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Contro il Covid? Mangiamo meno carboidrati! Un’alimentazione non solo efficace per una rapida riduzione della massa grassa e delle complicanze metaboliche dell'obesità, oltre a fornire un apporto nutrizionale adeguato potrebbe ridurre addirittura i rischi delle complicanze da Covid-19. È quanto mostra un recente studio del San Raffaele sul regime alimentare che riduce in modo drastico i carboidrati aumentando, per contro, le proteine e soprattutto i grassi. Lo scopo principale di questo stile alimentare è costringere l’organismo a utilizzare i grassi come fonte di energia primaria. Al contrario di quanto avviene in presenza di carboidrati, infatti, tutte le cellule ne utilizzano l’energia per svolgere le loro attività. Ma se questi vengono ridotti al minimo o eliminati completamente, cominciano a utilizzare i grassi. Si avvia quindi un processo chiamato chetosi, perché porta alla formazione di molecole chiamate corpi chetonici, questa volta utilizzabili dal cervello. In genere la chetosi si raggiunge dopo un paio di giorni con una quantità giornaliera di carboidrati di circa 20-50 grammi, ma queste quantità possono variare su base individuale. Oggi il successo di una dieta così strutturata, è legato soprattutto alla sua efficacia nel ridurre il peso, ma non si tratta di un regime alimentare semplice da seguire. Difatti, basta sgarrare anche di poco con i carboidrati per bloccare il processo di chetosi e, di conseguenza, indurre l’organismo a utilizzare nuovamente la sua fonte energetica preferita: gli zuccheri.  

La continua lotta al coronavirus sta ponendo una seria sfida ai sistemi sanitari di tutto il mondo, con un enorme impatto sulle condizioni di salute e sulla perdita di vite umane. In particolare, l'obesità e le relative comorbidità sono strettamente correlate ai peggiori esiti clinici del Covid. Nonostante l'attuale tasso di mortalità sia del 7,6%, l'emergere di un gran numero di pazienti contagiati in un breve periodo di tempo ha determinato rilevanti difficoltà. Tra i fattori di maggior rischio SARS-CoV-2, numerosi studi, nel corso di questi mesi, hanno identificato una specifica associazione di mortalità con età avanzata e presenza di comorbidità. Alcune di queste patologie sono legate al comportamento dello stile di vita, quindi dovrebbe essere raccomandato di intervenire su questi fattori di rischio per migliorare i risultati in caso di contagio e ridurre l'impatto sulla salute di possibili nuovi focolai futuri. Da qui, la notevole importanza di queste diete per una rapida riduzione di diversi fattori di rischio critici tra cui l'obesità, il diabete di tipo 2 e l'ipertensione, sulla base dei noti effetti dei corpi chetonici su infiammazione, immunità, profilo metabolico, malattia renale cronica e funzione cardiovascolare. Il suggerimento nutrizionale che fornisce questa indagine è quello di ridurre il consumo di cibo spazzatura e preferire alimenti con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, meglio se con il potenziale di influenzare positivamente il sistema immunitario. Quindi, diciamo “addio” alle abitudini alimentari malsane, ricche di carboidrati.

Il lato oscuro dei carboidrati

Ecco il perché della decisione di limitare l’apporto di glucosio nella dieta dei pazienti: «Abbiamo potuto osservare che questo tipo di dieta non è solo accessoria, ma assume una valenza antinfiammatoria quasi simile a quella dei farmaci anti-citochine», spiega a Gazzetta Active il dottor Samir Giuseppe Sukkar, primario di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova.


Nel mese di marzo mi sono concentrato su un eventuale supporto nutrizionale dal punto di vista immunomodulatore. In particolare ho considerato una possibile ipotesi di trattamento e mi sono accorto che all’epoca stavano emergendo dati sul fatto che la sindrome da Covid che portava alla morte e al ricovero era la tempesta o sindrome citochinica. Questa evidenza era emersa in uno studio pubblicato su Lancet alla fine di febbraio. Ho così voluto vedere che cosa scateni la tempesta citochinica. A provocarla è l’iperattivazione dei macrofagi M1, cellule infiammatorie che si trovano nell’alveolo polmonare allo stato di quiescenza e che si attivano nel momento in cui arriva un virus. Questo stato di attivazione porta ad una cascata di citochine. La cosa interessante è che andando a verificare dal punto di vista metabolico perché accade questo si nota l’effetto Warburg, una caratteristica di determinate cellule il cui metabolismo è quasi esclusivamente glicolitico: utilizzano esclusivamente lo zucchero. Sì. La tempesta citochinica porta all’attivazione di macrofagi M1 il cui metabolismo è esclusivamente glicolitico: utilizzano solo il glucosio per produrre energia. Quindi se si riduce il glucosio come fonte energetica primaria del paziente riduciamo anche il nutrimento per gli M1. Di conseguenza una dieta chetogenica, apportando una quantità di glucosio inferiore a 30 grammi al giorno, porta ad una minore disponibilità di nutrienti per i macrofagi M1, li affama. In questo modo si ferma l’iperattivazione dei macrofagi. Non solo. Fornire una quantità elevata di grassi rispetto agli zuccheri facilita anche il processo di guarigione. Questo perché i macrofagi M2, macrofagi spazzini, sono cellule voraci di grassi, che utilizzano come fonte energetica. Quindi con la chetogenica da un lato affamiamo i macrofagi M1 e dall’altro favoriamo l’azione positiva degli M2. Se poi la dieta chetogenica è ricca anche di acidi grassi omega 3 è ancora meglio perché questi riducono l’infiammazione, spegnendo il processo infiammatorio. Di fatto questa dieta è fortemente coadiuvante della guarigione del Covid-19 e ha avuto un effetto su 38 pazienti comparati a 76 pazienti che non avevano seguito questo regime alimentare. Abbiamo avuto una riduzione significativa della mortalità per Covid e del numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva. Tutto questo ha un grande rilievo dal punto di vista terapeutico perché la dieta così non è più solo accessoria, ma assume una valenza antinfiammatoria quasi simile a quella dei farmaci anti-citochine. Quindi non è solo una terapia di supporto come l’assunzione di vitamina D o vitamina C.

I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?

L'obesità rappresenta uno dei fattori prognostici riconosciuti per la necessità di terapia intensiva e ad alto rischio di morte durante l'infezione da SARS-CoV-2. Nello specifico, lo stato di obesità limita la ventilazione interrompendo l'escursione del diaframma, altera le risposte immunitarie all'infezione virale, determina un'infiammazione cronica di basso grado e peggiora la tolleranza al glucosio e lo stress ossidativo con effetti negativi sulla funzione cardiovascolare. È importante, quindi, sottolineare che i pazienti obesi sperimentano una sindrome Covid-19 più grave, poiché l'obesità è caratterizzata da un equilibrio emostatico alterato con aumento della coagulazione e fibrinolisi difettosa che si traduce in uno stato pro-trombotico. Inoltre, la coesistenza di obesità e steatosi epatica metabolica (MAFLD) determina un aumento del rischio di circa 6 volte di un quadro clinico negativo. In particolare, un recente rapporto ha mostrato che il tessuto adiposo esprime livelli molto elevati di trascrizioni per ACE2, un enzima attaccato alla superficie esterna dei pneumociti, che viene utilizzato dai coronavirus per entrare e infettare le cellule, sollevando la questione se il tessuto adiposo possa rappresentare un serbatoio di SARS-CoV-2 e un sito strategico per amplificare la cascata di citochine innescata dall'infezione virale. I pericoli di questa correlazione vengono messi in evidenza dal professor Massimiliano Caprio, responsabile dell’Unità Endocrinologia cardiovascolare dell’IRRCS San Raffaelec di Roma, coautore di un articolo pubblicato dalla rivista Journal of Translational Medicine:

L'obesità e le sue comorbidità sono strettamente legate alla prognosi più grave del Covid-19, e un aspetto poco considerato nell’affrontare l’emergenza è che una corretta consulenza nutrizionale costituisce una priorità per affrontare la pandemia di Covid-19, al fine di ridurre il rischio di infezione e le relative complicanze. Possono avere un ruolo importante nella modulazione dell'immunità innata e di quella adattativa, determinando effetti benefici sull'infiammazione cronica di basso grado, potendo prevenire il rischio di tempesta citochinica del Covid-19. Inoltre – prosegue il prof. Caprio - le diete […] potrebbero essere protettive durante l'infezione da Sars-COV2 grazie agli effetti antinfiammatori e immunomodulanti dei corpi chetonici.

Ecco come la PASTA potrebbe influenzare la nostra salute

È ben noto che il rilascio aberrante di citochine e chemochine pro-infiammatorie, indotto dall'infezione da SARS-CoV-2, è centrale per gli esiti fatali della sindrome Covid-19. Una grave progressione del Covid è determinata da una risposta tardiva all'interferone gamma con uno stato infiammatorio prolungato e una conta delle cellule Treg, NK e CD4 + e CD8 + più bassa. È ampiamente documentato, inoltre, che l'iperglicemia può peggiorare la risposta infiammatoria. Livelli elevati di glucosio amplificano la produzione di citochine nei monociti attraverso un aumento dei ROS mitocondriali. È quindi probabile che le popolazioni di cellule immunitarie disregolate rappresenti un importante fattore di rischio e determini il peggioramento della risposta infiammatoria durante l'infezione da SARS-CoV2. Quella avvallata nella ricerca è una terapia adiuvante per affrontare l'infezione mediante un cambiamento nello stato metabolico dell'ospite da un glicolitico dipendente dai carboidrati a un dipendente dai grassi stato chetogenico, mirato ad alterare la replicazione virale. Tale spostamento metabolico provoca una maggiore resistenza allo stress mitocondriale, un miglioramento delle difese antiossidanti, un aumento dell'autofagia e della riparazione del DNA e una diminuzione della secrezione di insulina. Insomma, un approccio funzionale che rimanda a uno stile di vita salutare e importante per tenere alla larga una lunga serie di malattie, tra queste anche il Covid poiché valida nel migliorare la risposta immunologica dell’infezione da SARS-CoV2.

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Per approfondimenti:

Journal of Translational Medicine "The dark side of the spoon - glucose, ketones and COVID-19: a possible role for ketogenic diet?"

AGI "La dieta chetogenica può ridurre i rischi di complicanze nel Covid-19"

Gazzetta Active "La dieta chetogenica è un’arma contro il Covid? Uno studio sostiene che può ridurre la mortalità"

San Raffaele "Obesità-COVID-19: la dieta chetogenica aiuta a ridurre i rischi da Sars-Covid2"

The Lancet "Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality [...]"

Medical Xpress "Ketogenic diets alter gut microbiome in humans, mice"

LEGGI ANCHE: Grassi contro zuccheri, rush finale: per stare bene meglio una dieta senza carboidrati

Infiammazione? Lo stile alimentare che aiuta la prevenzione di tante patologie

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Addio carboidrati: contro il tumore al colon basta ridurre zuccheri e amidi

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Antibatterico, antibiotico e disinfettante. Prezioso per la cura della pelle da infezioni, funghi e inestetismi, delicato per lo skincare quotidiano nella lotta ai segni dell’età. Contrasta rughe e segni d’espressione, ma all’occorrenza si trasforma in un alleato perfetto contro dermatiti, acne e altre lesioni dell’epidermide. Inoltre, la sua peculiarità di riattivare i tessuti lo rende un perfetto antirughe. Dalla bellezza alla cura delle malattie della pelle. Sin dall’antichità veniva usato come ingrediente principale nel sapone e veniva applicato sulla pelle con acne, eczemi o funghi, ma anche per la detersione quotidiana. Conosciuto anche per le sue miracolose proprietà antisettiche e battericide. L’argento, infatti, veniva utilizzato per disinfettare le ferite, mediante impacchi sulle stesse, e per neutralizzare virus e infezioni, attraverso la somministrazione per bocca dei sali d’argento, ma il suo uso come farmaco è progressivamente scomparso in tutti i paesi a partire dagli anni ‘40, quando si sono rese disponibili altre sostanze, tra cui gli antibiotici, ma anche i comuni disinfettanti. Nel 1970 poi, le potenzialità di questo metallo vengono portate di nuovo alla ribalta da un medico statunitense che inizia a utilizzarlo nel trattamento delle ustioni gravi. Una soluzione composta da micro particelle di ioni d’argento, immersi nell’acqua distillata: nasce così l’argento colloidale. Dall’inizio degli anni ‘90, l’argento colloidale è ricomparso in molti supplementi che vengono pubblicizzati un po’ dappertutto, non solo per combattere le piccole infezioni, ma anche per le malattie e i malesseri più svariati. Bisogna precisare, innanzitutto, che con il regolamento CE 1170/2010 l’assunzione per bocca dell’argento colloidale non è più ammessa in Europa, perché considerata non innocua.

