrastare l’insonnia. L’alcol contenuto nella birra svolgerebbe una blanda azione sedativa, mentre l’effetto soporifero della birra sarebbe dovuto al luppolo La birra può essere d’aiuto per chi soffre di ansia e stress? Secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Montreal, in Canada, bere 2 bicchieri di birra al giorno può rappresentare un antidoto utile per ridurre l’ansia e lo stress, soprattutto se sono legati alla propria situazione lavorativa. Anche in questo caso, però, è importante non cadere vittime del consumo eccessivo di bevande alcoliche.

Il segreto di una bevanda tra prevenzione e longevità


Inoltre riduce la formazione di sostanze nocive (idrocarburi policiclici aromatici) previa cottura alla griglia di carne o pesce, come già detto è utile a prevenire l’osteoporosi, (fonte di silicio, molecola organica fondamentale per la densità minerale dell’osso), dopo l’attività fisica aiuta a reintegrare i liquidi e i sali minerali persi durante lo sforzo, riduce il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson, previene la formazione dei calcoli renali e favorisce la diuresi per la presenza di magnesio e potassio e, grazie al ridotto contenuto di sodio, facilita il normale funzionamento dei reni. Migliorare il metabolismo della glicemia e tiene a bada il diabete. È quanto dimostra un recente studio, presentato all'incontro annuale dell'Associazione Europea per lo Studio del Diabete a Barcellona, che ha messo in relazione il consumo di birra (ma anche di vino) con il diabete. Difatti, bere una birra (o un bicchiere di vino) al giorno può proteggere dal diabete e, in particolare da quello di tipo 2. Dove i soggetti che ne soffrono hanno una ridotta capacità di scomporre il glucosio, con conseguente alterazione dei livelli di glicemia, resistenza all'insulina e un aumento del peso. I ricercatori della Southeast University hanno osservato come una quantità moderata di alcol possa migliorare la regolazione della glicemia. Senza trascurare però i pericolosi cambiamenti nei livelli di zucchero nel sangue causati dal consumo frequente di alcolici causa, peraltro di obesità, fattore importante per l'insorgenza del diabete di tipo 2. Altro dato importante riscontrato nel corso dell’indagine riguarda il collegamento tra consumo di alcolici e livelli più bassi di trigliceridi. Raccomanda in un'intervista a Today la dottoressa Daniela Vitiello:


«Prima di tutto c’è differenza di composizione soprattutto in base al tipo di cereale usato per la produzione della birra. Ogni cereale ha proprietà specifiche. Le birre industriali, a differenza di quelle artigianali, sono sempre filtrate, pastorizzate e addizionate di additivi. Nonostante così si migliori la conservazione, la fermentazione viene bloccata, privando la birra della sua peculiarità. Inoltre parte delle vitamine e dei minerali vengono perse durante la pastorizzazione, poiché sono sensibili al trattamento termico. Quindi direi che le migliori sono decisamente quelle artigianali».

Quando il consumo moderato si trasforma nell’elisir di lunga vita. Altra scoperta interessante è quella fatta da un team di scienziati dell'Università di Scienze della Vita di Varsavia secondo i quali l'assunzione moderata di birra (insieme a vino e cioccolato) potrebbe aiutare a vivere più a lungo. «[…] la birra è ricca di antiossidanti. L'aderenza a una dieta con un alto potenziale antinfiammatorio può ridurre la mortalità per tutte le cause, cardiovascolare e tumorale, e prolungare il tempo di sopravvivenza. La nostra analisi della dose-risposta ha mostrato che anche l'adesione parziale alla dieta antinfiammatoria può fornire un beneficio per la salute» spiega a Il Giornale la professoressa Joanna Kaluza dell'Università di Scienze della Vita di Varsavia (WULS), autrice della ricerca. La raccomandazione è quella di scegliere birre artigianali di alta qualità, meglio se provenienti da produzione biologica, non pastorizzate, a ridotto contenuto di carboidrati e di additivi, per godere dei benefici senza avere brutte soprese sulla salute.

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Per approfondimenti:

AGI "Con alcune birre beviamo anche il glifosato?"

Il Giornale "Una birra al giorno protegge dal diabete"

Today "I benefici della birra: 10 motivi per consumarla"

Libero Quotidiano "La birra previene l'osteoporosi"

Il Giornale "Birra, vino e cioccolato fanno vivere più a lungo"

ADNkronos "Birra: è provato, un litro al dì fa campare 100 anni"

Il Giornale "La birra: un potente antitumorale"

Libero Quotidiano "Bere birra fa bene alla salute. I sei motivi per farsi una bionda"

