Non solo azzurro. Anche tonno, salmone e tutte le varietà di pesce ricche di omega 3. Buoni e salutari per l’organismo e utili nel contrasto di tante patologie. Due porzioni a settimana di cibi ricchi di questi acidi grassi essenziali riducono l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Giunge a questa conclusione lo studio, pubblicato sul Journal of American Medical Association Internal Medicine, condotto dagli scienziati della McMaster University, che hanno esaminato i dati di oltre 190 mila persone provenienti da 58 Paesi per correlare il consumo di pesce alle condizioni di salute. «Abbiamo osservato dei benefici significativi – sostiene Andrew Mente della McMaster University – ma è noto da tempo che gli acidi grassi omega 3 siano positivi per l’organismo». Il team di studiosi ha raccolto i dati relativi a diversi studi precedenti, considerando un totale di 191.558 persone provenienti da tutto il mondo, 51mila delle quali avevano sviluppato disturbi cardiaci. I partecipanti sono stati monitorati per oltre nove anni, in cui sono stati analizzati i rapporti sul consumo di pesce e di altri alimenti. Stando ai dati dell’équipe di ricercatori, le morti improvvise e i tassi di mortalità complessivi erano rispettivamente del 21 e del 18% più bassi tra i consumatori di almeno due porzioni di pesce azzurro ogni settimana. Altro studio recente, quello della Universitat Rovira i Virgili (URV) e della Harvard Medical School che dimostra i notevoli benefici degli omega 3 sul nostro organismo. Secondo questi ricercatori, il consumo di omega 3, principalmente attraverso il pesce, ma anche negli integratori contenenti questi acidi grassi, contrasta le malattie grazie all’azione che consente di modulare le lipoproteine, le particelle che spostano i lipidi attraverso il sangue. Nello studio gli scienziati si sono concentrati soprattutto su tre tipi di acidi grassi omega-3: acido α-linoleico (ALA), acido docosaesaenoico (DHA) e acido eicosapentaenoico (EPA), che si possono trovare nel pesce e in altri alimenti, essenziali per la nostra salute.
Teoria già confermata da una precedente ricerca condotta nel 2018 e pubblicata sulla rivista Diabetes Care dove un gruppo di esperti dall’American Heart Association ha concluso che «le attuali evidenze scientifiche supportano fortemente la raccomandazione che i frutti di mare siano parte integrante di una dieta sana per il cuore». Questi alimenti ad alto contenuto di acidi grassi polinsaturi omega 3 a catena lunga (n-3 LCPUFA) sono fonti benefiche che riducono il rischio di morte per cause cardiovascolari, malattie coronariche e ictus ischemico. «I pesci grassi di acqua fredda come salmone, acciughe, aringhe, sgombri, tonno e sardine hanno i livelli più alti di acidi grassi n-3 a catena lunga, in particolare acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico(DHA)». Inoltre, il consumo del pesce azzurro è fortemente raccomandato anche per prevenire lo sviluppo del diabete di tipo 2. Lo studio prospettico e osservazionale condotto Qibin Qi e colleghi dell’Albert Einstein College of Medicine di New York su un campione di 400mila adulti britannici senza diabete o malattie cardiovascolari ha mostrato che il consumo di pesce riduce del 22% l’incidenza di diabete. Altra importante fonte di omega 3 sono i semi di lino, valido supporto per sopperire alla carenza di questi preziosi acidi.
Una persona su tre muore per malattie cardiovascolari. 17,9 milioni di vittime ogni anno. Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), infatti, le malattie cardiovascolari in generale rappresentano la prima causa di morte a livello globale. Fino ad oggi era stato dimostrato che un elevato consumo di acidi grassi omega 3 era associato a livelli più bassi di trigliceridi nel sangue. Tuttavia, era stato anche correlato ad un aumento del colesterolo LDL, cioè colesterolo a bassa densità trasportato dalle lipoproteine, noto anche come colesterolo cattivo. Il colesterolo LDL aumenta il rischio di malattie cardiovascolari perché può accelerare la formazione di aterosclerosi, cioè il processo mediante il quale le arterie si induriscono e perdono la loro elasticità. Per contro, lo studio ha scoperto che un aumento del consumo di colesterolo LDL dai pesci è associato principalmente al colesterolo trasportato dalle particelle più grandi di LDL, che sono meno aterogeniche e non con un aumento del numero totale di particelle di LDL. Questa diminuzione del numero di trigliceridi trasportati da qualsiasi tipo di lipoproteina aiuta a proteggere l'individuo dalle malattie cardiache. «Sulla base di questi dati – evidenzia Victoria Taylor, dietista presso la British Heart Foundation, che non è stata coinvolta nello studio – due porzioni di pesce a settimana sembrerebbero rappresentare la quantità minima di pesce necessaria per ottenere il massimo beneficio dalle proprietà nutritive dell’alimento».
OMEGA 3, ecco perchè è importante integrarli per la nostra salute
Chi assumeva almeno 175 grammi di pesce a settimana – osservano gli scienziati – era anche associato a un rischio inferiore del 16% di subire un ictus o un infarto. Mangiare pesce può infatti aiutare a combattere le malattie cardiovascolari e le condizioni cliniche associate a disturbi cardiaci o dei vasi sanguigni. Sardine, sgombro, merluzzo, salmone, tonno e tutte le varietà di pesce ricche di omega 3 possono portare a benefici a livello cardiaco, oculare e cerebrale l’acido docosaesaenoico, o DHA, della categoria degli omega 3, in particolare, è fondamentale per la crescita e lo sviluppo dell’organo cerebrale, tanto che costituisce circa il 14% degli acidi grassi nel cervello umano. Salmone e tonno non sono propriamente pesci azzurri ma sono assimilabili alla categoria per via delle proprietà nutritive». - Gli studiosi aggiungono inoltre che i benefici sono stati osservati indipendentemente dalla modalità di conservazione dell’alimento - «Fresco, congelato o in scatola, il pesce è fondamentale per la salute cardiovascolare – precisa Taylor – che sia bianco o grasso, inoltre, il pesce rappresenta un’ottima fonte di proteine ed è un’alternativa preferibile alla carne rossa e lavorata. La dieta […] ricca di verdura, frutta […] e pesce, rappresenta una delle abitudini alimentari più sane, in grado di ridurre il rischio di problemi legati a ipertensione, colesterolo alto e malattie cardiache.
I 3 tipi di acidi grassi omega 3 studiati, acido α-linolenico, DHA e EPA sono presenti nei pesci e in altri alimenti e lo studio ha scoperto che differiscono nella loro associazione con il rischio di patologie cardiovascolari. Altro punto a favore: gli effetti positivi sul cervello. Dimostrati da decine di studi internazionali, gli acidi grassi entrano a far parte delle membrane cellulari, che si mantengono elastiche, e combattono l’invecchiamento mentale, infatti, gli omega 3 influenzano soprattutto la memoria, l’orientamento spazio-temporale, l’attenzione, la fluidità di parola e la velocità di elaborazione dei dati, migliorando sia le performance. Hanno, inoltre, un’azione antitrombotica e migliorano il ritmo cardiaco evitando l’insorgenza di aritmie. Conservano l’elasticità cutanea, rendendo la pelle compatta e meno segnata dalle rughe del tempo. Svolgono un’azione riparatrice delle membrane cellulari, ne ritardano la comparsa e rimediano ai danni già fatti.
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Per approfondimenti:
AGI "Pesce azzurro in tavola due volte a settimana riduce i rischi cardiaci"
Ansa "Meno rischio cardiaco con 2 porzioni di pesce a settimana"
URV "A study identifies the mechanism by which eating fish reduces the risk of cardiovascular disease"
Corriere Nazionale "Chi mangia regolarmente pesce azzurro ha un rischio significativamente inferiore di sviluppare il diabete di tipo 2 rispetto a chi prende integratori"
Notizie Scientifiche "Omega-3 del pesce riduce rischio di malattie cardiovascolari modulando lipoproteine"
Ragusa News "Omega-3: perché inserirli nella dieta"
Journal of the American Heart Association (JAHA) "Habitual Fish Consumption, n‐3 Fatty Acids, and Nuclear Magnetic Resonance Lipoprotein Subfractions in Women"
Il Fatto Alimentare "Omega 3: guida al consumo degli acidi grassi essenziali molto presenti nel pesce azzurro e nel salmone e pochissimo nei filetti di sogliola"
Il Giornale "Gli integratori omega 3 salvano cuore, mente e portafogli"
Prima Lodi "Che cosa sono gli Omega 3 e a cosa servono"
Prima Milano Ovest "I benefici degli Omega 3, fra pesce, frutta e verdura"
LEGGI ANCHE: Columbia University: ecco il perché gli omega 3 proteggono dall'Alzheimer
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Esposti e vulnerabili. Sul banco degli imputati finiscono insonnia e stress. Condannati da nuovi studi, queste patologie influiscono negativamente non solo sul nostro stile di vita, ma anche sulla nostra azione difensiva da attacchi esterni. Un accumulo di ansia e stress per adattarsi a questa nuova quotidianità con cui conviviamo da più di un anno. Le alterazioni del sonno sono un fattore di rischio per l'obesità, l'ipertensione, il diabete oltre ad alcune forme di cancro, tra cui al seno e alla prostata. Anche lo stress abbassa le nostre difese, oltre a renderci particolarmente irritabili e ansiosi ci espone maggiormente al rischio di contagio. Legato a una situazione temporanea, contingente, facilita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. Quindi, tra le soluzioni tra adottare nell’immediato sicuramente quella di intervenire sullo stile di vita abbassando i livelli di cortisolo e aumentando così la capacità immunitaria del nostro organismo. Un prezioso aiuto arriva poi anche dall'assunzione di integratori alimentari che limitano la produzione stessa del cortisolo.
Il sonno ci protegge dalle infezioni. Difatti, l’insonnia o un sonno frammentato incidono negativamente sul nostro sistema immunitario e, di conseguenza, sul nostro benessere psicofisico. Insomma, due importanti condizioni da non sottovalutare. L'insonnia è un grave problema di salute associato a un grande carico psicologico. Mentre lo stress (dall’inglese “sforzo o spinta”) indica una “trasformazioni morfologiche tangibili in vari organi, particolarmente nelle ghiandole endocrine che stanno sotto il controllo dell'ipofisi anteriore” (Selye, 1936). Tra i notevoli danni provocati, il cortisolo non indebolisce solo il sistema immunitario, ma agisce sul cuore, aumentando la pressione e la frequenza cardiaca, agisce sul sistema respiratorio, stimolando la funzione respiratoria, aumenta la funzione metabolica, e quindi i livelli di glicemia nel sangue, rallenta il sistema digestivo e inibisce il sonno. In altre parole, di fronte ad uno stress non fa altro che peggiore una condizione critica. Un sondaggio dell'EURODAP (Associazione Europea per il Disturbo da Attacchi di Panico) ha evidenziato che a incidere sullo stress è stato anche lo smart working. Le prime vittime di questo stress da pandemia sono proprio le donne che hanno registrato un incremento dell’ansia di ben il 73%.
Tirando le somme, questa condizione decisamente critica porta a un aumento del 45% dei problemi di salute. Infatti, secondo gli esperti della World Sleep Society (Wss), i responsabili sarebbero proprio insonnia, disturbi del sonno e cattivo riposo notturno. In media, in quasi tutti i Paesi, il 10-15% della popolazione nazionale è affetta da patologie del sonno mentre un altro 30% circa riferisce una sensazione di riposo non riparatore e di stanchezza al risveglio. Un quadro critico che è indubbiamente peggiorato a causa della pandemia da Covid-19 e con le relative restrizioni che hanno modificato inevitabilmente i nostri ritmi di vita. Eppure un sonno regolare favorisce il miglioramento del sistema immunitario che ci rende vulnerabili a virus e a tante altre malattie. Infatti, come spiegano gli studiosi della Wss, le alterazioni del sonno hanno conseguenze psicologiche e psichiatriche molto negative, quali l'aumento dell'ansia e dello stato depressivo. Sulla salute del corpo umano poi, sono un ulteriore fattore di rischio aumentato di sovrappeso, obesità, ipertensione, diabete ed alcune forme di cancro, soprattutto del seno e della prostata.
Ma quali sono gli accorgimenti per riposare correttamente e arginare questa condizione rischiosa?