L’argento colloidale è una dispersione speciale di argento dall’effetto igienizzante particolarmente veloce, completa e duratura. Una preziosa sostanza naturale atossica per l’uomo e letale per gran parte dei batteri patogeni. È efficace anche contro i segni lasciati dall'acne giovanile grazie alla sua capacità di stimolare la ristrutturazione dei tessuti. Utilizzato anche per sconfiggere e prevenire le micosi (dalla presenza di funghi batterici che aggrediscono la pelle). Fondamentale per alleviare i fastidi di eritemi e scottature: le proprietà rigeneranti e rinfrescanti dell’argento colloidale donano sollievo alla pelle bruciata dal sole. Inoltre, accelera la rigenerazione cutanea e disinfetta in profondità, proprio per questo può essere usato per curare le piaghe e irritazioni. Insomma, questo metallo è particolarmente indicato per tutti i disturbi della pelle, soprattutto quelli di origine infiammatoria. E ancora, per una pelle morbida al tatto, la sua azione rinfrescante lo rende perfetto per essere usato dopo la depilazione. Tra i moltissimi usi dell’argento colloidale ultimo, ma non per importanza, la sua azione sebo regolatrice che aiuta a eliminare la forfora.

I 7 benefici dell’argento colloidale

  • Potentissimo disinfettante, può essere applicato su ferite aperte senza bruciare, questo lo rende estremamente delicato adatto anche ai bambini. Totalmente naturale e atossico
  • Neutralizza in pochi minuti qualsiasi tipo di virus, batteri o funghi. Valida alternativa agli antibiotici e agli antinfiammatori, ha la capacità di neutralizzare in pochi giorni anche l’influenza. Dal potere decongestionante, aiuta a migliorare la respirazione in caso di raffreddore
  • Utilizzato come antibiotico naturale aiuta a guarire in pochissimo tempo da patologie come tosse, tonsillite o mal di gola
  • Ha un effetto quasi miracoloso sull’herpes
  • Potentissimo fungicida utile per combattere cistite, candida, infezioni della prostata, dermatiti, eczemi e verruche
  • Elimina i batteri responsabili della gastrite
  • Facilita la cicatrizzazione della pelle in caso di ustione

«L’argento è un metallo nobile che si trova nella tabella periodica degli elementi, cioè quei composti presenti in natura» spiega in un'intervista a Life 120 la dottoressa Gloria Mosconi:

Cos’è l’argento colloidale e in cosa si differenzia dall’argento?

L’argento colloidale si ottiene attraverso un processo chiamato elettrolisi che avviene in acqua bidistillata, in cui si scindono le particelle d’argento finissime (chiaramente non solubili in acqua), e ioni di argento (carichi positivamente Ag+) che al contrario si scioglieranno in acqua, dando origine a questa soluzione che prende il nome di Argento Colloidale. Le particelle positive di argento, (dette anche ioni di argento), lo rendono attivo verso virus e batteri.

Perché è considerato prezioso per la cura della pelle? Come interviene nel contrasto alle rughe e ai segni del tempo?

L’argento in forma colloidale è un potente dermopurificante, antisettico e detossinante, aiutando così la pelle a combattere i radicali liberi. Agisce in modo diretto e profondo sull’epidermide favorendo un efficace trattamento emolliente, rigenerante, rivitalizzante e ristrutturante, ideale per tutti i tipi di pelle, anche le più problematiche come ad esempio le pelli particolarmente grasse, impure, devitalizzate, acneiche, screpolate, psoriasiche, herpetiche, eczematose, restituendo un viso più curato, fresco, e luminoso.

In che modo l’argento colloidale agisce sulla riparazione dei tessuti?

L’argento colloidale è un composto a cui sono attribuite numerose proprietà, tali da poterlo considerare un antibiotico naturale; infatti prima dell’avvento degli antibiotici, veniva utilizzato per il trattamento delle più svariate forme di infezione. Questo è il motivo per cui il suo utilizzato trovava, e trova tutt’oggi, spazio anche nella riparazione dei tessuti. Ad esso venivano attribuite proprietà antibatteriche, ma anche antivirali ed antifungine. Il suo ampio impiego nella medicina cinese, egizia, romana e persiana, hanno reso l’argento colloidale, un rimedio universale, così come oggi lo conosciamo.

L’utilizzo quotidiano di questo metallo come componente di creme per il viso potrebbe essere dannoso per la salute?

Per uso cosmetico, la normativa non pone espressamente il divieto. Non vi sono controindicazioni o effetti collaterali tali da recare danni alla salute. Tutt’altro, i prodotti sono totalmente atossici, come dimostrato scientificamente da uno studio condotto dall’Università Federico II nel 2016. E’ chiaro che si lavora con dosaggi adeguati.

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Per approfondimenti:

Il Sole 24Ore "Una pelle nuova con la vitamina C

Donna Moderna "Vitamina C, l’antiossidante naturale che fa bene alla pelle"

Fanpage "Vitamina C per la pelle: perché fa bene e come usarla"

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Parola d'ordine: low (no) carb. I grassi non fanno male! Una premessa doverosa dopo decenni in cui hanno cercato di convincerci della nocività di questi alimenti. Nel frattempo, negli anni ‘50, cibi ricchi di zuccheri erano alla ribalta degli scaffali di ogni supermercato portando, di conseguenza, all’epidemia dell’obesità. Un’alimentazione senza carboidrati è una dieta che limita i carboidrati, presenti soprattutto in alimenti zuccherati, pasta, pane, riso, patate, legumi e pizza. Numerose evidenze scientifiche dimostrano che le diete a basso contenuto di carboidrati possono contribuire alla perdita di peso oltre a migliorare i marcatori di salute. Uno stile alimentare che, per certi versi, richiama, da lontano, la dieta chetogenica o LCHF (low carb high fat), seppur con importanti differenze. Gli studi dimostrano che, oltre agli altri benefici, una dieta a basso contenuto di carboidrati può facilitare la perdita di peso e il controllo della glicemia. Altri studi dimostrano che non c’è motivo di eliminare i grassi naturali dalla nostra alimentazione. Anzi, in uno stile alimentare privo di carboidrati (o quasi) i grassi diventano i nostri alleati. Per avvalersi questo sostegno basta ridurre al minimo l’assunzione di zuccheri e amidi e assicurarsi il giusto apporto di proteine. Con l’eliminazione (o la drastica riduzione) di queste sostanze dannose, i livelli di zucchero nel sangue tendono a stabilizzarsi e, di conseguenza, si abbassano anche i livelli degli ormoni che immagazzinano l’insulina. Questo processo facilita l’aumento della combustione dei grassi e contribuisce al senso di sazietà, riducendo così naturalmente l’assunzione di cibo e facilitando anche la perdita di peso. Inoltre, una dieta a basso contenuto di carboidrati può portare a bruciare più calorie di altre diete.

Come già detto poi, le diete senza carboidrati contribuiscono alla riduzione o alla normalizzazione dei livelli di zucchero nel sangue, e così facendo, contrastano anche il diabete di tipo 2. Quindi, ridurre o rinunciare ai carboidrati insulinici, potrebbe aiutare il controllare non solo la glicemia, ma risultare particolarmente utile per le persone con diabete. Inoltre, uno studio recente condotto per 6 mesi su 49 adulti obesi con diabete di tipo 2 ha rilevato che chi ha seguito una dieta low carb ha avuto riduzioni significativamente maggiori di emoglobina glicata, rispetto al gruppo di controllo. Infatti, come osserva l’American Diabetes Association, la riduzione dei carboidrati, a qualsiasi livello, è probabilmente un efficace strumento per il controllo dello zucchero nel sangue. In pratica, ridurre l’assunzione di carboidrati può prevenire picchi di zucchero nel sangue e quindi aiutare a prevenire le complicazioni del diabete. Tuttavia, i benefici di questo stile alimentare non finiscono qui. Infatti, diminuire l’assunzione di carboidrati può migliorare la salute del cuore. In particolare, le diete senza carboidrati hanno dimostrato di diminuire i livelli di trigliceridi nel sangue, causa principale di rischio malattie cardiache. Secondo quanto dimostra un’indagine condotta su 29 uomini in sovrappeso, la riduzione dell’assunzione di carboidrati al 10% del totale delle calorie giornaliere per 12 settimane, ha diminuito i livelli di trigliceridi del 39% rispetto ai livelli iniziali. Altri studi suggeriscono che le diete a basso contenuto di carboidrati possono anche aumentare i livelli di colesterolo HDL (il cosiddetto colesterolo buono), valido supporto nella protezione contro le malattie cardiache. Dulcis in fundo, un basso livello di carboidrati si dimostra un prezioso alleato del nostro intestino. Contribuisce, infatti, a risolvere i problemi dell’intestino irritabile, spesso alleviandone i sintomi come gonfiore, crampi, dolore addominale, gas, diarrea o stipsi. Funzionale poi anche in caso di cattiva digestione, reflusso gastrico e altri fastidi digestivi. Tra i notevoli vantaggi e benefici per il benessere dell’organismo:

    • Controlla la glicemia, normalizza i livelli di zucchero nel sangue e contrasta il diabete di tipo 2
    • Aumento delle attività del processo metabolico e conseguente potenziamento delle capacità ossidative che permettono una maggiore funzione del metabolismo
    • Aiuta a ringiovanire le strutture cellulari
    • Facilita la perdita di peso in maniera rapida, ma altrettanto efficace
    • Contribuisce all’aumento del colesterolo buono (HDL)
    • Favorisce digestione e reflusso
    • Alleato dell’intestino, allevia gonfiore, crampi e dolori addominali
    • Amico del cuore, riduce i trigliceridi e il rischio di malattie cardiache

La via della salute


Grassi o Zuccheri? “Ai più importanti bivi della vita non c’è segnaletica” sosteneva Ernest Hemingway, ma con le informazioni giuste è possibile non prendere la strada sbagliata. Dalla via dei grassi a quella dei zuccheri, una spiegazione esaustiva viene fornita da Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti:

«Per comprendere l’importanza dei grassi per l’organismo è fondamentale capire l’uso che ne fa il nostro corpo. Per molti di noi il grasso è visto come un substrato energetico (utilizzato per creare energia) e niente più, invece le sue funzioni sono essenziali anche per altri motivi. Distinguiamo intanto i tre differenti tipi di grassi che il nostro corpo assimila con l’alimentazione o produce in base alle proprie esigenze: trigliceridi, fosfolipidi e colesterolo - si legge nel capito “La via dei grassi” -. Quando i carboidrati sono ingeriti, non importa che siano di natura semplice o complessa, essi saranno comunque trasformati in glucosio per poi venire assimilati dai villi intestinali e da qui, riversati nel flusso sanguigno. Il nostro sistema arterioso si occupa di trasportare il glucosio alle cellule che ne hanno bisogno. Difatti come abbiamo già detto, l’unico utilizzo del glucosio da parte del nostro corpo è di tipo energetico, ovvero esso è utilizzato dalle cellule per produrre gli Atp (con la glicolisi ed in seguito con i mitocondri). Le uniche cellule che usano esclusivamente il glucosio come carburante (le altre usano soprattutto i grassi) sono le cellule nervose del cervello (i neuroni), le cellule muscolari della fibra bianca (fibrocellule) ed i globuli rossi (che non possiedono mitocondri). Cosa succede quando il glucosio è presente in quantità eccessive nel sangue? Il nostro corpo, tramite il pancreas, produce uno speciale ormone per eliminare il glucosio in eccesso, evitando il raggiungimento del coma diabetico: l’insulina. Ma esistono alcuni carrier proteici (proteine di trasporto) che si occupano di trasportare il glucosio nelle cellule, sono i glut» conclude l’autore nel capitolo “La via degli zuccheri”.

