Visualizza articoli per tag: Carboidrati

Circondati e dipendenti dagli zuccheri. Tra snack e cibi già pronti, passando poi per la dieta mediterranea caratterizzata dagli alimenti composti per la gran parte da zuccheri come pane, pasta, riso, pizza e biscotti. Oltre ai dannosi picchi glicemici, lo zucchero innesca nel nostro corpo sonnolenza e inerzia, senza trascurare il rischio di serie patologie come l’invecchiamento precoce, il diabete, l’obesità, la carie e varie tipologie di tumore, stati infiammatori e, secondo alcuni, anche depressione causata dai cosiddetti picchi insulinici. Dannoso per la salute e se consumato in alte dosi produce dipendenza, proprio per questo viene considerato, da vari nutrizionisti come una vera e propria droga. Dal diabete alla steatosi epatica, fino ad alcuni tipi di tumore. Da non sottovalutare le conseguenze di una dieta ricca di zuccheri. Perché gli zuccheri fanno così male?

«Questo perché abbiamo visto che gli zuccheri fanno più male dei grassi», sottolinea a Gazzetta Active la dottoressa Claudia Delpiano, dietista e biologa nutrizionista presso l’IRCCS Policlinico San Donato e il Policlinico San Pietro.  Unica eccezione per la frutta: anche se contiene il fruttosio non fa male. «Sono gli zuccheri aggiunti che fanno male. Il fruttosio della frutta è presente nell’alimento insieme ad altri composti bioattivi: sali minerali, vitamine, acqua, fibra. E la fibra alimentare va a modulare l’assorbimento dello zucchero presente nel frutto, evitando picchi glicemici». Oltre alla frutta c’è di più. Consentiti anche il dolci! «Oltre alla frutta [...], si possono mangiare il cioccolato fondente almeno all’80%, […] la frutta fresca, la polvere di cacao amaro o di cannella, la frutta disidratata al naturale, - ma rigorosamente - senza zuccheri aggiunti».

L'amara verità dello ZUCCHERO: tutti i rischi per la nostra salute

Nel 2016, un’interessante ricerca pubblicata sul British Medical Journal, dimostrava come l’assunzione di zuccheri o di bevande zuccherate fosse un fattore determinante nell’aumento del peso. Inoltre, lo zucchero sembra avere influenza anche sui meccanismi biologici che regolano l’appetito. Avendo la capacità di digerire molto velocemente gli alimenti e le bevande contenenti zuccheri, lo stimolo della fame tende a tornare più frequentemente, innescando così un circolo vizioso. Ovvero, l’organismo scompone tutti i carboidrati nei loro elementi costitutivi e ciò che resta è il glucosio che viene poi metabolizzato grazie all’insulina. Quest’ultima permette l’apporto di zuccheri alle cellule sotto forma di energia. In sintesi, più zuccheri mangi, più insulina verrà prodotta. E di conseguenza, un consumo eccessivo di zuccheri altera il livello di insulina nel sangue facendolo aumentare drasticamente. Dopo aver ridotto la combustione del grasso corporeo, il tasso di insulina scende al minimo, causando così, un nuovo attacco di fame. Altra correlazione evidenziata è quella tra il consumo di bevande zuccherate e il diabete di tipo 2. Tuttavia lo zucchero, in sé, non provoca l’insorgenza del diabete, ma ne aumenta il rischio. Uno studio pubblicato nel 2010, condotto su un campione di oltre 300mila persone, ha svelato che i soggetti che consumano 1 o 2 bevande zuccherate al giorno avevano un rischio di sviluppare il diabete maggiore del 26% rispetto a quelli che ne consumano meno o non ne consumano affatto. Ancora una volta, quindi, la raccomandazione è di evitarle. Tra le causa più comuni di morte precoce associate al consumo di bevande zuccherate sono le malattie cardiovascolari. A risentire della dieta ad alto contenuto di zuccheri, anche il cuore aumentando, di conseguenza, il rischio di disturbi cardiovascolari. Scientificamente dimostrato dall’American Heart Association, altresì che, chi segue un’alimentazione ricca di zuccheri può soffrire di malattie cardiache con frequenza significativamente maggiore rispetto a chi ne assume meno. La ricerca dimostra che le persone che bevono abitualmente bevande zuccherate corrono maggiori rischi rispetto a chi le consuma sporadicamente. Le donne poi, sembrano essere più a rischio degli uomini. Non dimentichiamo poi che i batteri presenti nella bocca reagiscono con la sostanza zuccherata ingerita e formano uno strato di placca sui denti: questa reazione provoca il rilascio di un acido che, a lungo andare, danneggia i denti, provocando carie e cavità dentali.

Gli effetti nocivi dello zucchero

Ma forse è meglio fare un passo indietro per capire quello che si nasconde dietro un alimento tanto contestato.

«Lo zucchero è un glucide composto da una o due unità, i saccaridi, che sono molecole base che compongono i carboidrati. Se ne abbiamo una o due unità abbiamo, appunto, uno zucchero. Gli zuccheri sono gli elementi base dei carboidrati, che possono essere monosaccaridi o zuccheri semplici (come fruttosio, glucosio e galattosio), disaccaridi (come saccarosio, lattosio e maltosio), o polisaccaridi o carboidrati complessi (come amidi e maltodestrine). Quando parliamo di zuccheri parliamo essenzialmente di glucosio e fruttosio».

Ecco perché lo ZUCCHERO potrebbe essere rischioso per la salute

Secondo quanto dimostra un’evidenza scientifica, la lavorazione industriale (estrazione, purificazione o alterazione) dei cosiddetti cibi ultraprocessati costituirebbe un rischio per salute. In particolare lo zucchero è responsabile del 40% dell’aumento di rischio. Catalogati come “nocivi”, parliamo proprio degli zuccheri semplici

«Quello che davvero è nocivo è lo zucchero nascosto nel cibo raffinato, o aggiunto in modo discrezionale. Lo zucchero si trova nelle bevande gassate, per esempio, in molti prodotti da forno, anche se portano la dicitura ‘senza zucchero’. Nel 2015 le nuove linee guida per una sana alimentazione hanno ridotto dal 15 al 10% la quota quotidiana suggerita di zuccheri semplici a rapido assorbimento rispetto al fabbisogno calorico giornaliero. E una ulteriore riduzione del 5% va ad apportare ulteriori benefici per la salute». «Gli zuccheri si nascondono proprio nelle etichette. Vengono identificati con vari termini, solitamente che finiscono in -osio: glucosio, saccarosio, destrosio, fruttosio, maltosio, lattosio. Ma anche gli sciroppi, come quello di fruttosio, di glucosio, di mais, di caramello, d’agave, d’acero sono zuccheri. O anche gli zuccheri della frutta, ovvero il fruttosio, lo zucchero d’uva, zucchero della mela sono zuccheri».

Tumore e zucchero, un binomio letale

Dagli effetti dannosi sul nostro corpo ai notevoli benefici di una dieta priva di zuccheri. Infatti, le cellule tumorali si nutrono di glucosio e muoiono in assenza di esso perché, da sole, non riescono a sintetizzare lo zucchero.

«Il fruttosio è metabolizzato quasi esclusivamente dalle cellule del fegato. Un alto contenuto di fruttosio impatta fortemente sulla risposta insulinica, manifestando poi l’insulino-resistenza: l’insulina lavora meno e non è in grado di fare entrare il glucosio nelle cellule che lo metabolizzano e digeriscono. Il glucosio resta così in circolo, creando iperglicemia, fino ad arrivare al diabete di tipo 2, alla steatosi epatica e alla sindrome metabolica, ad uno stato infiammatorio generale dell’organismo».

ZUCCHERO e TUMORE: ecco come ne influenza la nascita

 

E di conseguenza, stimolando l’infiammazione generale dell’organismo, una dieta ricca di zuccheri potrebbe incrementare l’insorgenza di forme tumorali

«Certo, un eccessivo consumo di zuccheri può portare, a lungo termine, anche allo sviluppo di alcuni tipi di tumore, perché il tumore si nutre di zucchero. Nel caso di recidive di tumore, infatti, si consiglia proprio l’abolizione di zuccheri a rapido assorbimento». Per contro «Una dieta priva di zuccheri aggiunti abbassa il rischio di tutte queste patologie. Tra gli effetti ci sono anche una pelle più sane e bella, un calo ponderale, un miglioramento del tono dell’umore e delle funzioni cerebrali, ma anche della digestione e dell’assorbimento dei nutrienti, e si hanno meno problemi di gonfiore addominale».

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Gazzetta Act!ve "Zuccheri, ecco perché troppi fanno male. Quali sono i benefici di una dieta che ne è priva?"

Fondazione AIRC "Lo zucchero favorisce la crescita dei tumori?"

Il Messaggero "I cibi industriali aumentano il rischio di morte, zucchero responsabile del 40%"

LEGGI ANCHE: Tutta l’amara verità sullo zucchero: dai rischi per la salute alla dipendenza

Ricercatori: ecco perché senza zuccheri e amidi il tumore muore e aumenta la nostra longevità

Troppi zuccheri possono provocare lo sviluppo del cancro

 

Pubblicato in Informazione Salute

Dal potere antiossidante al contrasto dei radicali liberi. Insomma, la miscela del benessere per vivere in salute ed a zero calorie. Dagli egizi agli antichi romani. Una pratica ben consolidata che affonda le sue radice nella notte dei tempi. Prima ancora della diffusione dei medicinali, i dottori erano soliti curare le persone con rimedi naturali, e proprio per questo venivano chiamati “speziali”. Fonti di vitamine, minerali e antiossidanti, oltre a depurare e proteggere l’organismo, supportano le funzioni del metabolismo nella combustione dei grassi e garantiscono il senso di sazietà per un periodo di tempo più lungo. Questo processo si innesca attraverso la funzione termogenica, ovvero mediante un aumento della temperatura corporea.

«Sicuramente hanno tutte un potere antinfiammatorio e antiossidante e riducono la produzione di radicali liberi. Come sanno bene in Oriente, dove l’uso delle spezie è molto più diffuso, hanno delle proprietà quasi curative, tanto che spesso molti integratori contengono proprio i principi attivi di alcune spezie» sottolinea a Gazzetta Active la dottoressa Emanuela Russo, dietista INCO (Istituto Nazionale per la Cura dell’Obesità) dell’IRCCS Policlinico San Donato e del Marathon Center del Palazzo della Salute di Milano. «Ricordiamo – prosegue l’esperta -, però, che non sono farmaci, quindi vanno usate con costanza per ottenerne i benefici, e sono perfette proprio laddove non c’è una reale patologia ma una propensione a determinate patologie». «La cannella, per esempio, aumenta il senso di sazietà e riduce l’assorbimento degli zuccheri - precisa la dietista -, tanto che spesso è indicata nelle diete in generale e in particolare in quelle per le persone che soffrono di diabete. Il cumino ha un effetto calmante a livello di intestino e di stomaco, e spesso lo si consiglia per problemi gastrointestinali, magari insieme alla malva. La curcuma ha un effetto lenitivo e calmante, riduce l’infiammazione a livello generale e soprattutto gli stati infiammatori a livello articolare, tanto che esistono integratori a base di curcumina che hanno ottimi riscontri nella riduzione delle patologie correlate al sistema articolare. E poi pepe e peperoncino aumentano la termogenesi e stimolano la digestione, dando una mano al transito intestinale».