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In cucina come in un quadro di Van Gogh. Punto di fumo, temperatura e acidi grassi sono i tre pilastri fondamentali dell’olio di girasole alto oleico per il rispetto della salute. Sicuramente meno noto dell’EVO, ma altrettanto ricco di nutrienti. Tre concetti imprescindibili per una frittura sana. Dall’acido grasso monoinsaturo alla concentrazione di benefici e antiossidanti. La sua stabilità sino ai 230 gradi lo rendono ottimo per friggere. E questo non è un dettaglio trascurabile perché, quando l’olio comincia a fumare si forma una sostanza tossica, l’acroleina. Tutti ne parlano, ma pochi lo conoscono realmente. Insomma, un simil olio extravergine non solo con le medesime proprietà nutrizionali e salutistiche, ma persino con una marcia in più. Difatti, il suo valore aggiunto è proprio l’elevato punto di fumo che garantisce fritture leggere e gustose. E poi, proprio come l’olio extravergine di oliva, riduce i livelli di colesterolo nel sangue. Un prodotto sano che compare la prima volta in Russia nel 1976 con la sua prima variante: il Pervenets. Paese che ancora oggi, insieme all’Ucraina, detiene il primato della produzione mondiale di semi di girasole (circa l’80%). L’alta percentuale di acido oleico (letteralmente “di acido grasso insaturo, diffuso in natura come componente della maggior parte dei grassi animali e vegetali, dai quali viene estratto per la fabbricazione di sapone, lubrificanti e resine”) rende quest’olio di girasole maggiormente stabile alle alte temperature oltre che all’ossidazione e alla degradazione a cui gli acidi grassi vanno incontro non solo durante la cottura, ma anche durante la conservazione. Estratto naturalmente dai semi di girasole si presenta con un colore dorato e un gusto sottile, privo di grassi saturi e colesterolo (poiché i grassi insaturi che contiene sono ben metabolizzati nel fegato). Al contrario, aumenta anche i livelli di HDL (colesterolo buono), riducendo così il rischio di malattie cardiovascolari. Inoltre, l'American Heart Association, l'associazione dei cardiologi americani, lo indica tra gli oli più efficaci per la prevenzione del colesterolo.


Tra cucina e cosmetica, utilizzato per le molteplici proprietà, quest’olio vanta numerose applicazioni. Grazie alla sua consistenza leggera e non grassa, agisce come ottimo idratante naturale, viene usato anche per rigenerare le cellule della pelle danneggiate e tenere alla larga i batteri che causano l’acne. Inoltre, si rivela come un rimedio efficace per ammorbidire capelli secchi o crespi. Ricco di vitamina E, preziosa per il corretto funzionamento di muscoli e per il supporto fornito al sistema immunitario. Una buona dose di acido ascorbico, contenuta in esso, ne aumenta il potere antiossidante. Fonte anche di vitamina B3 (niancina o PP), B5 (acido pantotenico), B6 e di folati, indispensabili per la corretta attività del sistema nervoso e per la creazione dei tessuti del sistema digestivo. Inoltre, è un concentrato di minerali (tra cui ferro, rame, zinco, fosforo, magnesio e manganese). Queste sostanze lo rendono un alleato fondamentale per rinforzare tessuti, ossa, oltre al circolo sanguigno e alla produzione di ormoni. Secondo quanto spiega su Alimenti e Sicurezza Sabina Rubini, biologa ed esperta in sicurezza degli alimenti, la progressiva alterazione dell'olio e dei grassi, durante il processo di frittura, si evidenzia attraverso una serie di cambiamenti fisico-chimici: Intensificazione del colore o imbrunimento, aumento della viscosità, maggiore schiumosità, riduzione del punto di fumo. Quest’ultimo di caratterizza nella fase di ossidazione dell’olio, per contatto con l’aria, dovuto all’alta temperatura sfociando, infine, in una colonna di fumo. Il suggerimento, in generale, è quello di non friggere a una temperatura inferiore a 160 e superiore a 180 gradi. Difatti, è proprio in questo intervallo che, con un tempo adeguato, si ottiene la migliore cottura senza la liberazione di sostanze tossiche. 100% italiano e con oltre l’80% di acido oleico. Al via con il meglio del girasole!

Le virtù dell'acido grasso monoinsaturo


Straordinario non solo per le caratteristiche chimiche, ma anche organolettiche. Con alcuni grassi si arriva a tavola a cuor leggero e sono fortemente consigliati nella dieta di chi soffre di diabete. In primis, gli acidi grassi monoinsaturi, soprattutto l’acido oleico, si associano a una riduzione del rischio di diabete, migliorano il profilo lipidico, la pressione arteriosa e il controllo glicemico. Inoltre, le basse concentrazioni di acido linoleico (rispetto all’olio di girasole classico) conferiscono un’altra caratteristica positiva: un minore potere infiammatorio. La presenza di acido oleico rispetto a quello linoleico riduce la produzione di prostaglandine. Contribuisce quindi a limitare l’ondata infiammatoria e favorisce la prevenzione e il trattamento di alcune patologie. Un altro vantaggio è quello di regolare le lipoproteine plasmatiche. L’acido oleico, infatti, aumenta la produzione di HDL (il colesterolo buono), migliorando il profilo lipidico del sangue e la protezione cardiovascolare. Dall’extravergine al girasole alto oleico. Via libera quindi all’olio del benessere.