I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?

Tanti vantaggi e zero controindicazioni

Ormai sono diversi gli studi che cominciano a suggerire che se mangiato senza carboidrati, il grasso, non contribuisce all’aumento di peso. Al contrario di quanto riscontrato invece per lo zucchero dove dozzine di indagini dimostrano che se consumato da solo induce, ugualmente e in modo significativo, a un’inevitabile sovrappeso. Sullo stesso filone la tesi presentata nel libro di Aaron Carroll, professore di pediatria alla Indiana University School of Medicine, “The Bad Food Bible: How and Why to Eat Sinfully” (La bibbia del cibo malvagio: come e perché mangiare peccaminosamente). «C’è una cosa che sappiamo a proposito dei grassi - si legge nel libro di Carroll - Il consumo di grassi non provoca aumento di peso. Al contrario, potrebbe piuttosto aiutare a perdere qualche chilo». Insomma, un chiaro appello per riportare a tavola tutti quegli alimenti banditi dalla dieta nel corso degli anni Novanta. Dal burroso avocado, all’appetitoso salmone passando per le saporite noccioline. Le motivazioni per includere nuovamente nella nostra dieta questi alimenti vengono fornite e confermate da recenti ricerche che dimostrano come le persone che hanno ridotto i grassi non solo non perdono peso, ma non riducono nemmeno il rischio di malattie. Per contro, le persone che consumano più grassi, ma diminuiscono drasticamente o eliminano completamente carboidrati e zuccheri, registrano una riduzione sia del peso corporeo sia del pericolo di patologie.

Ecco come la PASTA potrebbe influenzare la nostra salute

Secondo una review di diverse ricerche pubblicata sulla rivista The Lancet, gli scienziati hanno messo a confronto oltre 150.000 persone in 18 stati, con diversi tipi di alimentazione per indagare le associazioni del consumo di queste sostanze in relazione al rischio di insorgenza di diverse patologie. Le persone che seguivano diete a basso tenore di grassi avevano più probabilità di morire per cause diverse. Senza tralasciare poi il rischio di morire per malattie cardiovascolari, infarto, ictus e insufficienza cardiaca. Per contro, le persone con diete a basso tenore di carboidrati avevano un rischio significativamente minore di incorrere in queste conseguenze. Insomma, una maggiore assunzione di carboidrati è stata associata a un aumento del rischio di mortalità. A seguito degli importanti risultati ottenuti da queste indagini «andrebbero riconsiderate le linee guida dietetiche globali» hanno concluso gli autori dello studio. Ma cosa succede quando nella nostra dieta includiamo solo cibi a basso tenore di grassi? Molti alimenti pronti al consumo nella categoria del “low-fat” sono ricchi di zuccheri e carboidrati. Per avere una conferma di questo basterebbe prendere ad esempio i cereali comuni, quelli in barrette o lo yogurt e dare un’occhiata alla tabella nutrizionale. Compariranno tutti valori ad alto tasso di zuccheri e carboidrati, nonostante siano alimenti a basso contenuto di grassi. Quindi, mentre questi prodotti a basso contenuto di grassi sono venduti come cibi per “perdere peso”, la realtà è molto diversa da quella narrata negli spot pubblicitari. Questi prodotti difatti incidono negativamente più di altri sull’aumentare di peso. Quindi, tirando le somme, nel carrello della spesa è preferibile un prodotto ricco di grassi, ma povero in carboidrati.

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Per approfondimenti:

The Lancet "Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality [...]"

Medical Xpress "Ketogenic diets alter gut microbiome in humans, mice"

Il Messaggero "Dieta chetogenica, può avere effetti benefici nelle persone che soffrono di asma"

The Italian Times "Dieta chetogenica: cos'è, come funziona ..."

Di Lei "Mal di testa. La dieta chetogenica può venire in aiuto"

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Pubblicato in Informazione Salute

Meno chili e più salute. Stop a diabete, obesità, morbo di Parkinson, patologie cardiovascolari e tumori. Al via con l’alimentazione povera di carboidrati e ricca di grassi per uno stile alimentare preventivo delle patologie figlie del benessere. Secondo uno studio condotto dall'Università della California San Francisco (UCSF) (UCSF) la dieta con una minima presenza di carboidrati, avrebbe un impatto decisivo sui microbi che risiedono nell'intestino umano, collettivamente indicati come il microbioma. Indagini più recenti hanno dimostrato che i cosiddetti "corpi chetonici", un sottoprodotto molecolare, incidono direttamente sul microbioma intestinale spegnendo definitivamente l'infiammazione. Questo processo avviene perché, in questo regime alimentare, il consumo di carboidrati è drasticamente ridotto al fine di costringere l’organismo ad alterare il suo metabolismo usando molecole di grasso, invece dei carboidrati, come fonte di energia primaria.

3a Puntata "I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?" de IL CERCA SALUTE


Teoria - quella dei grassi utilizzati per l'energia necessaria all'organismo - ampiamente supportata e dimostrata nello stile Life 120 ideato da Adriano e Roberto Panzironi. Questa, tuttavia, a differenza della dieta chetogenica, non porta alla chetosi poiché prevede un apporto di carboidrati provenienti da verdure (consumate a sazietà durante i pasti) e dalla frutta (uno al mattino). Inoltre, prevede anche una quantità di zuccheri giornaliera, funzionale ai soli due organi che utilizzano come fonte di energia, ovvero cuore e cervello. Tra le altre patologie, secondo quanto conferma uno studio dell'Università di Bonn pubblicato sulla rivista scientifica Immunity, una dieta a basso contenuto di carboidrati potrebbe aiutare anche nel contrasto dell’asma. «La prevalenza di asma è aumentata drammaticamente negli ultimi decenni forse, questo è anche correlato a una dieta sempre più comune ad alto contenuto di zuccheri [...]», ipotizza Christoph Wilhelm, esperto di chimica e farmacologia clinica dell’Università di Bonn.


Tutta colpa dei carboidrati insulinici


L'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Quindi, alimenti, più di altri, innescano meccanismi che aumentano il rischio dell’insorgenza di una lunga serie di malattie. «Alla base ci sono quegli alimenti che vanno a contrastare i processi infiammatori innescati dallo squilibrio tra citochine pro-infiammatorie e citochine anti-infiammatorie. Ritrovando l’equilibrio si spegne l’infiammazione a livello cellulare» spiega a Gazzetta Act!ve Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. Oltre l’asma, anche il Parkinson.

«Nella malattia di Parkinson – evidenzia Christian Orlando, biologo - l'importanza dell’alimentazione è ormai nota a tutti. In presenza di malattie croniche un’alimentazione corretta diventa condizione fondamentale per il benessere dell’individuo e influisce positivamente sull’efficacia della terapia farmacologica e sullo stato di salute generale». Inoltre, «un’alimentazione a basso contenuto di carboidrati insulinici ha un enorme potenziale nella prevenzione e nella gestione delle patologie neurodegenerative come il Parkinson. Gli studi clinici che esplorano l’effetto dei cambiamenti dietetici a livello neuronale sono pochi e lontani tra loro, ma esiste già un’enorme quantità di materiale scientifico che dettaglia come le diete ad alto contenuto di zucchero mettono a repentaglio la salute del cervello e quanto invece, al contrario, le diete a basso contenuto di carboidrati supportano la salute del cervello. Infatti nella patologia del Parkinson la funzione mitocondriale indebolita si suppone sia coinvolta nella morte dei neuroni che forniscono la dopamina. I ricercatori ipotizzano che i corpi chetonici, utilizzati come fonte energetica in caso di ridotto apporto di carboidrati, possono proteggere i mitocondri e sostenere la loro funzione» conclude l’esperto.

L'INFIAMMAZIONE CRONICA, le vere cause del killer silenzioso

Facciamo ora un passo indietro e vediamo cosa sono i carboidrati. Una definizione viene fornita da Adriano Panzironi nel libro “Vivere 120 anni. Le verità che nessuno vuole raccontarti”: «I carboidrati (zuccheri) si distinguono in semplici o complessi, in base alla lunghezza della catena di atomi di cui sono formati. Gli zuccheri semplici contengono una catena corta di facile scomposizione. Al contrario gli zuccheri complessi hanno una catena più lunga (si necessita di più tempo per l’assimilazione). Della prima categoria fanno parte molti zuccheri, i più conosciuti dei quali sono, quello di barbabietola (lo zucchero bianco che abbiamo tutti in casa) o di canna (si riconosce dalla composizione di cristalli marroncini). Della seconda categoria fanno parte gli amidi come la farina (e tutti i suoi derivati: pane, pasta, pizza, etc.), il riso, il mais, le patate ed i legumi. Tutti i carboidrati una volta scomposti si trasformano in glucosio che serve poi alle cellule solo per produrre energia tramite il processo della glicolisi (o dopo la sua trasformazione in piruvato, anche nei mitocondri). Gli zuccheri incamerati in eccesso, sono trasformati dal fegato in grasso saturo e stipati nelle cellule adipocite (soprattutto nella pancia, nei fianchi e sui glutei)».

Il vademecum della corretta alimentazione

Tuttavia i danni fatti dai carboidrati non finisco qui. Sul rapporto tra fertilità e consumo di carboidrati insulinici interviene la dottoressa Daniela Pelotti, medico specialista in ostetricia e ginecologia:

«Purtroppo, assolutamente sì, nel senso che il lavoro non è svolto solo da me, ma ci sono altri miei colleghi che hanno verificato, che una dieta che porta all'eliminazione dei carboidrati ad alto indice glicemico e soprattutto i cibi contenenti glutine, fa avere alle pazienti che hanno irregolarità del ciclo mestruale o anche menometrorragie una regolarizzazione del ciclo. Tra l'altro, tra i cibi come i cereali ad alto indice glicemico, ci sono quelli che contengono glutine che è tossico per alcune pazienti, geneticamente predisposte, perché può scatenare malattie autoimmuni, tra cui anticorpi, anti riserva ovarica. Quindi diciamo che lentamente l'ovaio perde la sua capacità di ovulare e le pazienti, la prima cosa che manifestano, è un blocco della mestruazione. Quando i medici vanno a fare i dosaggi ormonali e la riserva ovarica diminuisce, i valori FSH ed LH aumentano, come ad indicare l'ingresso in una menopausa precoce, ma i miei colleghi non sanno di questa correlazione, ma non è che ne hanno colpa, non sono informati o non sono incuriositi e non vanno a leggere, oppure non mettono in dubbio quella che è la Medicina ufficiale e suggeriscono ovviamente una integrazione con una terapia ormonale sostitutiva. La paziente, di solito, è disperata, alcune sono anche molto giovani e temono ovviamente di non poter avere figli; ma messe a dieta e con gli anticorpi “antiovarici” che man mano si abbassano, portano l’ovaio a rifunzionare. Quindi, il ciclo ritorna».

INDICE GLICEMICO e alimenti: tutto quello che dobbiamo sapere

La ginecologa illustra poi, i diversi risultati ottenuti con una modifica dello stile alimentare nei soggetti affetta da papilloma virus.