Spezie utili per la salute: curcuma, zenzero, cannella e peperoncino

Difatti, come dimostra lo studio condotto da un team di ricercatori della Pennsylvania State University, grazie alla capacità di frenare l’infiammazione che è alla base di alcune patologie molto serie, le spezie proteggono l’organismo da tumori, diabete e malattie cardiovascolari. L’indagine di questi studiosi, con l’utilizzato di un composto di spezie, nasce con l’obiettivo di studiare l'effetto postprandiale di una miscela di spezie sulle risposte infiammatorie delle citochine. L'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di grassi saturi e alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Gli studiosi hanno dimostrato che l’aggiunta spezie riduceva sensibilmente questo rischio. Inoltre, la ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica The Journal of Nutrition, ha mostrato la capacità di questi ingredienti di apportare benefici per la salute, riducendo l’infiammazione dell'organismo. Ovvero, i ricercatori hanno scoperto che quando i partecipanti allo studio consumavano un pasto con l’aggiunta di sei grammi di una mescolanza di spezie, questi manifestavano marcatori di infiammazione più bassi rispetto a un pasto privo di queste sostanze. Precedenti ricerche avevano già collegano le spezie alle notevoli proprietà antinfiammatorie. Infatti, anche in passato, l'infiammazione cronica era stata associata anche a patologie non trascurabili come il cancro, le malattie cardiovascolari, il sovrappeso e l'obesità, che colpiscono circa il 72% della popolazione. Inoltre, in studi più recenti, gli scienziati hanno scoperto che l'infiammazione dell’organismo potrebbe aumentare, dopo un pasto, a seguito del consumo di una quantità eccessiva di grassi o zucchero. Le spezie, stando a quanto dimostrato in queste ricerche, hanno la capacità di inibire la crescita dei tumori, prevenire danni al DNA e mutazione cellulare.

Un aromatico toccasana

Cumino


Utilizzato dai fenici sia tavola che come rimedio para medico, il cumino, oltre alla sua notevole peculiarità di insaporire la carne alla brace è anche efficace per alleviare le coliche addominali. Stop a gonfiore, indigestione, flatulenza, diarrea e nausea! Ricco di fibre, calcio, fosforo, ferro e potassio. Ottimo digestivo e prezioso per curare l’intestino e rafforzarne le difese immunitarie, grazie alle sue proprietà antibatteriche e virali. Questa spezia tradizionale del Nord Africa, aiuta la digestione del cibo, stimolando il rilascio di enzimi digestivi durante e dopo i pasti e può anche aiutare a lenire in generale il processo digestivo. Facilita il processo digestivo perché stimola la produzione degli enzimi digestivi e favorisce l’eliminazione dei gas intestinali, prevenendo così il fastidioso gonfiore addominale. Il primo aiuta ad attivare le ghiandole salivari che rompono il cibo e preparano le sostanze nutritive per la corretta assimilazione, mentre il secondo impedisce la fermentazione degli alimenti nel tratto digestivo. Il cumino stimola anche il processo digestivo innescando il rilascio di bile e altri enzimi digestivi responsabili della cosiddetta “rottura” del cibo. Migliora il profilo lipidico, sia per il colesterolo che per i trigliceridi. Uno studio pubblicato nel 2014, dimostra come la somministrazione quotidiana di cumino potrebbe diminuire i livelli sierici di colesterolo cattivo e trigliceridi aumentando, per contro, quello buono. Inoltre, ai semi del cumino è riconosciuta anche un’azione preventiva nei confronti di patologie oncologiche, l’effetto è stato attribuito a un componente, il timochinone, potente antiossidante che contrasta efficacemente l’azione dei radicali liberi.

Curcuma


Non solo per il curry! La curcuma è infatti rinomata da sempre, grazie al suo costituente attivo, la curcumina, noto antiossidante e antinfiammatorio per antonomasia. Apprezzata per contrastare crampi, dolori muscolari e reumatici, artrite, problemi digestivi e stress e riconosciuto come rimedio naturale contro il colesterolo alto. Da non trascurare poi, la sua capacità di rallentare processi e malattie dell’invecchiamento correlati all’infiammazione. E’ una delle spezie più note all’uomo, è un potente anti-infiammatorio che ha dimostrato di favorire la corretta digestione del cibo. Per le sue forti qualità astringenti, la curcuma può aiutare a sigillare il rivestimento del tratto intestinale e digestivo, bloccando la condizione comunemente nota come sindrome dell’intestino permeabile. La spezie è nota anche per sopprimere la produzione in eccesso di acido dello stomaco, che può causare stomaco infiammazione cronica e danni anche fisici alla parete intestinale. Il consumo regolare di curcuma ha dimostrato di aiutare a prevenire il reflusso gastroesofageo, noto anche come bruciore di stomaco, oltre a prevenire la formazione di ulcere gastriche e duodenali.

Alimentazione e salute: le virtù curative delle spezie

Cannella


Utilizzata soprattutto per dolciumi e liquori è un concentrato di antiossidanti e preziosa per corpo e mente. In Cina questa spezia veniva utilizzata a scopi curativi già nel 2700 a.C. ed era apprezzata da nobili e imperatori, soprattutto per i suoi benefici. Difatti, la cannella aiuta a rallentare il processo di invecchiamento, ridurre lo stress ossidativo e liberare il corpo dalle tossine. Al di là dell’impiego culinario, evidenze scientifiche dimostrano che questa spezia potrebbe contrastare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson proteggendo i neuroni nel nostro cervello e inibendo le proteine collegate a queste malattie. Preziosa anche per la gestione dei livelli di zucchero nel sangue e di insulina. Oltre a garantire tanti benefici per una pelle più sana e bella. Questa spezia vanta proprietà antiossidanti (la presenza dei polifenoli è utile per trattare i sintomi dell’influenza come febbre, raffreddore, mal di gola, tosse e stanchezza), protettive dal diabete (i polifenoli hanno la capacità di regolare la percentuale di zuccheri nel sangue, attraverso la scomposizione degli zuccheri stessi così da evitare i picchi glicemici), antibatteriche e antimicotiche (nel contrasto ai numerosi microrganismi dannosi per la nostra salute soprattutto contro il fungo Candida albicans, responsabile di alcune infezioni vaginali), protettive nei confronti dell’Alzheimer (alcuni studi, tra cui quello americano pubblicato nel 2013 sul Journal of Alzheimer Disease, in cui è stato evidenziato il ruolo nelle prevenzione della malattia, quindi, nella fase di degenerazione cellulare) e benefiche per l’apparato digerente, prevenendo gonfiore intestinale, flatulenza, e coliche renali, ma anche agendo come astringente contro la diarrea. E soprattutto è un ottimo digestivo!


Zenzero


Utilizzato in tutto l’Oriente come rimedio naturale per l’indigestione continua, ancora oggi, ad essere apprezzato per la sua potente capacità di reprimere la nausea ed aiutare nel processo digestivo. Dolci, salati e bevande. Estremamente versatile in cucina veniva consumato già nell’antichità per combattere nausea e vertigini. Oggi è diffuso soprattutto come tisana brucia grassi, nonché ottimo rimedio naturale contro influenza, raffreddore e mal di gola. Evidenze scientifiche hanno poi dimostrato che è un rimedio efficace sia per il trattamento e che per la prevenzione del cancro del colon-retto, così come per molti altri tipi di malattie. Usato quotidianamente, lo zenzero allevia il disturbo di stomaco, previene la diarrea, elimina la sensazioni di nausea ed è utile per il trattamento di crampi mestruali. E’ infine utile contro il mal di mare ed il mal d’auto. Lo zenzero, comunemente noto come potente rimedio per il mal di pancia e forte antinfiammatorio capace di contrastare infiammazioni come la proteina C reattiva. Valida difesa contro l’ulcera e ottimo supporto per alleviare i dolori mestruali. Ricco vitamina B6 e vitamina C e di minerali come potassio, rame, manganese, magnesio, niacina, fosforo e ferro.

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Gazzetta Act!ve "Spezie: concentrati di vitamine, minerali e antiossidanti a zero calorie"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"

MSN "I benefici delle spezie nell'alimentazione sana"

Letto Quotidiano "Spezie ed erbe aromatiche in cucina che hanno benefici sulla tua salute"

Proiezioni di Borsa "Lasciare nel cassetto le medicine e curarsi con le spezie"

LEGGI ANCHE: Spezie e rimedi naturali, a tavola con i potenti alleati del benessere

Vitamine, minerali, spezie e altri nutrienti: gli ingredienti per vivere al massimo

Ricerca: ecco le erbe e spezie per curare naturalmente le malattie dell'intestino

Ricerche confermato impiego della curcuma nel trattamento del cancro

Ricerca: ecco erbe aromatiche e spezie per prevenire il cancro

Ricercatori: la cannella riduce la reazione delle allergie

Quattro spezie incredibili aiutano a prevenire l'Alzheimer

La dieta con le spezie, un sapore in più e tante proprietà salutari

 

Pubblicato in Informazione Salute

300mila italiani, soprattutto donne (7 su 10), soffrono di artrite reumatoide e ogni anno si registrano 5mila nuovi casi. Comune tra i 40 e i 70 anni, sebbene il picco di comparsa dei primi sintomi avvenga tra i 35 e i 45 anni. Tuttavia, durante l’inverno dolori e fastidi si accentuano ancor più. Tra le categorie più a rischio ci sono anche le persone obese o in sovrappeso, questo perché l’aumento di peso sovraccarica le articolazioni aumentando il rischio di infiammazione. Per quanto riguarda i segni poi, tra i principali da non trascurare: dolore persistente alle articolazioni (colpisce spesso le giunture di mani e piedi), talvolta accompagnato da gonfiore, in particolare di notte e al mattino, per poi attenuarsi nel corso della giornata. Talvolta i sintomi di questa patologia possono essere intermittenti, manifestarsi con diversi gradi di intensità o rimanere latenti anche per anni per poi peggiorare nel tempo. Controllo della malattia e riduzione dei sintomi, in altre parole: remissione. Uno spiraglio in fondo al tunnel per almeno la metà dei malati, soprattutto quando la diagnosi è precoce. Difatti, come dimostrano le recenti evidenze scientifiche, con l'inizio delle cure entro un anno dalla comparsa dei primi sintomi, controllare la patologia è un traguardo raggiungibile per il 50-60% dei pazienti. Fondamentale è quindi diagnosticarla e intervenire tempestivamente, come già detto, entro un anno dalla comparsa dei primi sintomi. Acuta o cronica è senza dubbio, la più nota è quella reumatoide. Un’infiammazione che colpisce un gran numero di persone che si trovano alle prese con dolore, gonfiore, arrossamento della cute e rigidità articolare. Valido alleato contro questa nemica comune: l’alimentazione. Come suggerito dal dottor Gianfrancesco Cormaci, specialista in biochimica clinica «il regime alimentare previsto per alleviare questi sintomi è la dieta antinfiammatoria che si basa essenzialmente sui cibi ad alto contenuto di antiossidanti, polifenoli, carotenoidi, acidi grassi omega 3, cibi a basso indice glicemico». In questo regime alimentare viene favorito anche l’utilizzo dell’olio extravergine di oliva come principale fonte di grassi ed è altresì consigliata la riduzione o la minimizzazione dei carboidrati raffinati, fast food, bevande alcoliche e bevande zuccherate

ARTROSI, ecco come migliaia di persone sono guarite con il LIFE 120

 

Una dieta a ridotto contenuto infiammatorio è associata a una maggiore perdita di peso, riduzione dell’infiammazione, migliori prestazioni fisiche e minore dolore articolare. Difatti, nei pazienti con artrite reumatoide che seguivano lo stile alimentare consigliato si riscontravano la riduzione del dolore e il miglioramento delle funzioni fisiche rispetto a quelli che non seguivano una dieta a basso contenuto infiammatorio. Ad oggi si contano più di 100 tipologie di artrite, che possono colpire persone di ogni età e di entrambi i sessi, anche se una maggior incidenza si riscontra negli anziani e nelle donne. Tra le più note ci sono sicuramente l’osteoartrite e l’artrite reumatoide. Le meno comuni sono, invece, la fibromialgia, il lupus eritematoso sistemico, la gotta, l'artrite psoriasica, ecc.

L'artrite reumatoide può essere curata e tenuta sotto controllo e ora persino fermata prima che porti alla progressiva perdita di funzioni fondamentali che comportano, negli anni, l’invalidità dei pazienti» precisa Luigi Sinigaglia, past president della Società Italiana di Reumatologia. «Noi specialisti - prosegue l’esperto - abbiamo a disposizione cure efficaci, messe a punto negli ultimi 15-20 anni, che possono consentire in un’elevata percentuale di casi la remissione completa: che significa permettere al paziente di fare una vita normale». «l problema resta – sottolinea Senigallia -, però, la diagnosi precoce che, nel nostro Paese, può avvenire anche uno o due anni dopo la comparsa dei primi sintomi. Oggi riusciamo a raggiungere la remissione nel 50-60% dei pazienti se la malattia viene diagnosticata tempestivamente, ovvero entro un anno dalla comparsa dei primi sintomi. Sfruttando la cosiddetta “finestra di opportunità”, quella fase cioè che intercorre tra l'esordio della patologia e l'instaurarsi di danni irreversibili, in cui è fondamentale iniziare con il corretto trattamento farmacologico per garantire maggiori possibilità di remissione e migliori risultati clinici.