E' una delle grandi novità nel panorama agroalimentare - spiega il presidente del Gruppo oli da semi di Assitol, Carlo Tampieri - il consumatore ne sa ancora poco, ma ci chiede produzioni sostenibili e italiane e l'altoleico va proprio in questa direzione». Si tratta di una varietà con un alto contenuto di acido oleico, grasso monoinsaturo presente anche nell'olio di oliva, ma non nel girasole convenzionale, consigliato per le sue qualità salutistiche e per la resistenza alle alte temperature. Non è un Ogm, spiegano dall'associazione, ma è una diversa varietà dell'originale ottenuta attraverso incroci di diversi ibridi; a vederli sono identici quello che cambia è la loro composizione. Oggi il 90% del girasole coltivato in Italia è di questa varietà per una produzione di semi di 270 mila tonnellate, insufficiente a coprire la domanda interna ed estera.

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Ma cos’è l’acido oleico? Un acido grasso monoinsaturo maggiormente presente nell’olio d’oliva. Tuttavia, a differenza del classico olio di girasole, dove l’acido grasso in maggiore quantità è quello linoleico (polinsaturo) che possiede due doppi legami l’olio alto oleico, si differenzia dalla sua versione classica per la natura dei grassi in esso contenuti o meglio, la prevalenza di grassi insaturi, per la precisione, quelli polinsaturi, a differenza degli altri oli di semi che in genere contengono prevalentemente grassi polinsaturi, ovvero i grassi facilmente deperibili che vanno per lo più in contro a ossidazione e irrancidimento. Insomma, un surrogato con tutte le carte in regola. Dunque, poiché è un acido grasso monoinsaturo, l’olio girasole ad alto oleico assomiglia più all’olio d’oliva per composizione di acidi grassi che non al tradizionale olio di girasole.

La sua qualità più importante è sicuramente l'elevato contenuto di vitamina E - sottolinea Christian Orlando, biologo e nutrizionista -, quantità talmente elevata da superare ampiamente altri oli vegetali come l'olio di mandorle dolci o burri cosmetici come quello di karité. L'olio di girasole è inoltre ricco di vitamine A, C e D, che hanno tutte ottime qualità protettive. La vitamina E in esso contenuta è stata individuata come un elemento in grado di proteggere i polmoni dallo stress ossidativo, e inoltre sembra che contribuisca ad alleviare i dolori causati dall’artrite. L’olio di girasole ad alto oleico deriva da varietà ad elevata concentrazione di acido oleico. La particolare presenza dell’acido oleico rende l’olio di girasole più stabile alle alte temperature rispetto a quello ordinario, più resistente all’ossidazione e alla degradazione a cui gli acidi grassi vanno incontro soprattutto durante la cottura o durante la conservazione. Oltre all’impiego diretto come condimento, il basso valore di acidi grassi insaturi e l’elevato punto di fumo (220-230°C), fanno sì che questo olio sia particolarmente indicato nelle fritture. L'acido oleico rappresenta il più noto ed apprezzato acido grasso della serie omega-nove. L'acido oleico è un omega-9 contenuto soprattutto nell'olio di oliva (60-80%) che però presenta un punto di fumo (210°C) più basso di quello di girasole. Oltre all’impiego diretto come condimento, il basso valore di acidi grassi insaturi e l’elevato punto di fumo (220-230°C), fanno sì che questo olio sia particolarmente indicato nelle fritture. L’olio di girasole ad alto oleico risulta essere povero in acidi grassi essenziali quali l’acido linoleico e l’acido alfa-linolenico. Come tutti gli oli vegetali è ricco in fitosteroli, in particolar modo in beta-sitosterolo che rappresenta il 52% circa.

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Per approfondimenti:

Ansa "Girasole, olio semi più amato dagli italiani"

Marie Claire "Cos'è l'olio di girasole alto oleico e perché potrebbe sostituire l'extra vergine di oliva"

Il fatto alimentare "Arriva nei supermercati l’olio di semi di girasole alto oleico..."

Ansa "Girasole 'buono' e green scala il mercato degli oli di semi"

Trieste Prima "Olio di girasole, proprietà e benefici per la pelle"

Harvard Medical School "Olive oil or coconut oil: Which is worthy of kitchen-staple status?"

Journal of the American College of Cardiology "Olive Oil Consumption and Cardiovascular Risk in U.S. Adults"

La Stampa "L’olio d’oliva vince su tutti gli altri: lo conferma ricerca di Harvard Medical School"

Consiglio Nazionale delle Ricerche "L'olio fa bene al cervello, soprattutto negli anziani"

LEGGI ANCHE: Olio di girasole: tutte le virtù salutistiche dell'alto oleico

Al via con la sfida del più sano: conquista il podio l’olio d’oliva

SOS invecchiamento? Arriva l'olio EVO, potente alleato del cervello

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