«Sì, ho avuto dei risultati, nel senso che quando si ha un’infiammazione o un virus attacca un tessuto dell'uomo, significa che vi è un’alterazione delle difese immunitarie. I cibi che creano infiammazione sono i cibi ad alto indice glicemico, non a caso dico che i semi sono per gli uccelli, le erbe per gli erbivori e l'uomo è prettamente un carnivoro. Se definito onnivoro, vuol dire che mangia di tutto, ma non gli è permesso, obiettivamente, di trasformare i cibi che non riesce a digerire. Per tale motivo li cuoce e non si rende conto che non sono idonei al suo tipo di DNA e a ciò che ha stabilito la natura geneticamente. Alcuni vanno avanti comunque, altri realizzano delle patologie, fra queste quella del colon irritabile. A proposito, ultimamente si parla molto di comorbilità, cioè di patologie che riguardano l'intestino e la connessione con altri distretti, come il cervello, ma soprattutto la contiguità dell'intestino con l'apparato uro ginecologico, questo fa pensare, in effetti, ho la verifica, che vi sia un’infiammazione da parte dell'apparato uro ginecologico partendo dall'intestino. Fino ad oggi, i ginecologi pensavano: “Hai una vaginite, hai una cistite che viene da fuori”, invece no! Viene da dentro. Quindi, il papilloma virus può venire da fuori ma attecchisce là, dove ci sono un terreno favorevole e le difese immunitarie indebolite: l'intestino infiammato. Questo altera il sistema immunitario, tra l'altro si è scoperta una patologia per cui batteri e sostanze infiammatorie, da un intestino ormai infiammato, lo fanno diventare come un colabrodo. Questi batteri e queste infiammazioni come le candide, attraversano l'utero e vanno al collo dell'utero. Ovviamente, un’infiammazione cronica fa sì che la mucosa non ha difese e attecchisce facilmente il papilloma. Ho verificato tutto questo su alcune pazienti, in cui era presente il papilloma, ma avendo una displasia lieve e non essendo il papilloma già entrato nelle cellule e non avendo dato un’alterazione delle cellule; c'era l’attesa di verificare se l'organismo era in grado di respingere questo virus con una dieta a basso indice glicemico. Il papilloma è scomparso!»

Ecco come la PASTA potrebbe influenzare la nostra salute

Altri importanti risultati sono stati ottenuti anche con la mastopatia fibrocistica (MFC), un'affezione di natura benigna caratterizzata dalla presenza, nel tessuto mammario, di noduli composti da microcisti e aree fibrose di varie dimensioni.

«Purtroppo sì. La cosiddetta mastopatia fibrocistica è un’infiammazione dell’apparato mammario dovuta a un’iperstimolazione estrogenica, che parte da un intestino infiammato dai molti carboidrati mangiati; quindi un’infiammazione a livello ovarico, con l’ovaio infiammato, che viene iperstimolato dall’ipofisi e porta alla produzione di molti estrogeni. Quindi, a livello dell’utero può comportare un utero fibromatoso, mestruazioni molto abbondanti; mentre a livello del seno può portare a un’iperstimolazione delle cellule del tessuto mammario, con formazione di cisti. La terapia solo a base di eliminazione dei carboidrati, fa sì che il primo segnale è che la paziente non avverte più il dolore e la mastodinia. A livello ecografico, invece, noto una riduzione o addirittura la scomparsa della mastopatia fibrocistica. Quindi, un messaggio che vorrei dare a tutte le donne è quello di tenere sotto controllo un organo, ma forse sarebbe meglio eliminare la causa» conclude Pelotti.

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Per approfondimenti:

Gazzetta dello Sport "Ecco la dieta antinfiammatoria, uno stile alimentare per prevenire le patologie dell’era moderna"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"

Università di Toronto "Ecco perché una dieta ricca di carboidrati aumenta il rischio di cancro al colon"

Il Messaggero "Dieta chetogenica, può avere effetti benefici nelle persone che soffrono di asma"

The Italian Times "Dieta chetogenica: cos'è, come funziona ..."

Immunity "Lipid-Droplet Formation Drives Pathogenic Group 2 Innate Lymphoid Cells in Airway Inflammation"

Universität Bonn "Researchers suggest a special diet against asthma"

Il Messaggero "Una dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"

Ansa "Dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"

Il Giornale "Asma, una dieta con pochi carboidrati potrebbe essere di aiuto"

LEGGI ANCHE: Infiammazione? Lo stile alimentare che aiuta la prevenzione di tante patologie

Dieta senza carboidrati: un toccasana per asma e altre patologie

Meno carboidrati e più grassi: un regime alimentare ricco di benefici

Addio carboidrati: contro il tumore al colon basta ridurre zuccheri e amidi

 

 

 

 

 

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Dal potere antiossidante al contrasto dei radicali liberi. Insomma, la miscela del benessere per vivere in salute ed a zero calorie. Dagli egizi agli antichi romani. Una pratica ben consolidata che affonda le sue radice nella notte dei tempi. Prima ancora della diffusione dei medicinali, i dottori erano soliti curare le persone con rimedi naturali, e proprio per questo venivano chiamati “speziali”. Fonti di vitamine, minerali e antiossidanti, oltre a depurare e proteggere l’organismo, supportano le funzioni del metabolismo nella combustione dei grassi e garantiscono il senso di sazietà per un periodo di tempo più lungo. Questo processo si innesca attraverso la funzione termogenica, ovvero mediante un aumento della temperatura corporea.

«Sicuramente hanno tutte un potere antinfiammatorio e antiossidante e riducono la produzione di radicali liberi. Come sanno bene in Oriente, dove l’uso delle spezie è molto più diffuso, hanno delle proprietà quasi curative, tanto che spesso molti integratori contengono proprio i principi attivi di alcune spezie» sottolinea a Gazzetta Active la dottoressa Emanuela Russo, dietista INCO (Istituto Nazionale per la Cura dell’Obesità) dell’IRCCS Policlinico San Donato e del Marathon Center del Palazzo della Salute di Milano. «Ricordiamo – prosegue l’esperta -, però, che non sono farmaci, quindi vanno usate con costanza per ottenerne i benefici, e sono perfette proprio laddove non c’è una reale patologia ma una propensione a determinate patologie». «La cannella, per esempio, aumenta il senso di sazietà e riduce l’assorbimento degli zuccheri - precisa la dietista -, tanto che spesso è indicata nelle diete in generale e in particolare in quelle per le persone che soffrono di diabete. Il cumino ha un effetto calmante a livello di intestino e di stomaco, e spesso lo si consiglia per problemi gastrointestinali, magari insieme alla malva. La curcuma ha un effetto lenitivo e calmante, riduce l’infiammazione a livello generale e soprattutto gli stati infiammatori a livello articolare, tanto che esistono integratori a base di curcumina che hanno ottimi riscontri nella riduzione delle patologie correlate al sistema articolare. E poi pepe e peperoncino aumentano la termogenesi e stimolano la digestione, dando una mano al transito intestinale».

Spezie utili per la salute: curcuma, zenzero, cannella e peperoncino

Difatti, come dimostra lo studio condotto da un team di ricercatori della Pennsylvania State University, grazie alla capacità di frenare l’infiammazione che è alla base di alcune patologie molto serie, le spezie proteggono l’organismo da tumori, diabete e malattie cardiovascolari. L’indagine di questi studiosi, con l’utilizzato di un composto di spezie, nasce con l’obiettivo di studiare l'effetto postprandiale di una miscela di spezie sulle risposte infiammatorie delle citochine. L'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di grassi saturi e alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Gli studiosi hanno dimostrato che l’aggiunta spezie riduceva sensibilmente questo rischio. Inoltre, la ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica The Journal of Nutrition, ha mostrato la capacità di questi ingredienti di apportare benefici per la salute, riducendo l’infiammazione dell'organismo. Ovvero, i ricercatori hanno scoperto che quando i partecipanti allo studio consumavano un pasto con l’aggiunta di sei grammi di una mescolanza di spezie, questi manifestavano marcatori di infiammazione più bassi rispetto a un pasto privo di queste sostanze. Precedenti ricerche avevano già collegano le spezie alle notevoli proprietà antinfiammatorie. Infatti, anche in passato, l'infiammazione cronica era stata associata anche a patologie non trascurabili come il cancro, le malattie cardiovascolari, il sovrappeso e l'obesità, che colpiscono circa il 72% della popolazione. Inoltre, in studi più recenti, gli scienziati hanno scoperto che l'infiammazione dell’organismo potrebbe aumentare, dopo un pasto, a seguito del consumo di una quantità eccessiva di grassi o zucchero. Le spezie, stando a quanto dimostrato in queste ricerche, hanno la capacità di inibire la crescita dei tumori, prevenire danni al DNA e mutazione cellulare.

Un aromatico toccasana

Cumino


Utilizzato dai fenici sia tavola che come rimedio para medico, il cumino, oltre alla sua notevole peculiarità di insaporire la carne alla brace è anche efficace per alleviare le coliche addominali. Stop a gonfiore, indigestione, flatulenza, diarrea e nausea! Ricco di fibre, calcio, fosforo, ferro e potassio. Ottimo digestivo e prezioso per curare l’intestino e rafforzarne le difese immunitarie, grazie alle sue proprietà antibatteriche e virali. Questa spezia tradizionale del Nord Africa, aiuta la digestione del cibo, stimolando il rilascio di enzimi digestivi durante e dopo i pasti e può anche aiutare a lenire in generale il processo digestivo. Facilita il processo digestivo perché stimola la produzione degli enzimi digestivi e favorisce l’eliminazione dei gas intestinali, prevenendo così il fastidioso gonfiore addominale. Il primo aiuta ad attivare le ghiandole salivari che rompono il cibo e preparano le sostanze nutritive per la corretta assimilazione, mentre il secondo impedisce la fermentazione degli alimenti nel tratto digestivo. Il cumino stimola anche il processo digestivo innescando il rilascio di bile e altri enzimi digestivi responsabili della cosiddetta “rottura” del cibo. Migliora il profilo lipidico, sia per il colesterolo che per i trigliceridi. Uno studio pubblicato nel 2014, dimostra come la somministrazione quotidiana di cumino potrebbe diminuire i livelli sierici di colesterolo cattivo e trigliceridi aumentando, per contro, quello buono. Inoltre, ai semi del cumino è riconosciuta anche un’azione preventiva nei confronti di patologie oncologiche, l’effetto è stato attribuito a un componente, il timochinone, potente antiossidante che contrasta efficacemente l’azione dei radicali liberi.

Curcuma


Non solo per il curry! La curcuma è infatti rinomata da sempre, grazie al suo costituente attivo, la curcumina, noto antiossidante e antinfiammatorio per antonomasia. Apprezzata per contrastare crampi, dolori muscolari e reumatici, artrite, problemi digestivi e stress e riconosciuto come rimedio naturale contro il colesterolo alto. Da non trascurare poi, la sua capacità di rallentare processi e malattie dell’invecchiamento correlati all’infiammazione. E’ una delle spezie più note all’uomo, è un potente anti-infiammatorio che ha dimostrato di favorire la corretta digestione del cibo. Per le sue forti qualità astringenti, la curcuma può aiutare a sigillare il rivestimento del tratto intestinale e digestivo, bloccando la condizione comunemente nota come sindrome dell’intestino permeabile. La spezie è nota anche per sopprimere la produzione in eccesso di acido dello stomaco, che può causare stomaco infiammazione cronica e danni anche fisici alla parete intestinale. Il consumo regolare di curcuma ha dimostrato di aiutare a prevenire il reflusso gastroesofageo, noto anche come bruciore di stomaco, oltre a prevenire la formazione di ulcere gastriche e duodenali.