L’importanza di un intervento tempestivo

L’inverno è la stagione in cui le malattie reumatiche si accentuano.

Le malattie reumatiche sono una grossa famiglia di patologie che comprende sia malattie di degenerazione articolare, come l’artrosi, sia malattie più infiammatorie, in cui l’infiammazione precede il danno articolare. L’infiammazione, per definizione, tende a migliorare con le temperature più calde o con l’utilizzo dell’articolazione interessata» spiega a Obiettivo salute su Radio24, Carlo Selmi, responsabile di Reumatologia e Immunologia clinica di Humanitas. Certamente – precisa Selmi -, il peggioramento durante l’inverno è più comune nei pazienti con artrosi, quel dolore più meccanico che può colpire ginocchia, pollice e alluce e che aumenta proprio con il freddo». Tra le parti più colpite, indubbiamente le nostre mani. «Le mani sono estremamente importanti in Reumatologia – continua -, la temperatura fredda può causare, per esempio, il fenomeno di Raynaud, una costrizione dei vasi che porta le dita di mani o piedi a diventare prima bianche, poi blu, poi rosse; un disturbo frequente soprattutto nelle giovani donne». «Le mani – sottolinea l’esperto - sono poi spesso sede sia di artrite sia di artrosi ed è tipica la manifestazione più iniziale dell’artrite reumatoide a livello delle articolazioni delle mani. Quello che distingue queste due condizioni è il tipo di dolore: nel caso dell’artrite il dolore migliora con l’uso dell’articolazione, mentre nel caso dell’artrosi è l’esatto opposto e dunque l’uso delle articolazioni – per scrivere o per afferrare qualcosa – porterà a un aumento del dolore». Non dimentichiamo un altro grande fastidio che ci accompagna nella stagione fredda: il mal di schiena. «Nel caso del mal di schiena oltre al problema articolare, contribuisce anche la componente muscolare; in questo senso il freddo è un pessimo compagno di viaggio per quanto riguarda le contratture muscolari che possono essere alla base di alcuni mal di schiena, soprattutto in regione cervicale.

Altri fattori di peggioramento delle malattie reumatiche

Partendo da presupposto che il peggioramento di queste patologie avviene sicuramente nei mesi invernali, ci sono anche altri tre fattori che incidono e che contribuiscono al peggioramento. Primo tra tutti, la scarsa attività fisica con conseguenze sia per l’aumento di peso che per la dimensione immunologica. Seguita poi da una sporadica esposizione ai raggi solari, e quindi, a un minor assorbimento di vitamina D, causa di un aumento dell’infiammazione locale. E per ultimo, ma non per importanza, anche insonnia e disturbi del sonno che favoriscono anch’esse stati infiammatori all’interno dell’organismo. Inoltre, le artriti provocano un senso di affaticamento, astenia e stanchezza.

ARTROSI e ARTRITE REUMATOIDE, qual è lo stile di vita corretto?

Se non opportunamente trattata questa malattia può avere un pesante impatto negativo sulla vita dei pazienti, oltre ad essere fortemente invalidante – sottolinea Silvia Tonolo, presidente ANMAR –. Per le ripercussioni sulla sfera personale e di relazione, un paziente su due ritiene addirittura di sentirsi escluso dalla società. C’è quindi un gran bisogno di un corretto percorso diagnostico terapeutico per questi pazienti che si basi su diagnosi precoce e tempestiva, presa in carico e appropriatezza terapeutica: sono fondamentali per garantire la remissione dalla malattia che dev’essere un obiettivo, non una speranza. Sappiamo che remissione non significa guarigione e che il mantenimento della stessa è subordinato alla continuità terapeutica e all’aderenza alle cure, ma da pazienti sappiamo altrettanto bene che quando i sintomi della patologia non interferiscono con la possibilità di vivere una vita attiva e normale l’effetto è positivo sia da un punto di vista fisico, che psicologico. Ecco perché noi pazienti, insieme al nostro reumatologo dobbiamo prenderci cura ogni giorno di noi stessi.

DD 1

L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica autoimmune che attacca i tessuti articolari di una persona il cui sistema immunitario, invece di proteggere l’organismo dagli agenti esterni come virus e batteri, si attiva in maniera anomala contro di esso» spiega al Corriere della Sera Roberto Gerli, presidente della Società Italiana di Reumatologia. «Sin dagli esordi – continua l’esperto -, la malattia si manifesta in maniera subdola, variabile, graduale o acuta, presentando dolore e tumefazione inizialmente alle articolazioni di mani e piedi, associati a rigidità al risveglio». «Con il tempo, l’infiammazione può coinvolgere potenzialmente ogni distretto dell’organismo (come polmoni, reni, cuore, sistema nervoso, vasi sanguigni, occhi) divenendo sistemica. La prognosi della malattia è decisamente migliorata a partire dagli anni '80, ma enormi progressi sono stati fatti negli ultimi 20 anni. Siamo passati dal sollievo sintomatico al rallentamento, o alla prevenzione, di ulteriori danni, fino alla possibilità di ottenere la remissione.

Soffri di Artrosi o artrite? Ecco le vere cause nascoste

Oggi, l’innovazione terapeutica continua a fornire opzioni in grado di cambiare l’evoluzione dell’artrite reumatoide, [...] che saranno sempre più in prima linea per il trattamento precoce di questa patologia volto a raggiungere l’obiettivo della remissione clinica. Utili pure a raggiungere il traguardo della remissione, condizionato da una stretta collaborazione fra paziente e medico» evidenzia il presidente della Società Italiana di Reumatologia. «Oltre all’inizio precoce del trattamento, è necessario uno stretto monitoraggio del paziente, con frequenti visite specialistiche, al fine di “misurare” il grado della risposta alla terapia - conclude Sinigaglia -. Attualmente, a fronte dell’ondata che ha investito gli ospedali legata all’emergenza Covid-19, molti pazienti hanno visto rinviare esami di controllo e visite con gli specialisti, ma ci sono prestazioni e terapie che non possono essere considerate differibili, con l’inevitabile effetto di un peggioramento del quadro clinico che, oltre a compromettere la possibilità di regressione, provoca anche un incremento dei costi sanitari e sociali - conclude Gerli.

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Corriere della Sera "Artrite reumatoide, la remissione è possibile per metà dei malati (se la diagnosi è precoce)"

Humanitas "Inverno, con il freddo possono aumentare i dolori articolari"

Leggo "Lotta all'Artrite reumautoide"

Today "Medici: esperti Sir, 'remissione artrite reumatoide traguardo possibile'"

Corriere della Sera "Fratture da fragilità: quelle del femore sono le più temibili"

Ravenna Today "Artrite: è possibile alleviare i sintomi con una dieta mirata"

Today "Artrite, quali cibi mangiare e quali evitare"

Ministero della Salute "Osteoporosi"

Ministero della Salute "La probabilità di ammalarsi di osteoporosi aumenta con l’aumentare dell’età [...]"

Che Donna "Come prevenire l’osteoporosi | mettiamo più calcio e magnesio a tavola"

Ministero della Salute "Prevenzione delle fratture da fragilità"

PubMed "Compromised Vitamin D Status Negatively Affects Muscular Strength and Power of Collegiate Athletes"

Grazia "La dieta del magnesio fa dimagrire e rinforza le ossa: ecco come seguirla"

MDPI "Special Issue "Vitamin D and Sport Performance"

PubMed "The Effect of Vitamin D Supplementation in Elite Adolescent Dancers on Muscle Function and Injury Incidence: A Randomised Double-Blind Study"

MDPI "Vitamin D and Sport Performance"

Gazzetta dello Sport "Vitamina D: preziosa per ossa, muscoli e prestazioni sportive"

Quotidiano "Vitamina D, il segreto delle prestazioni sportive"

LEGGI ANCHE: Rischio ossa fragili? Da non sottovalutare le fratture del femore

Calcio, magnesio e vitamina D: i principali nemici dell'osteoporosi

Sport e vitamina D: riduce il rischio di fratture ed aumenta la tonicità muscolare

Magnesio, rinforza ossa e muscoli: tanti benefici e zero controindicazioni

Vitamina D, gli scienziati: dopo l'isolamento, "bagni di sole" e integrazione

Pubblicato in Informazione Salute

Esiste un legame tra le alterazioni del ritmo sonno-veglia e la malattia di Parkinson? Tra le più frequenti malattie neurodegenerative della nostra epoca. Generato dalla morte precoce di alcune cellule all’interno del cervello, in particolare neuroni localizzati in un’area detta “sostanza nera”. I neuroni situati in questa parte del cervello compongono un circuito complesso, regolato da molecole di trasmissione tra cui la dopamina. La scomparsa delle cellule che producono questa sostanza, comporta la perdita di regolazione dell’intero circuito, producendo infine i tipici sintomi di questa patologia. Tra le diversi manifestazioni, il Parkinson è maggiormente riconosciuto per le sue alterazioni del movimento tra cui tremori, rigidità e lentezza nei movimenti, difficoltà a mantenere equilibrio e postura eretta. Invece, tra i sintomi non motori compaiono quelli relativi al comportamento e al cosiddetto “ritmo circadiano”. Dal latino circa diem, letteralmente “intorno al giorno”, con questa espressione si intende, infatti, l’alternanza ciclica delle attività dell’organismo, ovvero del nostro orologio biologico, nell’arco delle 24 ore. Ne è l’esempio il ritmo sonno-veglia dove siamo portati spontaneamente a rimanere svegli nelle ore diurne per poi riposare in quelle notturne. Un istinto che viene influenzato da diversi fattori biologici, il nostro complesso “orologio interno” che reagisce a stimoli esterni (tra cui luce e buio) oltre a circuiti neuronali e ormonali.


Niente dura per sempre, neanche i ritmi circadiani che tendono a indebolirsi, diventando sempre più frammentari e deboli, con l’avanzare dell’età. Questo affievolimento sembra più evidente nelle persone affette da morbo di Parkinson. A conferma di questa teoria, alcune recenti evidenze scientifiche indicano che i disturbi del ritmo sonno-veglia, inclusi l’addormentamento durante le ore diurne, l’insonnia e altri disturbi del sonno, potrebbero essere sintomi precoci o fattori di rischio per lo sviluppo del Parkinson. Se così fosse, riconoscerli tempestivamente e prevenirli potrebbe contribuire efficace contrasto della malattia. In pratica, l’interruzione del ritmo circadiano negli anziani potrebbe rappresentare, in particolare tra quelli con malattie neurodegenerative, un'importante caratteristica prodromica per il morbo di Parkinson. Ovvero, la ridotta ritmicità circadiana è stata associata ad un aumento del rischio di questa malatti, suggerendo che possa rappresentare un'importante caratteristica prodromica per il Parkinson. Non dimentichiamo che, solo in Italia, sono 230 mila le persone affette dal morbo di Parkinson. Tra questi, soprattutto le persone con età media superiore ai 60 anni.

Dormire bene per vivere bene


Nella malattia di Parkinson – evidenzia Christian Orlando, biologo - l'importanza dell’alimentazione è ormai nota a tutti. In presenza di malattie croniche un’alimentazione corretta diventa condizione fondamentale per il benessere dell’individuo e influisce positivamente sull’efficacia della terapia farmacologica e sullo stato di salute generale». Inoltre, «un’alimentazione a basso contenuto di carboidrati insulinici ha un enorme potenziale nella prevenzione e nella gestione delle patologie neurodegenerative come il Parkinson. Gli studi clinici che esplorano l’effetto dei cambiamenti dietetici a livello neuronale sono pochi e lontani tra loro, ma esiste già un’enorme quantità di materiale scientifico che dettaglia come le diete ad alto contenuto di zucchero mettono a repentaglio la salute del cervello e quanto invece, al contrario, le diete a basso contenuto di carboidrati supportano la salute del cervello. Infatti nella patologia del Parkinson la funzione mitocondriale indebolita si suppone sia coinvolta nella morte dei neuroni che forniscono la dopamina. I ricercatori ipotizzano che i corpi chetonici, utilizzati come fonte energetica in caso di ridotto apporto di carboidrati, possono proteggere i mitocondri e sostenere la loro funzione» conclude l’esperto.