Lo stress è sicuramente legato ad una situazione temporanea, contingente, che facilita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. E questo vale anche per noi, che stiamo subendo una pressione cronica legata a questa situazione. Ma lo stress non migliora la risposta immunitaria, anzi. Quindi è importante cerca di arginarlo. Dormire, sicuramente, perché il riposo abbassa i livelli di cortisolo e aumenta la capacità immunitaria del nostro organismo. E’ la cosa più importante. A livello di alimentazione una dieta mediterranea vera, equilibrata, è sicuramente ottima in termini di acquisizione di tutti i nutrienti. Di certo un apporto di vitamina C e di vitamine del gruppo B è utile. Ma è bene soprattutto dormire.
INSONNIA? Come DORMIRE bene e svegliarsi riposati
Senza trascurare quanto dimostrato da una ricerca della Clinica universitaria di Navarra, in Spagna, ha anche evidenziato l'incidenza del cattivo sonno sull'insorgere del morbo di Parkinson: il 33% dei pazienti con disturbi del riposo notturno lo sviluppano entro 5 anni e più del 75% entro 10 anni. Tra i principali suggerimenti per migliorare la qualità del sonno c'è sicuramente quello di rispettare orari fissi sia per andare a letto che per alzarsi, riposare in media tra le 7 e le 8 ore a notte, non pensare di compensare nei weekend il sonno perso durante la settimana. Contribuiscono, inoltre, a una buona dormita anche l’alimentazione sana ed equilibrata per fare il pieno di sostanze nutritive senza appesantirsi troppo, una regolare attività fisica, la programmazione della propria giornata, l'esposizione ai raggi del sole per fare la scorta di vitamina D, l'esposizione ai dispositivi elettronici nelle ore serali e prima di andare al letto, e l'attività fisica troppo pesante, la moderazione nei consumi di fumo e alcool, evitare infine cibi pesanti, zuccheri, bevande gassate e caffeina, nemici per antonomasia del corretto riposo. Allontana le estenuanti notti insonni anche il magnesio, un prezioso minerale dall’effetto miorilassante, fondamentale per la nostra salute soprattutto in vista dell’estate. «Sicuramente si tratta di un sale minerale molto utile in caso di stress fisico e psichico», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e la RAF First Clinic di Milano. Un vero e proprio toccasana per il benessere, la sua presenza nella dieta, come evidenziato nell studio statunitense "Magnesium intake and depression in adults", riduce il rischio di depressione.
Stimola il rilassamento muscolare, contrastando i crampi e ripristinando la contrazione muscolare, come il calcio, ma agisce anche a livello del sistema nervoso, favorendo la distensione e avendo come effetto anche un miglioramento della qualità del sonno. Questa sua azione miorilassante è data dal fatto che questo minerale riduce la produzione di adrenalina. Carenze di magnesio si possono osservare in condizioni di forte stress, intensa attività fisica e sportiva o sudorazione importante. Anche l’insonnia e i disturbi gastrointestinali possono indicare una carenza di magnesio.
La risposta giusta contro stress, notti insonni, sbalzi d’umore, ansia e stati d’irritabilità si trova a tavola. In sostanza, è importante ridurre lo stress ossidativo attraverso l’assunzione, nella dieta, di tutte quelle vitamine e quei sali minerali che hanno una sorta di funzione di reintegro. Minerali come il potassio, il sodio e il magnesio, ma anche vitamine coma la C, potente antiossidante, oltre a quelle del gruppo B, in grado di ridurre il senso di stanchezza e migliorare la condizione stressogena generale a livello fisico e mentale. E ancora la vitamina D, grande alleata del sistema immunitario. Queste sostanze stimolano la contrazione e il rilassamento muscolare, agendo proprio come miorilassante, migliora la qualità del sonno.
Gazzetta Active "Lo stress abbassa le difese immunitarie. Il virologo: “Dormire è fondamentale"
Agi "Dormire male indebolisce le difese immunitarie"
Gazzetta Active "Sistema immunitario, così il sonno ci protegge dalle infezioni. Dormite poco? Ecco i rischi"
PubMed "Magnesium intake and depression in adults"
Radio 24 "Il sonno amico del nostro cervello"
Corrriere della Sera "Gli effetti sul sonno della pandemia"
Il Messaggero "Covid: stanchezza, affaticamento e insonnia. Gli strascichi della malattia nello studio del Careggi"
Il Giornale "Coronavirus e insonnia: cosa fare per dormire meglio"
The italian times "Insonnia: cause e rimedi per curare ansia e stress da mancanza sonno!"
Plos Biology "A bidirectional relationship between sleep and oxidative stress in Drosophila"
Vanity Fair "INSONNIA E PROBLEMI COL SONNO: ECCO COSA FARE SE NON RIESCI A DORMIRE"
La Repubblica "Dormire poco fa male al cuore"
Plos Biology "Broken sleep predicts hardened blood vessels"
Fondazione Veronesi "Insonnia: se dormi male anche il cuore rischia"
La Repubblica "Anziani, se troppo sonno diventa la spia di diabete e problemi di cuore"
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Sonno e apnee notturne: oltre al fastidio, aumenta il rischio di infarto e ictus
Un aiuto a prevenire allergie e malattie polmonari. Dal rafforzamento delle ossa alla prevenzione di malattie come il rachitismo e l'osteoporosi negli adulti, gli effetti benefici di questa vitamina vanno ben oltre. È la volta di una nuova indagine tedesca che enfatizza l’effetto positivo dell’ormone del sole per chi soffre di allergie. Secondo questo studio, la vitamina D potrebbe essere utilizzata in diversi modi, anche contro il raffreddore da fieno. Una vitamina che il nostro corpo è in grado di produrre grazie all’energia solare ci aiuta nella prevenzione di tante malattie autoimmuni e infettive. Tra le sue preziose funzioni, inoltre, quella di rinforzare il sistema immunitario e di ridurre le risposte infiammatorie. Tuttavia, le sue proprietà curative straordinarie non sono di certo una grande novità e ora, diverse pubblicazioni scientifiche mostrano anche un effetto positivo sulle reazioni allergiche. Senza trascurare poi che le varie allergie vanno sempre “a braccetto” e solitamente, come evidenziato da Deutsche Apotheker Zeitung, un’allergia è accompagnata quasi sempre da un’altra ad esempio come avviene con la febbre da fieno quando i sintomi si estendono fino alle basse vie respiratorie. E questa condizione, prima o dopo, porta inevitabilmente all’asma. Inoltre, questa sensibilità potrebbe poi favorire la neurodermite. Soprattutto in primavera poi, aumenta la cosiddetta rinite allergica, un’infiammazione della mucosa nasale, che sorge come reazione allergica da allergeni nell’aria. Questa è un’infiammazione della mucosa nasale, vale a dire una reazione allergica a un allergene nell’aria.
RINITE ALLERGICA, ecco come stare meglio cambiando stile di vita
Una scoperta scientifica che potrebbe dare sollievo nei casi di starnuti, lacrimazione degli occhi, problemi respiratori, tosse, prurito, eruzioni cutanee e persino disturbi gastrointestinali. Stop ai sintomi fastidiosi da imputare alla comune rinite allergica da pollinosi. Derivano tutti da un corto circuito del nostro sistema immunitario agli allergeni innocui. I dati registrati negli ultimi anni continuano ad aumentare. In Germania, come riportato dal Robert Koch Institute, oltre 3 milioni di persone soffrono di asma e più di 12 milioni di rinite allergica. Inoltre, dei dati Sulla salute degli adulti in Germania (DEGS1) mostra che l’asma è aumentata di circa il 51% negli ultimi anni. Inoltre, tra i più colpiti da questi fastidi anche il 50% dei bambini italiani. Ai quali gioverebbe sicuramente giocare qualche ora all’aperto, esposti alla lucere solare per contrastare l'ipovitamonosi D. Senza dimenticare poi che basse quantità di vitamina D sono correlate a patologie come l'obesità, il diabete, le malattie polmonari varie e altri problemi ossei. La conferma dei poteri benefici della vitamina D nella prevenzione dell'asma e delle infezioni respiratorie ricorrenti arriva anche dal Congresso nazionale Siaip (Società italiana di allergologia e immunologia pediatrica).
In età pediatrica la vitamina D serve per la crescita ed il benessere osseo, ma ha anche un effetto centrale nel modulare le funzioni del sistema immunitario - spiega Diego Peroni, ordinario di Pediatria Università di Pisa - Infatti, la vitamina D è in grado di interagire con diverse cellule del sistema immunitario, regolando la risposta agli agenti infettivi e modulando la risposta immunologica. Studi recenti hanno messo in luce che nei bambini asmatici la supplementazione con vitamina D riduce la frequenza degli episodi e favorisce un miglior controllo della patologia utilizzando naturalmente i farmaci di base antinfiammatori. Il deficit di vitamina D invece è spesso correlato ad un maggior numero di accessi ospedalieri per broncospasmo e a una maggiore necessità di terapia con corticosteroidi orali. Due importanti studi hanno ad esempio documentato che i neonati con bassi livelli di vitamina D nel sangue cordonale hanno maggiori rischi di sviluppare infezioni respiratorie e bronchiolite a tre mesi rispetto ai neonati senza deficit di vitamina D.
Al via con una nuova forma di trattamento per chi soffre di allergie. L’indagine tedesca ha esaminato un’eventuale relazione tra la carenza di vitamina D e la gravità delle allergie. I ricercatori hanno confrontato 49 partecipanti di età compresa tra 18 e 55 anni. Gli scienziati hanno anche lavorato con un gruppo di controllo. Tutti i partecipanti avevano diversi livelli di vitamina D nel loro organismo. Il risultato ottenuto dalla ricerca dimostra che con un quantitativo rilevante di vitamina D il rischio di raffreddore da fieno o allergie era nettamente inferiore. «E’ importante sapere che gli esseri umani acquisiscono solo il 10% della vitamina D con l’alimentazione e il 90% per sintesi dopo l’esposizione alla luce solare» spiega Michele Miraglia del Giudice, vicepresidente Siaip e professore associato di Pediatria all’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Presente in elevate concentrazioni in diverse tipologie di pesce del Nord come salmone, aringa, sgombro e sardine. Il nutriente si trova anche in uova, funghi, burro e fegato suino. Tra tutti, però, è sicuramente l'olio di fegato di merluzzo l'alimento che contiene il maggiore quantitativo di questo prezioso nutriente. Gli esperti comunque sottolineano come la fonte primaria di vitamina D per l'uomo non sia il cibo ma il sole e per questo è importante farne la scorta necessaria, sicuramente cominciando dall'alimentazione, ma anche con la tradizionale esposizione ai raggi UV e il supporto dell'integrazione. In sintesi, il team di ricercatori ha dimostrato, dati alla mano, che il livello di vitamina D nel corpo è fortemente correlato alle reazioni allergiche.
ALLERGIE e INTOLLERANZE ALIMENTARI: come influisce lo stile di vita
L’asma bronchiale è una condizione caratterizzata da difficoltà respiratoria e restringimento delle vie aeree che conducono ai polmoni (che comprendono il naso, i passaggi nasali, la bocca e la laringe). In presenza di asma allergica su soggetti che cioè soffrono di allergie, le vie respiratorie bloccate o infiammate che causano i sintomi di solito possono essere curate con l’aiuto di alcuni cambiamenti nello stile di vita e con il prezioso contributo di questa vitamina-ormone. Al contrario, invece, l’asma è un tipo di patologia polmonare ostruttiva cronica (BPCO) ed anche legata alle allergie, sia stagionali/ambientali, sia alimentari. Difatti, tra le varie cause anche le diete a basso contenuto di sostanze nutritive. Seguire quindi un'alimentazione sana, ricca di antiossidanti e nutrienti, preferibilmente con cibi costituiti da proprietà con la capacità di inibire una reazione infiammatoria. Rigorosamente banditi a tavola: zuccheri e carboidrati! Peculiarità di questa patologia, i sintomi che tendono a manifestarsi improvvisamente in risposta a stimoli che irritano il sistema immunitario e il passaggio di aria, stato conosciuto come attacco d’asma o dispnea. Dispnea o affanno, sintomo tipico di questa patologia è un fastidio caratterizzato da respiro sibilante oltre alla percezione di una costrizione toracica accompagnata da episodi di tosse. Più o meno frequenti e gravi, questi attacchi possono, nella peggiore delle ipotesi, portare a decesso per insufficienza respiratoria, ovvero mancanza di ossigeno.