Alimentazione e salute: le virtù curative delle spezie

Cannella


Utilizzata soprattutto per dolciumi e liquori è un concentrato di antiossidanti e preziosa per corpo e mente. In Cina questa spezia veniva utilizzata a scopi curativi già nel 2700 a.C. ed era apprezzata da nobili e imperatori, soprattutto per i suoi benefici. Difatti, la cannella aiuta a rallentare il processo di invecchiamento, ridurre lo stress ossidativo e liberare il corpo dalle tossine. Al di là dell’impiego culinario, evidenze scientifiche dimostrano che questa spezia potrebbe contrastare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson proteggendo i neuroni nel nostro cervello e inibendo le proteine collegate a queste malattie. Preziosa anche per la gestione dei livelli di zucchero nel sangue e di insulina. Oltre a garantire tanti benefici per una pelle più sana e bella. Questa spezia vanta proprietà antiossidanti (la presenza dei polifenoli è utile per trattare i sintomi dell’influenza come febbre, raffreddore, mal di gola, tosse e stanchezza), protettive dal diabete (i polifenoli hanno la capacità di regolare la percentuale di zuccheri nel sangue, attraverso la scomposizione degli zuccheri stessi così da evitare i picchi glicemici), antibatteriche e antimicotiche (nel contrasto ai numerosi microrganismi dannosi per la nostra salute soprattutto contro il fungo Candida albicans, responsabile di alcune infezioni vaginali), protettive nei confronti dell’Alzheimer (alcuni studi, tra cui quello americano pubblicato nel 2013 sul Journal of Alzheimer Disease, in cui è stato evidenziato il ruolo nelle prevenzione della malattia, quindi, nella fase di degenerazione cellulare) e benefiche per l’apparato digerente, prevenendo gonfiore intestinale, flatulenza, e coliche renali, ma anche agendo come astringente contro la diarrea. E soprattutto è un ottimo digestivo!


Zenzero


Utilizzato in tutto l’Oriente come rimedio naturale per l’indigestione continua, ancora oggi, ad essere apprezzato per la sua potente capacità di reprimere la nausea ed aiutare nel processo digestivo. Dolci, salati e bevande. Estremamente versatile in cucina veniva consumato già nell’antichità per combattere nausea e vertigini. Oggi è diffuso soprattutto come tisana brucia grassi, nonché ottimo rimedio naturale contro influenza, raffreddore e mal di gola. Evidenze scientifiche hanno poi dimostrato che è un rimedio efficace sia per il trattamento e che per la prevenzione del cancro del colon-retto, così come per molti altri tipi di malattie. Usato quotidianamente, lo zenzero allevia il disturbo di stomaco, previene la diarrea, elimina la sensazioni di nausea ed è utile per il trattamento di crampi mestruali. E’ infine utile contro il mal di mare ed il mal d’auto. Lo zenzero, comunemente noto come potente rimedio per il mal di pancia e forte antinfiammatorio capace di contrastare infiammazioni come la proteina C reattiva. Valida difesa contro l’ulcera e ottimo supporto per alleviare i dolori mestruali. Ricco vitamina B6 e vitamina C e di minerali come potassio, rame, manganese, magnesio, niacina, fosforo e ferro.

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Per approfondimenti:

Gazzetta Act!ve "Spezie: concentrati di vitamine, minerali e antiossidanti a zero calorie"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"

MSN "I benefici delle spezie nell'alimentazione sana"

Letto Quotidiano "Spezie ed erbe aromatiche in cucina che hanno benefici sulla tua salute"

Proiezioni di Borsa "Lasciare nel cassetto le medicine e curarsi con le spezie"

LEGGI ANCHE: Spezie e rimedi naturali, a tavola con i potenti alleati del benessere

Vitamine, minerali, spezie e altri nutrienti: gli ingredienti per vivere al massimo

Ricerca: ecco le erbe e spezie per curare naturalmente le malattie dell'intestino

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La dieta con le spezie, un sapore in più e tante proprietà salutari

 

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L’inconfondibile profumo e il sapore aspro del frutto d’inverno: gli agrumi. Utili alla nostra salute. Dalla prevenzione alla cura di influenze, raffreddori e malanni stagionali passando per i tanti benefici per l’organismo. Arancia e limone, ma anche lime, cedro, mandarino e pompelmo. Tra le caratteristiche fondamentali degli agrumi quella di dare energia, regolare il metabolismo, svolgere un’azione diuretica e garantire la regolarità intestinale. Questi importanti frutti sono ricchi di elementi (sali minerali, magnesio, ferro oltre alle vitamine A, B, e C) necessari al buon funzionamento del nostro organismo. Arancia, mandarino o limone? Immancabile sui banchi dei reparti di ortofrutta, l’arancia è uno degli agrumi più consumati in Italia. Dalla nota azione benefica per il cuore, per la circolazione e per la difesa del corpo dagli agenti chimici, fisici e ambientali, soprattutto durante la stagione invernale, rafforzando le nostre difese immunitarie contro virus e batteri. Dona, inoltre, energia favorendo un effetto antistress, aiuta la digestione e depura l’organismo. Energetico e dal dolce sapore, per le sue caratteristiche energizzanti, il mandarino è fortemente consigliato ad adulti e bambini che svolgono attività fisica. Al suo interno, la presenza di fibre facilita la regolarità intestinale. Noto soprattutto per l’elevata quantità di vitamina C, questo frutto è ideale per rafforzare le nostre difese immunitarie e nel contrasto alle influenze stagionali. Ottimi alleati per combattere le infiammazioni alla gola, raffreddori e influenze grazie alle loro proprietà antibatteriche. Ultimi, ma non per importanza, i limoni. Questi agrumi donano un senso di sollievo ai piccoli fastidi quotidiani, inoltre, grazie alla presenza di presenza di antiossidanti, il limone è considerato l’anticolesterolo per eccellenza.

VITAMINA C, un concentrato di proprietà e benefici

Regina indiscussa dell’inverno, la vitamina C con il suo prodigioso effetto antinfiammatorio. Preziosa ancor più nella stagione fredda e soprattutto alle prese con questa pandemia e nella lotta al Covid, come condermano diverse ricerche uscite negli ultimi mesi, dovrebbe diventare un vero e proprio must. Insomma, sarebbe buona abitudine mantenere uno stile di vita capace di rinforzare le difese contro virus, batteri e malanni stagionali. Difatti, è proprio nel periodo che va dall’autunno alla primavera che vede le nostre difese immunitarie sottoposte a un maggiore stress, sia a causa del calo delle temperature che della minore esposizione ai raggi solari e anche del tempo trascorso, in prevalenza in luoghi chiusi. L’ascorbato, assunto sotto forma di alimentazione o integrazione, rappresenta un ottimo aiuto per il sistema immunitario, rinforzandolo. Le innumerevoli proprietà della vitamina C l’hanno inclusa nell’elenco dei medicinali essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e quindi, tra i più sicuri ed efficaci necessari al sistema sanitario. Valido supporto nella prevenzione delle malattie da raffreddamento da oltre trent’anni. La teoria della vitamina C contro il raffreddore diventa popolare intorno al 1970 quando, il premio Nobel Linus Pauling, pubblica un libro su come prevenire le malattie da raffreddamento con mega dosi di vitamina C. Secondo Pauling, un'assunzione giornaliera di vitamina C di 1.000 mg può ridurre l'incidenza del raffreddore di circa il 45% e l'assunzione giornaliera ottimale di vitamina C per vivere in modo sano e prevenire le malattie dovrebbe essere di almeno 2,3 g. Una sua carenza, per contro, si traduce in una condizione nota come lo scorbuto. Inoltre, diverse evidenze scientifiche indicano che la vitamina C si concentri nelle cellule del sistema immunitario e venga consumata piuttosto rapidamente durante un’infezione ovvero sintomi più lievi e durata inferiore.

Riduce dell'8% la durata del raffreddore

Ad oggi, diversi studi hanno dimostrato che gli integratori di vitamina C assunti in chiave preventiva possono ridurre la durata del raffreddore. Questa metanalisi ha raccolto i dati di 43 studi sulla vitamina C e ha raggiunto le seguenti conclusioni sull’integrazione preventiva: la vitamina C dimezza il rischio di raffreddore nelle persone esposte a un intenso stress fisico (ad esempio corridori di maratona, sciatori o soldati in condizioni subartiche) e riduce la durata del raffreddore dell’8% negli adulti e del 14-18% nei bambini. Diminuisce anche la gravità del raffreddore in tutte le popolazioni, soprattutto nei bambini. Essenziale per la risposta antivirale nella fase iniziale dell’infezione influenzale, inoltre, una sua carenza sembra peggiorare il danno polmonare. E ancora uno studio su oltre 1.500 donne ha associato un’elevata assunzione di vitamina C a una ridotta incidenza di infezioni del tratto respiratorio superiore. A queste, si aggiunge, un’importante meta-analisi che ha indagato gli effetti della supplementazione di vitamina C sulla prevenzione (2.335 pazienti) e sul trattamento (197 pazienti) della polmonite. Secondo questo studio, l’integrazione preventiva può ridurre l’incidenza della polmonite dell’80%. Quando si parla di trattamento poi, la vitamina C può ridurre la durata, la gravità e la mortalità per polmonite. Infatti, in uno studio clinico su 30 pazienti con polmonite grave, la supplementazione di vitamina C ha ridotto: lo stress ossidativo, il danno al DNA e l’infiammazione (TNF -a e IL-6).

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Nella figura il meccanismo schematico in cui una IA di vitamina C potrebbe modulare funzioni specifiche dei neutrofili (ROS e TNFα, mediata da IL-1β), inibendo le vie coinvolte nella formazione della trappola extracellulare dei neutrofili (NETosis) e riducendo la produzione incontrollabile di citochine infiammatorie nell'alveolare spazio. Potenziali effetti sulla riduzione della produzione di citochine sono stati ipotizzati anche nei linfociti e nei macrofagi. ROS, specie reattive dell'ossigeno; NFkB, fattore di trascrizione nucleare kappa B; ┴, stimolo di inibizione; freccia tratteggiata, effetto o produzione ridotti.

Noto che una carenza di vitamina C dovuta a un basso apporto nutritivo porti a una maggiore suscettibilità alle infezioni. Inoltre, come tutti sanno, un apporto maggiore di vitamina C, per contro, potenzia il sistema immunitario e l'uso degli integratori è considerato un rimedio, soprattutto invernale, per prevenire le malattie infettive. Tuttavia, è anche vero che una dieta equilibrata capace di soddisfare l'assunzione giornaliera di vitamina C influisce positivamente sul sistema immunitario e contribuisce, di conseguenza, alla riduzione della suscettibilità alle infezioni. Il comune raffreddore è una delle infezioni virali delle alte vie respiratorie (URTI) più diffuse, caratterizzata da tosse, stanchezza, febbre, mal di gola e dolori muscolari, che persistono per un periodo che va da pochi giorni a non più di 3 settimane. Con "raffreddore comune" si fa generalmente riferimento a una sindrome aspecifica causata da diversi virus, sebbene il rinovirus sia il patogeno coinvolto più frequentemente, essendo presente nel 30-50% dei malati. Infatti, un'integrazione di vitamina C potrebbe modulare l'infiammazione, con potenziali effetti positivi sulla risposta immunitaria alle infezioni. Infatti, la letteratura mostra che alte dosi di vitamina C per infusione endovenosa possono ridurre la produzione di citochine infiammatorie.