Tutti i consigli per RIPOSARE meglio ed essere più energici

 

Che sia in arrivo la primavera, l’estate, l’autunno o l’inverno, il cambiamento influenza pesantemente il nostro organismo» sostiene Christian Orlando, biologo. «Il doversi adattare a un nuovo clima – continua -, alla diversa lunghezza della giornata e a nuove abitudini di vita, può generare stress mentale e stanchezza fisica. Ogni volta che c’è un cambio di stagione potrebbero manifestarsi una serie di disturbi, che possono compromettere la qualità della vita quotidiana». «Spesso si parla di disordine affettivo stagionale che si manifesta con malessere e stress. Sono diverse le cause che potrebbero celarsi dietro la stanchezza del cambio di stagione, tra cui l’alterazione della serotonina e della melatonina, dovute alle modifiche nell’alternanza tra luce e buio» evidenzia l’esperto. «Comunque – suggerisce Orlando - ci sono dei semplici rimedi che possono aiutare a vivere meglio il cambio di stagione, è importante assumere vitamine del gruppo B che supportano il nostro metabolismo energetico, la vitamina C perché contribuisce a ridurre stress e affaticamento e la melatonina importante per ritrovare il giusto equilibrio sonno-veglia. E’ importantissimo anche idratare l’organismo, che ha bisogno di eliminare le tossine e le scorie accumulate inoltre anche una leggera attività fisica è utile per rilassare la mente.

Tutte le conseguenze delle "ore piccole"

Per verificare questa associazione, è stato condotto uno studio clinico recentemente pubblicato sulla rivista scientifica JAMA Neurology. L’indagine è stata condotta su 2930 uomini di età avanzata (età media 76 anni) non affetti da malattia di Parkinson. I partecipanti sono stati sottoposti all’analisi del ritmo sonno-veglia attraverso un actigrafo: un dispositivo indossato sul polso che misura il movimento tramite un accelerometro, registrandone anche la frequenza e l’intensità. Il ritmo circadiano è stato valutato attraverso parametri ben precisi tra cui l’ampiezza, ovvero, la differenza tra il punto di massima e di minima attività; il livello medio di attività durante le ore diurne; la robustezza, cioè la stabilità e non frammentarietà del ritmo; e, infine, la cosiddetta acrofase, una misura del momento della giornata in cui si verifica la massima attività. Nel corso dello studio sono anche stati analizzati eventuali disturbi del sonno. I partecipanti sono stati seguiti nel tempo per 11 anni, valutando l’eventuale insorgenza di malattia. Nel corso del periodo di studio, solo in 78 dei 2930 partecipanti hanno riscontrato il morbo di Parkinson. Analizzando i dati raccolti, gli individui a maggior rischio di sviluppare la malattia erano anche quelli con un ritmo sonno-veglia caratterizzato da minori livelli di ampiezza, robustezza e con un minor livello medio di attività. L’acrofase è risultata mediamente più ritardata nelle persone con malattia di Parkinson. Le associazioni rilevate sono risultate verificate anche dopo aver escluso l’interferenza di disturbi del sonno e di altri fattori come sintomi depressivi, malattie concomitanti, assunzione di alcolici e caffeina.

grafico melationina

Insomma, le anomalie circadiane negli anziani sono associate ad un aumentato rischio di sviluppare la malattia di Parkinson nel tempo? I risultati di questo studio confermano come i disturbi del ritmo sonno-veglia (tra cui addormentamento durante le ore del giorno, disturbi del sonno, insonnia e frammentazione del sonno durante la notte) possano essere un sintomo precoce della malattia di Parkinson, spesso precedente all’insorgenza dei più noti disturbi motori. Non si può escludere, in base alle conoscenze attuali, che le alterazioni del ritmo circadiano siano esse stesse responsabili dello sviluppo della malattia: potenzialmente, la disregolazione dell’orologio biologico potrebbe danneggiare il sistema immunitario o provocare stress ossidativo, contribuendo alla genesi del disturbo. Per analizzare ulteriormente questi meccanismi e verificare la presenza di un nesso causale sono necessari ulteriori studi: se questa correlazione verrà confermata, l’ottimizzazione del ritmo sonno-veglia potrebbe diventare un ulteriore obiettivo terapeutico nella prevenzione e gestione della malattia di Parkinson. Proprio per questo, per contrastare insonnia e disturbi del sonno è fondamentale un buon alleato: scegliere la corretta integrazione per regolarizzare e facilitare la fasi del sonno. Tra i rimedi naturali per il corretto riposo c’è proprio la melatonina. Una molecola naturale antichissima (la sua evoluzione risale a 3 miliardi di anni fa), prodotta dalla ghiandola pineale (epifisi), allocata nell’encefalo, a forma di pigna e presente in qualsiasi organismo animale o vegetale. La sua principale funzione è quella di regolare il ritmo circadiano, laddove l’alternarsi del giorno e della notte inducono variazioni dei parametri vitali.

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

JAMA Neurology "Association of Circadian Abnormalities in Older Adults With an Increased Risk of Developing Parkinson Disease"

MedicalFacts "Malattia di Parkinson: levatacce e ore piccole possono influire?"

Il Messaggero "Il Covid può portare al Parkinson, studio australiano: Sarà la terza ondata della pandemia"

Libero "Coronavirus e Parkinson, la correlazione col morbo: "Questa sarà la vera terza ondata della pandemia"

Io Donna "Post lockdown: 6 bambini su 10 mostrano ansia, irritabilità e disturbi del sonno"

Il Giorno "Effetto Coronavirus: Aumentati i pazienti con disturbi del sonno"

Il Fatto Quitidiano "Parkinson, “un nesso tra infiammazione e la neurotossicità”. Lo studio dell’istituto Mario Negri"

Wired "A causa di Covid-19 potremmo vedere un'ondata di Parkinson"

PubMed "Peripheral inflammation exacerbates α-synuclein toxicity and neuropathology in Parkinson's models"

Biomedicalcue "Parkinson: scoperta la coppia molecolare che frena il morbo"

LEGGI ANCHE: Covid-19. Dalla terza ondata della pandemia al morbo di Parkinson

Dormire bene ai tempi del Covid: post lockdown, + 71% con disturbi del sonno

L'insonnia fa male al cuore: dalle notti tormentate alle patologie cardiovascolari

Infiammazione? Lo stile alimentare che aiuta la prevenzione di tante patologie

Rush University: la cannella per arrestare la progressione del morbo di Parkinson

Studi: la curcuma può curare Parkinson e Alzheimer ma la medicina non studia prodotti a basso costo...

Pubblicato in Informazione Salute

Sono 230 mila le persone affette dal morbo di Parkinson in Italia. Tra questi, sono soprattutto le persone con età media superiore ai 60 anni. Come sappiamo, il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa, che determina la morte delle cellule che sintetizzano e rilasciano la dopamina (un neurotrasmettitore responsabile di numerose funzioni cerebrali). Lunga e silenziosa. Oltre alle conseguenze neurologiche, una forte escalation dell'incidenza del morbo di Parkinson. Secondo alcuni ricercatori spagnoli, l’infezione da coronavirus potrebbe innescare il morbo di Parkinson, proprio come già accaduto in Spagna. Lancia l’allarme il Journal of Parkinson’s Disease dove emerge la paura di alcuni ricercatori dell’autorevole istituto australiano di neuroscienza e salute mentale, Florey Institute of Neuroscience and Mental Health, che temono che i sintomi neurologici indotti dall’infezione di Sars-Cov-2 possano essere solo le prime fasi di un processo infiammatorio del cervello dalle conseguenze ben più gravi. Lo studio, condotto da Kevin Barnham teme una storia già vista circa un secolo fa, quando, dopo la pandemia di influenza Spagnola, l’incidenza di malattia di Parkinson aumentò fino a tre volte. Dalle encefaliti alla perdita di olfatto e gusto. I dati finora raccolti sui sintomi neurologici correlati all’infezione di Sars-Cov-2, sostengono gli autori dell’articolo, suggeriscono che le premesse ci sono tutte e che il rischio sia reale.

Insomma, secondo lo studio, l'infiammazione neurale subita da molte persone positive al Covid-19 potrebbe essere un fattore chiave di rischio di contrarre il Parkinson's. I ricercatori evidenziano come la malattia degenerativa rischia con probabilità di rappresentare la «terza ondata della pandemia di Covid-19 e stimano che in tre persone su quattro con il Covid-19 si riscontrano sintomi neurologici. Sostengono inoltre gli esperti, che i sintomi stessi, che vanno da encefalite a perdita dell'olfatto, sono probabilmente riportati per difetto. Questo potrebbe includere test di olfatto e vista e scansioni cerebrali per identificare sintomi motori. Gli esperti non hanno ancora compreso fino in fondo le modalità usate da Sars-CoV-2 per raggiungere il cervello, ma «è acclarato il fatto che questo si verifichi e può causare danni alle cellule cerebrali innescando un potenziale processo neurodegenerativo» spiega all’Adnkronos il professor Kevin Barnham, del Florey Institute. Tra i principali segnali, proprio la perdita dell'olfatto potrebbe essere un nuovo modo per rilevare il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson, dato che si presenta nel 90% delle persone che hanno contratto il coronavirus e si trovano ancora nella prima fase e che si manifesta circa un decennio prima dei sintomi motori. Attualmente, per diagnosticare la malattia si presta particolare attenzione ai sintomi motori. Tuttavia, «se si aspetta fino a questa fase della malattia di Parkinson per diagnosticare e curare, si perde l'opportunità di adottare terapie neuroprotettive con l'effetto desiderato» sottolineano gli esperti.

Una battaglia che inizia a tavola

Si celebra il 28 novembre, la XII edizione della Giornata Nazionale Parkinson per offrire a tutti informazioni preziose e puntuali su questa malattia così complessa ed eterogenea.

«Nella malattia di Parkinson – evidenzia Christian Orlando, biologo - l'importanza dell’alimentazione è ormai nota a tutti. In presenza di malattie croniche un’alimentazione corretta diventa condizione fondamentale per il benessere dell’individuo e influisce positivamente sull’efficacia della terapia farmacologica e sullo stato di salute generale». Inoltre, «un’alimentazione a basso contenuto di carboidrati insulinici ha un enorme potenziale nella prevenzione e nella gestione delle patologie neurodegenerative come il Parkinson. Gli studi clinici che esplorano l’effetto dei cambiamenti dietetici a livello neuronale sono pochi e lontani tra loro, ma esiste già un’enorme quantità di materiale scientifico che dettaglia come le diete ad alto contenuto di zucchero mettono a repentaglio la salute del cervello e quanto invece, al contrario, le diete a basso contenuto di carboidrati supportano la salute del cervello. Infatti nella patologia del Parkinson la funzione mitocondriale indebolita si suppone sia coinvolta nella morte dei neuroni che forniscono la dopamina. I ricercatori ipotizzano che i corpi chetonici, utilizzati come fonte energetica in caso di ridotto apporto di carboidrati, possono proteggere i mitocondri e sostenere la loro funzione» conclude l’esperto.

Una diversa risposta all’infiammazione di alcune cellule non neuronali, le microgliali rispetto alle astrocitarie, è quanto dimostrato da un nuovo studio, tutto italiano, sul morbo di Parkinson, la ricerca sperimentale pubblicata sulla rivista Neuropathology and Applied Neurobiology è stata condotta da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, in collaborazione con il Dipartimento di Biotecnologia e Scienze della vita dell’Università dell’Insubria. Una novità che forse potrebbe meglio orientare l’approccio terapeutico alla malattia. I test comportamentali, infatti, convergono nell’indicare l’influenza dello stato infiammatorio su fenomeni patologici a livello cerebrale. Inoltre, l’indagine dimostra in due modelli sperimentali distinti che l’infiammazione sistemica contribuisce in maniera determinante ad aggravare il danno cerebrale indotto dall’alfa-sinucleina, la proteina che in forma aggregata svolge un ruolo patologico nel morbo di Parkinson.