Immunity "Lipid-Droplet Formation Drives Pathogenic Group 2 Innate Lymphoid Cells in Airway Inflammation"
Universität Bonn "Researchers suggest a special diet against asthma"
Il Messaggero "Una dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"
Ansa "Dieta con pochi carboidrati potrebbe aiutare contro l'asma"
Il Giornale "Asma, una dieta con pochi carboidrati potrebbe essere di aiuto"
Di Lei "Dieta con pochi carboidrati: dimagrisci e potresti proteggerti dall’asma"
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Di Lei "Dieta chetogenica: a chi fa bene"
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West Virginia University: l'Asma dipende dall'alimentazione ricca di zuccheri
Non solo per insaporire. Oltre al contributo a tante opere culinarie, le spezie sono preziose anche per il nostro apparato digerente. Donano sapore al cibo e ci aiutano a metabolizzarlo. Tra quelle poi che facilitano la digestione sicuramente curcuma, zenzero, cumino, finocchio e menta. Concentrati di vitamine e minerali, con azione antiossidante e di contrasto ai radicali liberi. Le spezie sono gli alleati della nostra salute, a zero calorie. Utili per alleviare i sintomi di indigestione e gonfiore addominale. Riducono le contrazioni dell’apparato digerente rilassando i muscoli intestinali permettendo così al cibo, di passare più facilmente. Diverse indagini hanno poi dimostrato che le spezie aumentano notevolmente l’attività della lipasi intestinale, un enzima utilizzato nella digestione e alleviano le irritazioni gastrointestinali. Tra le loro funzioni fondamentali il contrasto alla sindrome dell'intestino irritabile, uno dei disturbi gastrointestinali più comuni caratterizzati da dolore addominale cronico, abitudini intestinali alterate o cambiamenti nella consistenza delle feci. Insomma, ricche di proprietà e indubbiamente diverse da tutti gli altri condimenti come evidenzia a Gazzetta Active la dottoressa Emanuela Russo, dietista INCO (Istituto Nazionale per la Cura dell’Obesità) dell’IRCCS Policlinico San Donato e del Marathon Center del Palazzo della Salute di Milano.
Sicuramente hanno tutte un potere antinfiammatorio e antiossidante e riducono la produzione di radicali liberi. Come sanno bene in Oriente, dove l’uso delle spezie è molto più diffuso, hanno delle proprietà quasi curative, tanto che spesso molti integratori contengono proprio i principi attivi di alcune spezie. Ricordiamo, però, che non sono farmaci, quindi vanno usate con costanza per ottenerne i benefici, e sono perfette proprio laddove non c’è una reale patologia ma una propensione a determinate patologie.
Spezie utili per la salute: curcuma, zenzero, cannella e peperoncino
La sindrome dell'intestino irritabile (IBS) è uno dei disturbi funzionali più comuni del tratto gastrointestinale (GI) e la sua presentazione clinica è un dolore addominale inferiore ricorrente progressivo accompagnato da cambiamenti dell'abitudine intestinale (in consistenza e frequenza). Di solito uno stress fisico o emotivo o una specifica abitudine nutrizionale innesca i sintomi. Anche la colite ulcerosa (CU) e il morbo di Crohn (MC) sono condizioni infiammatorie croniche del tratto intestinale: sono la conseguenza di influenze ambientali, disordini genetici, alterazioni del microbiota intestinale, che portano ad una risposta immunitaria anormale con relativa infiammazione. Sebbene l'infiammazione possa rimanere limitata a determinati segmenti gastrointestinali, la funzione dell'intero tratto è alterata. Sebbene l'IBS sia una malattia bio-psico-sociale complessa con un'eziologia multifattoriale, che coinvolge, tra gli altri, la dieta e lo stile di vita, la motilità intestinale alterata è una caratteristica comune, con conseguente disagio addominale cronico, dolore, associato a cambiamenti nelle abitudini intestinali che compromettono la qualità della vita. Come dimostra uno studio condotto da un team di ricercatori della Pennsylvania State University, grazie alla capacità di frenare l’infiammazione che è alla base di alcune patologie molto serie, le spezie proteggono l’organismo da tumori, diabete e malattie cardiovascolari. L’indagine di questi studiosi, con l’utilizzato di un composto di spezie, nasce con l’obiettivo di studiare l'effetto postprandiale di una miscela di spezie sulle risposte infiammatorie delle citochine. L'infiammazione postprandiale che si verifica in concomitanza con iperglicemia e iperlipidemia dopo l'ingestione di un pasto ad alto contenuto di grassi saturi e alto contenuto di carboidrati (HFCM) è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (CVD). Gli studiosi hanno dimostrato che l’aggiunta spezie riduceva sensibilmente questo rischio. Tuttavia, la ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica The Journal of Nutrition, ha mostrato la capacità di questi ingredienti di apportare benefici per la salute, riducendo l’infiammazione dell'organismo. Ovvero, i ricercatori hanno scoperto che quando i partecipanti allo studio consumavano un pasto con l’aggiunta di sei grammi di una mescolanza di spezie, questi manifestavano marcatori di infiammazione più bassi rispetto a un pasto privo di queste sostanze. Precedenti ricerche avevano già collegano le spezie alle notevoli proprietà antinfiammatorie.
Utilizzata, oggi come nel passato, per il trattamento delle malattie infiammatorie intestinali. La Curcuma longa (curcuma) è un'erba perenne, coltivata nel sud-est asiatico. Nella medicina tradizionale è impiegata da secoli per le sue proprietà antitumorali, antimicrobiche, antinfiammatorie, antiossidanti e presenta attività inibitoria dell'acetilcolinesterasi (come riportato nello studio "Curcuma longa Extract Exerts a Myorelaxant Effect on the Ileum and Colon in a Mouse Experimental Colitis Model, Independent of the Anti-Inflammatory Effect". Il costituente principale responsabile del suo colore giallo è la curcumina, antiossidante e antinfiammatorio per antonomasia. L'attività antinfiammatoria della curcumina è stata studiata in varie ricerche in vitro e in vivo. Nell'animale da esperimento è stato dimostrato che un estratto di curcuma previene lo sviluppo della colite indotta dall'acido trinitrobenzene sulfonico (TNBS) attraverso l'inibizione delle vie di trasduzione del segnale critiche per le risposte infiammatorie. Inoltre, è stato dimostrato che previene l'infiammazione attraverso il blocco nella mucosa nella colite cronica indotta da Destrano Sodio Solfato (DSS) e inibisce le funzioni immunostimolatorie delle cellule dendritiche bloccandone l'attivazione. Inoltre, la curcuma, in uno studio randomizzato in doppio cieco e controllato con placebo, ha dimostrato di essere efficace e sicura nel mantenere, anche nel lungo periodo, la remissione della colite ulcerosa e di ridurre la produzione di specie di ossigeno attivo.
L'ampio uso clinico di Curcuma longa come agente antinfiammatorio e il suo uso empirico nella diarrea nei paesi orientali hanno spinto un‘indagine al fine di valutare se la curcuma eserciti qualche effetto miorilassante sulla motilità ileale intestinale e del colon in segmenti intestinali sani, sia questo effetto, se presente, oltre all’osservazione della colite sperimentale acuta e cronica e, infine, se questo effetto è indipendente dall'effetto antinfiammatorio (come descritto nell'indagine "Curcuma longa L. as a Therapeutic Agent in Intestinal Motility Disorders. 2: Safety Profile in Mouse"). Difatti, l'uso della curcuma come agente antinfiammatorio e quello empirico tradizionale come farmaco sintomatico antidiarroico nei disturbi funzionali del tratto gastrointestinale hanno suggerito un effetto anche sulla motilità intestinale. In conclusione, l'estratto di curcuma esercita un effetto miorilassante sull'ileo e sul colon indipendentemente dall'effetto antinfiammatorio. Il meccanismo d'azione è dovuto sia ad un effetto miorilassante diretto sugli strati muscolari intestinali sia ad una inibizione non competitiva e reversibile dell'agente colinergico. E ancora, questo studio fornisce il razionale per l'uso della curcuma nei disturbi della motilità e suggerisce una possibile applicazione ai disturbi motori funzionali del tratto gastrointestinale, dovuti all'effetto miorilassante sull'intestino normale, indipendente dall'attività antinfiammatoria.
I rizomi dello Zingiber officinale (zenzero) sono stati utilizzati fin dall'antichità come rimedio tradizionale per i disturbi gastrointestinali. Gli ingredienti più attivi dello zenzero sono i principi pungenti, in particolare gingeroli e shogaoli. Vari studi preclinici e clinici hanno valutato lo zenzero come un trattamento efficace e sicuro per la nausea e il vomito nel contesto della gravidanza e come trattamento adiuvante per la nausea e il vomito indotti dalla chemioterapia. Nello studio viene esaminato l'uso dello zenzero per la prevenzione di nausea e vomito, con particolare attenzione ai tipi e alle presentazioni di zenzero disponibili oltre anche alle proprietà farmacocinetiche dello zenzero. In relazione alle sue proprietà antiemetiche, lo zenzero (e i suoi costituenti) agisce perifericamente, all'interno del tratto gastrointestinale, aumentando il tono gastrico e la motilità grazie alle azioni anticolinenergiche e antiserotoninergiche. Lo zenzero è un'erba antica ampiamente utilizzata nella storia per le sue numerose proprietà medicinali naturali e in particolare come antiemetico. Valida difesa contro l’ulcera e ottimo supporto per alleviare i dolori mestruali. Ricco vitamina B6 e vitamina C e di minerali come potassio, rame, manganese, magnesio, niacina, fosforo e ferro.
Alimentazione e salute: le virtù curative delle spezie
Lo zenzero (Zingiber officinale Roscoe) è un'erba perenne appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae, coltivata principalmente in Asia e nelle regioni tropicali, ed è una delle erbe più importanti e ampiamente consumate al mondo. Coltivato per il suo stelo commestibile sotterraneo (rizoma), lo zenzero è stato usato fin dall'antichità sia come spezia che come medicinale a base di erbe per trattare una varietà di disturbi principalmente gastrointestinali, come nausea, vomito (emesi), diarrea e dispepsia, e anche diversi disturbi, tra cui artrite, dolori muscolari e febbre. Questa lunga e consolidata storia di uso medicinale negli esseri umani ha stimolato studi clinici in corso per valutare scientificamente l'efficacia dello zenzero come terapia adiuvante o come medicina complementare e alternativa (CAM) in una serie di indicazioni relative a nausea e vomito. I più studiati di questi includono nausea e vomito in gravidanza (NVP), nausea e vomito indotti da chemioterapia (CINV), nausea e vomito postoperatori e, in misura minore, cinetosi. Infine, lo zenzero è considerato un'erba sicura per il consumo umano e compare nella Food and Drug Administration degli Stati Uniti generalmente riconosciuta come lista sicura oltre ad essere inclusa nelle farmacopee di molti paesi occidentali. Il British Herbal Compendiumelenca definisce lo zenzero come rimedio per il vomito durante la gravidanza.
Stop a gonfiore, indigestione, flatulenza, diarrea e nausea! Riconoscibile dal gusto intenso. Il cumino (come riportato nella ricerca "Cumin Extract for Symptom Control in Patients with Irritable Bowel Syndrome") ha la capacità di aumentare il flusso biliare che accelera i processi digestivi del fegato. Ricco di fibre, calcio, fosforo, ferro e potassio. Ottimo digestivo e prezioso per curare l’intestino e rafforzarne le difese immunitarie, grazie alle sue proprietà antibatteriche e virali. Il C Aluminum Cyminum della famiglia "A Piaceae" conosciuta come cumino è una delle erbe più antiche coltivata in Iran. Il frutto del cumino ha un olio essenziale composto da trepenoidi ed è stato utilizzato come potenziatore energetico e immunitario, digestivo, diuretico, antiparassitario, anti-convulsivo e anti-flatulenza nella medicina tradizionale iraniana ed è utilizzato per la perdita di peso. Uno studio condotto in Germania nel 1996 ha dimostrato che l'olio essenziale di erbe contenente cumino può essere utile nel controllo del dolore addominale in pazienti con disturbi gastrointestinali non ulcerativi. Inoltre, uno studio condotto nel 2000 ha dimostrato che il cumino può alleviare il dolore nei pazienti con malattia gastrointestinale funzionale. L’indagine condotta da Fazel et al. ha anche dimostrato che il cumino può essere utile nella prevenzione delle complicazioni gastrointestinali dopo un taglio cesareo di emergenza riducendo la distensione intestinale, i dolori di coliche, il bruciore di stomaco e il passaggio di gas e la defecazione ritardata. Il cumino è stato anche efficace nel controllo del dolore neurogenico e infiammatorio. Inoltre, secondo evidenze scientifiche, incoraggia l’attività degli enzimi digestivi e diversi studi dimostrano che i pazienti con sindrome del colon irritabile notano una riduzione dei sintomi con un’assunzione regolare.