Senza trascurare poi, i suoi punti forti:

  • È un antiossidante necessario per produrre collagene nella pelle.
  • Capacità di ridurre la gravità e la durata del raffreddore.
  • Contribuisce alla riduzione dei rischi di malattie cardiovascolari e del cancro
  • Favorisce la tonicità muscolare e il contrasto della sarcopenìa
  • Rafforza i vasi sanguigni e la resistenza alle infezioni
  • Facilita l’assorbimento del ferro
  • Aumenta la resistenza alla fatica

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Per approfondimenti:

Il Giornale "Agrumi: proprietà e benefici del frutto dell'inverno"

Frontiers in Immunology “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19

PubMed "Evolution and the need for ascorbic acid"

MDPI "Vitamin C and Immune Function"

Il Messaggero "Covid, influenza stagionale e coronavirus: come distinguere i sintomi in caso di febbre"

Centro meteo italiano "Coronavirus, influenza stagionale e raffreddore, come distinguerli: i sintomi e le caratteristiche"

Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"

Salute Prevenzione "Nella guerra contro i Virus la scienza si dimentica sempre del Sistema Immunitario"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

Sapere "I sistemi di difesa dell'organismo"

Corriere del Mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"

Il fatto alimentare "Coronavirus: dieta e trattamenti terapeutici naturali proposti da docenti di medicina"

LEGGI ANCHE: Storia della vitamina C: dalla prevenzione del raffreddore al trattamento del Covid

Nuova ricerca sulla vitamina C: un potenziale aiuto contro il Covid

Tra vitamina C e scorbuto: come prevenire il "morbo del marinaio"

Vitamina C: rafforza il sistema immunitario e combatte virus e malanni di stagione

L'importanza del sistema immunitario, potente alleato nella guerra contro il virus

La prima linea di difesa è il sistema immunitario, tutti i segreti per rinforzarlo

Vitamine e sali minerali: i principali alleati di adulti e bambini

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Quercetina, esperidina, eugenolo e butirrati. Non sono gli ingredienti di una pozione magica, ma potenti alleati in questa grande battaglia contro il coronavirus. Contro il Covid, l'azione delle molecole bioattive. «Quercetina, ma anche esperidina, eugenolo e butirrati: sono solo alcune delle molecole bioattive che sfruttano un meccanismo d'azione identificato grazie al nostro studio per contrastare il coronavirus Sars-Cov-2» spiega in un’intervista all'Adnkronos Salute Laura Teodori, del Laboratorio Diagnostiche e Metrologia Enea, autore di uno studio realizzato in collaborazione con le Università di Urbino e Singapore, che ha portato all’individuazione, in alcuni composti, proprietà che contrastano i meccanismi cellulari e molecolari dell'infezione da virus Sars-CoV-2 e la relativa progressione del Covid. «La nostra ricerca è stata realizzata grazie ai Big Data – precisa l’esperta -, ovvero a una serie di piattaforme che raccolgono una grande mole di informazioni». L’indagine è stata pubblicata sulla piattaforma Research Square e a breve apparirà anche sulla rivista internazionale peer-reviewed Frontiers in Pharmacology.

«Abbiamo indagato sul meccanismo molecolare usato dal virus per entrare nelle cellule evidenzia Teodori -, in particolare sulla via metabolica. Così abbiamo identificato la proteina Hdac (istone deacetilasi), una tra le più importanti molecole che regola l’espressione dei nostri geni, come utile bersaglio terapeutico per contrastare il virus. I risultati, validati dal confronto con i dati clinici di uno studio cinese su 1096 pazienti di Covid-19, aprono la strada a nuovi studi nel settore del drugrepurposing e drug-discovery». «Successivamente – precisa la ricercatrice - anche altri gruppi di ricerca hanno evidenziato l’Hdac come utile bersaglio per contrastare il virus Sars-CoV-2. Si tratta di un risultato di notevole impatto clinico, in quanto esiste già un discreto numero di farmaci e anche composti bioattivi di origine naturale come la quercitina, un flavonoide presente in alcuni alimenti, con comprovata attività Hdac inibitrice, attualmente utilizzati per altre patologie che potrebbero essere reclutati per contrastare la malattia Covid-19». La conferma arriva anche da altri studi recenti, secondo i quali gli alimenti che contengono quercetina sarebbero in grado di contrastare il Covid-19. Questa sostanza - si legge in un articolo pubblicato sulla rivista International journal of biological macromolecules - sarebbe in grado di destabilizzare la proteina (3CLpro) del virus che incide sul suo sviluppo.

Flavonidi, agrumi e burro

Direttamente dalla famiglia dei flavonoidi, la quercetina è presente in tantissimi alimenti tra cui frutta, verdure. Assunta regolarmente gioca un ruolo importante per la salute perché aiuta a contrastare i danni prodotti dai radicali liberi, ma anche l’insorgenza di una molteplicità di malattie croniche. Rinomata anche per le notevoli proprietà antiossidanti, questa preziosa sostanza è indispensabile per ridurre infiammazioni, allergie e per regolarizzare la pressione sanguigna. Un pigmento che apporta molteplici benefici per la nostra salute e che può essere assunto tramite un regime alimentare vario ed equilibrato, ma anche ricorrendo a degli integratori mirati. Inoltre, la quercetina, aiuta nella prevenzione dell’invecchiamento cutaneo e contrasta gli effetti negativi delle radiazioni solari. Ma non è tutto, oltre a essere un miracoloso toccasana per il nostro benessere, contribuisce a rallentare l’insorgenza di varie patologie come malattie cardiovascolari, aterosclerosi, psoriasi, artrite, lupus, disturbi cerebrali cronici, allergie e problemi cutanei oltre a regolare la pressione arteriosa. Utile anche in caso di emorroidi, fragilità capillare, pesantezza e gonfiore alle gambe. E poi un giusto apporto di questo flavonoide permette di rinforzare la risposta immunitaria, combattere infiammazioni, allergie e, infine, migliorare le prestazioni fisiche e mentali.

BURRO, PANNA e GRASSI SATURI: amici della salute e del cuore 

Fra questi appunto i butirrati, sostanze che derivano dalla fermentazione nell'intestino delle fibre alimentari. L'acido butirrico è già studiato per contrastare le malattie degenerative» sottolinea l’esperta. Tra gli acidi a catena corta quello su cui più si è concentrata la ricerca è senza dubbio l’acido butirrico, a cui sono stati attribuiti diversi ruoli fisiologici. Questi studi hanno dimostrato che l’acido butirrico regola il trasporto di fluidi, protegge i colonociti dallo stress ossidativo, influenza la motilità lungo il tratto gastrointestinale, modula la proliferazione cellulare e il differenziamento cellulare, regola inoltre, l’espressione genica. La produzione di acido butirrico svolge un ruolo importante. Considerati i notevoli stimoli a cui è continuamente esposto il colon, infatti, dalla maggiore produzione di butirrato, potrebbe scaturire una resistenza più incisiva contro stimoli tossici migliorando così la funzione della barriera intestinale. Ma c’è dell’altro! Indagini recenti hanno evidenziato che gli acidi a corta catena dopo essere stati assorbiti a livello intestinale, influenzano anche fegato e tessuti extraeptici. «L’acido butirrico – precisa Christian Orlando, biologo e nutrizionista - sembra avere ottime proprietà anti-infiammatorie grazie alla capacità di sopprimere l’attività di alcune proteine che scatenano l’infiammazione, in particolare aiuta a controllare la risposta immunitaria regolando l’attività dei linfociti T. Le cellule T, attraverso un complesso meccanismo che si avvale di marcatori chiamati MHC, sono in grado di riconoscere e distruggere le cellule patogene risparmiando quelle sane; se però non funzionano correttamente il sistema immunitario può arrivare ad attaccare organi come il pancreas (diabete di tipo 1) o la tiroide.

bucce di agrumi

Ricavata, in larga parte, dagli agrumi, l’esperidina è una molecola naturale preziosa per migliorare circolazione e resistenza dei capillari. Appartiene alla famiglia dei glucosidi e, sintetizzata da particolari specie di piante, si ottiene dall’unione di due composti: flavonoide e rutinosio. Come già detto, si trova principalmente negli agrumi, soprattutto nell’albedo, la parte bianca della scorza. Presente anche in alcune verdure ed erbe a foglie verdi come la menta. Le tante proprietà benefiche sono legate soprattutto al rinforzo dei vasi sanguigni, al miglioramento della circolazione, inoltre riduce dell’infiammazione, riduce il colesterolo cattivo (LDL), abbassa la glicemia, efficace contro le allergie, contrasta il diabete e migliora l’attività cardiaca esercitando una funzione cardioprotettiva. Interviene poi anche nel contrasto di altre problematiche quali problemi circolatori, vene varicose, emorroidi e capillari. Ma anche «l'esperidina, presente nella parte bianca degli agrumi, o l'eugenolo presente nei chiodi di garofano. Le ricerche sulle potenzialità di queste sostanze - assicura Teodori - vanno avanti in tutto il mondo. Ma voglio sottolineare l'importanza di non assumerle sotto forma di integratori alimentari: gli integratori infatti non vanno mai presi senza una indicazione del medico. Piuttosto, si può prediligere un'alimentazione a base di cibi naturalmente ricchi di questi principi attivi, che può essere utile all'organismo» conclude Teodori. 

eugenolo

Estratto da alcuni oli essenziali, in particolare da cannella e chiodi di garofano, l’eugenolo dalle note proprietà antisettiche e anestetiche, viene usato anche come rimedio naturale contro il mal di denti. Un olio essenziale antivirale ad ampio spettro che agisce diminuendo la capacità di replicazione dei virus all’interno delle cellule.

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Per approfondimenti:

Adnkronos "Covid, quercetina, esperidina e butirrati molecole naturali promettenti"

MSN "Quercetina: cos'è, proprietà e efficacia"

Adnkronos "Covid, un composto naturale può ucciderlo: scoperta del Cnr"

Fondazione Umberto Veronesi "Microbiota intestinale: in che modo può influenzare la salute?"

La Stampa "Burro chiarificato e i molti benefici per la salute!"

INRAN "Burro Chiarificato: cos’è e a cosa serve?"

Vivo in Salute "Il burro: I Benefici Del Burro per la salute. Sfatiamo i miti falsi…"

Eurosalus "Burro chiarificato: cos'è e come si usa?"

LEGGI ANCHE: Acido butirrico, dall’ecosistema intestinale alla flora batterica

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Irresistibile e ricco di vitamina D. Dal burro di cacao al cioccolato fondente: facciamo la scorta di benessere. Uno studio tedesco mostra che cacao e derivati contengono una quantità notevole di vitamina D2, meglio nota come ergocalciferolo. Infatti, secondo quanto dimostrato dall’indagine condotta dai ricercatori della Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg, il cacao non solo fa bene alla nostra salute, ma è anche ricco di vitamina D. Analizzando i nutrienti presenti in questo alimento, gli esperti hanno scoperto che i chicchi di cacao vengono essiccati al sole per un tempo medio-lungo, solitamente attorno alle due settimane. È proprio questo particolare procedimento a renderli ricchi di vitamina D2. Questa ricerca evidenzia l’importanza di questa vitamina ed evidenzia la possibilità di pensare al cacao, ma ancora più al cioccolato fondente come a un integratore da utilizzare in combinazione con altri alimenti per incrementare l’apporto di vitamina D. «La vitamina D è fondamentale per il corpo umano ed è disponibile in due tipi: vitamina D2 e D3», spiega Gabriele Stangl della Martin Luther University.

Antiossidante, energetico, antidepressivo, protettivo. «La vitamina D3 - prosegue - è prodotta dalla pelle attraverso l'esposizione al sole. Gli esseri umani ottengono il 90% del loro fabbisogno di vitamina D in questo modo. Il resto viene consumato attraverso il cibo, come il pesce grasso o le uova di gallina. La vitamina D2 si trova invece nei funghi: le fave di cacao sono sensibili alla contaminazione da funghi e spesso contengono quantità considerevoli di ergosterolo, il precursore della vitamina D2, proprio per questo motivo». Inoltre, Stangl e colleghi hanno ipotizzato che l'essiccazione al sole delle fave di cacao fermentate porterebbe alla conversione dell'ergosterolo in vitamina D2. Per testare questa idea, i ricercatori hanno analizzato fave di cacao e alimenti a base di cacao utilizzando un sistema di spettrometria di massa all'avanguardia. «Abbiamo dimostrato – spiegano gli esperti alla rivista Food Chemistry - che le fave di cacao provenienti da diversi luoghi contengono vitamina D2. Un contenuto particolarmente elevato di questa sostanza è rilevato nel burro e nella polvere di cacao». Fra i prodotti analizzati, il cioccolato fondente presentava un contenuto di vitamina D2 compreso tra 1,90 e 5,48 μg/100 g, mentre quello bianco tra 0,19 e 1,91 μg/100 g.