Gli effetti sulle cellule neuronali


«Il ruolo dell’infiammazione nelle malattie neuro-degenerative è stato evidenziato in diversi contesti sperimentali e clinici – spiega in un’intervista al Fatto Quotidiano Gianluigi Forloni, capo del Dipartimento di Neuroscienze del Mario Negri e coordinatore dello studio -. Questo studio ha il merito di indicare un possibile meccanismo biologico alla base dell’interazione tra infiammazione sistemica e neuro-degenerazione. I nostri risultati indicano in maniera precisa un nesso tra infiammazione e la neurotossicità indotta dalla proteina alfa-sinucleina che si accumula a livello intracellulare nei cosiddetti corpi di Lewy nel morbo di Parkinson e nelle demenze associate. L’induzione a livello sperimentale di uno stato infiammatorio cronico, non solo aggrava la tossicità neuronale indotta dall’applicazione intracerebrale di alfa-sinucleina, ma amplifica anche il quadro patologico che caratterizza topi transgenici modello di Parkinson». «L’azione sinergica tra alfa-sinucleina e infiammazione – secondo Pietro La Vitola, ricercatore del Mario Negri e primo autore della pubblicazione – produce un danno delle cellule nervose, ma ha un effetto differenziato sulle popolazioni cellulari non neuronali. Infatti, alcune (le cellule microgliali) mostrano un’attivazione amplificata, mentre altre (le cellule astrocitarie) risultano meno coinvolte nel processo infiammatorio o addirittura danneggiate. Questo risultato evidenzia come interventi più specifici sui diversi tipi cellulari, piuttosto che l’utilizzo di anti-infiammatori generici, possano rappresentare una nuova e promettente strategia terapeutica per il morbo di Parkinson». «Nel complesso – conclude Forloni – i nostri risultati devono trovare conferma a livello clinico, ma possono spiegare alcune evidenze già emerse nell’uomo e soprattutto orientare in maniera più mirata l’approccio terapeutico al morbo di Parkinson».

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Il Messaggero "Il Covid può portare al Parkinson, studio australiano: Sarà la terza ondata della pandemia"

Libero "Coronavirus e Parkinson, la correlazione col morbo: "Questa sarà la vera terza ondata della pandemia"

Il Fatto Quitidiano "Parkinson, “un nesso tra infiammazione e la neurotossicità”. Lo studio dell’istituto Mario Negri"

Wired "A causa di Covid-19 potremmo vedere un'ondata di Parkinson"

PubMed "Peripheral inflammation exacerbates α-synuclein toxicity and neuropathology in Parkinson's models"

Biomedicalcue "Parkinson: scoperta la coppia molecolare che frena il morbo"

LEGGI ANCHE: Infiammazione? Lo stile alimentare che aiuta la prevenzione di tante patologie

Rush University: la cannella per arrestare la progressione del morbo di Parkinson

Studi: la curcuma può curare Parkinson e Alzheimer ma la medicina non studia prodotti a basso costo...

Pubblicato in Informazione Salute

Ebbene si! Esiste un’alimentazione in grado di prevenire una lunga serie di condizioni infiammatorie. «Una dieta ‘preventiva’ di tutte le condizioni patologiche figlie del benessere, come il diabete, l’obesità, le patologie cardiovascolari, ma anche il cancro: per questo più che di dieta antinfiammatoria si dovrebbe parlare di stile di vita antinfiammatorio» spiega a Gazzetta Act!ve Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. «Lo stesso Covid-19 – prosegue l’esperta - ha alla base un processo infiammatorio. Un processo che può essere bloccato attraverso una dieta che sia però uno stile alimentare continuo, non un regime che si segue per un breve periodo e poi si abbandona» sottolinea. «Alla base ci sono quegli alimenti che vanno a contrastare i processi infiammatori innescati dallo squilibrio tra citochine pro-infiammatorie e citochine anti-infiammatorie. Ritrovando l’equilibrio si spegne l’infiammazione a livello cellulare». «In realtà ci sono stati infiammatori silenti, asintomatici. Ma se soffriamo di stipsi o di gastrite, per esempio, oppure abbiamo difficoltà a digerire o a dormire, potremmo avere in atto un processo infiammatorio, che può anche diventare cronico. E’ quindi bene bloccarla prima che cronicizzi, ascoltando questi segnali di allarme».

Alimentazione e salute: le virtù curative delle spezie

Lista della spesa alla mano, la nutrizionista ci suggerisce tutti i cibi da mettere nel carrello: «Sono molti gli alimenti che hanno proprietà antinfiammatorie e tra questi, non poteva di certo mancare lo zenzero. Conosciuto per le sue notevoli proprietà antinfiammatorie ed antibatteriche. Non dimentichiamo che le spezie, come dimostra lo studio condotto da un team di ricercatori della Pennsylvania State University, grazie alla capacità di frenare l’infiammazione che è alla base di alcune patologie molto serie, proteggono l’organismo da tumori, diabete e malattie cardiovascolari. La ricerca di questi scienziati, con l’utilizzato di un composto di spezie, nasce con l’obiettivo di studiare l'effetto postprandiale di una miscela di spezie sulle risposte infiammatorie delle citochine. L'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Gli studiosi hanno dimostrato che l’aggiunta spezie riduceva sensibilmente questo rischio. L’indagine pubblicata sulla rivista scientifica The Journal of Nutrition, ha mostrato la capacità di questi ingredienti di apportare benefici per la salute, riducendo l’infiammazione dell'organismo. Precedenti ricerche avevano già collegato le spezie alle notevoli proprietà antinfiammatorie. Infatti, in passato, l'infiammazione cronica era stata associata anche a patologie non trascurabili come il cancro, le malattie cardiovascolari, il sovrappeso e l'obesità.

A tavola con le vitamine del benessere

«Ma anche le verdure in generale sono ricche di polifenoli e carotenoidi, sostanze antinfiammatorie» sottolinea la biologa. Poi ci sono la vitamina C, la vitamina D e la vitamina E che hanno un’azione antinfiammatoria. Alcuni frutti di stagione, come kiwi e melograno, sono ricchi proprio di vitamina C e utili in questo senso. Come prevedibile, in cima alla lista degli ingredienti la regina delle vitamine: la vitamina C. Importante contributo in merito ai benefici di questo nutriente si legge nel libro di adriano panzironi, Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti:

Essa è fondamentale grazie alla sua interazione con gli elementi (enzimi, vitamine, minerali, etc...). Preziosa per la formazione del collagene, permette di migliorare la fase anabolica del nostro corpo, mantenendo il giusto equilibrio con la fase catabolica. La sua presenza è ancora più evidente nei processi di rimarginazione delle ferite, nella cura delle ustioni, nella riparazione delle pareti arteriose (anche dei capillari) e per il buono stato del muscolo cardiaco. È utilizzata dall’industria cosmetica per le creme anti rughe, visto l’effetto protettivo e rigenerativo che ha sulla pelle. Tale vitamina ha ottenuto molti riconoscimenti per la sua funzione antisclerotizzante, agendo su più fronti di questa patologia. Innanzitutto brucia le concentrazioni di grassi che si depositano sulle pareti delle vene e nel contempo partecipa alla riparazione dell’epitelio interno delle arterie, impedendo la riformazione aterosclerotica. Inoltre l’acido ascorbico, riduce del 15-20% il tasso di colesterolo nel sangue. Questa vitamina ha un effetto antitossico. Ma forse l’effetto più conosciuto della vitamina C è quello di contrastare le infezioni batteriche.

fimmu 11 574029 g001

Nella figura il meccanismo schematico in cui una IA di vitamina C potrebbe modulare funzioni specifiche dei neutrofili (ROS e TNFα, mediata da IL-1β), inibendo le vie coinvolte nella formazione della trappola extracellulare dei neutrofili (NETosis) e riducendo la produzione incontrollabile di citochine infiammatorie nell'alveolare spazio. Potenziali effetti sulla riduzione della produzione di citochine sono stati ipotizzati anche nei linfociti e nei macrofagi. ROS, specie reattive dell'ossigeno; NFkB, fattore di trascrizione nucleare kappa B; ┴, stimolo di inibizione; freccia tratteggiata, effetto o produzione ridotti.

E poi c’è un altro alleato prezioso che influenza e rinforza il nostro sistema immunitario. Si legge ancora nel libro:

Le cellule dendritiche, come abbiamo spiegato, hanno il compito d’inglobare l’anti-gene, giungere fino ai linfonodi (dove si trovano i linfociti T vergini), maturare e trasmettere le informazioni del gene da combattere. La vitamina D si lega al recettore (Dvr) e permette la maturazione delle cellule dendritiche, che possono così attivare la duplicazione dei linfociti specifici contro l’anti-gene identificato. La carenza di vitamina D diminuisce il numero di cellule dendritiche mature, allungando il tempo di reazione immunitaria del corpo. E’ per questo motivo che d’inverno esistono le epidemie da influenza. Se ci pensate bene, i virus vivono meglio al caldo e d’estate è molto più facile entrare in contatto con i fluidi corporei (sudiamo di più e siamo più scoperti). Ma nonostante ciò non ci sono epidemie influenzali. Il motivo è che siamo più forti (prendiamo il sole, attivando la vitamina D) ed i virus non riescono a sopraffarci. La vitamina E è assorbita in presenza degli acidi biliari nell’intestino e trasportata nel fegato dove viene depositata. La proprietà più importante di tale vitamina è la capacità antiossidante nella guerra ai radicali liberi. Difatti una molecola è in grado di proteggere dall’ossidazione 1.000 molecole di acidi grassi (polinsaturi e saturi), aumentando del 100% la resistenza all’ossidazione delle lipoproteine. La sua azione antiossidante protegge le cellule dalle mutazioni cancerose. Per ultimo, ma non meno importante, la vitamina E sopprime l’azione di diverse citochine pro-infiammatorie: l’interleuchina 1 (IL1) e 6 (IL6), entrambe responsabili di una serie di patologie croniche. Utilizzata per trattare diverse malattie quali il morbo di Parkinson, le malattie reumatiche, le malattie gastrointestinali, la distrofia muscolare, la sclerosi multipla, l’Alzheimer, le vene varicose, il diabete, la malattia di Crohn, le cefalee, la sindrome mestruale e per il rafforzamento delle difese immunitarie.

L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi

Gli alleati nel contrasto allo stress ossidativo

«E poi semi oleaginosi e frutta secca sono un vero e proprio concentrato di sostanze benefiche: contengono omega 3 e vitamina E» evidenzia la biologa. Tra gli effetti protettivi degli omega 3, tra i più rilevanti, ricordiamo sicuramente l’azione antiaggregante piastrinica o effetto antitrombotico, il controllo del livello plasmatico dei lipidi, soprattutto dei trigliceridi, la riduzione del rischio di problemi cardiovascolare, il controllo della pressione arteriosa mantenendo fluide le membrane delle cellule, e dando elasticità alle pareti arteriose. Per supportare e favorire l’introduzione degli omega 3 sarebbe opportuno consumare dalle 2 alle 3 porzioni settimanali di pesce, in particolare sgombro, merluzzo, pesce spada, tonno, trota, sardina e aringa. Oppure in alternativa di avvalersi del supporto di integratori alimentari. Altra importante fonte di omega 3 sono i semi di lino, valido supporto per sopperire alla carenza di questi preziosi acidi. Tuttavia, ce ne sono altri che sarebbe meglio evitare. «Sicuramente alcolici e bevande zuccherate». Inoltre, un'ultima raccomandazione a tutti gli sportivi. «Chi fa sport ha un livello di infiammazione un po’ più alto a causa dello stress ossidativo prodotto dall’attività sportiva, che produce più citochine infiammatorie. La vitamina C è fondamentale proprio per bloccare l’infiammazione a livello cellulare. Ma in generale gli sportivi dovrebbero seguire un'alimentazione particolarmente ricca di antiossidanti».