Allevia i problemi di stitichezza e protegge il colon. Stimola la produzione di succhi gastrici (come evidenzia lo studio "Foeniculum vulgare Mill: A Review of Its Botany, Phytochemistry, Pharmacology, Contemporary Application, and Toxicology") e in virtù di questo viene spesso utilizzato come aiutino digestivo dopo i pasti. Inoltre, contiene numerosi composti preziosi, come composti volatili, flavonoidi, composti fenolici, acidi grassi (circa ventuno) e amminoacidi, una varietà di antiossidanti, oltre alla quercetina che protegge dall’invecchiamento e contrasta le malattie. Foeniculum vulgare Mill comunemente chiamato finocchio è stato utilizzato nella medicina tradizionale per una vasta gamma di disturbi legati ai sistemi digestivo, endocrino, riproduttivo e respiratorio. Inoltre, è anche usato come agente galattagogo per l’allattamento. È un'erba tradizionale e popolare con una lunga storia di utilizzo come medicinale. Una serie di studi ha dimostrato che questa spezia controlla efficacemente numerose malattie infettive di origine batterica, fungina, virale, micobatterica e protozoica. Ha attività antiossidante, antitumorale, chemiopreventiva, citoprotettiva, epatoprotettiva, ipoglicemica ed estrogenica. Alcune delle pubblicazioni hanno affermato che il Foeniculum vulgare Mill ha un tipo speciale di effetto di potenziamento della memoria e può ridurre lo stress. È utilizzato in molte parti del mondo per il trattamento di una serie di malattie, ad esempio, dolori addominali, antiemetici, aperitivo, artrite, cancro, coliche nei bambini, congiuntivite, costipazione, depurativo, diarrea, dieresi, emmenagogo, febbre, flatulenza , gastralgia, gastrite, insonnia, colon irritabile, disturbi renali, lassativi, leucorrea, dolore al fegato, ulcera alla bocca e mal di stomaco.
Dalle notevoli proprietà carminative, con la capacità di evitare la formazione e soprattutto il ristagno di gas a livello gastro-intestinale. È anche apprezzato per le sue proprietà antispasmodiche: allevia gli spasmi intestinali che possono portare a diarrea, quindi è utile per chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile. È anche ricco di sostanze fitochimiche e antiossidanti con notevoli benefici.
Facilita la digestione e sgonfia la pancia. Queste, le doti nascoste della menta che svolge un ruolo importante per il nostro apparato digerente. Insomma, un rimedio naturale per chi soffre di problemi digestivi. La menta, infatti, agisce aiutando il rilassamento della muscolatura liscia, diminuendo di conseguenza la sensibilità viscerale e agendo come antimicrobico e antimicotico. In una revisione di 9 studi su 926 persone con la sindrome dell’intestino irritabile, la menta è risultata significativamente superiore al placebo per il miglioramento globale di questi sintomi: con un miglioramento del dolore addominale per il 95% dei soggetti.
PubMed "The efficacy of an herbal medicine, Carmint, [...] with irritable bowel syndrome"
Gazzetta Act!ve "5 spezie per digerire: dal cumino allo zenzero"
Plos One "Curcuma longa [...] of the Anti-Inflammatory Effect"
Middle East Journal "Cumin Extract for Symptom Control in Patients with Irritable Bowel Syndrome"
Plos One "Curcuma longa L. as a Therapeutic Agent in Intestinal Motility Disorders"
Gazzetta Act!ve "Spezie: concentrati di vitamine, minerali e antiossidanti a zero calorie"
Plos One "Foeniculum vulgare Mill: A Review of Its [...] Pharmacology, Contemporary Application è [...]"
PubMed "Peppermint oil for the treatment of irritable bowel syndrome"
Sky Tg24 "I benefici delle spezie, possono aiutare a ridurre l'infiammazione"
The Journal of Nutrition "Spices in a High-Saturated-Fat, High-Carbohydrate Meal Reduce Postprandial Proinflammatory Cytokine Secretion in Men with Overweight or Obesity"
MSN "I benefici delle spezie nell'alimentazione sana"
Letto Quotidiano "Spezie ed erbe aromatiche in cucina che hanno benefici sulla tua salute"
Proiezioni di Borsa "Lasciare nel cassetto le medicine e curarsi con le spezie"
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Una relazione tanto discussa che torna, ancora una volta, alla ribalta della cronaca nazionale grazie a una nuova ricerca italiana sull’importanza dell’ormone del sole nella lotta contro l’infezione da SARS-CoV2. Dall’indagine emerge che una carenza di vitamina D sembrerebbe peggiorare le condizioni, con evidenti criticità riscontrate nel quadro clinico delle persone positive al Covid. I ricercatori parlano appunto di "stadi clinici di Covid-19 più compromessi" per indicare una malattia più grave. Allo studio retrospettivo, pubblicato sulla rivista Respiratory Research e condotto su 52 pazienti, hanno collaborato l'Istituto superiore di sanità (Iss), l'Ospedale Sant'Andrea di Roma e altre istituzioni. Tra ipovitaminosi D e malattie polmonari, l’ennesima indagine prova a far chiarezza una volta per tutta: «[...] I nostri dati sottolineano una relazione tra i livelli plasmatici di vitamina D e diversi marcatori di malattia». Nelle persone con deficit di vitamina D, la sua integrazione è in grado di ridurre il rischio di sviluppare diverse infezioni virali. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a maggior rischio di essere positivi per Covid-19 rispetto a quei soggetti con stato di vitamina D sufficiente. Oltre all’esposizione solare e all’alimentazione, la supplementazione di vitamina D è una raccomandazione utile e sicura.
Insomma, molto di più di un micronutriente coinvolto nel metabolismo del calcio e nella salute delle ossa. La vitamina D, per l'appunto, svolge tra le altre funzioni anche un ruolo importante come ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. Come noto, infatti, i suoi recettori sono ampiamente distribuiti in tutto l’organismo e in particolare nell’epitelio alveolare polmonare e nel sistema immunitario. Ad, oggi, l'infezione da Covid-19 è ancora una sfida aperta. Sebbene siano note le caratteristiche cliniche a seguito della penetrazione del virus nel nostro sistema respiratorio, la patobiologia ei meccanismi che regolano questo ingresso e le ragioni alla base dei molteplici quadri clinici osservati sono ancora sconosciuti. Sfortunatamente, circa il 20% dei pazienti contagiati ha sviluppato una grave malattia respiratoria caratterizzata da infiltrati polmonari diffusi e danno di pneumociti alveolari, che va incontro ad apoptosi e morte. Le unità alveolari coinvolte sembrano essere periferiche e subpleuriche. Inoltre, è stata segnalata un'iperinfiammazione virale. Una precoce sovrapproduzione di citochine pro-infiammatorie conosciuta come tempesta di citochine. Tra questi, i livelli plasmatici elevati sono stati inclusi come predittori di mortalità. L'insufficienza della vitamina D è stata correlata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all'esacerbazione nelle malattie polmonari ostruttive croniche e nell'asma.
Coinvolti nella ricerca 52 pazienti (con età media di 68 anni) affetti da coronavirus con coinvolgimento polmonare (27 femmine e 25 maschi, nella fascia di età compresa tra i 29 ed i 94 anni). I livelli di vitamina D erano carenti (con livelli plasmatici di vitamina D molto bassi, sotto 10 ng/ml) nell'80% dei pazienti, insufficienti nel 6,5% e normali nel 13,5%. Circa l'8% della coorte di studio aveva livelli plasmatici di vitamina D normali. I pazienti alle prese con la forma più aggressiva di coronavirus avevano livelli plasmatici di vitamina D più bassi indipendentemente dall'età. Francesco Facchiano, ricercatore dell'Iss, coautore dello studio spiega il metodo di ricerca utilizzato:
Nella nostra indagine abbiamo correlato, per la prima volta, i livelli plasmatici di vitamina D a quelli di diversi marcatori (di infiammazione, di danno cellulare e coagulazione) e ai risultati radiologici tramite Tac durante il ricovero per Covid-19 e abbiamo osservato che i pazienti con bassi livelli plasmatici di vitamina D, indipendentemente dall'età, mostravano una significativa compromissione di tali valori, vale a dire risposte infiammatorie alterate e un maggiore coinvolgimento polmonare. Anche se gli effetti in vivo della Vitamina D non sono completamente compresi – si legge nello studio – una serie di osservazioni sottolineano il ruolo della vitamina D nello sviluppo delle malattie polmonari. La sua insufficienza è stata collegata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all’esacerbazione delle malattie polmonari ostruttive croniche e dell’asma. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a un più alto rischio di essere positivi al Covid-19 rispetto ai soggetti con sufficiente stato di vitamina D.
Da un punto di vista generale, l'attività della vitamina D sembra essenziale anche nella regolazione dello stress ossidativo e dei meccanismi di sopravvivenza. L'epitelio alveolare respiratorio rappresenta la prima linea di difesa in grado di contrastare e impedire l'ingresso di agenti patogeni. Rappresenta uno dei principali attori dell'immunità innata compresi i macrofagi alveolari e le cellule dendritiche. Se stimolate, queste cellule attivano una varietà di vie di segnalazione intracellulare per specifiche difese antimicrobiche, rilascio di mediatori infiammatori e risposte immunitarie adattative. La risposta immunitaria adattativa è strettamente correlata alla capacità dei linfociti T e B di secernere citochine e produrre rispettivamente immunoglobuline. La carenza di vitamina D è stata correlata all'aumento dei livelli di IL-6, mentre l'integrazione di vitamina D riduce i livelli di IL-6 in diversi studi. L'IL-6 è elevata nei pazienti Covid-19 con malattia grave ed è anche considerata un marcatore prognostico rilevante. È stato riportato altresì che la mortalità è maggiore nei pazienti con livelli elevati di IL-6. Una conta dei neutrofili elevata predice l'infiammazione in corso e la diminuzione della conta dei linfociti è considerata un indicatore di prognosi infausta. Nel caso di infezione acuta, lo stato più grave è spesso associato a un aumento della conta delle cellule dei neutrofili e a una riduzione dei linfociti.
L'importanza della Vitamina D - intervista ad Adriano Panzironi
Numerosi i lavori condotti sia retrospettivamente (Meltzer D et al.), che con metanalisi (Pereira M et al.), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al.) e di una più elevata mortalità ad essa associata (De Smet D et al.): tutti questi dati forniscono interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana che, soprattutto in Italia, è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al.). In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici (Castillo ME et al.), la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva è stata del 2% se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% nei pazienti non trattati. Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione tra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli di questo nutriente (Kaufman HW et al.). In 77 soggetti anziani ospedalizzati per Covid (Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study), la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente oppure al momento della diagnosi. Nei pazienti positivi i livelli di vitamina D sono risultati significativamente inferiori rispetto a quelli dei pazienti negativi (D’Avolio et al.). E ancora in una sperimentazione clinica (Rastogi A. et al., SHADE Study) su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo contro il 20,8% dei pazienti del gruppo di controllo.
Vitamina D, un prezioso alleato ricco di proprietà e benefici
Dati poi confermati da altri lavori condotti dall’inizio della pandemia hanno evidenziato l’importanza di questa sostanza come strategia di prevenzione e trattamento:
Respiratory Research "Circulating Vitamin D levels status and clinical prognostic indices in COVID-19 patients"
Agi "La carenza di vitamina D può aggravare la malattia"
Nurse Time "Coronavirus, carenza di vitamina D associata a stadi clinici più compromessi"
Comune di Torino "Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19: nuove evidenze"
Regione Piemonte "Covid, aggiornato il protocollo delle cure a casa"
Ansa "ANSA-IL-PUNTO/ COVID: PIEMONTE si attrezza contro varianti"
Nutrients "Effectiveness of In-Hospital Cholecalciferol Use on Clinical Outcomes in Comorbid COVID-19 Patients: A Hypothesis-Generating Study"
Jama Network "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19 Test Results"
Springer Link "Associations between hypovitaminosis D and COVID-19: a narrative review"
Il Messaggero "Covid, morti in calo con l'assunzione di vitamina D"
Ansa "Covid: calo morti con trattamento con vitamina D"
Il Resto del Carlino "Covid, con la vitamina D rischio di decesso e ricovero in Intensiva calato dell'80%"
La Nazione "Covid, calo di morti con la vitamina D"
La Gazzetta di Parma "Calo dei morti da Covid col trattamento con vitamina D: uno studio anche parmigiano"
Il Giornale "La Vitamina D ci salverà dal Covid?"