Tutte le virtù del cioccolato

Gustosa fonte di nutrienti, la sua versione fondente si aggiudica il podio per la presenza di maggiori quantitativi di vitamina D2. Dalle origini antichissime (più di 6.000 anni) la sua storia si interseca con quella dei Maya, che furono i primi agricoltori a coltivare la pianta del cacao. Seguiti poi dagli Aztechi che cominciarono questa coltura e, in seguito, la produzione di cioccolata. Poco dopo, ad opera loro, la nascita della prima “fabbrica di cioccolato”. Tra il mistico e il religioso, all’epoca veniva consumato dai nobili in occasione delle cerimonie importanti, offerto insieme con all'incenso, come sacrificio alle divinità. Ancora oggi, l'antica città Maya di Kulubà (dove sorsero le prime piantagioni di cacao) è considerata la "culla del cioccolato". Ricavato dai semi della pianta di Theobroma cacao, è un nostro grande alleato. Insomma, un cioccolatino al giorno, toglie il medico di torno! Soprattutto quello fondente, è fonte di importanti nutrienti in grado di ridurre il rischio di diabete di tipo 2 e abbassare il colesterolo “cattivo” (LDL). Dal punto di vista nutrizionale, il cioccolato fondente, si contraddistingue per un basso contenuto calorico, un’importante funzione rilassante e un’interessante azione antidepressiva. Considerato lo “scaccia tristezza” per eccellenza, incide positivamente sul nostro umore (grazie al rilascio di endorfine).

La Filiera Etica del Cioccolato "LIFE 120" con SILVIO BESSONE (Maestro cioccolatiere)

E poi, non dimentichiamo che il cioccolato fa bene al cuore. Lo sostiene uno studio del 2003 promosso dell'Istituto Nazionale Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (Inran) di Roma. I risultati dell’indagine hanno rivelato che il cioccolato fondente aumenta del 20% le concentrazioni di antiossidanti nel sangue, grazie alla presenza dei flavonoidi. Inoltre, una ricerca dell’Università di Harvard durata cinque anni, su un campione di 7.841 persone di 65 anni, ha dimostrato che coloro che mangiavano cioccolato tre volte al mese vivevano più a lungo, per questi soggetti, infatti, il rischio di mortalità si riduceva del 36% rispetto a quelli che non la consumavano. Non dimentichiamo poi che il cacao e, di conseguenza, il cioccolato, rappresentano un’ottima fonte di magnesio. Se combinati a un’alimentazione sana ed equilibrata, cacao e derivati, ovviamente consumati in maniera adeguata, contribuiscono all’apporto giornaliero di oligonutrienti. Il cioccolato si presenta come un ottimo alleato per ridurre il rischio di malattie cardiache e di ipertensione e per mantenere pulite le arterie, grazie alla teobromina. E non solo. Questo cibo, favorisce l’afflusso di ossigeno al cervello, migliorandone, di conseguenza, memoria e concentrazione e riducendone il senso di fatica. Ultimo mito da sfatare: il cioccolato non fa ingrassare!


Senza tralasciare poi la preziosa funzione svolta dalla vitamina D. Di pronta risposta Vitalife D, un integratore alimentare con vitamina D3 (composta da colecalciferolo) più adatta all'uomo dopichè di provenienza animale. Inoltre, per facilitarne l'assimilazione è inserita in olio extravergine di oliva. La sua principale differenza sta proprio nelle composizione, poichè, ad esempio, la vitamina generalemente proposta negli integratori alimentari in commercio  è la D2, composta invece da ergocalciferolo, e quindi, di provenienza vegetale che si differenzia a sua volta dal calcitriolo che è invece di difficile assimilazione. Quindi di fondamentale importanza per fissare il calcio nelle ossa. Previene, inoltre, sia lo sviluppo del rachitismo nei bambini, che dell’osteoporosi negli anziani. Agisce come un ormone, controllando vari organi e sistemi e ha un'azione regolante nei confronti dell’infiammazione e del sistema immunitario. La sua carenza potrebbe, infine, essere associata a diverse patologie, quali il diabete, l’Alzheimer, l’asma e la sclerosi multipla.

 

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Per approfondimenti:

Il Giornale "Il cioccolato fondente è ricco di vitamina D"

Ansa "Il cacao, fonte sconosciuta e golosa di vitamina D"

SkyTg24 "Scoperta una nuova qualità del cacao: è fonte di vitamina D"

Fanpage "Il cioccolato fondente contiene vitamina D: la verità sullo studio che ci ha fatto sognare"

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Ebbene si! Esiste un’alimentazione in grado di prevenire una lunga serie di condizioni infiammatorie. «Una dieta ‘preventiva’ di tutte le condizioni patologiche figlie del benessere, come il diabete, l’obesità, le patologie cardiovascolari, ma anche il cancro: per questo più che di dieta antinfiammatoria si dovrebbe parlare di stile di vita antinfiammatorio» spiega a Gazzetta Act!ve Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e RAF First Clinic di Milano. «Lo stesso Covid-19 – prosegue l’esperta - ha alla base un processo infiammatorio. Un processo che può essere bloccato attraverso una dieta che sia però uno stile alimentare continuo, non un regime che si segue per un breve periodo e poi si abbandona» sottolinea. «Alla base ci sono quegli alimenti che vanno a contrastare i processi infiammatori innescati dallo squilibrio tra citochine pro-infiammatorie e citochine anti-infiammatorie. Ritrovando l’equilibrio si spegne l’infiammazione a livello cellulare». «In realtà ci sono stati infiammatori silenti, asintomatici. Ma se soffriamo di stipsi o di gastrite, per esempio, oppure abbiamo difficoltà a digerire o a dormire, potremmo avere in atto un processo infiammatorio, che può anche diventare cronico. E’ quindi bene bloccarla prima che cronicizzi, ascoltando questi segnali di allarme».

Alimentazione e salute: le virtù curative delle spezie

Lista della spesa alla mano, la nutrizionista ci suggerisce tutti i cibi da mettere nel carrello: «Sono molti gli alimenti che hanno proprietà antinfiammatorie e tra questi, non poteva di certo mancare lo zenzero. Conosciuto per le sue notevoli proprietà antinfiammatorie ed antibatteriche. Non dimentichiamo che le spezie, come dimostra lo studio condotto da un team di ricercatori della Pennsylvania State University, grazie alla capacità di frenare l’infiammazione che è alla base di alcune patologie molto serie, proteggono l’organismo da tumori, diabete e malattie cardiovascolari. La ricerca di questi scienziati, con l’utilizzato di un composto di spezie, nasce con l’obiettivo di studiare l'effetto postprandiale di una miscela di spezie sulle risposte infiammatorie delle citochine. L'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Gli studiosi hanno dimostrato che l’aggiunta spezie riduceva sensibilmente questo rischio. L’indagine pubblicata sulla rivista scientifica The Journal of Nutrition, ha mostrato la capacità di questi ingredienti di apportare benefici per la salute, riducendo l’infiammazione dell'organismo. Precedenti ricerche avevano già collegato le spezie alle notevoli proprietà antinfiammatorie. Infatti, in passato, l'infiammazione cronica era stata associata anche a patologie non trascurabili come il cancro, le malattie cardiovascolari, il sovrappeso e l'obesità.

A tavola con le vitamine del benessere

«Ma anche le verdure in generale sono ricche di polifenoli e carotenoidi, sostanze antinfiammatorie» sottolinea la biologa. Poi ci sono la vitamina C, la vitamina D e la vitamina E che hanno un’azione antinfiammatoria. Alcuni frutti di stagione, come kiwi e melograno, sono ricchi proprio di vitamina C e utili in questo senso. Come prevedibile, in cima alla lista degli ingredienti la regina delle vitamine: la vitamina C. Importante contributo in merito ai benefici di questo nutriente si legge nel libro di adriano panzironi, Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti:

Essa è fondamentale grazie alla sua interazione con gli elementi (enzimi, vitamine, minerali, etc...). Preziosa per la formazione del collagene, permette di migliorare la fase anabolica del nostro corpo, mantenendo il giusto equilibrio con la fase catabolica. La sua presenza è ancora più evidente nei processi di rimarginazione delle ferite, nella cura delle ustioni, nella riparazione delle pareti arteriose (anche dei capillari) e per il buono stato del muscolo cardiaco. È utilizzata dall’industria cosmetica per le creme anti rughe, visto l’effetto protettivo e rigenerativo che ha sulla pelle. Tale vitamina ha ottenuto molti riconoscimenti per la sua funzione antisclerotizzante, agendo su più fronti di questa patologia. Innanzitutto brucia le concentrazioni di grassi che si depositano sulle pareti delle vene e nel contempo partecipa alla riparazione dell’epitelio interno delle arterie, impedendo la riformazione aterosclerotica. Inoltre l’acido ascorbico, riduce del 15-20% il tasso di colesterolo nel sangue. Questa vitamina ha un effetto antitossico. Ma forse l’effetto più conosciuto della vitamina C è quello di contrastare le infezioni batteriche.

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Nella figura il meccanismo schematico in cui una IA di vitamina C potrebbe modulare funzioni specifiche dei neutrofili (ROS e TNFα, mediata da IL-1β), inibendo le vie coinvolte nella formazione della trappola extracellulare dei neutrofili (NETosis) e riducendo la produzione incontrollabile di citochine infiammatorie nell'alveolare spazio. Potenziali effetti sulla riduzione della produzione di citochine sono stati ipotizzati anche nei linfociti e nei macrofagi. ROS, specie reattive dell'ossigeno; NFkB, fattore di trascrizione nucleare kappa B; ┴, stimolo di inibizione; freccia tratteggiata, effetto o produzione ridotti.

E poi c’è un altro alleato prezioso che influenza e rinforza il nostro sistema immunitario. Si legge ancora nel libro:

Le cellule dendritiche, come abbiamo spiegato, hanno il compito d’inglobare l’anti-gene, giungere fino ai linfonodi (dove si trovano i linfociti T vergini), maturare e trasmettere le informazioni del gene da combattere. La vitamina D si lega al recettore (Dvr) e permette la maturazione delle cellule dendritiche, che possono così attivare la duplicazione dei linfociti specifici contro l’anti-gene identificato. La carenza di vitamina D diminuisce il numero di cellule dendritiche mature, allungando il tempo di reazione immunitaria del corpo. E’ per questo motivo che d’inverno esistono le epidemie da influenza. Se ci pensate bene, i virus vivono meglio al caldo e d’estate è molto più facile entrare in contatto con i fluidi corporei (sudiamo di più e siamo più scoperti). Ma nonostante ciò non ci sono epidemie influenzali. Il motivo è che siamo più forti (prendiamo il sole, attivando la vitamina D) ed i virus non riescono a sopraffarci. La vitamina E è assorbita in presenza degli acidi biliari nell’intestino e trasportata nel fegato dove viene depositata. La proprietà più importante di tale vitamina è la capacità antiossidante nella guerra ai radicali liberi. Difatti una molecola è in grado di proteggere dall’ossidazione 1.000 molecole di acidi grassi (polinsaturi e saturi), aumentando del 100% la resistenza all’ossidazione delle lipoproteine. La sua azione antiossidante protegge le cellule dalle mutazioni cancerose. Per ultimo, ma non meno importante, la vitamina E sopprime l’azione di diverse citochine pro-infiammatorie: l’interleuchina 1 (IL1) e 6 (IL6), entrambe responsabili di una serie di patologie croniche. Utilizzata per trattare diverse malattie quali il morbo di Parkinson, le malattie reumatiche, le malattie gastrointestinali, la distrofia muscolare, la sclerosi multipla, l’Alzheimer, le vene varicose, il diabete, la malattia di Crohn, le cefalee, la sindrome mestruale e per il rafforzamento delle difese immunitarie.