OMEGA 3, ecco perché è importante integrarli per la nostra salute

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Gazzetta dello Sport "Ecco la dieta antinfiammatoria, uno stile alimentare per prevenire le patologie dell’era moderna"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"

Frontiers in Immunology “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19

PubMed "Evolution and the need for ascorbic acid"

MDPI "Vitamin C and Immune Function"

Il Messaggero "Covid, influenza stagionale e coronavirus: come distinguere i sintomi in caso di febbre"

Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

Corriere del Mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"

LEGGI ANCHE: Ricerca: ecco le erbe e spezie per curare naturalmente le malattie dell'intestino

Quattro spezie incredibili aiutano a prevenire l'Alzheimer

La dieta con le spezie, un sapore in più e tante proprietà salutari

Vitamina C: rafforza il sistema immunitario e combatte virus e malanni di stagione

L'importanza del sistema immunitario, potente alleato nella guerra contro il virus

 

Pubblicato in Informazione Salute

Oltre 463 milioni di persone (1 su 11) convivono con il diabete. 3 milioni solo in Italia, ma un milione e mezzo non sa di averlo! E le previsioni non sono per niente ottimistiche. Si prevedono, infatti, che il numero di persone affette da questa patologia aumenterà, entro i prossimi dieci anni, a 578 milioni. Ancora oggi, un adulto su due rimane non diagnosticato. Nel 2019, il diabete è stato la causa di 4,2 milioni di morti. Senza tralasciare le conseguenze. Infatti, le lesioni cutanee, portatrici di infezioni anche croniche, possono aggravarsi fino a determinare l'amputazione dell'arto (1 su 5 in Italia). «È importante il ruolo di questa giornata nella sensibilizzazione sul diabete, una patologia in crescita che richiede nuovi approcci terapeutici» commenta all’Adnkronos Giuseppe Seghi Recli, Presidente di Molteni. Inoltre «La comparsa di ulcere da piede diabetico è spia di una condizione clinica particolarmente grave che richiede un inquadramento completo e la definizione di uno specifico percorso di cura» aggiunge nell'intervista all'Adskronos il professor Luigi Uccioli, Policlinico Universitario Tor Vergata di Roma. 

DIABETE: lo stile di vita sostiene prevenzione e remissione

Al via con il World Diabetes Day#WDD2020! La Giornata mondiale del diabete (WDD) viene istituita nel 1991 dalla federazione internazionale del diabete con lo scopo (IDF) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in risposta alla crescente sfida alla salute posta dal diabete. La Giornata Mondiale del Diabete è diventata la Giornata ufficiale delle nazioni Unite con l’approvazione della risoluzione 61/225. Si celebra il 14 novembre di ogni anno, in occasione del compleanno di Sir Frederick Banting che ha scoperto l’insulina insieme a Charles Best nel 1922. La campagna di sensibilizzazione richiama l’attenzione su questioni di fondamentale importanza. Il diabete di tipo 2 è la forma più diffusa, riguarda oltre il 90% dei casi, ed è una patologia cronica caratterizzata da un eccesso di zuccheri nel sangue, iperglicemia, che può causare frequenti complicanze cardiovascolari e renali, precoci e spesso fatali, come lo scompenso cardiaco e l’insufficienza renale. «Il progetto nasce proprio dall’esigenza di rispondere ad un bisogno importante di conoscenza di molti soggetti affetti da diabete di tipo 2 – spiega all’Adnkronos Agostino Consoli, presidente eletto della Sid –. Molte persone con diabete non sono fino in fondo consapevoli della gravità di questa malattia». La campagna di comunicazione si fa portavoce di un messaggio educativo estremamente importante: «il diabete – precisa Consoli - è una malattia cronica ed è fondamentale che i pazienti si prendano a cuore la propria patologia».

Alimentazione: tra cura e prevenzione

Parola chiave: prevenzione! Una soluzione che si è trasformata in un problema in era Covid, con gli ospedali saturi e le terapie intensive al collasso. Da qui l’importanza di prevenire questa patologia per evitare le eventuali complicanze. Oggi più che mai, soprattutto in piena emergenza sanitaria. Infatti, lo scompenso cardiaco è una delle complicanze più precoci nei soggetti con diabete di tipo 2 e tra le prime cause di ospedalizzazione nel nostro Paese, associata purtroppo a un elevato rischio di mortalità a 5 anni dalla diagnosi. Inoltre, circa il 40% dei pazienti diabetici sviluppa nefropatia che quando si manifesta è spesso in una fase troppo avanzata per poter intervenire. «Queste complicanze impattano notevolmente sulla qualità di vita dei pazienti – evidenzia in un’intervista all’Aknkronos Paolo Di Bartolo, presidente Amd – e la prevenzione rappresenta uno strumento fondamentale per contrastarle. La sfida di oggi, infatti, non è la cura della malattia conclamata, ma una sua corretta gestione per prevenire tempestivamente le complicanze nei numerosissimi pazienti che presentano almeno un fattore di rischio, come l’ipertensione, l’abitudine al fumo o dislipidemia. Il controllo medico diventa quindi parte integrante della terapia e la collaborazione dei pazienti diabetici nel richiedere una consulenza costante risulta importantissima».

DIABETE: ecco come mangiare per stare meglio

Un tema delicato quello del diabete, ma soprattutto una malattia da non trascurare. «Il diabete di tipo 2 è una patologia metabolica caratterizzata da glicemia elevata in un contesto di insulino-resistenza ed insulino-deficienza relativa e rappresenta circa il 90% dei casi di diabete. Questo viene inizialmente trattato con l’aumento dell’esercizio fisico e con modifiche nella dieta» spiega Christian Orlando, biologo e nutrizionista. «Fino a un secolo fa – continua l’esperto - l’alimentazione con un ridotto contenuto di carboidrati (massimo 20/25 gr al giorno) rappresentava uno standard per la cura del diabete tipo 1 e tipo 2, in quanto la restrizione di carboidrati produce spesso un rapido e notevole miglioramento clinico. Poi, la scoperta dell’insulina nel 1920 ha permesso il controllo dell’iperglicemia in persone diabetiche consentendo ai pazienti di mangiare una quantità maggiore di carboidrati senza però considerare gli effetti collaterali dovuti alla notevole quantità di insulina somministrata». Il biologo cita anche una relazione dell’ADA ( American Diabetes Association) del 2019, secondo cui «le diete a basso contenuto di carboidrati hanno dimostrato un miglioramento della glicata e la minor quantità di antidiabetici orali somministrati nei pazienti con diabete tipo 2». «Nelle persone con diabete di tipo 2 all’esordio, alcuni studi hanno inoltre dimostrato che tale alimentazione porta ad un miglioramento della funzione delle cellule beta del pancreas secernenti insulina e una riduzione dell’insulino-resistenza con miglioramento del compenso glicemico» conclude Orlando.

Lo zucchero ci rende più vulnerabili ai virus

Il 43,9% dei soggetti deceduti per Covid avevano il diabete. Il report del 20 marzo, dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sui pazienti deceduti in Italia, conferma la probabilità di maggiore mortalità in presenza di diabete. Mentre, il 48,6% presentava 3 o più patologie croniche. Secondo il Current Diabetes Review «il diabete di tipo 2 può «aumentare l’incidenza delle malattie infettive e delle comorbilità correlate». E anche se questi non hanno maggiore probabilità di essere contagiati, rischiano sicuramente più degli altri di sviluppare gravi complicanze, una volta contratto il virus. È la conclusione di un équipe di ricercatori dell’Università di Padova. La ricerca, pubblicata sul Journal of Endocrinological Investigation, dimostra come i pazienti diabetici, soggetti a un aggravamento del quadro clinico in presenza di qualsiasi malattia acuta, nel caso di infezione da SARS-CoV2 hanno un rischio di prognosi peggiore della patologia, rispetto a quella degli altri soggetti infetti non diabetici. L’interconnessione tra Covid e diabete è dovuto all’enzima attraverso cui il virus entra nelle cellule delle vie respiratorie è lo stesso espresso nelle cellule del pancreas e del fegato, e il paziente portatore di entrambe le malattie presenta indici coagulativi, marcatori infiammatori e proteina C reattiva con più alti livelli nel sangue rispetto ai soggetti positivi al Coronavirus, ma senza diabete. Inoltre, le “abituali” complicanze causate dal diabete come neuropatie, retinopatie, arteriopatie e nefropatie, oltre a una maggiore predisposizione a contrarre patologie batteriche e virali durante la infezione Covid 19 si riacutizzano, peggiorando la già critica situazione clinica.

«Alti livelli di zucchero nel sangue per un lungo periodo di tempo possono effettivamente deprimere il sistema immunitario, quindi non risponde più rapidamente al virus quando entra nel corpo e ha più tempo per replicarsi, scendere ai polmoni e causare i problemi legati alla respirazione che possono portare alla necessità di cure ospedaliere» spiega Amir Khan, affermato specialista ed esperto nella patologia del diabete di tipo 1 e 2. L’esperto fa poi riferimento ai dati diffusi dalla Cina che mostrano, nei primi 44.672 casi positivi, le persone che avevano malattie cardiovascolari, precedenti infarti o ictus, avevano un tasso di mortalità più alto  (10,5%). «In Cina, dove la maggior parte dei casi si è verificata finora, le persone con diabete avevano tassi molto più alti di complicanze gravi e morte rispetto alle persone senza diabete» spiega l’American Diabetes AssociationTuttavia, a peggiorare il quadro clinico, come evidenziato nel report dell’ISS, contribuiscono anche alcuni farmaci ad uso comune. Gli Ace inibitori, molecole con effetti antipertensivi che agiscono sulla funzionalità cardiaca ostacolando l'insorgenza della insufficienza renale, influenzano negativamente l’evoluzione dell’infezione.

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE 120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Adnkronos "Diabete in era Covid, più disagi in passaggio da pediatra a specialista"

Adnkronos "Settimana del Diabete: a novembre consulti gratis in 40 centri italiani"

Adnkronos "Molteni per la Giornata Mondiale del Diabete"

 Libero "Coronavirus, Melania Rizzoli: Perché chi soffre di diabete rischia più degli altri malati"

Giornale di Sicilia "Coronavirus: il diabete è un fattore di rischio"

Ok Benessere e Salute "Coronavirus: chi ha il diabete rischia di più di contrarre l’infezione?"

Blitz Quotidiano "Coronavirus, diabete fattore di rischio? Lo dice uno studio cinese"

Centro Meteo Italiano "Coronavirus, i sintomi più gravi potrebbero colpire chi soffre di diabete | Le parole dell’esperto"

Focus Tech "Covid-19 potrebbe causare sintomi peggiori sulle persone con diabete"

Tuo Benessere "CORONAVIRUS E DIABETE: C’È CORRELAZIONE?"

LEGGI ANCHE: Diabete e coronavirus: la disfunzione immunitaria rende più vulnerabili alle infezioni

Tutta l’amara verità sullo zucchero: dai rischi per la salute alla dipendenza

Pubblicato in Informazione Salute

Sgusciate, tostate, al naturale o salate. Laddove il piacere incontra il benessere. Perché mangiare bene è il primo passo per vivere in salute. Ricche di proprietà benefiche. Stiamo parlando proprio delle arachidi, i semi di una tipica pianta brasiliana, conosciuta anche con il nome di “nocciola americana” o “pistacchio di terra”. Dallo snack spezza fame all’aperitivo, grazie ai tanti benefici, questo alimento contribuisce al benessere del nostro organismo. Un pugno di frutta secca al giorno allunga la vita. Ad avvalorare la testi, diversi studi scientifici che hanno confermato le proprietà benefiche delle arachidi. Secondo queste ricerche, l’elisir di lunga vita è una manciata di frutta secca. Un’altra indagine condotta su 200 mila persone tra Cina e Stati Uniti ha dimostrato che un più alto consumo di arachidi porta ad una riduzione del tasso di mortalità causato, in particolare, da ictus. Il consumo di frutta secca riduce, quindi, anche il rischio di malattie cardiovascolari. E ancora, le arachidi sono ricche di fibre, proteine e minerali come calcio e magnesio. In sintesi, le noccioline, sono alimenti piuttosto grassi e fonte di proteine. Considerate tra i cibi in assoluto più ricchi di amminoacido fenilalanina, discreto, invece, il contenuto di purine. Inoltre, l'abbondante presenza di fibra alimentare delle noccioline le rende un buon alimento preventivo e curativo per stipsi o stitichezza. Infine, le arachidi si prestano alla dieta del celiaco, dell'intollerante al lattosio e all'istamina. In Italia, la porzione media consigliata di arachidi è di circa 30 g (crude, 170 Kcal), purchè rimanga inalterata la percentuale dei macronutrienti energetici o l'apporto di calorie totali. Negli USA la Food and Drug Administration (FDA) ne consiglia 1,5 once (42 g circa).