The Guardian "Add vitamin D to bread and milk to help fight Covid, urge scientists"
ANSA "Covid: carenza vitamina D per oltre 80% pazienti ricoverati"
Queen Mary University "Clinical trial to investigate whether vitamin D protects against COVID-19"
ISS "COVID-19: la vitamina D potrebbe cooperare con l’interferone nella risposta antivirale"
Today "Coronavirus e Vitamina D: la ricerca sull'olio di merluzzo e Covid-19"
Journal of American Medical Association Network Open "Association of Vitamin D Status and Other Clinical Characteristics With COVID-19"
Università di Torino "Possibile ruolo preventivo e terapeutico della vitamina D nella gestione della pandemia da COVID-19"
Leggo "Covid, 8 pazienti su 10 ricoverati in ospedale erano carenti di vitamina D"
Giornale di Brescia "Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti ricoverati"
Corriere del Ticino "Carenza di vitamina D nell’80% dei pazienti COVID"
Corriere della Sera "La carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo in Covid-19?"
AGI "Le carenze di vitamina D potrebbero aumentare la vulnerabilità al Covid"
Fanpage "La vitamina D riduce il rischio di COVID-19, lo conferma un nuovo studio"
Huffington Post "Bagni di sole e camminate nei boschi per difendervi dal virus. I consigli del Trinity College"
LEGGI ANCHE: Il Piemonte rompe gli schemi: vitamina D introdotta nel protocollo contro il Covid
Calcifediolo contro il Covid. Lo studio di Barcellona: morti in calo del 60% con la vitamina D
Dalla vitamina D al Covid: una lunga storia tra mito e scienza
Covid, calo morti e trasferimenti in terapia intensiva dell'80%: merito della vitamina D
Il sole contro il Covid: la vitamina D ci rende più forti e meno vulnerabili
Covid, studio a Pavia: carenza di vitamina D associata all’infezione
Regno Unito: contro il Covid, vitamina D a oltre 2 milioni di persone
Covid, carenza di vitamina D nell'80% dei pazienti
Covid: aumenta il rischio del 60% con carenza di vitamina D
Rinchiuse e stressate. Mantenere i “nervi saldi” sembra ormai un lontano ricordo. Un anno difficile per gli italiani, il lockdown e la pandemia hanno messo a dura prova il nostro sistema nervoso. Per non parlare poi di tutte le attività connesse alla vita sociale che siamo costretti a svolgere tra le mura domestiche. Scuola, lavoro e attività sportiva. Tutto rigorosamente “fatto in casa”. Un sondaggio dell'EURODAP (Associazione Europea per il Disturbo da Attacchi di Panico) ha evidenziato che a incidere sullo stress è stato anche lo smart working e la didattica a distanza dei figli. Le prime vittime di questo stress da pandemia sono proprio le donne che hanno registrato un incremento dell’ansia di ben il 73%. Un dato notevole che, tra smart working e DAD (didattica a distanza), ha stravolto gli equilibri familiari, infliggendo un duro colpo soprattutto alle donne. Una percentuale importante della popolazione femminile quella che emerge da un sondaggio promosso dall’EURODAP a cui hanno risposto 532 donne. Insomma, intere giornate trascorse al chiuso tra impegni e stress ci hanno trasformato in vere e proprie “casalinghe disperate” alle prese con una moltitudine di faccende da sbrigare. I figli, il lavoro, lo studio, gli esami e la casa. Senza contare poi la mancata interazione con i colleghi. «La pandemia ha creato inevitabilmente squilibri, disagi e pressioni che hanno modificato il nostro modo di vivere e, in questo scenario, il ruolo che si è trovata a rivestire la donna non è da sottovalutare», spiega Eleonora Iacobelli, psicoterapeuta e presidente EURODAP.
La necessità di gestire le nuove dinamiche relazionali e familiari che si sono presentate, dal lavoro alla cura dei figli e della casa, ha portato le donne - prosegue - ad accumulare stati di stress e ansia e ad adattarsi a una nuova quotidianità, dove mitigare sentimenti come tristezza, depressione e paura rischia di passare pericolosamente in secondo piano. Inoltre, lo smart working e, in alcuni casi, la perdita del lavoro hanno contribuito ad aumentare il tempo che le donne passano in casa. Se già in passato gestire tutti i differenti aspetti della vita costituiva una delle problematiche principali della donna, ora è diventato ancor più complicato.
Salute a rischio con STRESS e CORTISOLO, come influisce lo stile di vita
Un circolo vizioso che ci lascia alla mercè del virus. Difatti, poiché lo stress abbassa le nostre difese immunitarie, oltre a renderci particolarmente irritabili e ansiosi ci espone maggiormente al rischio di contagio. Ora, più che mai, è importante non abbassare la guardia e tenere alla larga stress e brutti pensieri cercando, perlomeno, di non peggiorare la situazione. Lo stress, legato a una situazione temporanea, contingente, facilita la produzione di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress. Tra le soluzioni tra adottare nell’immediato sicuramente quelle accomunate dallo stesso fine, ovvero abbassare i livelli di cortisolo e aumentare la capacità immunitaria del nostro organismo. Tra i primi alleati in questo impegno quotidiano sicuramente l’alimentazione, una dieta sana ed equilibrata è fondamentale per immagazzinare tutti i nutrienti necessari a rafforzare le nostre difese. Prezioso un apporto di vitamina C e D oltre a sali minerali. Poi, a fare la differenza sono anche il corretto riposo e la qualità della vita. Ecco perché diventa importante agire anche sullo stile di vita. Quindi, tra le azioni positive per il nostro benessere: mantenere uno stile di vita sano, svolgere regolarmente attività fisica e dormire bene! Un valido aiuto arriva poi anche dall'assunzione di integratori alimentari che influenzano la produzione di cortisolo.
Lo stress (dall’inglese “sforzo o spinta”) è un termine mutuato dalla fisica. A partire dalle ricerche del medico austriaco Hans Selye nel 1936 si inizia a fare riferimento allo stress in quanto sindrome prodotta da diversi agenti nocivi per l'organismo, fino a identificare questa condizione come uno stato di tensione in grado di manifestarsi con “trasformazioni morfologiche tangibili in vari organi, particolarmente nelle ghiandole endocrine che stanno sotto il controllo dell'ipofisi anteriore”. In base a recenti statistiche è possibile osservare un aumento dei disturbi legati a stress e ansia, con un’impennata nell’ultimo anno a seguito della pandemia e le previsioni per il futuro sembrano tutt’altro che incoraggianti. «È un ormone prodotto dalle due ghiandole surrenali che, come dice il nome, si trovano alle estremità dei due reni», spiega a Gazzetta Active il dottor Carmine Gazzaruso, endocrinologo e diabetologo, responsabile delle Unità Operative di Diabetologia, Endocrinologia, Malattie Metaboliche e Vascolari, nonché del Pronto Soccorso dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano (Pavia) e responsabile dell’Unità di crisi Covid dell’Istituto. Viene definito un ormone perché: «La funzione principale di questo ormone - prosegue il diabetologo - è proprio quella di rispondere alle situazioni di stress, intendendo con questo termine qualsiasi situazione che l’organismo non riconosce come normale, fisiologica, ma di pericolo, sia esso fisico o psichico». Altro fattore importante è la sua capacità dello stress di abbassare le nostre difese immunitarie. «Infatti il cortisolo, tra le sue molte funzioni, riduce anche l’immunità, come si può osservare con il cortisone, che è la formulazione farmaceutica del cortisolo, ed è un antinfiammatorio e immunosoppressore».
Le reazioni di stress: le tre fasi della Sindrome Generale di Adattamento
Tra le altre funzioni del cortisolo oltre ad indebolire il sistema immunitario:
Modifica tutte le funzioni dell’organismo. Di fronte ad una situazione di pericolo l’organismo si prepara a combattere o a scappare. Questo può avvenire di fronte ad una situazione di pericolo acuto, come una infezione o un trauma, o davanti ad una situazione di pericolo cronico, come uno stress prolungato nel tempo. In tutte queste situazioni il cortisolo agisce sul cuore, aumentando la pressione e la frequenza cardiaca, agisce sul sistema respiratorio, stimolando la funzione respiratoria, aumenta la funzione metabolica, e quindi i livelli di glicemia nel sangue, dal momento che ha bisogno di energia immediata in quel momento. In altre parole, di fronte ad uno stress il cortisolo fa aumentare tutte quelle funzioni che servono per scappare o difendersi, mentre fa diminuire tutte le funzioni che in quel momento non servono. Così, per esempio, il sistema digestivo rallenta e il sistema immunitario si abbassa, perché in quel momento le forze vanno dislocate altrove. Il sonno viene inibito, perché in quel momento è importante essere svegli, e così aumenta il livello di attenzione. Anche la funzione riproduttiva ha delle ripercussioni, perché in una situazione di pericolo non serve fare figli. Il cortisolo fa tutto questo.
Lo STRESS e i tanti rischi per la nostra salute
Senza dimenticare poi che elevati livelli di cortisolo potrebbero aumentare il rischio di una serie di patologie come ipertensione, diabete e altre malattie metaboliche. «Sì, si va incontro alla sindrome metabolica, quindi al rischio di obesità, diabete, ipertensione e patologie cardiovascolari». Ma cos’è l’ipercortisolismo noto anche come sindrome di Cushing? Una prerogativa solo delle persone obese o in sovrappeso? Sono una aumentata produzione di ACTH (per una iperplasia o un adenoma dell’ipofisi o per la produzione da parte di un tumore) che stimola il surrene a produrre cortisolo, oppure la presenza a livello del surrene di una iperplasia o di un adenoma che produce cortisolo in maniera autonoma. Inoltre, nelle condizioni di obesità l’asse ipofisi-surrene che regola il sistema ACTH-cortisolo è più attivo, per cui nei soggetto obesi, sebbene in forma più sfumata, si possono avere alcuni disturbi da ipercortisolismo. Insieme all'obesità, la presenza di una vita stressante e problemi di ipertensione, soprattutto se insorta in giovane età, sono elementi che devono far pensare a un rischio di ipercortisolismo.
No, l’obesità in sé probabilmente non crea ipercortisolismo, ovvero cortisolo in valori superiori alla norma. Ad incidere sono prima di tutto la predisposizione genetica e lo stress. Anche i magri possono avere livelli elevati di cortisolo. In uno studio condotto su persone obese si è osservate che avevano livelli minori di cortisolo coloro che facevano yoga, senza aver perso peso, rispetto a coloro che si sottoponevano a chirurgia bariatrica, e quindi perdevano peso. La componente nervosa, legata al cervello è fondamentale. Sicuramente l’ordine di produrre cortisolo parte dal cervello, per l’esattezza da due aree cerebrali presenti nella zona dell’ipotalamo. C’è un asse nervoso-endocrino ma soprattutto un asse puramente nervoso nella produzione del cortisolo. E purtroppo una volta che il cervello si abitua a stimolare la produzione di cortisolo in eccesso è difficile bloccare questo processo. Per questo motivo è fondamentale iniziale a fare una vita sana da giovani, con attività fisica, dieta equilibrata e sonno a sufficienza. Ma soprattutto a tenere a bada lo stress.
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Stare all’aria aperta riduce il rischio di malattie e contrasta insonnia e stress
Prezioso per il benessere di muscoli, contrasta lo stress ossidativo e allontana le lunghe notti insonni. Non solo d’estate! Il magnesio è un minerale fondamentale per la nostra salute in ogni stagione dell’anno. Dall’effetto miorilassante, che aiuta a distendere i muscoli in caso di sforzo fisico (come ad esempio dopo l’attività sportiva oppure in caso di particolare stress o tensione) alla sua capacità di alleviare i sintomi premestruali come i crampi e i dolori addominali o il mal di testa di tipo tensivo. Inoltre, si dimostra anche un ottimo aiuto nel contrasto all’insonnia. Insomma, tra i minerali fondamentali per il nostro organismo si annovera proprio il magnesio. Importante soprattutto per le funzioni biochimiche che controllano le contrazioni muscolari e la conduzione degli impulsi nervosi. Il magnesio, inoltre, è necessario per il controllo della glicemia, della regolazione della pressione sanguigna e per il buon mantenimento delle ossa. Un minerale che aiuta, inoltre, a mantenere l’equilibrio elettrolitico e a ridurre la sensazione di spossatezza. Presente nelle noci, nelle banane e nelle verdure a foglia larga, si trova anche, seppur in minore quantità, nel pesce e nella carne. Il magnesio è un macroelemento cruciale in numerose reazioni che vedono coinvolte le cellule dell’organismo, tra cui la sintesi delle proteine, così come il controllo della glicemia e della pressione arteriosa, i processi di produzione dell’energia, così come la sintesi del glutatione, tripeptide naturale con efficacia antiossidante.