L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi

Gli alleati nel contrasto allo stress ossidativo

«E poi semi oleaginosi e frutta secca sono un vero e proprio concentrato di sostanze benefiche: contengono omega 3 e vitamina E» evidenzia la biologa. Tra gli effetti protettivi degli omega 3, tra i più rilevanti, ricordiamo sicuramente l’azione antiaggregante piastrinica o effetto antitrombotico, il controllo del livello plasmatico dei lipidi, soprattutto dei trigliceridi, la riduzione del rischio di problemi cardiovascolare, il controllo della pressione arteriosa mantenendo fluide le membrane delle cellule, e dando elasticità alle pareti arteriose. Per supportare e favorire l’introduzione degli omega 3 sarebbe opportuno consumare dalle 2 alle 3 porzioni settimanali di pesce, in particolare sgombro, merluzzo, pesce spada, tonno, trota, sardina e aringa. Oppure in alternativa di avvalersi del supporto di integratori alimentari. Altra importante fonte di omega 3 sono i semi di lino, valido supporto per sopperire alla carenza di questi preziosi acidi. Tuttavia, ce ne sono altri che sarebbe meglio evitare. «Sicuramente alcolici e bevande zuccherate». Inoltre, un'ultima raccomandazione a tutti gli sportivi. «Chi fa sport ha un livello di infiammazione un po’ più alto a causa dello stress ossidativo prodotto dall’attività sportiva, che produce più citochine infiammatorie. La vitamina C è fondamentale proprio per bloccare l’infiammazione a livello cellulare. Ma in generale gli sportivi dovrebbero seguire un'alimentazione particolarmente ricca di antiossidanti».

OMEGA 3, ecco perché è importante integrarli per la nostra salute

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Per approfondimenti:

Gazzetta dello Sport "Ecco la dieta antinfiammatoria, uno stile alimentare per prevenire le patologie dell’era moderna"

Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"

The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"

Frontiers in Immunology “The Long History of Vitamin C: From Prevention of the Common Cold to Potential Aid in the Treatment of COVID-19

PubMed "Evolution and the need for ascorbic acid"

MDPI "Vitamin C and Immune Function"

Il Messaggero "Covid, influenza stagionale e coronavirus: come distinguere i sintomi in caso di febbre"

Corriere della Sera "Coronavirus, come incide la dieta sulla forza del sistema immunitario"

Philippe Lagarde "Libro d'oro della prevenzione: difendere la salute con gli integratori alimentari e le vitamine"

Corriere del Mezzogiorno "Coronavirus, come difendersi a tavola"

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Oltre 463 milioni di persone (1 su 11) convivono con il diabete. 3 milioni solo in Italia, ma un milione e mezzo non sa di averlo! E le previsioni non sono per niente ottimistiche. Si prevedono, infatti, che il numero di persone affette da questa patologia aumenterà, entro i prossimi dieci anni, a 578 milioni. Ancora oggi, un adulto su due rimane non diagnosticato. Nel 2019, il diabete è stato la causa di 4,2 milioni di morti. Senza tralasciare le conseguenze. Infatti, le lesioni cutanee, portatrici di infezioni anche croniche, possono aggravarsi fino a determinare l'amputazione dell'arto (1 su 5 in Italia). «È importante il ruolo di questa giornata nella sensibilizzazione sul diabete, una patologia in crescita che richiede nuovi approcci terapeutici» commenta all’Adnkronos Giuseppe Seghi Recli, Presidente di Molteni. Inoltre «La comparsa di ulcere da piede diabetico è spia di una condizione clinica particolarmente grave che richiede un inquadramento completo e la definizione di uno specifico percorso di cura» aggiunge nell'intervista all'Adskronos il professor Luigi Uccioli, Policlinico Universitario Tor Vergata di Roma. 

DIABETE: lo stile di vita sostiene prevenzione e remissione

Al via con il World Diabetes Day#WDD2020! La Giornata mondiale del diabete (WDD) viene istituita nel 1991 dalla federazione internazionale del diabete con lo scopo (IDF) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in risposta alla crescente sfida alla salute posta dal diabete. La Giornata Mondiale del Diabete è diventata la Giornata ufficiale delle nazioni Unite con l’approvazione della risoluzione 61/225. Si celebra il 14 novembre di ogni anno, in occasione del compleanno di Sir Frederick Banting che ha scoperto l’insulina insieme a Charles Best nel 1922. La campagna di sensibilizzazione richiama l’attenzione su questioni di fondamentale importanza. Il diabete di tipo 2 è la forma più diffusa, riguarda oltre il 90% dei casi, ed è una patologia cronica caratterizzata da un eccesso di zuccheri nel sangue, iperglicemia, che può causare frequenti complicanze cardiovascolari e renali, precoci e spesso fatali, come lo scompenso cardiaco e l’insufficienza renale. «Il progetto nasce proprio dall’esigenza di rispondere ad un bisogno importante di conoscenza di molti soggetti affetti da diabete di tipo 2 – spiega all’Adnkronos Agostino Consoli, presidente eletto della Sid –. Molte persone con diabete non sono fino in fondo consapevoli della gravità di questa malattia». La campagna di comunicazione si fa portavoce di un messaggio educativo estremamente importante: «il diabete – precisa Consoli - è una malattia cronica ed è fondamentale che i pazienti si prendano a cuore la propria patologia».

Alimentazione: tra cura e prevenzione

Parola chiave: prevenzione! Una soluzione che si è trasformata in un problema in era Covid, con gli ospedali saturi e le terapie intensive al collasso. Da qui l’importanza di prevenire questa patologia per evitare le eventuali complicanze. Oggi più che mai, soprattutto in piena emergenza sanitaria. Infatti, lo scompenso cardiaco è una delle complicanze più precoci nei soggetti con diabete di tipo 2 e tra le prime cause di ospedalizzazione nel nostro Paese, associata purtroppo a un elevato rischio di mortalità a 5 anni dalla diagnosi. Inoltre, circa il 40% dei pazienti diabetici sviluppa nefropatia che quando si manifesta è spesso in una fase troppo avanzata per poter intervenire. «Queste complicanze impattano notevolmente sulla qualità di vita dei pazienti – evidenzia in un’intervista all’Aknkronos Paolo Di Bartolo, presidente Amd – e la prevenzione rappresenta uno strumento fondamentale per contrastarle. La sfida di oggi, infatti, non è la cura della malattia conclamata, ma una sua corretta gestione per prevenire tempestivamente le complicanze nei numerosissimi pazienti che presentano almeno un fattore di rischio, come l’ipertensione, l’abitudine al fumo o dislipidemia. Il controllo medico diventa quindi parte integrante della terapia e la collaborazione dei pazienti diabetici nel richiedere una consulenza costante risulta importantissima».

DIABETE: ecco come mangiare per stare meglio

Un tema delicato quello del diabete, ma soprattutto una malattia da non trascurare. «Il diabete di tipo 2 è una patologia metabolica caratterizzata da glicemia elevata in un contesto di insulino-resistenza ed insulino-deficienza relativa e rappresenta circa il 90% dei casi di diabete. Questo viene inizialmente trattato con l’aumento dell’esercizio fisico e con modifiche nella dieta» spiega Christian Orlando, biologo e nutrizionista. «Fino a un secolo fa – continua l’esperto - l’alimentazione con un ridotto contenuto di carboidrati (massimo 20/25 gr al giorno) rappresentava uno standard per la cura del diabete tipo 1 e tipo 2, in quanto la restrizione di carboidrati produce spesso un rapido e notevole miglioramento clinico. Poi, la scoperta dell’insulina nel 1920 ha permesso il controllo dell’iperglicemia in persone diabetiche consentendo ai pazienti di mangiare una quantità maggiore di carboidrati senza però considerare gli effetti collaterali dovuti alla notevole quantità di insulina somministrata». Il biologo cita anche una relazione dell’ADA ( American Diabetes Association) del 2019, secondo cui «le diete a basso contenuto di carboidrati hanno dimostrato un miglioramento della glicata e la minor quantità di antidiabetici orali somministrati nei pazienti con diabete tipo 2». «Nelle persone con diabete di tipo 2 all’esordio, alcuni studi hanno inoltre dimostrato che tale alimentazione porta ad un miglioramento della funzione delle cellule beta del pancreas secernenti insulina e una riduzione dell’insulino-resistenza con miglioramento del compenso glicemico» conclude Orlando.

Lo zucchero ci rende più vulnerabili ai virus

Il 43,9% dei soggetti deceduti per Covid avevano il diabete. Il report del 20 marzo, dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sui pazienti deceduti in Italia, conferma la probabilità di maggiore mortalità in presenza di diabete. Mentre, il 48,6% presentava 3 o più patologie croniche. Secondo il Current Diabetes Review «il diabete di tipo 2 può «aumentare l’incidenza delle malattie infettive e delle comorbilità correlate». E anche se questi non hanno maggiore probabilità di essere contagiati, rischiano sicuramente più degli altri di sviluppare gravi complicanze, una volta contratto il virus. È la conclusione di un équipe di ricercatori dell’Università di Padova. La ricerca, pubblicata sul Journal of Endocrinological Investigation, dimostra come i pazienti diabetici, soggetti a un aggravamento del quadro clinico in presenza di qualsiasi malattia acuta, nel caso di infezione da SARS-CoV2 hanno un rischio di prognosi peggiore della patologia, rispetto a quella degli altri soggetti infetti non diabetici. L’interconnessione tra Covid e diabete è dovuto all’enzima attraverso cui il virus entra nelle cellule delle vie respiratorie è lo stesso espresso nelle cellule del pancreas e del fegato, e il paziente portatore di entrambe le malattie presenta indici coagulativi, marcatori infiammatori e proteina C reattiva con più alti livelli nel sangue rispetto ai soggetti positivi al Coronavirus, ma senza diabete. Inoltre, le “abituali” complicanze causate dal diabete come neuropatie, retinopatie, arteriopatie e nefropatie, oltre a una maggiore predisposizione a contrarre patologie batteriche e virali durante la infezione Covid 19 si riacutizzano, peggiorando la già critica situazione clinica.

«Alti livelli di zucchero nel sangue per un lungo periodo di tempo possono effettivamente deprimere il sistema immunitario, quindi non risponde più rapidamente al virus quando entra nel corpo e ha più tempo per replicarsi, scendere ai polmoni e causare i problemi legati alla respirazione che possono portare alla necessità di cure ospedaliere» spiega Amir Khan, affermato specialista ed esperto nella patologia del diabete di tipo 1 e 2. L’esperto fa poi riferimento ai dati diffusi dalla Cina che mostrano, nei primi 44.672 casi positivi, le persone che avevano malattie cardiovascolari, precedenti infarti o ictus, avevano un tasso di mortalità più alto  (10,5%). «In Cina, dove la maggior parte dei casi si è verificata finora, le persone con diabete avevano tassi molto più alti di complicanze gravi e morte rispetto alle persone senza diabete» spiega l’American Diabetes AssociationTuttavia, a peggiorare il quadro clinico, come evidenziato nel report dell’ISS, contribuiscono anche alcuni farmaci ad uso comune. Gli Ace inibitori, molecole con effetti antipertensivi che agiscono sulla funzionalità cardiaca ostacolando l'insorgenza della insufficienza renale, influenzano negativamente l’evoluzione dell’infezione.

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