Ecco perchè gli "Omega 6" sono un pericolo per la nostra salute

Fonte di grassi insaturi, i cosiddetti grassi “buoni” per la salute, a differenza di alcuni saturi che danneggiano il nostro organismo. Considerata la continua ricerca di alimenti che possano riequilibrare il rapporto di omega 3 e omega 6, questi acidi grassi insaturi vengono assunti nella nostra dieta attraverso i cibi che li contengono, oppure sotto forma di olio tramite i condimenti. I grassi insaturi infatti sono prevalentemente contenuti negli oli, tra cui il più noto è quello d’oliva. Tra questa tipologia di grassi la troviamo anche negli omega 3 e gli omega 6, il cui rapporto è, non solo importante, ma fondamentale per il corretto funzionamento del nostro metabolismo. «Per il corretto funzionamento del nostro organismo, il rapporto tra omega 6 e omega 3, deve essere inferiore o uguale a 4 come riporta l’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) che evidenzia come bisognerebbe consumare ogni quattro grammi di omega 6 almeno un grammo di omega 3» sottolinea Christian Orlando, biologo. Ad esempio, gli arachidi sono un cibo ricco di omega 6, ma se associati a un altro alimento ricco di omega 3, come la farina di semi di lino, il rapporto tra i due sarà positivo. L’omega 3 si trova principalmente in alimenti di origine animale, come il pesce, e di origine vegetale come noci, arachidi e mais. Gli omega 6 si trovano principalmente negli alimenti di origine vegetale. Questi acidi grassi contribuiscono ad abbassare il livello di colesterolo nel sangue. L’arachide, ricca di potassio, magnesio, niacina e arginina, regola la pressione arteriosa e protegge il normale funzionamento del nostro cuore. Tuttavia, la raccomandazione è quella di consumarle al naturale, ovvero non sgusciate e non salate, senza esagerare e preferibilmente abbinate ad alimenti con un alto contenuto di Omega 3, perché queste noccioline sono alimenti ipercalorici, anche se nello stile di vita Life 120 le calorie non sono considerate.

Omega 01app gallery

Una manciata di frutta secca allunga la vita

Le noccioline sono note anche per l'ottimo contenuto di polifenoli con azione antiossidante. Ma come in tutte le cose c’è anche l’aspetto negativo. Oltre all’eccessiva presenza di calorie sono sconsigliate nei soggetti con sovrappeso o obesità. Inoltre, pur contenendo un alto livello di acidi grassi polinsaturi omega 6, utili nella terapia alimentare contro l'ipercolesterolemia, questi sono prevalentemente costituiti da acido arachidonico, un acido grasso semi essenziale con una forte predisposizione ad aumentare i livelli serici di eicosanoidi pro infiammatori – coinvolti nell'aumento del rischio cardiovascolare. Come detto, i lipidi hanno una prevalenza di acidi grassi insaturi-polinsaturi, con una notevole concentrazione di acido arachidonico – omega 6 semi essenziale – le proteine sono a medio valore biologico e i glucidi non solubili o parzialmente solubili (amido e maltodestrine). Nonostante le noccioline contengano proteine a valore biologico incompleto, si distinguono per il notevole apporto di lisina, glutammina e arginina; quest'ultima è un amminoacido precursore dell'ossido nitrico, importante per il sistema immunitario e molto utilizzato nell'integrazione alimentare. Dal punto di vista minerale, le noccioline si possono considerare ricche di: calcio, ferro, magnesio, manganese, fosforo, potassio e zinco. Le noccioline hanno un'elevata concentrazione di fibre alimentari, rappresentate quasi totalmente da molecole insolubili. Assenti poi all’appello: colesterolo, lattosio e glutine.

OMEGA 3, ecco perchè è importante integrarli per la nostra salute

«Le arachidi hanno varie proprietà e benefici. Innanzitutto sono una buona fonte di proteine vegetali infatti contengono infatti molti amminoacidi tra cui l’arginina importante per la crescita ed utile per mantenere l’organismo efficiente ed in salute. Sono fonte anche di sali minerali (in particolare magnesio, potassio, zinco, fosforo, manganese e rame), vitamine (soprattutto vitamina E), fibre e grassi buoni come l’acido oleico e sono anche prive di colesterolo. Inoltre è anche un alimento molto ricco di antiossidanti (polifenoli) capaci di ritardare l’invecchiamento cellulare» spiega Christian Orlando, biologo. «Contengono anche la vitamina PP – evidenzia l’esperto - che ha un’azione protettiva nei confronti della circolazione sanguigna e del sistema nervoso». «Le proprietà delle arachidi – sottolinea Orlando - sono state confermate da diversi studi scientifici come quello pubblicato sull’Internation Journal of Epidemiology secondo cui basta mangiare una piccola manciata di frutta secca al giorno per vivere più a lungo. La ricerca è stata condotta su un campione di 120mila persone e si è visto che chi mangiava almeno 10-15 grammi di noci o arachidi ogni giorno (il corrispondente di una mezza manciata) vedeva ridurre il rischio morte per alcune gravi malattie». «La conferma di questo effetto protettivo nei confronti di alcune malattie – prosegue il biologo - arriva poi da un altro studio condotto su circa 200mila persone tra Stati Uniti e Cina che ha visto come ad un maggiore consumo di noci e arachidi corrisponda anche un più basso tasso di mortalità soprattutto causata da ictus». «Un articolo apparso recentemente sulla rivista Journal of Neurology, Neurosurgery and Psychiatry, ha spiegato come la niacina, sostanza presente in questi frutti, costituirebbe un valido aiuto per quanto riguarda la prevenzione dell’Alzheimer» conclude Orlando.

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Il Giornale del Cibo "Arachidi: valori nutrizionali,caratteristiche e proprietà"

Cosmopolitan "Scopri le proprietà delle arachidi e perché poche fanno bene"

Fondazioni Veronesi "Noci e arachidi proteggono il cuore"

My Personal Trainer "Noccioline: Proprietà Nutrizionali, Ruolo nella Dieta e Come Usarle in Cucina"

Corriere della Sera "Omega-3"

Codice Paleo "Acidi grassi polinsaturi Omega-3 ed Omega-6: rischi e benefici"

Donna Moderna "Omega 3: benefici e controindicazioni"

URV "A study identifies the mechanism by which eating fish reduces the risk of cardiovascular disease"

Notizie Scientifiche "Omega-3 del pesce riduce rischio di malattie cardiovascolari modulando lipoproteine"

Ragusa News "Omega-3: perché inserirli nella dieta"

Journal of the American Heart Association (JAHA) "Habitual Fish Consumption, n‐3 Fatty Acids, and Nuclear Magnetic Resonance Lipoprotein Subfractions in Women"

Il Fatto Alimentare "Omega 3: guida al consumo degli acidi grassi essenziali molto presenti nel pesce azzurro e nel salmone e pochissimo nei filetti di sogliola"

Il Giornale "Gli integratori omega 3 salvano cuore, mente e portafogli"

Prima Lodi "Che cosa sono gli Omega 3 e a cosa servono"

Prima Milano Ovest "I benefici degli Omega 3, fra pesce, frutta e verdura"

LEGGI ANCHE: Omega 3 contro omega 6: salutari se il rapporto è minore o uguale a 4

Mangiare pesce contrasta le malattie cardiovascolari: tutto merito degli omega 3

Columbia University: ecco il perché gli omega 3 proteggono dall'Alzheimer

Cibi ricchi di omega 3 aiutano a combattere la stanchezza

Ricerca: i semi di lino ottimi per abbassare il colesterolo e ricchi di omega 3...

Ricercatori: per infiammazione e depressione, consigliata integrazione con Omega 3

 

Pubblicato in Informazione Salute

Povera di carboidrati e ricca di grassi. Ecco i notevoli benefici che si possono ottenere con questo stile alimentare. Dalla riduzione dell’infiammazione alla perdita di peso e alla salute del cuore. Secondo uno studio condotto dall'Università della California San Francisco (UCSF) la dieta con una minima presenza di carboidrati, avrebbe un impatto decisivo sui microbi che risiedono nell'intestino umano, collettivamente indicati come il microbioma. Indagini più recenti ricerche sui topi hanno dimostrato che i cosiddetti "corpi chetonici", un sottoprodotto molecolare. Questi, incidono direttamente sul microbioma intestinale spegnendo definitivamente l'infiammazione. Questo processo avviene perché, in questo regime alimentare, il consumo di carboidrati è drasticamente ridotto al fine di costringere l’organismo ad alterare il suo metabolismo usando molecole di grasso, invece dei carboidrati, come fonte di energia primaria. Teoria - quella dei grassi utilizzati per l'energia necessaria all'organismo - ampiamente supportata e dimostrata nello stile Life 120 ideato da Adriano e Roberto Panzironi.

I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?

Un cambiamento che comporterebbe numerosi benefici per la salute. «Mi sono interessato a questa domanda perché la nostra ricerca precedente ha dimostrato che le diete ricche di grassi inducono cambiamenti nel microbioma intestinale che promuovono malattie metaboliche e di altro tipo nei topi, eppure le diete chetogeniche, che sono ancora più elevate nel contenuto di grassi, sono state proposte come un modo per prevenire o persino curare le malattie» evidenzia Peter Turnbaugh, Ph.D., professore associato di microbiologia e immunologia dell'UCSF, membro del Centro di medicina microbiomica UCSF e ricercatore di biochimica Chan Zuckerberg. L’esperto spiega così le motivazioni che hanno spinto l’équipe di ricercatori ad esplorare quella sconcertante dicotomia. Come già detto, la dieta chetogenica è un regime alimentare che prevede una drastica riduzione di carboidrati, costringendo l’organismo a utilizzare i grassi come fonte di energia. In questo modo, si avvia un processo chiamato chetosi, proprio perché si formano molecole definite corpi “chetonici”, utilizzati dal cervello.

 Il segreto del benessere

Nello studio pubblicato su Cell, in collaborazione con la con la no profit Nutrition Science Iniziative, gli scienziati hanno monitorato, per due mesi, le diete e il livello di esercizio di 17 persone. Per le prime quattro settimane, ai partecipanti è stata somministrata una dieta “standard” composta per il 50% da carboidrati, 15% da proteine e il restante 35% da grassi o una dieta formata per il 5% di carboidrati, 15% di proteine e l’80% di grassi. Dopo quattro settimane, sono state scambiate le diete per consentire ai ricercatori di indagare l’alterazione dei microbiomi dei partecipanti a seguito dello spostamento tra i due stili alimentari. L'analisi del DNA microbico riscontrato nei campioni di feci dei partecipanti ha mostrato che lo scambio tra le due diete aveva cambiato drasticamente le proporzioni di phyla actinobacteria, bacteroidetes e firmicutes nell'intestino dei partecipanti, oltre a cambiamenti rilevanti in 19 diversi generi batterici.

Gli scienziati si sono concentrati su un particolare genere batterico, il bifidobatteri probiotici, ovvero quello che ha risentito maggiore della dieta povera di carboidrati e, per contro, ricca di grassi. Tuttavia, i ricercati hanno indagato su come, i cambiamenti microbici di quest'alimentazione, potevano incidere in modo positivo sulla salute. Gli esperti hanno quindi sottoposto l'intestino del topo a diversi componenti di microbiomi umani che reagiscono alle diete con una scarsa quasi prive di carboidrati, dimostrando così che, queste popolazioni microbiche alterate, riducono sensibilmente il numero di cellule immunitarie Th17. Questa tipologia di cellule T risulterebbe critica per combattere le malattie infettive, ma funzionale per accentuare l'infiammazione nelle malattie autoimmuni. Ai topi, poi, è stata sostituita l’alimentazione a basso contenuto di grassi, con una ad alto contenuto di grassi e basso di carboidrati (dieta chetogenica). Nell’indagine, è stato riscontrato che il microbioma risponde diversamente quando il livello di grasso nella dieta degli animali aumenta a livelli tali da promuovere la produzione di chetoni in assenza di carboidrati. I ricercatori hanno osservato che mentre le diete degli animali venivano invertite, anche i loro microbi iniziavano a spostarsi, in correlazione a un graduale aumento dei corpi chetonici.