La miglior risposta è sempre la prevenzione soprattutto quando il dispendio energetico si fa sentire, rischiando di mandare in riserva anche le vitamine coinvolte proprio nella produzione di energia. Indispensabile poi per chi pratica sport. Il rischio è proprio quello di andare incontro a una demineralizzazione che indebolisce le strutture dell’organismo. Importante perché favorisce il rilassamento delle tensioni nervose e mentali, contribuisce a distendere l’umore e facilita il riposo anche in caso di disturbi legati al sonno, il potassio, riduce gli stati di irritabilità, evitando sbalzi d’umore improvvisi. Fonte per antonomasia di energia, migliora anche l’umore e l’efficienza mentale. Infatti, questo prezioso nutriente, favorisce il miglioramento delle funzionalità del sistema nervoso e contribuisce al bilanciamento del metabolismo energetico. Utile per combattere la stanchezza e l’affaticamento sia fisico che mentale. Contribuisce poi anche al normale funzionamento del sistema nervoso e alla funzione psicologica, inoltre regola anche l’attività ormonale evitando l’insorgenza di eventuali problemi. Consigliato anche per chi dorme male o soffre d’insonnia poiché agisce sulla produzione di melatonina. Un vero e proprio toccasana per la salute, la sua presenza nella dieta, come ricordato da uno studio statunitense del 2015, riduce il rischio di depressione. Essenziale, nel nostro corpo è il quarto micronutriente più abbondante. Immagazzinato per la quasi totalità (99%) nelle ossa, nei muscoli e nei tessuti (il restante 1% si trova nel sangue). Secondo a nessuno, neanche al calcio, diventa fondamentale per lo sviluppo e la crescita delle ossa in età pediatrica. Secondo quanto mostra uno studio condotta da Steven A. Abrams, docente di Pediatria del Baylor College of Medicine di Houston, l’assunzione e l’assorbimento del magnesio sono fattori determinati per rilevare e promuovere il giusto contenuto minerale osseo non solo degli adulti, ma anche dei bambini.
«Sicuramente si tratta di un sale minerale molto utile in caso di stress fisico e psichico», spiega a Gazzetta Active la dottoressa Jessica Falcone, biologa nutrizionista presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro e la RAF First Clinic di Milano. Ecco quali sono le proprietà e i benefici del magnesio:
Il magnesio è un minerale essenziale per il nostro organismo, necessario in dosi di 5-6 mg per chilo di peso corporeo, dosi che possono anche aumentare in casi particolari come la gravidanza. Le sue proprietà sono molte: stimola il rilassamento muscolare, contrastando i crampi e ripristinando la contrazione muscolare, come il calcio, ma agisce anche a livello del sistema nervoso, favorendo la distensione e avendo come effetto anche un miglioramento della qualità del sonno. Questa sua azione miorilassante è data dal fatto che questo minerale riduce la produzione di adrenalina.
Tra i fattori che ne aumentano la carenza, lo stress e una dieta non equilibrata. Un nutriente prezioso per gli sportivi.
Carenze di magnesio si possono osservare in condizioni di forte stress, intensa attività fisica e sportiva o sudorazione importante. Anche l’insonnia e i disturbi gastrointestinali possono indicare una carenza di magnesio. Il magnesio contrasta la stanchezza e la spossatezza, ma anche l’ansia. Per gli sportivi, in particolare per chi pratica sport di resistenza, sono disponibili anche bustine orosolubili ad assimilazione rapida. Ma certo il magnesio è presente anche negli alimenti...
A cosa serve, dove trovarlo e quando è importante il contributo fornito dagli integratori:
Le fonti principali sono la frutta secca, in particolare le mandorle, ma tracce di magnesio sono presenti anche in alcune verdure, dal momento che si tratta di un sale minerale, presente quindi nel terreno. Si possono valutare integrazioni in periodi di forte stress psichico e fisico, anche sportivo, e di insonnia. Attenzione però a non eccedere con il dosaggio.
Le peculiarità e le principali funzioni di questo minerale sul nostro organismo vengono spiegate anche da Adriano Panzironi nel libro Vivere 120 anni: le verità che nessuno vuole raccontarti:
È coinvolto in oltre 300 diversi processi metabolici risultando fondamentale per l’assimilazione del fosforo, del calcio e del potassio. Facilita l’utilizzo di alcune vitamine, come quelle del gruppo B, la vitamina C e la vitamina E. Il magnesio svolge diverse azioni protettive nei confronti del sistema circolatorio. Favorisce la diminuzione della pressione sanguigna, agendo sulle cellule muscolari del cuore (facendole rilassare), prevenendo palpitazioni e battito cardiaco irregolare. È un ottimo vasodilatatore. Inibisce la coagulazione del sangue (diminuzione del rischio dell’ictus ischemico) e riduce il colesterolo. Facilmente rintracciabile in alimenti come cacao, frutta secca oleosa, frutti di mare, pesci (aringa e merluzzo), legumi, verdure a foglie verdi, cereali integrali. La cottura del cibo può ridurre del 75% la quantità di magnesio.
INTEGRAZIONE ALIMENTARE, preziosa per il benessere psicofisico
Il magnesio vigila sulla nostra salute contribuendo a una serie di processi importanti: favorisce la riduzione della stanchezza e dell’affaticamento, contribuisce all’equilibrio elettrolitico, vigila sul metabolismo energetico, favorisce il funzionamento del sistema nervoso, incentiva la funzione muscolare, facilita la sintesi proteica, contribuisce alla funzione psicologica, rinforza ossa e denti. «Il magnesio - evidenzia Christian Orlando, biologo - supporta diverse reazioni biochimiche coinvolte nella trasformazione delle sostanze nutrienti assunte con il cibo in energia e, insieme al potassio, interviene nei processi di contrazione muscolare e di trasmissione degli impulsi nervosi». «Utilizzare integratori di magnesio e potassio che danno una nuova carica di energia per affrontare le giornate» suggerisce l'esperto.
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Grande amico della buona cucina e della nostra salute, l’olio extravergine di oliva sta conquistando sempre più consumatori. Colonna portante della nostra alimentazione e pilastro fondamentale della tradizione italiana. Non solo condimento. Difatti, l’olio EVO è molto di più. Un concentrato di proprietà benefiche per il nostro organismo. Protegge il cuore e ringiovanisce il cervello. Le sue notevoli doti, conosciute sin dall’antichità, sono state confermate nel corso degli anni da una serie di evidenze scientifiche che ne mostrano tutte le peculiarità. Sposa perfettamente la filosofia di un’alimentazione ricca ed equilibrata è considerato anche tra i migliori ingredienti “anticancro”. Un potente alleato nella lotta ai tumori intestinali. È quanto mostrato da uno studio pubblicato dalla rivista Gastroenterology e ripreso in Italia in un dossier pubblicato dall’Associazione Italiana di Ricerca contro il Cancro (Airc). I ricercatori hanno riscontrato nell’olio la presenza di una sostanza utile nel contrasto ai tumori intestinali. Questo è dovuto all’acido oleico, spiegano gli scienziati, una sostanza in grado di regolare la proliferazione cellulare. Nelle cellule dei topi di laboratorio, i ricercatori hanno potuto simulare l’azione di alcuni geni alterati e di stati di infiammazione intestinale, dimostrando che la somministrazione di una dieta arricchita di acido oleico è in grado di garantire notevoli benefici per la salute. Il team di esperti ha dimostrato poi in laboratorio che questa sostanza riduce le infiammazioni intestinali e lo sviluppo dei tumori. Infatti, secondo l’Airc, il consumo quotidiano dell’olio di oliva extravergine contribuisce a prevenire e combattere le neoplasie tumorali. Ricco di acidi grassi essenziali, se consumato abitualmente, si trasforma in un elisir di lunga vita.
Toccasana per mente, cuore e intestino. Dalla raccolta delle olive alla conservazione, dall'estrazione alle tempistiche di lavorazione. Il comun denominatore è il parametro di acidità che dev'essere inferiore o uguale allo 0,8%. A lavorazione ultimata, il pH dell'olio extravergine di oliva rappresenta, assieme ad alcune proprietà organolettiche e gustative, il parametro fondamentale nella valutazione qualitativa del prodotto. Il made in Italy alla conquista del mondo. Come testimonia un recente report della Commissione Europea, in Europa ha registrato un incremento del 15,6% nelle esportazioni verso i paesi extraeuropei fra ottobre 2019 e settembre 2020. Relativamente all’Italia, fra ottobre 2019 e agosto 2020 le esportazioni intraeuropee sono aumentate del 24,7 %. E in Italia, considerato anche il lockdown dovuto al Covid-19 di bar e ristoranti, secondo Coldiretti, 9 famiglie su 10 consumano quotidianamente olio extravergine d’oliva. «Durante il lockdown le persone hanno avuto modo di fermarsi e riflettere sulla propria alimentazione e questo ha influito su ciò che cercano sugli scaffali dei supermercati: prediligono ingredienti di qualità, sani e preferibilmente nostrani», spiega Federica Bigiogera, marketing manager di Vitavigor. Ecco come l’olio extravergine contribuisce al nostro benessere. Un recente studio pubblicato da ABC News precisa che l’olio Evo, ricco di fenoli e grassi monoinsaturi, può diminuire il grado d’infiammazione e il livello di grassi nel sangue, e aumentando la quantità di HDL, il colesterolo "buono" che aiuta a ridurre il rischio di malattie cardiache. «Le proprietà benefiche dell’olio Evo sono legate principalmente alla sua composizione – evidenzia la biologa nutrizionista Alice Parisi –. L’alta concentrazione di polifenoli e tocoferoli, infatti, contrasta l’ossidazione delle macromolecole biologiche, ovvero Dna, proteine e lipidi, e aiuta a prevenire cancro, diabete e numerose malattie cronico-degenerative. Io ne raccomando il consumo a crudo, in quanto le alte temperature degradano i composti dell’olio». Consumare olio extravergine d’oliva è «la prima profilassi anti-cancro che possiamo fare», ha spiegato a Affari Italiani, la dottoressa Farnetti. Esso è infatti ricco di idrossitirosolo e tirosolo, sostanza dalle proprietà antitumorali. L’olio Evo rinforza anche il sistema immunitario e regola il microbiota intestinale, ossia l’insieme dei microrganismi che si formano nell’intestino.
Fondamentale, non solo a tavola, ma anche nella prevenzione di malattie cronico degenerative. La sua utilità nel combattere lo stress ossidativo e la formazione di radicali liberi è ormai nota e consolidata. Da una recente ricerca condotta presso l'Università degli studi di Bari con la collaborazione dell'Airc (l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro) è emerso che l'olio d'oliva possiede la capacità di proteggere il nostro organismo dall'insorgenza del tumore all'intestino. Nel corso dell’indagine, i ricercatori, inattivando il gene che codifica per SCD1, hanno dimostrato che l'assenza dalla dieta di acido oleico (di cui è l'olio EVO è particolarmente ricco) e la ridotta produzione endogena ad opera di questo enzima, comporta in un primo momento uno stato di infiammazione. Lo stesso potrebbe poi evolvere in un cancro dell'intestino. Antonio Moschetta, coordinatore della ricerca e autore del libro "Il tuo metabolismo", spiega perché l’olio extravergine di oliva è così prezioso per la nostra salute:
L'olio extravergine di oliva è ricco di acido oleico, una sostanza in grado di regolare la proliferazione cellulare. In studi preclinici abbiamo potuto simulare geni alterati e stati di infiammazione intestinale, dimostrando che la somministrazione di una dieta arricchita di acido oleico è in grado di garantire notevoli benefici per la salute. Tali effetti positivi sembrano essere dovuti anche alla presenza dell'enzima SCD1 nell'epitelio intestinale che funziona quale principale regolatore della produzione di acido oleico nel nostro corpo.
Insomma, un alimento che non dovrebbe mai mancare nelle nostre case. Consigliato nelle diete anche dai nutrizionisti per i benefici notevoli che fornisce. È un amico del benessere e fa bene all’apparato digerente, al cuore, al fegato e alle ossa. Dal valore nutrizionale eccellente al concentrato di vitamine, antiossidanti, fitosteroli e acidi grassi monoinsaturi. Insomma, l’olio d’oliva si presenta come una composizione nutrizionale che lo rende un alimento di grande importanza per il nostro organismo. Migliora la funzionalità del sistema cardiocircolatorio. L'olio d'oliva è stato anche correlato con una riduzione dei composti infiammatori che possono contribuire alla progressione della malattia cardiovascolare. Le olive contengono sostanze chimiche vegetali chiamate polifenoli che possono aiutare a ridurre l'infiammazione. Concentrato di proprietà importanti contiene antiossidanti, acidi grassi essenziali, polifenoli in grado di mantenere sotto controllo i livelli di colesterolo nel sangue. In particolare, favorisce l’aumento del colesterolo buono (HDL) e diminuisce, per contro, quello cattivo (LDL). Favorisce poi la corretta funzionalità dell’apparato digerente facilitando il transito degli alimenti e aiutando l’intestino grazie al suo leggero effetto lassativo. Migliora, inoltre, l’assorbimento delle vitamine, in particolare A, E, D e K2. Contribuisce, dunque, alla salute della pelle, aiuta la memoria e rinforza le ossa. Consente infatti di assorbire più calcio e magnesio. In ultimo, ma non per importanza, il suo effetto anti-age. L’olio EVO favorisce anche la longevità con il suo potente effetto anti-invecchiamento.
Il Giorno "L’olio extravergine è un concentrato di grassi anti-cancro"
Il Giornale "Cancro all'intestino: l'olio extravergine d'oliva lo previene"
Donna Moderna "Con l’olio extravergine d’oliva il cervello ringiovanisce"
La Repubblica "L'olio extravergine d'oliva conquista il mondo: nel 2026 mercato da 1,8 mld di dollari"
Harvard Medical School "Olive oil or coconut oil: Which is worthy of kitchen-staple status?"
Journal of the American College of Cardiology "Olive Oil Consumption and Cardiovascular Risk in U.S. Adults"
La Stampa "L’olio d’oliva vince su tutti gli altri: lo conferma ricerca di Harvard Medical School"
Il Secolo XIX "L’olio d’oliva vince su tutti gli altri: lo conferma ricerca di Harvard Medical School"
Consiglio Nazionale delle Ricerche "L'olio fa bene al cervello, soprattutto negli anziani"
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SOS invecchiamento? Arriva l'olio EVO, potente alleato del cervello
Colpo di scena della Regione Piemonte che introduce l’utilizzo della tanto discussa vitamina D nella lotta al coronavirus. Un trattamento alla portata di tutti. Nessun effetto collaterale, solo benefici per le persone positive al Covid. Una strategia anche in considerazione dell’attuale emergenza sanitaria con l’obiettivo di trattare la patologia fin dall’esordio ed evitare così eventuali complicanze. Una correlazione, quella tra Covid e vitamina D che torna ancora una volta alla ribalta, oggi a differenza di qualche mese fa, con 300 lavori all’attivo che ne dimostrano efficacia e benefici sia nella prevenzione sia nel trattamento.Hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da Covid, soprattutto se in forma severa, e di una più elevata mortalità ad essa associata. Da qui il suggerimento di intervenire con la somministrazione della vitamina D, soprattutto nella popolazione anziana, che in Italia ne è in larga misura carente. Insomma, sullo stile di quanto fatto in precedenza dal premier inglese Boris Johnson. Una serie di evidenze scientifiche non trascurabili che portano a una raccomandazione da parte degli scienziati, soprattutto dove, in Paesi come in Italia, c'è un'alta prevalenza di ipovitaminosi D o carenza di vitamina D, i governi dovrebbero promuovere campagne di salute pubblica per aumentare il consumo di alimenti ricchi di vitamina D oltre a un'adeguata esposizione alla luce solare o, quando ciò non è possibile, la corretta integrazione. Lungo questa linea, la British Dietetic Association e il governo scozzese hanno pubblicato alcune raccomandazioni per garantire, soprattutto in un periodo critico come quello che tutti stiamo vivendo, livelli normali di vitamina D nella popolazione. Numerosi i lavori condotti sia retrospettivamente (Meltzer D et al.), che con metanalisi (Pereira M et al.), che hanno confermato la presenza di ipovitaminosi D nella maggioranza dei pazienti affetti da COVID-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al.) e di una più elevata mortalità ad essa associata (De Smet D et al.): tutti questi dati forniscono a nostro giudizio interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana, che in Italia è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al.).
Un improvviso cambio di rotta da cui sta prendendo piede anche uno studio importante. Come spiega l’Accademia di Medicina nel suo documento, in un’indagine osservazionale (Jain A et al.) di 6 settimane su 154 pazienti, la prevalenza di soggetti con scarsa vitamina D è risultata pari al 31,86% negli asintomatici e al 96,82% in quelli che sono stati poi ricoverati in terapia intensiva. In uno studio randomizzato su 76 pazienti oligosintomatici (Castillo ME et al.), la percentuale di soggetti per i quali è stato necessario, successivamente, il ricovero in terapia intensiva è stata del 2% se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% nei pazienti non trattati. Uno studio retrospettivo su oltre 190.000 pazienti ha evidenziato la presenza di una significativa correlazione fra la bassa percentuale dei soggetti positivi alla malattia e più elevati livelli di questo nutriente (Kaufman HW et al.). In 77 soggetti anziani ospedalizzati per Covid (Annweiler G. et al., GERIA-COVID Study), la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo, assunto nell’anno precedente alla dose di 50mila UI al mese, oppure di 80mila-100mila UI per 2-3 mesi, oppure ancora di 80mila UI al momento della diagnosi. Nei pazienti positivi i livelli di vitamina D sono risultati significativamente minori (p=0.004) rispetto a quelli dei pazienti negativi (D’Avolio et al.). Dato poi confermato da altri lavori in termini di maggiore velocità di clearance virale e guarigione per coloro che hanno livelli ematici più elevati di vitamina D. E ancora in una sperimentazione clinica (Rastogi A. et al., SHADE Study) su 40 pazienti asintomatici o paucisintomatici è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% dei pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo contro il 20,8% dei pazienti del gruppo di controllo. Così l’assessore regionale alla Sanità del Piemonte, Luigi Genesio Icardi, annuncia l’aggiornamento appena effettuato del protocollo per la presa in carico dei pazienti Covid a domicilio da parte delle Unità speciali di continuità assistenziale, dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta:
Diamo nuovi strumenti ai medici di famiglia e alle Unità speciali di continuità assistenziali (USCA) per combattere il Covid19 direttamente a casa dei pazienti. Con l’aggiornamento del protocollo delle cure domiciliari, introduciamo l’utilizzo dell’idrossiclorochina nella fase precoce della malattia, insieme a farmaci antinfiammatori non steroidei e vitamina D. In più, prevediamo la possibilità di attivare 'ambulatori USCA' per gli accertamenti diagnostici altrimenti non eseguibili o difficilmente eseguibili al domicilio, ottimizzando le risorse professionali e materiali disponibili. Siamo convinti, perché lo abbiamo riscontrato sul campo fin dalla prima ondata - osserva Icardi - che in molti casi il virus si possa combattere molto efficacemente curando i pazienti a casa. Non vuol dire limitarsi a prescrivere paracetamolo per telefono e restare in vigile attesa, ma prendere in carico i pazienti Covid a domicilio da parte delle unità speciali di continuità assistenziale, dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Siamo stati tra i primi, l’anno scorso, a siglare un protocollo condiviso con ASL, prefetture e organizzazioni di categoria dei medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. L’obiettivo è evitare che i ricoveri, così come le degenze prolungate oltre l’effettiva necessità clinica, delle persone che possono essere curate a domicilio, determinino una consistente occupazione di posti letto e l’impossibilità di erogare assistenza a chi versa in condizioni più gravi e con altre patologie di maggiore complessità.
Con l’intento di fornire contributo e supporto alle istituzioni per contrastare la pandemia, un altro lavoro scientifico, sull’utilizzo della vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del Covid-19 si era fatto strada nel mare magnum di indagini che sono state condotte negli ultimi mesi. Il gruppo di lavoro, istituito dall’Accademia di Medicina di Torino coordinato dal suo Presidente, Giancarlo Isaia, professore di Geriatria e da Antonio D’Avolio, professore di Farmacologia all’Università di Torino, e composto da 61 Medici di molte città italiane. Un documento che mostra le più recenti e convincenti evidenze scientifiche sugli effetti positivi della vitamina D nel contrasto all’infezione da SARS-CoV2. Nella ricerca di fattori che influenzano l'incidenza e la letalità dell'attuale pandemia, recenti studi di associazione hanno esplorato il possibile ruolo della carenza di vitamina D. Nel complesso, questi studi, nella maggior parte dei casi basati su analisi trasversali, non potevano ancora fornire una dimostrazione convincente di una relazione causa-effetto. In questo editoriale, gli autori descrivono le prove scientifiche alla base di un possibile ruolo della vitamina D nella prevenzione e nello sviluppo della pandemia, considerando il suo ruolo immunomodulatore e gli effetti antivirali.
In un precedente numero di Aging Clinical and Experimental Research, Ilie e colleghi riportano una correlazione in 20 paesi europei tra i livelli di vitamina D e l'incidenza di Covid-19 e i tassi di mortalità. Questo lavoro si aggiunge a un crescente corpo di prove circostanziali che collegano Covid-19 e lo stato della vitamina D, come ben riassunto da Fiona Mitchell in un recente editoriale. Gli studi di associazione rientrano in due categorie principali: confronto della variazione dei livelli di vitamina D stimati o storici e dell'incidenza o dei tassi di mortalità del Covid-19 tra i paesi. L'analisi, inoltre, può essere mondiale o all'interno di continenti o anche tra emisferi, considerando la latitudine e lo stato stagionale associato come indicatori indiretti dello stato della vitamina D; studi caso-controllo retrospettivi che confrontano i livelli individuali di vitamina D (effettivi o stimati) con l'incidenza di Covid-19, sia per la popolazione generale che per minoranze specifiche. In questo lavoro, D'Avolio e colleghi hanno trovato un livello di 25 (OH) D notevolmente inferiore nei pazienti Covid-19 rispetto ad altri pazienti ospedalizzati a Bellinzona, in Svizzera. Altro lavoro interessante, quello condotto da Meltzer e colleghi che hanno stimato la probabilità di carenza di vitamina D sulla base di misurazioni 25 (OH) D precedenti (fino a 1 anno) per 499 pazienti testati per Covid-19 e hanno scoperto che coloro che erano positivi aveva una probabilità significativamente maggiore di carenza vitaminica. L’indagine mirava a valutare, in questo caso, se una maggiore incidenza di Covid-19 nelle minoranze non bianche nel Regno Unito potesse essere associata a carenza di vitamina D. Inoltre, una metanalisi che ha coinvolto 25 studi interventistici randomizzati e più di 11.000 pazienti hanno dimostrato che l'integrazione di vitamina D riduce di 2/3 l'incidenza di infezioni respiratorie acute.
«La vitamina D è fondamentale per il nostro sistema immunitario perché coordina l’attività di tutte le sue cellule: sia quelle coinvolte nell’immunità innata che quelle dell’immunità adattativa» spiega Christian Orlando, biologo.
Il recettore per la Vitamina D – continua l’esperto - è particolarmente sviluppato nelle cellule del sistema immunitario. L’azione della Vitamina D è quella di modulare la risposta del nostro sistema immunitario ad esempio riduce il rischio di allergie, aumenta la protezione verso le infezioni ed ha anche un ruolo importante nella prevenzione delle patologie autoimmuni. - Inoltre, evidenzia Orlando - La letteratura scientifica, infatti, ha confermato la capacità della vitamina D di agire sulle cellule immuno-competenti, attivandole e studi recenti dimostrano come i livelli ematici di vitamina D influenzino la funzionalità dei macrofagi, cellule dell’immunità innata. A livello polmonare, in particolare, la presenza di un virus o batterio attiva i macrofagi, che inviano stimoli per promuovere l’attivazione della vitamina D e l’espressione dei suoi recettori VDR: in questo modo induce la produzione di citochine e varie molecole coinvolte nell’infiammazione, con lo scopo di eliminare il microrganismo invasore. Per quanto riguarda l’immunità adattativa, invece la vitamina D, accumulata nelle cellule del tessuto adiposo (gli adipociti), passa nel circolo linfatico e raggiunge i linfonodi. Qui lega i propri recettori VDR all’interno dei linfociti B, stimolando la produzione di anticorpi.