Come la pasta può influenzare la salute, ecco gli approfondimenti scientifici

I ricercatori hanno testato i corpi chetonici per comprendere se da soli potevano guidare i cambiamenti che evidenziati nell'ecosistema microbico dell'intestino alimentando direttamente i corpi chetonici nei topi e hanno scoperto che, anche nei topi, la presenza di chetoni aggiunti era sufficiente per innescare cambiamenti microbici specifici osservati con l’applicazione dei questa dieta. «Questa è una scoperta davvero affascinante - sostiene Turnbaugh - perché suggerisce che gli effetti delle diete sul microbioma non riguardano solo la dieta stessa, ma il modo in cui la dieta altera il metabolismo del corpo, che quindi ha effetti a valle sul microbioma». «Per molte persone, mantenere una rigorosa dieta a basso contenuto di carboidrati o chetogenica è estremamente impegnativo, ma se studi futuri scopriranno che ci sono benefici per la salute derivanti dai cambiamenti microbici causati dagli stessi corpi chetonici , che potrebbero rendere un approccio terapeutico molto più appetibile» conclude il ricercatore.

I tre principi della nutrizione

Questo schema nutrizionale che si basa sui seguenti principi: un regime alimentare ipocalorico, una dieta low carb a bassissimo contenuto di carboidrati, ma per contro ad elevato contenuto di grassi e proteine.Questa dieta chetogenica è una strategia nutrizionale basata sulla riduzione, seppur drastica, dei carboidrati alimentari, obbligando così l'organismo a produrre autonomamente il glucosio necessario alla sopravvivenza e ad aumentare, al tempo stesso, il consumo energetico dei grassi contenuti nel tessuto adiposo. La produzione energetica cellulare avviene con la metabolizzazione di alcuni substrati, in particolare il glucosio e gli acidi grassi. Per lo più, questo processo inizia nel citoplasma (glicolisi anaerobica) e termina nei mitocondri (ciclo di Krebs). Tuttavia, anche se a colpo d'occhio, lo stile Life 120 sembrerebbe adottare lo stesso regime alimentare della dieta chetogenica, tra le due ci sono differenze sostanziali. a differenza del Keto, l'alimentazione suggerita da Life 120 non porta alla chetosi poichè prevede un apporto di carboidrati di provenienza da verdure (consumate a sazietà durante i pasti) e della frutta (uno al mattino). Inoltre, prevede anche una quantità di zuccheri giornaliera, funzionale ai soli due organi che utilizzano lo zucchero come fonte di energia, ovvero cuore e cervello.

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Medical Xpress "Ketogenic diets alter gut microbiome in humans, mice"

Il Messaggero "Dieta chetogenica, può avere effetti benefici nelle persone che soffrono di asma"

The Italian Times "Dieta chetogenica: cos'è, come funziona ..."

My Personal Trainer "Dieta Chetogenica: Cos'è?"

Di Lei "Mal di testa. La dieta chetogenica può venire in aiuto"

Everyeye "Un nuovo e interessantissimo studio esamina un beneficio della dieta chetogenica"

LEGGI ANCHE: Dieta senza carboidrati: un toccasana per asma e altre patologie

Addio carboidrati: contro il tumore al colon basta ridurre zuccheri e amidi

Pubblicato in Informazione Salute

Al via con la ricetta del benessere. Una miscela di spezie per vivere in salute. Dai tanti benefici alla riduzione dell’infiammazione per l’organismo. Quindi, non solo per rendere più gustosa una pietanza. Non dimentichiamo che le spezie, come dimostra lo studio condotto da un team di ricercatori della Pennsylvania State University, grazie alla capacità di frenare l’infiammazione che è alla base di alcune patologie molto serie, proteggono l’organismo da tumori, diabete e malattie cardiovascolari. La ricerca di questi scienziati, con l’utilizzato di un composto di spezie, nasce con l’obiettivo di studiare l'effetto postprandiale di una miscela di spezie sulle risposte infiammatorie delle citochine. L'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di grassi saturi e alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Gli studiosi hanno dimostrato che l’aggiunta spezie riduceva sensibilmente questo rischio.

L’indagine pubblicata sulla rivista scientifica The Journal of Nutrition, ha mostrato la capacità di questi ingredienti di apportare benefici per la salute, riducendo l’infiammazione dell'organismo. Nello specifico, i ricercatori hanno scoperto che quando i partecipanti allo studio consumavano un pasto con l’aggiunta di sei grammi di una mescolanza di spezie, questi manifestavano marcatori di infiammazione più bassi rispetto a un pasto privo di queste sostanze. Gli studiosi hanno utilizzato un miscuglio a base di basilico, alloro, pepe nero, cannella, coriandolo, cumino, zenzero, origano, prezzemolo, peperoncino, rosmarino, timo e curcuma. Ognuna con notevoli proprietà e combinate per ottenere il massimo dei benefici. E laddove non è possibile sfruttare queste proprietà con una sana ed equilibrata alimentazione, c'è sempre la corretta integrazione.

La miscela per vivere in salute

La ricerca è stato condotta su 12 uomini di età compresa tra i 40 e i 65 anni, in sovrappeso o obesi e con almeno un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. A tutti i partecipante sono stati somministrate tre versioni di un pasto ricco di grassi saturi e carboidrati in tre giorni separati: uno senza spezie, uno con due grammi di miscela di spezie e uno con sei grammi di miscela di spezie. I ricercatori hanno poi prelevato campioni di sangue prima e dopo ogni pasto, per rilevare i parametri infiammatori. Dopo aver analizzato questi valori, gli esperti hanno scoperto che le molecole infiammatorie chiamate “citochine” sono state ridotte dopo il pasto contenente sei grammi di spezie rispetto al pasto che ne conteneva una quantità inferiore o nessuna. Sei grammi, hanno spiegato i ricercatori, sono approssimativamente l’equivalente di un cucchiaino o di un cucchiaio, a seconda delle modalità di disidratazione.

Spezie utili per la salute: curcuma, zenzero, cannella e peperoncino

Precedenti ricerche avevano già collegano le spezie alle notevoli proprietà antinfiammatorie. Infatti, in passato, l'infiammazione cronica era stata associata anche a patologie non trascurabili come il cancro, le malattie cardiovascolari, il sovrappeso e l'obesità, che colpiscono circa il 72% della popolazione americana. Inoltre, in studi più recenti, gli scienziati hanno scoperto che l'infiammazione dell’organismo potrebbe aumentare, dopo un pasto, a seguito del consumo di una quantità eccessiva di grassi o zucchero. Le spezie, stando a quanto dimostrato in queste ricerche, hanno la capacità di inibire la crescita dei tumori, prevenire danni al DNA e mutazione cellulare.

Alimentazione e salute: le virtù curative delle spezie

Una pratica ben consolidata che affonda le sue radice nella notte dei tempi. Dagli egizi agli antichi romani. Infatti, non tutti sanno che quando non esistevano ancora le medicine, i dottori che curavano le persone con rimedi naturali, venivano chiamati “speziali”. Ma non solo. Fonti di vitamine, minerali e antiossidanti, oltre a depurare e proteggere l’organismo, sono in grado di lavorare con il metabolismo nella combustione dei grassi e garantendo il senso di sazietà per un periodo di tempo maggiore. Questo processo si innesca attraverso la funzione termogenica, ovvero con un aumento della temperatura corporea.

Rimedi naturali e dove trovarli

cumino

Cumino:

Utilizzato dai fenici sia tavola che come rimedio para medico, il cumino, oltre alla sua notevole peculiarità di insaporire la carne alla brace è anche efficace per alleviare le coliche addominali. Ottimo digestivo e prezioso per curare l’intestino e rafforzarne le difese immunitarie, grazie alle sue proprietà antibatteriche e virali.

curcuma

Curcuma:

Non solo come ingrediente principale del curry, la curcuma, è infatti rinomata da sempre, grazie al suo costituente attivo, la curcumina, noto antiossidante e antinfiammatorio per antonomasia. Apprezzata per contrastare crampi, dolori muscolari e reumatici, artrite, problemi digestivi e stress e riconosciuto come rimedio naturale contro il colesterolo alto. Da non trascurare poi, la sua capacità di rallentare processi e malattie dell’invecchiamento correlati all’infiammazione.

zenzer

Zenzero:

Dolci, salati e bevande. Estremamente versatile in cucina veniva consumato già nell’antichità per combattere nausea e vertigini. Oggi è diffuso soprattutto come tisana brucia grassi, nonché ottimo rimedio naturale contro influenza, raffreddore e mal di gola. Lo zenzero, comunemente noto come potente rimedio per il mal di pancia e forte antinfiammatorio capace di contrastare infiammazioni come la proteina C reattiva. Valida difesa contro l’ulcera e ottimo supporto per alleviare dolori mestruali e diarrea. Ricco vitamina B6 e vitamina C e di minerali come potassio, rame, manganese, magnesio, niacina, fosforo e ferro.

Chiodi di garofano

Chiodi di garofano:

L’ingrediente fondamentale di una delle bevande estive più conosciute: la sangria. I chiodi di garofano sono tra i più antichi rimedi per il mal di denti. Potenti antiossidanti e difensori del sistema cardio circolatorio sono ricchi di vitamina A e vitamina C

cannella

Cannella:

Ricca di capacità antiossidante e ottima per corpo e mente. È il turno della cannella che aiuta a rallentare il processo di invecchiamento, ridurre lo stress ossidativo e liberare il corpo dalle tossine. Alcuni studi hanno dimostrato che questa spezia potrebbe contrastare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson proteggendo i neuroni nel nostro cervello e inibendo le proteine collegate a queste malattie. Preziosa anche per la gestione dei livelli di zucchero nel sangue e di insulina. Oltre a garantire tanti benefici per una pelle più sana e bella.

peperoncino

Peperoncino:

Da non dimenticare, poi, il peperoncino, oltre all’interessante binomio con il cioccolato fondente è anche un potente alleato per alleviare i sintomi del mal di gola e dell’influenza, riduce il gonfiore dovuto alla presenza di aria nell’intestino.

salvia

Salvia:

La salvia, la spezia della mente, ricca di vitamina K, è raccomandata per normalizzare i livelli del colesterolo e per aumentare la capacità cognitiva e fornire, quindi, una maggiore spinta celebrale. Ottima alleata per aumentare il ricordo e la conservazione della memoria. Importante migliorare la glicemia nei soggetti i diabetici e per trattare i sintomi della menopausa.

prezzemolo

Prezzemolo:

Concentrato di nutrizione, antiossidanti e ricco di vitamina A, B, C, K e ferro. È la volta del prezzemolo. Fondamentale per ridurre i danni dei radicali liberi e i marcatori di stress ossidativo. Fonte di un minerale prezioso come il calcio, è considerata una pianta chemioprotettiva grazie alle sue proprietà in grado di combattere i danni al DNA. Alleato dei reni, agisce come diuretico naturale, fondamentale anche come antibatterico e antimicotico.

RIPRODUZIONE RISERVATA LIFE120 © Copyright A.R.

Per approfondimenti:

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"

MSN "I benefici delle spezie nell'alimentazione sana"

Letto Quotidiano "Spezie ed erbe aromatiche in cucina che hanno benefici sulla tua salute"

Proiezioni di Borsa "Lasciare nel cassetto le medicine e curarsi con le spezie"

LEGGI ANCHE: Ricerca: ecco le erbe e spezie per curare naturalmente le malattie dell'intestino

Ricerche confermato impiego della curcuma nel trattamento del cancro

Ricerca: ecco erbe aromatiche e spezie per prevenire il cancro

Ricercatori: la cannella riduce la reazione delle allergie

Quattro spezie incredibili aiutano a prevenire l'Alzheimer

La dieta con le spezie, un sapore in più e tante proprietà salutari

 

Pubblicato in Informazione Salute