Tuttavia, esistono anche prove precliniche di un effetto protettivo della vitamina D sul danno polmonare. Esistono, quindi, prove consolidate sul ruolo immunomodulatore della vitamina D, sulle sue proprietà antivirali e su un possibile ruolo nella mitigazione della polmonite e dell'iperinfiammazione. Varie recensioni ha esaminato la relazione tra vitamina D e sistema immunitario, evidenziando un ruolo protettivo per molte malattie infettive, alla base dell'associazione tra ipovitaminosi D e molte infezioni del tratto respiratorio, enterico e urinario, vaginosi, sepsi, sindrome influenzale, dengue ed epatite. Queste proprietà della vitamina D sono state attribuite alla sua capacità di modulare l'espressione genica attivando il recettore della vitamina D in molte cellule bersaglio, comprese le cellule immunitarie, e promuovendo l'espressione di peptidi antimicrobici come catelicidine e beta-defensine, anch'esse dotate di antivirali e attività immunomodulatorie. Inoltre, la vitamina D supporta l'immunità innata, mantiene l'integrità delle giunzioni strette e della barriera polmonare, fornisce attività immunoregolatrice e modula il sistema renina-angiotensina, tutti fattori di potenziale rilevanza per la polmonite acuta e l'iperinfiammazione osservati in pazienti con Covid-19.
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Contro il Covid? Mangiamo meno carboidrati! Un’alimentazione non solo efficace per una rapida riduzione della massa grassa e delle complicanze metaboliche dell'obesità, oltre a fornire un apporto nutrizionale adeguato potrebbe ridurre addirittura i rischi delle complicanze da Covid-19. È quanto mostra un recente studio del San Raffaele sul regime alimentare che riduce in modo drastico i carboidrati aumentando, per contro, le proteine e soprattutto i grassi. Lo scopo principale di questo stile alimentare è costringere l’organismo a utilizzare i grassi come fonte di energia primaria. Al contrario di quanto avviene in presenza di carboidrati, infatti, tutte le cellule ne utilizzano l’energia per svolgere le loro attività. Ma se questi vengono ridotti al minimo o eliminati completamente, cominciano a utilizzare i grassi. Si avvia quindi un processo chiamato chetosi, perché porta alla formazione di molecole chiamate corpi chetonici, questa volta utilizzabili dal cervello. In genere la chetosi si raggiunge dopo un paio di giorni con una quantità giornaliera di carboidrati di circa 20-50 grammi, ma queste quantità possono variare su base individuale. Oggi il successo di una dieta così strutturata, è legato soprattutto alla sua efficacia nel ridurre il peso, ma non si tratta di un regime alimentare semplice da seguire. Difatti, basta sgarrare anche di poco con i carboidrati per bloccare il processo di chetosi e, di conseguenza, indurre l’organismo a utilizzare nuovamente la sua fonte energetica preferita: gli zuccheri.
La continua lotta al coronavirus sta ponendo una seria sfida ai sistemi sanitari di tutto il mondo, con un enorme impatto sulle condizioni di salute e sulla perdita di vite umane. In particolare, l'obesità e le relative comorbidità sono strettamente correlate ai peggiori esiti clinici del Covid. Nonostante l'attuale tasso di mortalità sia del 7,6%, l'emergere di un gran numero di pazienti contagiati in un breve periodo di tempo ha determinato rilevanti difficoltà. Tra i fattori di maggior rischio SARS-CoV-2, numerosi studi, nel corso di questi mesi, hanno identificato una specifica associazione di mortalità con età avanzata e presenza di comorbidità. Alcune di queste patologie sono legate al comportamento dello stile di vita, quindi dovrebbe essere raccomandato di intervenire su questi fattori di rischio per migliorare i risultati in caso di contagio e ridurre l'impatto sulla salute di possibili nuovi focolai futuri. Da qui, la notevole importanza di queste diete per una rapida riduzione di diversi fattori di rischio critici tra cui l'obesità, il diabete di tipo 2 e l'ipertensione, sulla base dei noti effetti dei corpi chetonici su infiammazione, immunità, profilo metabolico, malattia renale cronica e funzione cardiovascolare. Il suggerimento nutrizionale che fornisce questa indagine è quello di ridurre il consumo di cibo spazzatura e preferire alimenti con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, meglio se con il potenziale di influenzare positivamente il sistema immunitario. Quindi, diciamo “addio” alle abitudini alimentari malsane, ricche di carboidrati.
Ecco il perché della decisione di limitare l’apporto di glucosio nella dieta dei pazienti: «Abbiamo potuto osservare che questo tipo di dieta non è solo accessoria, ma assume una valenza antinfiammatoria quasi simile a quella dei farmaci anti-citochine», spiega a Gazzetta Active il dottor Samir Giuseppe Sukkar, primario di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova.
Nel mese di marzo mi sono concentrato su un eventuale supporto nutrizionale dal punto di vista immunomodulatore. In particolare ho considerato una possibile ipotesi di trattamento e mi sono accorto che all’epoca stavano emergendo dati sul fatto che la sindrome da Covid che portava alla morte e al ricovero era la tempesta o sindrome citochinica. Questa evidenza era emersa in uno studio pubblicato su Lancet alla fine di febbraio. Ho così voluto vedere che cosa scateni la tempesta citochinica. A provocarla è l’iperattivazione dei macrofagi M1, cellule infiammatorie che si trovano nell’alveolo polmonare allo stato di quiescenza e che si attivano nel momento in cui arriva un virus. Questo stato di attivazione porta ad una cascata di citochine. La cosa interessante è che andando a verificare dal punto di vista metabolico perché accade questo si nota l’effetto Warburg, una caratteristica di determinate cellule il cui metabolismo è quasi esclusivamente glicolitico: utilizzano esclusivamente lo zucchero. Sì. La tempesta citochinica porta all’attivazione di macrofagi M1 il cui metabolismo è esclusivamente glicolitico: utilizzano solo il glucosio per produrre energia. Quindi se si riduce il glucosio come fonte energetica primaria del paziente riduciamo anche il nutrimento per gli M1. Di conseguenza una dieta chetogenica, apportando una quantità di glucosio inferiore a 30 grammi al giorno, porta ad una minore disponibilità di nutrienti per i macrofagi M1, li affama. In questo modo si ferma l’iperattivazione dei macrofagi. Non solo. Fornire una quantità elevata di grassi rispetto agli zuccheri facilita anche il processo di guarigione. Questo perché i macrofagi M2, macrofagi spazzini, sono cellule voraci di grassi, che utilizzano come fonte energetica. Quindi con la chetogenica da un lato affamiamo i macrofagi M1 e dall’altro favoriamo l’azione positiva degli M2. Se poi la dieta chetogenica è ricca anche di acidi grassi omega 3 è ancora meglio perché questi riducono l’infiammazione, spegnendo il processo infiammatorio. Di fatto questa dieta è fortemente coadiuvante della guarigione del Covid-19 e ha avuto un effetto su 38 pazienti comparati a 76 pazienti che non avevano seguito questo regime alimentare. Abbiamo avuto una riduzione significativa della mortalità per Covid e del numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva. Tutto questo ha un grande rilievo dal punto di vista terapeutico perché la dieta così non è più solo accessoria, ma assume una valenza antinfiammatoria quasi simile a quella dei farmaci anti-citochine. Quindi non è solo una terapia di supporto come l’assunzione di vitamina D o vitamina C.
I CARBOIDRATI FANNO BENE O MALE?
L'obesità rappresenta uno dei fattori prognostici riconosciuti per la necessità di terapia intensiva e ad alto rischio di morte durante l'infezione da SARS-CoV-2. Nello specifico, lo stato di obesità limita la ventilazione interrompendo l'escursione del diaframma, altera le risposte immunitarie all'infezione virale, determina un'infiammazione cronica di basso grado e peggiora la tolleranza al glucosio e lo stress ossidativo con effetti negativi sulla funzione cardiovascolare. È importante, quindi, sottolineare che i pazienti obesi sperimentano una sindrome Covid-19 più grave, poiché l'obesità è caratterizzata da un equilibrio emostatico alterato con aumento della coagulazione e fibrinolisi difettosa che si traduce in uno stato pro-trombotico. Inoltre, la coesistenza di obesità e steatosi epatica metabolica (MAFLD) determina un aumento del rischio di circa 6 volte di un quadro clinico negativo. In particolare, un recente rapporto ha mostrato che il tessuto adiposo esprime livelli molto elevati di trascrizioni per ACE2, un enzima attaccato alla superficie esterna dei pneumociti, che viene utilizzato dai coronavirus per entrare e infettare le cellule, sollevando la questione se il tessuto adiposo possa rappresentare un serbatoio di SARS-CoV-2 e un sito strategico per amplificare la cascata di citochine innescata dall'infezione virale. I pericoli di questa correlazione vengono messi in evidenza dal professor Massimiliano Caprio, responsabile dell’Unità Endocrinologia cardiovascolare dell’IRRCS San Raffaelec di Roma, coautore di un articolo pubblicato dalla rivista Journal of Translational Medicine:
L'obesità e le sue comorbidità sono strettamente legate alla prognosi più grave del Covid-19, e un aspetto poco considerato nell’affrontare l’emergenza è che una corretta consulenza nutrizionale costituisce una priorità per affrontare la pandemia di Covid-19, al fine di ridurre il rischio di infezione e le relative complicanze. Possono avere un ruolo importante nella modulazione dell'immunità innata e di quella adattativa, determinando effetti benefici sull'infiammazione cronica di basso grado, potendo prevenire il rischio di tempesta citochinica del Covid-19. Inoltre – prosegue il prof. Caprio - le diete […] potrebbero essere protettive durante l'infezione da Sars-COV2 grazie agli effetti antinfiammatori e immunomodulanti dei corpi chetonici.
Ecco come la PASTA potrebbe influenzare la nostra salute
È ben noto che il rilascio aberrante di citochine e chemochine pro-infiammatorie, indotto dall'infezione da SARS-CoV-2, è centrale per gli esiti fatali della sindrome Covid-19. Una grave progressione del Covid è determinata da una risposta tardiva all'interferone gamma con uno stato infiammatorio prolungato e una conta delle cellule Treg, NK e CD4 + e CD8 + più bassa. È ampiamente documentato, inoltre, che l'iperglicemia può peggiorare la risposta infiammatoria. Livelli elevati di glucosio amplificano la produzione di citochine nei monociti attraverso un aumento dei ROS mitocondriali. È quindi probabile che le popolazioni di cellule immunitarie disregolate rappresenti un importante fattore di rischio e determini il peggioramento della risposta infiammatoria durante l'infezione da SARS-CoV2. Quella avvallata nella ricerca è una terapia adiuvante per affrontare l'infezione mediante un cambiamento nello stato metabolico dell'ospite da un glicolitico dipendente dai carboidrati a un dipendente dai grassi stato chetogenico, mirato ad alterare la replicazione virale. Tale spostamento metabolico provoca una maggiore resistenza allo stress mitocondriale, un miglioramento delle difese antiossidanti, un aumento dell'autofagia e della riparazione del DNA e una diminuzione della secrezione di insulina. Insomma, un approccio funzionale che rimanda a uno stile di vita salutare e importante per tenere alla larga una lunga serie di malattie, tra queste anche il Covid poiché valida nel migliorare la risposta immunologica dell’infezione da SARS-CoV2.
Journal of Translational Medicine "The dark side of the spoon - glucose, ketones and COVID-19: a possible role for ketogenic diet?"
AGI "La dieta chetogenica può ridurre i rischi di complicanze nel Covid-19"
Gazzetta Active "La dieta chetogenica è un’arma contro il Covid? Uno studio sostiene che può ridurre la mortalità"
San Raffaele "Obesità-COVID-19: la dieta chetogenica aiuta a ridurre i rischi da Sars-Covid2"
The Lancet "Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality [...]"
Medical Xpress "Ketogenic diets alter gut microbiome in humans, mice"
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